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Piano delle attività

LA PROSPETTIVA DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE

3.2 Geometrie dell’abitare domestico

La realizzazione delle mappe psicogeografiche della casa ha permesso ai bambini di traslare in una dimensione bidimensionale uno spazio non solo tridimensionale ma anche emotivo, percettivo, esperienziale.

Nella realizzazione grafica della pianta della propria casa, infatti, i bambini hanno fatto ricorso a segni convenzionali, rapporti geometrici, proporzioni, larghezze e lunghezze, per raccontare l’abitare. Come afferma G. Bachelard, il bambino disegna la casa “nella sua forma, ma quasi sempre qualche tratto designa

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una intima forza”. Nel disegno della casa i bambini rivelano “i sogni più profondi”, il riparo della loro felicità, le radici, il calore, come pure la casa può recare “traccia delle angosce del disegnatore”74.

In generale, nelle rappresentazioni psicogeografiche dei bambini è emersa una stretta interdipendenza tra spazi domestici, oggetti, rappresentazioni e presenze. La casa è risultata essere emblema di un modo di vivere la dimensione familiare, secondo precisi codici comportamentali e peculiari tonalità emotive.

L’apparenza degli oggetti, degli arredi, delle disposizioni architettoniche rivela i lineamenti degli abitanti, i loro profili identitari, la qualità dei legami75.

Nelle loro mappe i bambini hanno impresso il proprio senso di sicurezza o di insicurezza, l’universo degli affetti e le loro connotazioni. La pianta della casa è quindi un’incarnazione della vita che vi si compie all’interno e del suo porsi rispetto all’esterno.

Le fattezze geometriche non sono asettiche, ma fanno trasparire la qualità dell’esistenza che vi si compie.

Abitare è pertanto un’attività che comporta da sempre un rapporto con le cose, intese tanto come beni materiali quanto come segni in cui si inscrivono delle relazioni sociali”76.

In tal senso, proprio perché la casa è da intendersi come struttura abitativa vissuta, è importante focalizzare l’attenzione su come i bambini hanno espresso la presenza o l’assenza di radicamento e del senso di appartenenza, della protezione e della sicurezza, degli affetti e delle relazioni, delle esperienze e dell’accoglienza.

Le domande che ci hanno guidato nell’accostamento alle produzioni dei bambini, infatti, sono state le seguenti: come viene vissuta e rappresentata la casa? quali presenze la abitano? è ancora (e come) lo spazio del familiare, ossia dell’essere insieme nella condivisione di uno spazio e di un tempo comuni?

Passiamo ora a considerare quali suggestioni abbiamo ricavato rispetto ai diversi contesti geografici.

Città/zona industriale:

I bambini che abitano in città e nella zona industriale, quando rappresentano la casa tanto nei disegni quanto nei racconti, fanno generalmente diretto riferimento ai familiari, prevalentemente mamma e papà, e ad azioni svolte con i genitori in casa. I legami familiari sono molto stretti, specialmente con le figure adulte ed eventualmente con i fratelli; i bambini affermano chiaramente: “perché la famiglia è la cosa più importante”. Sono poco presenti cugini, altri parenti o amici. Nei racconti dei bambini, in realtà, vi sono numerosi riferimenti alle case degli amici, giustificate con il desiderio ed il piacere di andare a giocare a casa loro.

74 G. Bachelard, La poetica dello spazio, Dedalo, Bari, 1975, pp. 95-97.

75 J. Baudrillard, Le système des objets, ectures de la vie privée. M, Paris 1968.

76 Cfr. F. De Peri, Storie di case: le ragioni di una ricerca, in F. De Peri, B. Bonomo, G. Caramellino, F. Zanfi ( a cura di), Storie di case. Abitare l’Italia del boom, Donzelli Editore, Roma 2013, p. XVIII.

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Per quanto riguarda le rappresentazioni topografiche, gli ambienti domestici vengono richiamati in modo prevalentemente funzionale o descrittivo. In altri termini, gli ambienti e le stanze della casa vengono solitamente indicati in base alla loro funzione. Sono pochi altresì i ricordi di vita familiare o le narrazioni di eventi peculiari.

In numerose rappresentazioni dei bambini che vivono nella zona industriale, la descrizione degli spazi domestici si pone quasi come un asciutto elenco di oggetti e di funzioni, in cui non trapelano storie, vissuti, sentimenti. L’estensione semantica del verbo abitare conosce in tal senso una forte contrazione. Lo spazio abitativo viene presentato in una successione di ambienti, designati in base alla loro funzione (anche se comunque ben connotati dal punto di vista emotivo).

La casa, inoltre, viene quasi esclusivamente raffigurata come struttura che separa l’io dal mondo, facendo quindi dell’abitare un’esperienza prevalentemente di nascondimento e di rifugio: “La casa ci protegge dalle paure e da tanti pericoli”, afferma una bambina. Anche numerosi disegni, specialmente dei bambini che vino nella zona industrializzata, sembrano richiamare il pensiero di W. Benjamin sulla soglia: “Siamo diventati molto poveri di esperienza della soglia”77.

La chiusura rende sempre più rari gli attraversamenti delle soglie, per aprirsi all’esterno. In numerose mappe mancano le soglie, i passaggi, gli scambi tra il dentro e il fuori della casa. E’ come se i confini e i limiti, anziché generare un’occasione per superarli e scoprire cosa c’è oltre, si ponessero come la demarcazione per “rimanere dentro”.

Nelle rappresentazioni grafiche dei bambini che vivono in queste aree fortemente urbanizzate colpisce il fatto che siano così netti i confini tra il dentro e il fuori, raffigurati in linee marcate che separano,

77 W. Benjamin, Parigi, capitale del XIX secolo, Einaudi, Torino, 1986, p. 640.

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delimitano, a volte isolano. E fuori non viene rappresentato nulla. Quindi la soglia demarca un dentro, in cui abito, e un fuori di cui non ho esperienza o comunque che non si pone come l’inizio di altre esperienze.

Montagna/pianura:

I

bambini che vivono nel paese della pianura collegano frequentemente la casa ai loro giochi e ai loro animali. Anche l’arredo è rievocato in riferimento a momenti di gioco e intimità: i letti e lettoni, dove giocano, saltano, fanno le coccole con i genitori e possono “stare al calduccio”. Una bambina descrive in questo modo la propria casa:

“è il posto dove mangiamo la domenica insieme, è il posto dove posso giocare, non mi piace stare da sola nella mia cameretta, mi piace scaldarmi davanti al camino e viene anche il mio cane, mi piace stare nella camera della mamma e del papà.”

Oltre a ciò, un aspetto che caratterizza la quasi totalità delle case di questi bambini è il fatto che

siano state rappresentate in modo completo. Addirittura, alcuni edifici sono ben collocabili nel

quartiere o nel paese e sono chiaramente riconoscibili. Le case disegnate dai bambini ben

rappresentano la geografia urbana del paese: ampi caseggiati, ville a schiera con giardino, cortili,

garage, balconi.

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I bambini del paesino di montagna, per definire le proprie abitazioni fanno ricorso a termini appartenenti ad una specifica cultura abitativa quali, ad esempio, casario per indicare una casa grande e sporca, o casinet per nominare la presenza di una cantina fredda. Nella latenza di questi termini vi è il racconto di uno specifico modo di abitare, un’immagine non solo di casa ma anche di rapporto con il contesto geografico. I termini che i bambini richiamano si rifanno a una tradizione ancora viva, che rende tipiche e riconoscibili queste abitazioni.

Questo processo ha una forte valenza identitaria. La conoscenza dei termini specifici è posseduta solo da chi abita quel luogo specifico. I bambini hanno dovuto tradurre al ricercatore il significato del termine, orgogliosi di tale privilegio: sono loro, i bambini, i depositari del significato di quegli spazi e noi, i ricercatori, non possediamo il significato. Ad esso possiamo attingere solo attraverso la mediazione del bambino-abitante.

Per quanto riguarda le mappe psicogeografiche, i bambini hanno rappresentato in modo completo tutta la casa oppure si sono concentrati su alcune stanze: in un caso e nell’altro le rappresentazioni grafiche sono ricche di particolari. Gli interni sono prevalentemente raffigurati con numerosi oggetti, che connotano in modo originale le stanze.

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Nella minuziosa rappresentazione degli oggetti domestici, i bambini ci hanno fatto comprendere il senso dell’arredare che, come scrive il filosofo M. Vitta, “consiste non solo nella dotazione e nella sistemazione funzionale degli utensili domestici, ma anche e soprattutto nella loro disposizione in una trama narrativa destinata non soltanto a raccontare l’abitante – che questi se ne renda conto nono-, ma anche a modellarne i comportamenti, i sentimenti, le visioni del mondo, le idee”78.

Ciò che colpisce di tali mappe è altresì il fatto che la casa non sia solo un rifugio e un riparo dal mondo esterno, rispetto al quale il bambino sente il bisogno di cercare e creare protezione. La casa, piuttosto, è spazio in dialogo con il mondo esterno, con i campi e con i luoghi collettivi, nei quali si intrecciano relazioni.

Molti bambini dilatano lo spazio dell’abitazione, fino a comprendervi lo spazio esterno e circostante, in un’apertura tra il dentro e il fuori, esprimendo una cultura abitativa incentrata non solo sull’uso degli spazi

78 M. Vitta, “Il pensiero e lo spazio. L’estetica e il mondo delle cose”, in F. Filipuzzi, L. Taddio (a cura di), Costruire, abitare, pensare, Mimesis, Milano, 2010, p. 436.

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interni ma anche sull’utilizzo integrato degli spazi esterni. Non c’è isolamento. L’edificio domestico appartiene ad un territorio, è situato.

In ogni caso, pur nelle specifiche differenze geografiche, un elemento che emerge in modo trasversale in tutti i bambini è il fatto che le rappresentazioni spaziali sono fortemente correlate alla qualità e al tipo di relazioni interpersonali. Il senso stesso dell’abitare è intimamente legato a ricordi di persone, ad eventi sempre relativi ad incontri e condivisioni; si tratta di una connotazione eminentemente relazionale, che guida i bambini nell’elaborazione dei significati dei luoghi, di quelli familiari e domestici in particolare.