• Non ci sono risultati.

Il confronto con i genitori è stato per loro sorprendente, e tale sensazione ha accomunato in modo trasversale tutti i contesti territoriali. Dinanzi alle competenze rappresentative e alla forza descrittiva dei diversi lavori prodotti dai propri figli, i genitori sono rimasti realmente stupiti.

73

Proprio a partire da tale ricchezza rappresentativa, padri e madri sono stati portati a riflettere sul fatto che l’abitare designa un’esperienza profonda e polisemica. La rilevazione dei vissuti e dei pensieri dei bambini ha costituito una significativa occasione per ripensare il valore dell’esperienza dell’abitare, scoprendo lo spazio come spazio vissuto, il cui significato trascende la mera materialità e fisicità dei luoghi.

Pur condividendo la complessità degli stimoli emersa dalle rappresentazioni dei bambini, con i genitori sono stati affrontati solo alcuni aspetti, in modo particolare quelli che potessero avere un forte nesso con gli stili di vita familiare: il tema dell’abitare domestico, la mobilità e i ritmi di vita.

Per quanto riguarda la casa, i genitori sono stati guidati a comprendere che le figure scelte dal bambino per rappresentare la propria abitazione sono lo strumento che egli usa per presentare il proprio spazio abitativo agli altri. Nella descrizione dell’utilizzo degli spazi, nella distribuzione dell’arredamento, nella presenza di oggetti/suppellettili particolari, il bambino non effettua una ricostruzione fedele ma consegna la propria visione sensibile dell’ambiente. In un certo senso, plasma lo spazio e seleziona scene, narrando il proprio senso dello stare in quello spazio e il rispecchiarsi in esso delle relazioni familiari che lo percorrono.

“L’abitazione racconta l’abitante”, scrive Vitta . Nella sua concretezza architettonica, si presenta anche come spazio narrativo, attraverso il quale è possibile far affiorare significati identitari. Ai genitori sono state quindi restituite le “narrazioni abitative” dei loro figli e ciò ha svolto un’importante funzione “di specchio”

per i padri e le madri presenti.

Molti genitori hanno infatti esplicitato di aver preso consapevolezza del fatto che l’esperienza dell’abitare si modelli nei bambini in stretta relazione non solo con le contingenze della vita familiare (migrazioni, separazioni, ricongiungimenti, impegni lavorativi, malattie) ma anche con la cultura familiare dell’abitare.

Dai genitori ci sono pertanto giunte queste riflessioni: “Ci trovavamo nelle strade e nelle piazze Intanto che le mamme e le nonne facevano i così detti filos, cosa che non si vede più fare adesso, noi bambini passavano di casa in casa e giocavamo o a nascondino e o all’elastico, era molto complicato e aveva delle regole”;

“avevamo meno paura, eravamo liberi, ridevamo tantissimo perché ci chiamavamo con le voci nei campi di granoturco e ci incontravamo”, “oggi per il paese da soli non vanno”.

Rispetto ai nostri tempi e all’abitare metropolitano, in uno stimolante libro che parla dell’abitare a Milano, della sua natura caleidoscopica e del suo vivere di continui spostamenti diffusi (e quindi di un abitare temporaneo), l’architetto Stefano Boeri non esita ad affermare che “la vera grande irreversibile spinta dell’abitare temporaneo arriva oggi dalla combinazione tra la crescente precarietà del lavoro e la fragilizzazione della cornice della famiglia”. E’ la famiglia, continua Boeri, “la sua deformazione, estensione, caricaturizzazione – a dettare il ritmo delle dinamiche abitative”105.

105 S. Boeri, Caleidoscopio Milano, in Multiplicity.lab, Milano. Cronache dell’abitare, Bruno Mondadori, Milano, 2007, p. 13 (le pagine complessive 9-17).

74

Al di là delle considerazioni di natura prettamente urbanistica, le riflessioni di Boeri permettono di conferire un ruolo strategico ai legami familiari rispetto all’esperienza dell’abitare.

Proprio riflettendo sugli stili abitativi delle famiglie di oggi, la mobilità è stata riconosciuta come un fattore determinante rispetto alla vita quotidiana del bambini. La quotidiana dislocazione dell’intera famiglia fuori e spesso lontano dalle mura domestiche segna l’esperienza dei bambini. Il senso dell’abitare, tanto rispetto all’abitazione quanto rispetto agli spazi urbani, risente dei prolungati trasferimenti da un punto all’altro. I bambini stentano a tracciare dei reticoli: trattengono piuttosto dei luoghi (di arrivo o di partenza), proponendo quindi rappresentazioni puntiformi piuttosto che sistemiche o comunque reticolari.

Nel caso specifico del contesto geografico preso in esame, la Provincia di Brescia si colloca in quella fascia di urbanizzazione diffusa, in cui si è venuto a creare un ininterrotto agglomerato urbano da Milano a Venezia, passando appunto per Brescia. Le città, ma anche i paesi, si sono estesi a dismisura, generando non soltanto una perdita dei confini ma anche la necessità di una mobilità più estesa. Il raggiungimento delle canoniche mete (casa, lavoro, scuola, palestra, negozi, servizi…) richiede il superamento di distanze sempre maggiori e quindi spostamenti più lunghi ed impegnativi a livello spazio-temporale. Tutto ciò con conseguenze non solo sull’inquinamento ambientale ma anche sulla diminuzione del libero movimento dei bambini: “vede la realtà in cui viviamo: purtroppo viviamo in questa realtà dove, uscendo da casa ci son le macchine, i camion, c’è lo smog”; “mia mamma poteva andare a lavorare tranquilla perché noi sapevamo come muoverci, dove muoverci. Oggi io non sarei sicura di lasciare i miei figli in giro”.

La gestione della quotidianità è avvertita dai genitori come problematica, segnata da una sottrazione di tempi e occasioni relazionali. I genitori, invitati a riflettere sui ritmi di vita quotidiani, rivelano la fatica a trovare momenti liberi, occasioni di uscita dalla mura domestiche al di fuori degli impegni lavorativi. Il tempo della quotidianità è sempre eroso da impegni, da ritmi incalzanti, che sottraggono la possibilità di vivere un ritmo più lento: “non c’è uno spazio all’interno della giornata per ritagliarsi un momento”, rileva amareggiata una mamma.

I genitori di città e della zona industrializzata, pur consapevoli di questi nuovi stili di vita, rimangono sopresi nel constatare il fatto che le mappe topografiche create dai propri figli esprimano un’effettiva difficoltà nel rappresentare il territorio, limitandosi ad accostare un insieme di destinazioni a cui vengono generalmente condotti (scuola, supermercato, …).

La dissoluzione di uno spazio urbano coeso o comunque compatto si riverbera nelle mappe infantili, che veicolano un senso di discontinuità e di frammentazione, con la presenza di ampie zone opache e tale effetto è risultato impattante sui genitori: “non c’è sicurezza e loro non hanno questa capacità (di muoversi autonomamente, di orientarsi)”.

Osservando i rimandi dei bambini, i genitori hanno compreso come la povertà di esperienze tocchi i vissuti e le competenze dei propri figli. Privare i bambini di occasioni per sperimentare un rapporto attivo e

75

creativo con lo spazio comporta una depauperamento delle capacità percettive, emotivo-affettive, cognitive.

Richiamando la pedagogia montessoriana, è stato così possibile far comprendere ai genitori che nell’infanzia l’appropriazione fisica degli spazi di vita è un presupposto fondamentale per un armonico processo di crescita. I bambini devono poter conoscere quella “libertà dello sviluppo” fatta di relazioni, approcci attivi, scoperte, esplorazioni, che sono possibili solo in ambienti accoglienti e non repressivi, incoraggianti e non limitanti, idonei cioè a favorire un contatto attivo con il mondo. Ai bambini, amava affermare la Montessori, bisogna offrire “cose grandiose: per cominciare, offriamogli il mondo”106.

Una mamma straniera, in effetti, ha portato un importante contributo in tale direzione: “Qui manca vedere i bambini giocare: non vivi da solo su un’isola, ci sono altri bambini.. Magari esagero o vengo da un’altra cultura, ma per me un bambino deve giocare, altrimenti quando avrai 10 anni non avrai amici”.

Un tema molto delicato, su cui si è avviata una riflessione, non sempre serena, da parte dei genitori è l’emergente rischio di chiusura e autoreferenzialità. I genitori hanno mostrato disagio e resistenze nell’affrontare le questioni connesse con una domiciliarità depauperata, travisata in forme estreme di protezione (e di difesa), pericolosamente incrinata verso l’isolamento sospettoso.

Molto delicato è risultato essere anche il passaggio riflessivo proposto in merito all’isolamento abitativo che si insinua tra le pieghe di un isolamento sociale. Il tutto documentato con un riscontro diretta nella contrazione delle rappresentazioni realizzate dai figli relativamente ai luoghi della socializzazione. Ecco alcune considerazioni: “la cosa che mi rammarica è che non gli facciamo vivere bene né gli spazi, né i tempi, nè i giochi perché tutto è di fretta”.

I genitori hanno comunque manifestato un diffuso senso di incertezza, che si lega alla sensazione che si stiano sgretolando le reti relazionali che danno fiducia e sostegno, che forniscono un appoggio.

In ogni caso, il confronto avviato con i genitori è risultato realmente essere una momento strategico di questa ricerca, poiché la prospettiva del “con e per” i bambini richiama la necessità di avviare processi di cambiamento. La possibilità di accostare, attraverso i focus group, le culture abitative delle famiglie ha rivestito un ruolo inestimabile nella comprensione delle prassi abitative, dei comportamenti, dei processi relazionali.

Le difficoltà che molti bambini palesano, specialmente in riferimento all’esperienza dell’abitare gli spazi pubblici, rappresenta un incontrovertibile appello alla responsabilità adulta, affinchè ai più piccoli vengano restituite occasioni esperienziali. Ricerche internazionali di grande spessore come quelle di Hillman e Valentine107 dimostrano che l’inibizione del movimento autonomo dei bambini negli spazi di vita non sia attribuibile solo alla presenza del traffico e dei pericoli di natura sociale. Un ruolo rilevante è giocato dalle

106 M. Montessori, Dall’infanzia all’adolescenza, Garzanti, Milano, 1994, p. 45.

107 M. Hillman, Children, transport and the quality of life, London, Policy Studies Institut, 1993; G. VALENTINE, Public Space and the Culture of Childhood, Ashgate, Hants, England, 2004.

76

percezioni adulte, dei genitori in particolare, rispetto al proprio ruolo ma anche rispetto all’idea di bambino.

La pratica abitativa e il suo significato dovrebbero diventare un patrimonio comune tra gli adulti di riferimento.

Nella logica trasformativa che ha caratterizzato la ricerca, è stato fondamentale interrogare tutti gli attori dei contesti: bambini in primis, ma anche gli adulti di riferimento. Solo in questo modo si possono avviare cambiamenti, producendo quelle condizioni che rendono possibile vivere in modo rinnovato l’esperienza dell’abitare.

77 CAP. 4