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esemplificativo alcune suggestioni che abbiamo raccolto dalle narrazioni scritte e orali dei bambini che vivono nel paese di pianura : “ Dalla finestra mi piace vedere con mio fratello la natura”; “Mi piace il

3.4 Il senso di comunità

Partendo da una suggestione di Calvino, che designa le città come luoghi di scambi, come un insieme di segni, linguaggi, incontri86, abbiamo ritenuto che una categoria cruciale per gli scopi della ricerca fosse quella relativa al senso di comunità. Come ricorda anche C. Laneve, “una città è sempre una comunità”87. E’ chiaro che ogni città esprime un modo proprio di essere comunità, che si delinea a patire dalle persone che la abitano, dagli spazi fisici, dagli alfabeti culturali e dai sistemi di valore, dagli oggetti e dai servizi. Pur essendo tipici gli eventi e la storia di una città, è tuttavia universale il senso dell’essere comunità. Così, intorno a questo tema sono nate riflessioni a partire prevalentemente dalle mappe e dai racconti realizzati dai bambini rispetto allo spazio pubblico.

Le rappresentazioni dei bambini, infatti, non si fermano alle pareti domestiche, ma sono abitate anche da una sorta di immaginario pubblico. Questo immaginario prende forma nella quotidianità delle relazioni che essi sperimentano tra il fuori e il dentro, come pure nel modo con cui stanno con le persone negli spazi.

Infatti, come ben precisa La Cecla, “La mappa mentale di un insediamento è un’esperienza intersoggettiva.

Nello spazio vengono ‘lasciati’ indizi che richiamano per analogie e passaggi la mappa più ampia: non solo il

‘io dove sono?’, ma anche ‘chi sono rispetto a chi’”88.

86 I. Calvino, Le città invisibili, Arnaldo Mondadori Editore, Milano, 1993, p.X.

87 C. Laneve, Introduzione, in C. Laneve (a cura di), Vivere in città. Linee di pedagogia urbana, La Scuola, Brescia, p. 6.

88 F. La Cecla, Mente locale. Per un’antropologia dell’abitare”, Elèuthera, Milano, 2011, p. 32.

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Anche nello sviluppo di questa riflessione sul senso di comunità ci siamo imbattuti in prima istanza con il fatto che l’abitare odierno, specialmente dei bambini che vivono in contesti metropolitani, è sempre più segnato dalla chiusura e dalla privatizzazione degli spazi. Sono numerose le ricerche che attestano questa tendenza. Gli studi di J. Wyn e R. White hanno portato a rilevare una sorta di “apartheid spaziale” messo in atto nei confronti delle nuove generazioni. L’esclusione dei soggetti più piccoli e più giovani dai reticoli urbani hanno prodotto un impoverimento relazionale, segnato da un appiattimento dei processi di condivisione e da un ripiegamento su istanze privatistiche89.

La diffusione di rappresentazioni dello spazio pubblico/esterno come insicuro e minaccioso ha agito come pull factor rispetto all’allontanamento dai luoghi della comunità. D’altro canto, queste stesse rappresentazioni agiscono come push factor rispetto alla tendenza a chiudersi negli ambienti domestici, divenuti peraltro sempre più comodi, connessi, protettivi. E così i bambini si ritrovano a giocare sempre più spesso in casa piuttosto che nelle aree verdi comuni90.

Anche nella nostra ricerca abbiamo preso le misure dell’impatto di questi fenomeni sociali. Ancora una volta le diverse tipologie abitative si differenziano tra città e zona industriale da una parte e piccolo paese di montagna e frazione del paese di pianura dall’altra. I diversi profili urbani vengono alla luce nelle rappresentazioni iconiche dei bambini, che ci parlano da una parte di una maggiore parcellizzazione e dall’altra di un maggiore flusso e di scambi vitali con il territorio.

La città sembra aver perso, rispetto all’esperienza infantile il suo carattere di “luogo da abitare”, che accomuna ed è ben identificabile. E’ singolare recepire il fatto che lo spazio pubblico, specialmente nei contesti urbani ed urbanizzati, come i siti industriali, non sia più ritenuto spazio di sperimentazione.

Quando invece sappiamo che una condizione fondamentale per sentire di abitare uno spazio è il rapporto (non sporadico e frammentario) con esso. Vediamo ora nel dettaglio.

Città/zona industriale:

In merito alla città e alla zona industriale emergono forti caratteristiche di protezione e chiusura nella sfera domestica. L’abitare si avvicina più all’idea del domicilio protetto, della residenza, quindi sempre più impermeabile alle contaminazioni con l’esterno. “Viene spazzato via dal paesaggio urbano uno spazio irregolare e invadente, quello di un abitare fuori e dentro la porta”91.

Si può cogliere una sorta di anomia dei luoghi pubblici. Vi è una diffusa incertezza, che si può cogliere anche nella difficoltà dei bambini di rappresentare lo spazio esterno nel suo insieme. La Cecla ha dedicato numerose riflessioni al fatto che “dai marciapiedi alle strade, allo spazio dell’appartamento, al paesaggio

89 J. Wyn – R. White, Rethinking Youth, Sage, London, 1997.

90 Cfr. E. Ciccotti - L.L. Sabbadini (a cura di), Come cambia la vita dei bambini, Indagine statistica multiscopo sulle famiglie, Questioni e Documenti 42, Ministero della Solidarietà Sociale, Istat, Centro di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Firenze, 2007.

91 F. La Cecla, Mente locale. Per un’antropologia dell’abitare”, Elèuthera, Milano, 2011, p. 17.

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urbano in generale, abbiamo a che fare con uno spazio rigido, predeterminato, con una seria di griglie, di incasellamenti e di canali entro cui, bene o male, si svolge la nostra vita”92. In questo venir meno dello spazio come “manipolabile”, avanza un’idea più impersonale a statica dello spazio, a scapito di un’idea più

“comune”.

La difficoltà dell’abitare si spiega anche in ragione della pervasività del senso di insicurezza e di diffidenza verso gli spazi della comunità. Il desiderio del noi si scontra con la paura del tu, che porta a chiudersi e a privarsi di occasioni di apertura al sociale.

E così i bambini della città e della periferia urbanizzata hanno prevalentemente rappresentato luoghi chiusi o comunque disgiunti, anche quando la consegna era di disegnare uno spazio pubblico o la propria città (come insieme). Ad eccezione di alcuni spazi gioco o parchi, sono stati rappresentati numerosi luoghi chiusi, ma mancano altresì rappresentazioni di bambini in gruppo.

L’ipermercato prende il posto della piazza, senza tuttavia assumerne il valore identitario e socializzante. Il centro commerciale diventa luogo-simbolo dello stare “in mezzo alla gente”, dell’uscire di casa. In questo modo, “le prerogative dello spazio pubblico sono traslate dalle piazze agli ipermercati”93.

Per i bambini di città i principali riferimenti che emergono sono palazzi, condomini, grattacieli e centri commerciali. Questi ultimi, poi, ben conosciuti e identificati per nome: Freccia Rossa, Toys, Mc Donald, Simply, Decathlon, Centro Marco Polo, Oviesse. I bambini indicano spesso le strade e le macchine. Parlano sovente di bar, pizzerie, ristoranti, fornerie, pasticcerie. La chiesa è citata solo in due casi. Non si parla di piazze, luoghi pubblici, parchi. Scarsissima è la presenza di persone e animali.

92 F. La Cecla, Mente locale. Per un’antropologia dell’abitare”, Elèuthera, Milano, 2011, p. 16.

93 P. D’Attanasio, Ipermercati, in M. Ilardi, P. Desideri (a cura di), Attraversamenti. I nuovi territori dello spazio pubblico, Costa & Nolan, Genova, 1997, p. 212.

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Solo il bambino straniero parla di metropolitana e treno. I bambini stranieri, ancora una volta, arricchiscono di vissuti esperienziali le proprie rappresentazioni grafiche e le narrazioni che condividono con i compagni e con il ricercatore. Essi frequentano piazze e percorrono strade a piedi; ma incontrano anche altre presenze, ad esempio sui mezzi di trasporto pubblico, vissuti come mezzi di transito e di socializzazione.

Montagna/pianura:

L’esordio con questo disegno vuole indicare, in modo impattante, l’espressione di un senso di radicamento e di appartenenza.

Nel paese di montagna viene messo in scena un reticolo di relazioni. Dalla presenza di un vicinato alla chiara identificazione dei luoghi-simbolo dello stare insieme, nelle narrazioni dei bambini e nelle mappe psicogeografiche trapela una spiccata appartenenza alla comunità. Così come non è affatto rara l’allusione a rituali che designano una sorta di coralità che fa dell’esterno un luogo da abitare, in cui intrecciare rapporti e partecipare, come in questo testo scritto realizzato da una bambina: “La piazza è un luogo dove un giorno c’era il ghiaccio e alla fontana c’era l’acqua che ormai era ghiacciata; io e la mia amica Alessandra abbiamo preso delle bacchette di legno e abbiamo fatto una piccola lotta e non ha vinto nessuno, ma alla fine ci siamo divertite molto. Per me la piazza è un luogo speciale e accogliente dove ci si può giocare in compagnia. La piazza è grande, con una fontana che ha attorno quattro alberi, ci sono anche dei monumenti antichi. Nei periodi natalizi, nel centro c’è un abete con sopra le luci e ci sono anche dei vasi e delle panchine che la abbelliscono e dove mi siedo per vedere gli spettacoli e quando sono stanca”.

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Anche nel paese di pianura i luoghi pubblici si presentano come luoghi di incontro. Ricorrente è la presenza della piazza, che mantiene il proprio valore simbolico94, ma insieme ad essa troviamo la Chiesa, l’oratorio, il parco giochi, la scuola.

I disegni parlano di una vita collettiva: negozi, edicola, campi da calcio, bar, case, tutti tracciati con doverosità di particolari e personalizzati. Ma essi designano altresì la specifica cultura abitativa attorno a cui si è costruita l’identità collettiva nel tempo: narrano e disegnano in modo ricorrente la pianura e i campi coltivati, i giardini con alberi da frutto, i vigneti, i nidi, i trattori, il fiume Chiese, le cascine, i luoghi in cui si celebrano le feste di paese.

I vissuti accompagnano e danno spessore vitale alla scelta dei luoghi: “al parco mi sento felice”, “il porticato dove mi diverto con la bicicletta”, “mi piace quando faccio il chierichetto”, “il fiume Chiese perché vado a tirare i sassi con il nonno”, “quando ai campi mi scelgono per le partite sono felice”... Sono molteplici i luoghi indicati, le esperienze raccontate, le persone nominate. I bambini abitano il paese: festeggiano il Carnevale in piazza, raggiungono la scuola con il pedibus, vanno al parchetto, frequentano le associazioni sportive, l’oratorio, partecipano alla Messa, vivono la vita agricola dei campi e quella in mezzo alla natura agli argini del fiume Chiese.