• Non ci sono risultati.

L’ARTE DI ABITARE: PROSPETTIVE EDUCATIVE

4.7 L’abitare difficile

La ricchezza delle pratiche abitative che i bambini hanno posto in luce, non deve illudere circa il fatto che l’esperienza dell’abitare abbia sempre conosciuto, e anche oggi conosca, una dimensione tragica, fatta di precarietà abitativa, di mancanza di dimora, di insopportabili coesistenze; insomma, di un abitare difficile.

171 E. Kay, M. Tisdall, J.M. Davis, A. Prout, M. Hill (eds.), Children, Young People and Social Inclusion: Participation for What?, Policy Press, Bristol, 2006.

172 M. Montessori, La scoperta del bambino, Garzanti, Milano, 1950, p. 59.

173 M. Amadini, Crescere nella città. Spazi, relazioni, processi partecipativi per educare l’infanzia, La Scuola, Brescia, 2012, p. 106.

98

Sull’abitare si proiettano anche paure, timori, fragilità, egoismi che si coniugano con dinamiche sociali ed economiche strutturali, come la crisi economica, la precarietà lavorativa, la debolezza dei legami familiari, la complessità dei fenomeni migratori, l’assenza di politiche lungimiranti sul tema della casa.

L’esperienza dell’abitare può conoscere inoltre la condizione di un disagio abitativo, che scaturisce non solo dalla precarietà ma anche dall’incapacità sempre più diffusa di convivere. Non dimentichiamo inoltre il fatto che la dimensione edilizia ha la capacità di influire sulla qualità della vita e sui legami.

La dimensione dell’abitare difficile nella ricerca che abbiamo condotto ha trovato espressione in particolare nei bimbi affetti da varie forme di disabilità, che ci hanno consegnato tutta la loro gioia di partecipare a questa ricerca, così come la fatica che segna la loro esperienza abitativa in generale.

Per chi vive una quotidianità segnata dal barriere e criticità, l’esperienza dell’abitare può assumere connotazioni problematiche. Nel corso della ricerca abbiamo incontrato bambini che presentavano diverse forme di disabilità e abbiamo ritenuto particolarmente significativo valorizzare la loro prospettiva, accogliendo sguardi particolari sul mondo.

Poiché la disabilità colpisce spesso proprio la place identity, quindi le condizioni stesse di sviluppo di un’identità legata ai luoghi di vita e di esperienza, è davvero importante coltivare un’attenzione educativa specifica ai vissuti abitativi, che si consolidano attraverso l’esplorare e il fare esperienza.

In tal senso intendiamo riaffermare con forza un convinto impegno pedagogico, finalizzato a permettere a tutti i bambini di costruire un senso di appartenenza al mondo e ai contesti relazionali. L’accesso attivo e personalizzato allo spazio è una delle condizioni imprescindibili per realizzare il processo dell’abitare, il quale necessita di un significativo legame con i luoghi e i contesti di vita dei bambini.

Anche ai bambini che, a causa di diverse forme di disabilità, possono vivere con difficoltà l’esperienza dell’abitare va garantita la possibilità di scoprire la ricchezza degli spazi, rendendoli familiari. Si tratta di riconoscere il bisogno di ogni bambino di sentire di appartenere ai contesti e di provare quella soddisfazione di abitare che E. Lévinas definisce come capacità di godimento del mondo174.

Non possiamo immaginare che per alcuni bambini il rapporto con lo spazio e con il mondo che li circonda sia una semplice operazione passiva e passivizzante, di adeguamento e di ricezione. Ogni bambino ha il diritto di poter comporre, attraverso il proprio contributo, un personale modo di abitare il mondo.

Pur nella specificità del rapporto al mondo, che la condizione di disabilità permette loro, questi bambini hanno il diritto di sviluppare un personale “patrimonio sensibile” rispetto ai luoghi in cui trascorrono la propria vita. Il sostegno e l’accompagnamento educativo si esplicano anche nella possibilità di far abitare gli spazi, privati e pubblici, permettendo di accedere ad un crocevia di suoni, colori, profumi, sensazioni tattili, che possono poi concretizzarsi in un’esperienza sensata e sensibile dell’abitare umano.

In questo modo lo spazio non rimane un contenitore impersonale e indifferenziato, ma diventa occasione di esperienza, secondo le possibilità di una corporeità e di una sensibilità che sono specifiche per ogni

174 E. Lévinas, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca Book, Milano, 2000.

99

bambino, ma devono comunque permettere di includere, insieme agli aspetti fisici, anche quelli emotivi e relazionali. A tutti va garantito il diritto di connettere il proprio essere con l’abitare, vivendo esperienze e costruendo senso di appartenenza, superando la precarietà e la frammentazione.

In sostanza, non può rimanere disatteso l’impegno educativo di aprire margini di abitabilità, in risposta ai bisogni dei bambini diversamente abili, affinchè sperimentino l’apertura al mondo e agli altri, in risposta al rischio di essere confinati in una marginalità abitativa.

100 CONCLUSIONE

“L’adattamento tra un individuo, un gruppo e un luogo è una costruzione di una complessità affascinante e fragile insieme”

(F. La Cecla, Mente locale. Per un’antropologia dell’abitare”, Elèuthera, Milano, 2011, p. 38)

L’abitare è un’esperienza che non si esaurisce nel fatto di occupare uno spazio: essa implica la necessità di immettere dei significati a questo stare nello spazio. Gli ambienti, gli oggetti, gli arredi chiedono di diventare vissuti, di entrare nella vita delle persone, di occupare un posto nella loro storia, di essere strumenti di azione.

L’immagine dell’abitare, in tal senso, è molto articolata e complessa: accade nello spazio e nel tempo; ha bisogno di spazio e di tempo per edificarsi e diventare strumento di avveramento dell’io personale.

L’identità si definisce a partire dalle categorie esistenziali dello spazio e del tempo. Il concetto stesso di place identity rimanda a questo stretto nesso tra identità e luoghi.

In tal senso, non si può lasciare inascoltato il bisogno dei bambini di riscoprire la valenza identitaria delle loro esperienze abitative, attraverso approcci attivi allo spazio e vivide esperienze sensoriali. I bambini desiderano conoscere il mondo, viverlo nella sua pienezza e non soltanto negli spazi confinati e delimitati dall’adulto nell’esercizio di una funzione di controllo.

Rilanciamo in tal senso la sfida pedagogica di introdurre nuovamente nella semantica dell’abitare il valore dell’esperienza viva, che contempla anche la dimensione dell’imprevedibile e, in un certo senso, del rischio.

L’ossessione per la sicurezza, il controllo, l’organizzazione hanno messo sotto scacco la possibilità di compiere esperienze inaspettate. L’abitare è governato dall’imperativo dell’efficienza, dell’ottimizzazione degli spazi e dei tempi, in una retorica dell’abitare che ne svilisce gli aspetti dialettici e dinamici. È fondamentale, in questa prospettiva, promuovere una “pedagogia dell’esperienza dei luoghi”, che restituisca la matrice di senso dell’abitare. I verbi dell’esperienza sono infatti quelli dell’esplorare ma anche del sostare,: l’abitare è movimento e riflessività, un percorrere e uno stare.

La riflessione pedagogica che scaturisce dalla ricerca presentata in questo volume intende inoltre porre l’attenzione sul fatto che l’abitare riguarda anche lo spazio pubblico, aperto. Proprio quello spazio che in molte città contemporanee è abbandonato ed eroso, sacrificato all’imperativo di non far uscire di casa i bambini e alla paura di luoghi sconosciuti, che sono affettivamente sempre più solitari e pericolosi.

101

Gli spazi della comunità chiedono di essere ritrovati, specialmente nei contesti urbani che hanno dimenticato come il fatto di incontrarsi nelle strade e di riunirsi nei luoghi della socializzazione (piazze, parchi …) siano alla base del senso dell’abitare per un essere, quello personale, profondamente relazionale.

“Avulso dal suo intorno, privato del suo ‘aperto’, qualunque spazio diventa ‘inadeguato’”, ci ricorda La Cecla175.

Un pensiero finale va anche alla peculiarità dell’approccio metodologico della ricerca, che ha inteso rendere i bambini protagonisti e fornire loro una pluralità di occasioni espressive. Tale approccio partecipativo e la metodologia del Mosaic Approach si sono rivelate essere strategiche rispetto ai risultati della ricerca ma anche di grande valore formativo per i bambini stessi.

Proprio in riferimento al fatto che il senso dell’abitare nasce in una stretta e costruttiva relazione con gli spazi di vita, gli strumenti proposti, attivando registri verbali e non verbali, hanno permesso ai bambini di elaborare visioni più complesse della realtà e di prendere consapevolezza di quanto ricca e variegata sia l’esperienza nello spazio. Proprio perchè ci si trova dinanzi a soggetti in età evolutiva, non è trascurabile il fatto che i dispositivi della ricerca permettano loro di mettersi alla ricerca dei significati delle proprie esperienze, esprimendone i vissuti ed esplicitandone le rappresentazioni tacite.

L’assunzione di un paradigma partecipativo ha permesso di centrare il focus della ricerca non solo sulla raccolta delle rappresentazioni infantili rispetto ai propri contesti di vita, ma, secondo una finalità eminentemente educativa, anche sul riconoscimento e la legittimazione del bambino come soggetto competente. Questo riconoscimento di centralità e di agency permette ai bambini stessi di esplorare con fiducia le modalità con cui si accostano al mondo, lo percepiscono, lo interiorizzano, potendo comunicare in modo significativo tutto ciò agli adulti, affinchè si traccino prospettive di cambiamento.

In conclusione, gli esiti di questo lavoro non consegnano dati definitivi ed outcomes incontestabili. Come ogni esplorazione, anche questa presenta dei fenomeni e traccia delle direzioni, ma con l’obiettivo di indicare prospettive da perseguire e di aprire possibili cambiamenti dei contesti di vita.

175 F. La Cecla, Mente locale. Per un’antropologia dell’abitare”, Elèuthera, Milano, 2011, p. 84.

102