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Sensorialità e corporeità: per abitare il mondo

L’ARTE DI ABITARE: PROSPETTIVE EDUCATIVE

4.2 Sensorialità e corporeità: per abitare il mondo

I rimandi che sono pervenuti dai bambini rispetto agli spazi urbani indicano che l’esperienza della città è sempre più raramente un’esperienza diretta. Basta percorrere le vie dei centri urbani per trovarsi a vivere l’esperienza di essere avvolti da una molteplicità di stimoli visivi, che distraggono dalla presenza degli edifici, delle architetture, delle persone. Vetrine, insegne, pubblicità, immagini in tutte le forme catalizzano l’esperienza dell’abitare urbano.

Già Benjamin ammoniva rispetto all’eccessiva attivazione dell’elemento visivo a scapito di una più completa esperienza percettiva: “l’occhio è di gran lunga più occupato dell’orecchio” e di altri sensi nell’approccio all’urbanità120. L’occhio diventa così “organo della coscienza”121, accesso privilegiato sul mondo e filtro di rielaborazione degli spazi. E’ importante restituire valore, attraverso sollecitazioni multisensoriali, a tutti gli elementi che danno vita ad un’esperienza sensoriale, non solo a quello visivo.

La parte più reale della città, fatta di edifici e di presenze, rischia oggi di lasciare il posto a quella più immaginaria, fatta di simulacri e virtualità. Eppure l’infanzia è il periodo della scoperta, dell’esplorazione degli spazi, un’esplorazione concreta, di totale immersione nello spazio. In questa età della vita è preponderante la spinta a scoprire il mondo, per conoscerlo e dargli significato.

I bambini sono esploratori, curiosi e avidi di toccare, annusare, avventurarsi. L’intelligenza cognitiva ed emotiva si sviluppa attraverso le esperienze che si possono compiere negli ambienti in cui si abita. Si cresce attraverso il contatto con gli spazi, le persone, gli oggetti che li circondano122. L’esperienza negli spazi è matrice di conoscenze e apprendimenti, in virtù della stretta implicanza e della reciproca stimolazione tra facoltà cognitive, competenze emotive e capacità relazionali.

119 Cfr. M. Amadini, Crescere nella città. Spazi, relazioni, processi partecipativi per educare l’infanzia, La Scuola, Brescia, 2012.

120 W. Benjamin, Immagini di città, Einaudi, Torino, 1971, p. 11.

121 R. Sennet, La coscienza dell’occhio. Progetto e vita sociale della città, p. 20. Cfr, altresì G. Mastrigli (a cura di), Junkspace. Per un ripensamento radicale dello spazio urbano, Macerata, Quodlibet, 2006.

122 Cfr. J. S. Bruner, La ricerca del significato, Bollati Boringhieri, Torino, 1992; M. Menès, Il bambino e il sapere, La Scuola, Brescia, 2013.

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Il corpo, nella sua accezione olistica, è centrale nel nostro rapporto con il mondo123. Esso dà forma al modo con cui abitiamo il mondo, imprimendo tracce del nostro stare, ed è al tempo stesso una fonte insostituibile di conoscenza del mondo stesso. Ritroviamo in questo senso nel pensiero di M. Merleau-Ponty l’invito a non sostenere che il nostro corpo è nello spazio, quanto piuttosto che esso abita lo spazio, in virtù del fatto che vi è presente con tutto se stesso, con il proprio corpo, attivando il sistema percettivo e il dominio emotivo-affettivo, rendendolo oggetto di esperienza124.

La topologia di una casa o di uno spazio pubblico viene rimandata da un bambino in funzione delle sue esperienze e delle relazioni instaurate con quel luogo. “Lo spazio omogeneo e oggettivo della geometria”, scrive U. Galimberti, “acquista senso solo partendo dallo spazio orientato del corpo”125.

Nell’esperienza dell’abitare la dimensione del corpo è fondamentale. Senza la fisicità della corporeità non sarebbe possibile prendere spazio. Il nostro esistere corporeo, ossia “il corpo che siamo”126, ci apre al mondo. Il nostro corpo ci dà la possibilità di fare esperienza del mondo. Il radicarsi nello spazio è, appunto, incarnato: noi entriamo nello spazio prendendovi una posizione con il corpo. Una pedagogia dello spazio non può bypassare una pedagogia del corpo127.

Se la dimensione corporea è così centrale, in termini educativi non possiamo prescindere dagli aspetti più connessi con tale dimensione, ossia quelli sensoriali. La mediazione dell’incontro con lo spazio è affidata alla percezione. L’abitare prende forma attraverso un sentire, fatto di sensazioni e di sentimenti. I bambini usano i sensi come modalità primaria e privilegiata per entrare in relazione con lo spazio. L’incontro con il mondo è, appunto, un contatto fatto di percezioni e di impatto sui cinque sensi.

In tal senso, le parole di Michel Serres sono davvero emblematiche. “Il mio corpo – e io non ci posso far niente – non è calato in una varietà unica e specificata. Nello spazio euclideo lavora, ma vi lavora e basta.

Vede in uno spazio proiettivo. Tocca, carezza e maneggia in una varietà topologica. Soffre in un’altra, sente e comunica in una terza […] Il mio corpo, dunque, non è calato in uno spazio unico, bensì nella difficile intersezione di questa numerosa famiglia di spazi; nell’insieme delle connessioni e dei collegamenti da praticare tra queste varietà di spazi”128.

La topologia spaziale prende forma attraverso una sorta di topologia sensoriale, nasce dal nostro corpo che si relaziona con lo spazio. Per questa ragione è fondamentale non trascurare il medium corporeo nelle proposte educative di accostamento allo spazio. Il mondo viene ad essere conosciuto attraverso il nostro corpo: le prime esperienze che ogni bambino compie sono di contatto fisico con la realtà.

123 Cfr. M. Contini, Non di solo cervello. Educare alla connessioni mente-corpo-significati-contesti, Raffaello Cortina editore, Milano, 2006.

124 M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 2003.

125 U. Galimberti, Il corpo, Feltrinelli, Milano 1993.

126 P. Prini, Il corpo che siamo, SEI, Torino, 1991.

127 L. Balduzzi (a cura di), Voci del corpo. Prospettive pedagogiche e didattiche, La Nuova Italia, Firenze, 2002; I.

Gamelli, Pedagogia del corpo, Meltemi, Roma, 2001.

128 M. Serres, Discorso e percorso, in C. Lévi-Strauss (a cura di), L’identità, Sellerio, Palermo, 2003.

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Riprendendo i pioneristici studi di Hart e Moore, possiamo anche rilanciare l’importanza dell’esplorazione attiva e dell’azione nello spazio, al fine di promuovere la maturazione delle capacità implicate nelle rappresentazioni spaziali129. Se i bambini pervengono alla rappresentazione spaziale, passando attraverso l’azione e il movimento esplorativo, ne giovano i processi di interiorizzazione delle categorie spaziali. Lo spazio deve offrire ai bambini l’occasione di sperimentare la quiete e il movimento, le vicinanze e le lontananze, i confini e le direzioni, i vincoli e le opportunità, le distanze e le grandezze.

Il libero movimento, il camminare e il percorrere gli spazi sono essenziali per instaurare una relazione profonda con essi e sviluppare le competenze necessarie per generare adeguate mappe mentali e processi rappresentativi. Questa attività di cognitive mapping130, come abbiamo già avuto modo di ribadire, non è rilevante solo sul piano cognitivo bensì, più profondamente, anche sulla formazione dell’identità, passando attraverso un coinvolgimento emotivo-affettivo131.

Un’esperienza particolarmente significativa ed intensa, in questa prospettiva, è quella del camminare nei luoghi pubblici132. Si tratta di un’esperienza che oggi si misura con le amare parole di R. Solnit,

quello che un tempo era spazio pubblico ora è destinato a dare accoglienza e protezione alle automobili, i centri commerciali sostituiscono le vie principali, le strade non hanno marciapiede; negli edifici si entra dal garage; i municipi non hanno una piazza; e ovunque muri, barriere, cancelli. La paura ha generato uno stile di architettura e di disegno urbano […] dove essere un pedone in molte ripartizioni e “comunità” cintate, vuol dire essere una persona sospetta. Contemporaneamente, il terreno rurale e le periferie un tempo invitanti delle piccole città sono stati inghiottiti da lottizzazioni destinate ai pendolari dell’automobile o altrimenti sequestrati. […] una crisi sia delle epifanie private del passante solitario, sia delle funzioni democratiche dello spazio pubblico133.

L’articolata riflessione della Solnit conferisce un forte impulso all’istanza del camminare, come esperienza corporea che può rappresentare un baluardo contro la diffusa sottrazione di esperienze integrate di mente e corpo dentro i paesaggi e le città134. Nella fenomenologia di E. Husserl la Solnit rinviene una suggestione

129 R. Hart, G.T. Moore, “The Development of Spatial Cognition: a Review”, in R.M. Downs, D. Stea (eds), Image and the Environment: Cognitive Mapping and Spatial Behaviour, Aldine, Chicago, 1973.

130 Cfr. al riguardo gli sudi della Axia sul cognitive mapping, in G. Axia, La conoscenza dell’ambiente nel bambino, Giunti, Firenze, 1986.

131 Cfr. I Altman - S.M. Low (eds), Place Attachment. Human Behavior and Environment. Advances in Theory and Research, Plenum Press, New York, 1992.

132 Cfr. D. Demetrio. Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione mediterranea, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2005.

133 R. Solnit, Storia del camminare, Bruno Mondadori, Milano 2002, p. 12.

134 F. Careri, Walkscapes: camminare come pratica estetica, Einaudi, Torino, 2006.

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particolarmente emblematica, che induce a considerare il camminare come l’esperienza che ci permette di comprendere il corpo in relazione con il mondo135.

Sempre la Solnit ricorda come l’esperienza del camminare sia centrale anche nell’esistenza e nella speculazione di J.J. Rousseau, nelle cui opere è costante il richiamo a tale esigenza profonda: “non riesco a meditare se non camminando”136. Da qui l’invito della studiosa a coltivare il “passeggio urbano”. “La città è un linguaggio, una miniera di possibilità, e camminare è l’atto di parlare quel linguaggio, di scegliere tra quelle possibilità. Proprio come una lingua delimita ciò che può essere detto, così l’architettura traccia i limiti entro i quali si può camminare, ma chi cammina inventa altri modi di muoversi”137.

L’esperienza dell’abitare, in sintesi, non può avvenire solo percorrendo pavimenti e collocando il proprio corpo all’interno di edifici chiusi: l’essere umano, il bambino in particolare, deve poter vivere nel mondo.

Nell’esperienza di attraversare uno spazio, un paesaggio si ha la possibilità di accogliere un mondo, di interpretarlo.

Sottrarre ai bambini questa esperienza comporta una trasformazione profonda del rapporto più generale tra corpo e spazio. Accogliamo quindi la denuncia di P. Virilio: “dall’eliminazione dello sforzo fisico della camminata alla perdita sensomotoria indotta dal primo trasporto veloce, abbiamo raggiunto condizioni al limite della deprivazione sensoriale”138.

Gli spazi della città devono tornare a porsi come autentici scenari esistenziali, che ospitano il desiderio di scoperta e di esplorazione dei bambini. I bambini devono poter dar vita, anche negli spazi urbani, ad esperienze sensoriali che permettono loro di creare profonde relazioni con tali luoghi.

4. 3 Sentire lo spazio: la matrice emotiva dell’abitare

Il dispiegamento dei sensi è un passaggio inaggirabile per prendere contatto con lo spazio, per percepirlo e percepirsi in esso, quindi per dargli una consistenza e una forma. Il senso dell’abitare scaturisce da un contatto percettivo con spazi e oggetti, ma tocca poi i vissuti emotivi e genera apprendimenti. L’esperienza dell’abitare, specialmente nell’infanzia, è un’esperienza globale, che chiama in causa il “cuore, mente, mano” di pestalozziana memoria.

Come abbiamo già avuto modo di ribadire, è di un’importanza fondamentale per i bambini il fatto di vivere situazioni percettive autentiche, da protagonisti, potendo toccare e vedere, sentire e annusare, ossia sperimentare una feconda esplorazione sensoriale ed affettiva. Il senso del luogo si fissa attraverso le

135 E. Husserl, Il Mondo-della-Vita e la costituzione del Mondo Esterno circostante, 1931.

136 J.-J. Rousseau, Le confessioni, Garzanti, Milano 1976, p. 426.

137 R. Solnit, Storia del camminare, p. 243.

138 P. Virilio, L’art du moteur, Editions Galilée, Paris, 1993, p. 85.

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percezioni che il bambino ne ricava. Tuttavia, la sensazione carica i luoghi di significati, li fa ricordare, li rende unici perché si coniuga ad una “risonanza” emotiva, ad un “retentissement”139.

Emblematico, in tal senso, è il richiamo alla suggestiva ode all’infinito, nei cui versi Leopardi ci accompagna in un crogiolo di sensazioni, affetti, memorie che definiscono uno spazio che sembra indefinibile: L’infinito (Sempre caro mi fu quest’ermo colle… e il naufragar m’è dolce in questo mare).

La pregnanza percettiva e la forza affettiva dei luoghi sono condizioni essenziali per dar vita ad un’autentica esperienza dell’abitare. I vissuti che scaturiscono dal rapporto con lo spazio che ci circonda innervano il senso dello stare nel mondo, quindi dell’abitare., poiché l’esperienza abitativa è esperienza emotivo-affettiva e risuona nei vissuti, nelle memorie, nei pensieri.

In questo senso, assume un importante rilievo educativo il poter lavorare con i bambini sulla dimensione dei vissuti, non disgiunta dalla dimensione sensoriale. Gli spazi in cui i bambini hanno “abitato”, e che rievocheranno da adulti, sono accompagnati da voci, da percezioni olfattive e uditive, come pure da vissuti emotivo-affettivi.

Non è un caso che, quando ci troviamo ad evocare i luoghi della nostra infanzia, ci sorprendiamo di averne trattenuto gli odori e richiamiamo alla mente i luoghi attraverso particolari profumi piacevoli o odori sgradevoli, mai disgiunti da vissuti emotivo-affettivi. Il ricordo si lascia accompagnare dalla rievocazione di un preciso spazio vissuto. Quando evochiamo episodi o scene di vita, le collochiamo sempre in un ben connotato contesto spaziale, che tuttavia non è ricordato per le sue caratteristiche geometriche quanto per i rimandi emotivi.

Osservando le mappe dei bambini che crescono in contesti fortemente urbanizzati e rilevando il venir meno di uno spessore emotivo-affettivo degli spazi, non si può non avvertire un preciso monito di natura pedagogica a recuperare il potenziale educativo delle città. Scrive D. Fabbri: “è l’indifferenza emotiva e cognitiva che uccide i nostri spazi, le nostre città, la nostra terra, così come è l’indifferenza dei nostri sguardi paralizzati che uccide il nostro desiderio di conoscere, la nostra curiosità, la nostra possibilità di sorprenderci”140. Luoghi pubblici ed edifici privati hanno bisogno di prendere nuovamente vita, attraverso un’intensa relazione tra bambini e spazio, avviando incontri contraddistinti da un pregnante spessore emotivo-affettivo.

Il senso dell’abitare, infatti, si costruisce su una matrice emotiva, segue una logica affettiva. Per ogni uomo, in ogni età della vita, lo spazio urbano offre un caleidoscopio emotivo, con cui è importante entrare in contatto: “l’angoscia si alterna alla serenità, il disorientamento alle polarizzazioni, l’inquietudine alla calma, l’affollamento alla solitudine”141. Nei percorsi quotidiani tra gli spazi urbani, si possono rintracciare ed

139 Bachelard, La poetica dello spazio, Bari, Dedalo, 1975, p. 26.

140 D. Fabbri, Cittadini del conoscere, in L. Mortari (a cura di), Educare alla cittadinanza partecipata, Bruno Mondadori, Milano, 2008, p. 115.

141 M. Gennari, “Architetture della città educante”, in M. Gennari (a cura di), La città educante, p. 136.

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interiorizzare dei punti di riferimento del tutto personali, angoli o edifici verso i quali sviluppare un investimento emotivo, quartieri con cui ci si identifica o che si sogna.

In una prospettiva pedagogico-educativa è fondamentale non tacere questa componente ma, anzi, accettarne la presenza e imparare a riconoscerne il potere, permettendo ai bambini di nominare le tonalità emotive dei luoghi142. Il sentire, come ricorda R. De Monticelli, possiede una “natura identitaria”: nell’

“ordine del cuore” risiede l’identità delle persone”143. Il sentire è profondamente connesso al “chi siamo”, ne costituisce una componente strutturale, pertanto non può essere estromesso dal rapporto tra uomo e mondo, tra bambino e mondo.

Il senso di un luogo, pubblico o privato che esso sia, è intriso di una sorta di partecipazione emotiva verso quel luogo stesso: non nasce solo da un accesso ad informazioni. Ciò significa che la dimensione emotivo-affettiva conferisce una consistenza esistenziale agli spazi di vita e costituisce un importante supporto nella progettazione di azioni nello spazio e per lo spazio.

La città deve tornare a lasciarsi penetrare, recuperando la funzione di spazio che accoglie storie. Le nuove generazioni hanno bisogno di recuperare un esperire, che è insieme sensibile e affettivo, rispetto alla città, realizzando una sorta di immersione negli spazi, secondo un approccio globale, che non esclude alcune dimensioni percettive ma avvenga in modo integrato. “Qualsiasi strumento di osservazione che non sia l’immersione totale si rivela inadeguato” per compiere un’esperienza autentica della città144.

In generale lo spazio non può rimanere una mera struttura oggettiva e misurabile. Il bambino deve poterlo accostare, vivere, sentire. Lo spazio è spazio vissuto nella misura in cui è connotato da una tonalità emotiva.

Affinchè l’esperienza dell’abitare sia scoperta in tutta la sua carica emotiva e simbolica, è importante riconoscere e valorizzare lo spessore affettivo dell’approccio allo spazio. Per comprendere in modo integrale ed integrato la realtà è indispensabile passare attraverso il vissuto, che sviluppa coinvolgimento e rende partecipi degli eventi. I sentimenti offrono un essenziale contributo alla comprensione del mondo circostante, perché alimentano una fondamentale disposizione al “prendere parte” agli eventi, assumendoli come eventi implicanti, connotati da tonalità vitali, quindi non distanti. Educare alla capacità di “sentire” è un preludio al senso dell’abitare, poiché il senso del luogo non può prescindere “dalla sua componente fisica, sensibile, corporea, estetica”145.

In quanto spazio vissuto, secondo il famoso assunto fenomenologico che ha preso le mosse da E. Husserl, lo spazio è in un certo senso la situazione che ci permette di abitare il mondo, a condizione, appunto, che tale spazio sia “vissuto”.

142 Cfr. B. Rossi, Avere cura del cuore. L’educazione del sentire, Carocci, Roma, 2006; L. Perla, Educazione e sentimenti.

Interpretazioni e modulazioni, La Scuola, Brescia, 2002.

143 R. De Monticelli, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti, Milano, 2003, p. 82.

144 U. Hannerz, Esplorare la città. Antropologia della vita urbana, Il Mulino, Bologna, 1992.

145 R. Messori, Dall’identità narrativa all’itineranza. Ricoeur e la questione della spazialità, in Magisterium, 1, 1997, pp.

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Per dare spazio a tali dinamiche, è necessario recuperare la possibilità di farsi sorprendere, senza dover sempre condurre esperienze premeditate, ma lasciandosi stupire da anfratti e sperimentando anche l’incertezza del doversi orientare, riattivando i sensi. In questo senso, ribadiamo l’importanza del camminare in città, affinchè gli spazi urbani si dischiudano a chi si fa loro incontro, a chi li percorre a piedi lasciandosi colpire dalle sollecitazioni emotive, perché fisicamente presenti dinanzi agli spazi.

I bambini, per rendere gli spazi eloquenti, devono poterli imprimere nella propria mente, attraverso intensi marker che scaturiscono da sensazioni, vissuti, emozioni. Per poter cogliere la risonanza emotiva dei luoghi, lasciandosi magari sorprendere da sensazioni imprevedibili, i bambini hanno bisogno di incontri spontanei.

Ossia di incontri che comportano anche una continua riorganizzazione delle mappe mentali e delle pratiche abitative.

Questa è un’esperienza che può vivere solo chi cammina e attraversa i luoghi, fuggendo da transiti standardizzati. Camminando lo sguardo diventa più attendo e rifugge da letture opacizzate, che rischiano di sottrarre senso e interesse verso la città.

Lo spostamento attivo nello spazio, garantito dalla possibilità di poterlo percorrere in modo autonomo e con i giusti tempi, infatti, non solo fornisce ai bambini utili informazioni geografiche e stimoli cognitivi, ma permettere loro di avviare intense esperienze emotivo-affettive. I riferimenti affettivi sono importanti elementi intorno a cui i bambini organizzano il senso del loro abitare il mondo e definiscono la propria posizione in relazione ad esso.

Dal punto di vista educativo è quanto mai opportuno riportare i bambini nei luoghi pubblici, sulle strade, nelle piazze permettendo loro di vivere occasioni di rapporto intenso con questi spazi, sviluppando sentimenti di appartenenza e di affezione. L’elaborazione di punti di riferimento è strettamente connesso agli ancoraggi affettivi: i luoghi sicuri sono connotati da vissuti rassicuranti e protettivi, non già dalla presenza di telecamere! E proprio i luoghi della socializzazione concorrono a trasmettere peculiari significati identitari ed affettivi146.

La possibilità di frequentare luoghi di ritrovo, come le piazze ma anche i mercati, fa sì che si possano coagulare importanti esperienze affettive. Gli incontri sono forieri di informazioni, curiosità, stimolano capacità relazionali e spirito di osservazione, imprimono significati identitari. I luoghi dell’incontro fanno sperimentare il senso di vicinanza e di lontananza, lo stare e il rimanere, il muoversi e il ritrovarsi: sono tutte azioni che rimandano al rapporto con lo spazio, attraverso cui si avvia il rapporto con sé e con gli altri.

Le ricerche di Noschis individuano nei luoghi dell’incontro (bar, piazze, negozi…) degli autentici high points, ossia dei punti geografici dalla forte valenza emotiva e identitaria, e rilanciano l’importanza per i bambini di vivere e frequentare i quartieri in cui abitano, fuggendo all’isolamento e alla specializzazione degli spazi147.

146 Cfr. M. Amadini, Children and architecture: educational perspectives, in Huzjak, M., Researching Paradigms of Childhood and Education, Faculty of Teacher Education, University of Zagreb, Zagabria, 2015, pp. 64-72.

147 K. Noschis, Signification affective du quartier, Librairie des Méridien, Paris, 1984.

89 4.4 Un tempo per abitare

La nostra riflessione pedagogica sullo spazio non può prescindere da un pensiero anche alla categoria esistenziale del tempo. Se spazialità e temporalità sono essenziali l’una all’altra, l’esperienza educativa stessa non può darsi senza spazio o senza tempo.

L’antropologo La Cecla lo afferma in modo evidente in una successione di considerazioni serrate: “L’abitare non è una percezione istantanea […] Ci vuole tempo […] L’abitare è la dimensione diacronica della presenza, questa presenza allungata nel tempo”148. L’esperienza abitativa, pertanto, non può essere intesa come una questione legata alla categoria dello spazio; è intrinseca in essa anche la dimensione temporale.

L’antropologo La Cecla lo afferma in modo evidente in una successione di considerazioni serrate: “L’abitare non è una percezione istantanea […] Ci vuole tempo […] L’abitare è la dimensione diacronica della presenza, questa presenza allungata nel tempo”148. L’esperienza abitativa, pertanto, non può essere intesa come una questione legata alla categoria dello spazio; è intrinseca in essa anche la dimensione temporale.