Il 6 gennaio 1968 un piccolo trafiletto sulla prima pagina del quotidiano sovietico
Pravda annunciava il cambio della dirigenza del Partito cecoslovacco. Una piccola e
vecchia foto di Alexander Dubček era inserita in basso, vicino alle congratulazioni del PCUS per il cinquantenario del poco rilevante Partito Comunista Argentino57.
La freddezza dell'Unione Sovietica nei confronti dell'elezione del nuovo segretario può avere diverse spiegazioni. I dirigenti di Mosca non ritenevano il neoeletto Dubček né una minaccia per l'assetto est-europeo né un valido sostituto di Novotný; inoltre il fatto che egli fosse uno slovacco a capo di un Partito fortemente Praga-centrico, in una coalizione molto eterogenea ed apparentemente un personaggio politico privo del necessario carisma per comandare un apparato del genere, lasciavano molti dubbi agli osservatori esterni sulla stabilità ed efficienza della nuova segreteria. Il suo curriculum, seppur evidenziava la lealtà all'ideologia, avendo peraltro vissuto a lungo in Russia, poteva lasciare diversi interrogativi: sul perché ad esempio la famiglia, dopo essere arrivata in URSS per edificare la nuova patria socialista, abbia poi deciso di tornare in Slovacchia nel 1938. La stampa sovietica di conseguenza concesse poco spazio agli avvenimenti in questione58.
In parte anche in Cecoslovacchia il cambio nella dirigenza del Partito fu presa con un certo distacco. Bisogna notare che il pubblico rimase totalmente all'oscuro dei giochi di palazzo tra riformatori e Novotný intercorsi tra il settembre 1967 ed il gennaio 1968. Ovviamente la degradazione di Novotný, a capo del Partito da quindici anni, portava con sé speranza di rinnovamento, ma non si conosceva pressoché nulla della nuova dirigenza. Ad aumentare questa ambiguità si aggiunse il fatto che Dubček mantenne un riservato silenzio per tutto il mese di gennaio. Il nuovo segretario era stato eletto d'altra parte in maniera improvvisa, e non era stato preparato nessun programma, nessun piano preciso: c'era bisogno di tempo. Riportando parole di Dubček stesso, la natura fortemente autocratica dell'era Novotný non lasciava spazio a nessuna considerazione realmente alternativa59, e si dovette forzatamente attendere la sua rimozione per progettare politiche
differenti60. Dietro questo silenzio, i riformatori lavorarono velocemente ad un
57 Schwartz, Harry, Prague's 200 days, op. cit. 58 Ibidem.
59 Shawcross, William, Dubcek and Czechoslovakia 1918-1990, op. cit.
60 Secondo testimonianze riportate da Shawcross nella sua opera nei primi giorni di gennaio Dubček lavorò fino a sedici ore al giorno per studiare la situazione del paese degli ultimi anni sui documenti
documento da presentare al Partito entro la scadenza dei festeggiamenti del glorioso
febbraio61 (anche se poi la data della sua pubblicazione slitterà sino a aprile). La
discussione, che era mancata sotto il precedente segretario, negli ambienti riformisti arrivò febbrilmente nelle prime settimane di gennaio, in ripetuti incontri tra Dubček, Šik, Goldstücker, Kriegel, Smrkovsky, Císař e altri esponenti liberali del Partito. Il Programma d'Azione doveva tener conto evidentemente delle differenze di vedute all'interno del CC, ma al tempo stesso indirizzare verso riforme di democratizzazione del Paese. Furono organizzati gruppi di lavoro costituiti da personalità del mondo scientifico ed universitario, il cui nome più importante – sarà riconosciuto in seguito come l'architetto delle riforme cecoslovacche – era Zdeněk Mlynář. A sorvegliare l'operato dei gruppi era presente una commissione politica capeggiata da Drahomir Kolder, che rappresentava una via di mezzo tra l'ala innovatrice e gli ambienti conservatori62.
Mentre veniva disegnata la riforma e la nazione rimaneva in attesa di conoscere il nuovo Primo Segretario, i primi segnali di cambiamento furono entrambi “negativi”: la mancanza di purghe (per i dirigenti novotnýani) e la graduale diminuzione della censura. La RCCS, come gli altri paesi socialisti, era uno Stato in cui l'intangibile primato del Partito Comunista aveva creato una dittatura burocratizzata, un sistema di controllo strettamente legato al vertice di Partito; di conseguenza l'intero organismo della burocrazia cecoslovacca, cresciuto con l'esasperato stalinismo di Gottwald e anche con il suo successore Novotný, fu scosso dalla paura di purghe punitive, ritenute immancabili una volta venuto a mancare il proprio “padrino”. Dal piccolo funzionario locale ai capi nazionali, migliaia di persone temevano per un rinnovamento che avrebbe toccato innanzitutto il proprio posto di lavoro. Tuttavia Dubček non rispettò minimamente queste previsioni; non ci furono sconvolgimenti nei quadri di Partito.
Per quanto riguarda la censura invece non ci fu nessun segnale diretto per la sua cessazione. Nella Cecoslovacchia sotto Novotný il sistema di censura si era razionalizzato e reso efficiente mediante una apposita struttura verticale parallela a quella dei mezzi di comunicazione di massa. Negli uffici dei quotidiani locali e nazionali, nelle sedi radiofoniche e televisive, vi era un apposito delegato della censura che faceva riferimento direttamente al ministero degli Interni; a capo di questo sistema vi era Hendrych, il teologo del Partito che nonostante la caduta del suo protettore era rimasto
riservati del Partito.
61 Con queste parole si indicava comunemente la presa di potere del 22 febbraio 1948 da parte del Partito Comunista.
nel CC. La prassi sino al dicembre 1967 era la seguente: Hendrych teneva un incontro con i maggiori editori ogni giovedì a Praga, e lì dettava la linea del Partito. Dopo il 5 gennaio, questi incontri cessarono del tutto.
E' probabile che Alexander Dubček non avesse un'idea precisa di come comportarsi con i media statali; durante la sua esperienza come segretario del Partito Comunista Slovacco, Dubček aveva concesso un'ampia libertà ai giornalisti, mitigando in parte la censura praghese, purché essi “si mantenessero calmi e si attenessero ai fatti63”; ma la politica
lassista non era quella adatta a rimpiazzare la stretta regolamentazione preesistente. Di conseguenza, gli editori non sapevano più cosa potevano pubblicare e cosa no, e rimanevano anch'essi in attesa.
Nel frattempo il 10 gennaio l'ambasciatore russo Červonenko presentò a Dubček un invito ufficiale per recarsi in Unione Sovietica, dove Brežnev l'attendeva per salutare il nuovo leader cecoslovacco. Dubček tuttavia decise di prendere tempo, e il 20 del mese tenne un incontro segreto con il Primo Segretario del Partito Comunista Ungherese János Kádár, di cui ammirava la capacità di cooperare con i russi nell'adattare il modello sovietico alla specificità dell'Ungheria64. Nel breve incontro, tenutosi nel sud della
Slovacchia, al confine tra i due Paesi, Kádár incoraggiò il riformismo di Dubček ma gli consigliò di crearsi una stabilità maggiore all'interno del Partito, allontanando le personalità più ostili. Bisogna ricordare qui che Novotný non era più Primo Segretario ma manteneva la carica di Presidente della Repubblica, come pure una certa influenza politica. Inoltre le personalità più conservatrici nel Partito non avevano intenzione di lasciarsi scappare dalle mani il potere che avevano detenuto per un ventennio. Proprio un conservatore, Vasil Bil'ak, fu nominato a succedere Dubček come Primo Segretario a Bratislava.
A fine mese finalmente Dubček si presentò a Mosca come nuovo segretario del PCCS, per un incontro formale in cui Brežnev confermò la fiducia allo slovacco e ricordò la necessità di mantenere compatto il fronte socialista dalla Polonia alla Bulgaria; dal canto suo Dubček sottolineò la totale fratellanza e comunanza d'intenti delle due nazioni. Non fu fatta menzione di una possibile rimozione di Novotný dalla sua posizione. D'altra parte in una telefonata giunta da Mosca all'indomani della sua elezione come Primo Segretario, Dubček aveva rassicurato la sua controparte sovietica dicendo che non erano necessari
63 Williams, Kieran, The Prague Spring and its aftermath: Czechoslovak politics, 1968-1970, op. cit. pag. 68.
altri cambiamenti nei quadri alti del Partito65. Tralasciando di discutere l'argomento
nell'incontro di gennaio, implicitamente si rinnovava l'impegno di ambedue a non incentivare altri cambiamenti nelle posizioni di potere.
Durante il pesante silenzio iniziale della segreteria del Partito, alcuni tra gli esponenti del CC sostenitori di Dubček decisero che bisognava indicare al Paese le generiche priorità del nuovo corso. La prima voce di un alto quadro politico che si mosse in questa direzione fu quella di Gustáv Husák. Husák, si era schierato tra gli oppositori di Novotný quando questi creò la frattura tra il suo gruppo ed i dirigenti slovacchi – che fecero gruppo dietro Dubček. Husák nel prosieguo degli eventi si rivelerà essere un personaggio ambiguo, che seppe sfruttare a proprio favore la crisi dell'agosto, ma rinnegando in seguito il processo sessantottino del nuovo corso; sarà lui il Primo Segretario nel periodo che va dalla normalizzazione alla caduta del regime nel 1989. Eppure fu proprio Dubček che volle far rientrare Husák in una posizione di responsabilità all'interno del Partito. Poco prima di morire in un incidente stradale, nel 1992, Dubček pubblicò un'autobiografia: un documento prezioso per conoscere un leader politico a volte ambiguo, incerto, in equilibrio precario tra forti pressioni internazionali e che pure seppe portare un cambiamento che sino all'anno precedente era stato incredibile per i cecoslovacchi. Dubček racconta come già nel 1964 egli avesse provato, in quanto segretario del Partito slovacco, a promuovere Husák, slovacco reduce dei processi politici degli anni cinquanta (ricordiamo qui il suo coinvolgimento nel processo Slánský), a posizioni politiche rilevanti, ma questi aveva rifiutato categoricamente. Quando cadde Novotný fu Husák che fece sapere a Dubček di essere pronto a tornare ai vertici della vita politica, “per fare qualsiasi cosa, anche a Praga”66.
Una settimana dopo l'elezione del Primo Segretario, Husák scrisse un articolo per il periodico culturale slovacco Kulturny Zivot (che dal 1963, con Dubček Primo Segretario del Partito Comunista Slovacco, godeva di una maggiore libertà d'azione rispetto alle testate di Praga) in cui sommariamente anticipava alcuni aspetti della nuova dirigenza. Al pubblico slovacco venivano promesse maggiori autonomie, con queste parole:
Il cittadino vuole vedere nei suoi rappresentanti nazionali e statali la propria auto-realizzazione, civica e nazionale. Vuole la garanzia che possa esercitare il suo diritto di scelta, di controllo 65 Shawcross, William, Dubcek and Czechoslovakia 1918-1990, op. cit.
66 L'autobiografia di Alexander Dubček è stata tradotta e pubblicata in inglese da Jiří Hochman; per la citazione di Husák, Dubček, Alexander, Hope dies last, London, Harper Collins Publishers, 1993, pag. 145.
e di responsabilità liberamente.67
Husák annuncia qui il nuovo corso come indirizzato ad una democratizzazione del sistema, per un genuino Stato marxista, mediante la cooperazione di “milioni di mani e di cervelli”.
A superare maggiori diffidenze del pubblico cecoslovacco verso il rinnovamento nella leadership, fu una seconda voce del gruppo dirigente, quella di Josef Smrkovsky, che da gennaio ad agosto divenne sicuramente il leader più carismatico e popolare. Smrkovsky, operaio, fu a capo dell'insurrezione di Praga del maggio '45, politico di spicco del Partito dal '48, anche lui arrestato, condannato e riabilitato durante gli anni cinquanta, spesso indicato come il politico più capace e coerente del nuovo corso68.
Il 21 gennaio, in un articolo sul giornale dei sindacati, Práce, Smrkovsky espresse in maniera organica le intenzioni del nuovo corso prospettato dalla segreteria: democratizzazione intesa come de-burocratizzazione della politica statale, redistribuzione del potere, riforma economica sostenendo le mosse volute da Šik nel '67 e una riforma sociale nello spirito di maggiore dialogo, libertà d'espressione, scambi d'opinione tra le componenti della società. Semplificando, Smrkovsky scrive:
“L'amministrazione deve essere l'assistente e l'esecutrice della volontà politica del popolo, della nazione, del Partito – e non il contrario”.69
L'idea fondamentalmente ripercorreva una visione politica più democratica del marxismo, individuabile già nel Manifesto stesso70, secondo cui il libero sviluppo degli
individui è la condizione del libero sviluppo di tutti71.
Usando parole scritte da Dubček diversi anni dopo,
Il nostro vero problema era quello di applicare in modo più realistico e meno meccanico i principi del marxismo-leninismo, nelle condizioni richieste dalla necessità di costruire una società socialista progredita, senza perdere di vista la validità 67 Schwartz, Harry, Prague's 200 days, op. cit. pag. 81.
68 Il giudizio di merito in questo caso viene direttamente, oltre che dagli osservatori a posteriori (Schwartz, Williams), anche dagli stessi intellettuali e politici che presero parte alle politiche innovatrici, come Zdeněk Mlynář, Jiří Hayek o Jiří Pelikan; quest'ultimo gli rende omaggio esplicitamente in un paragrafo a lui dedicato nel suo Il fuoco di Praga, Milano, Feltrinelli, 1975, pagg. 167-169.
69 Schwartz, Harry, Prague's 200 days, op. cit. pag. 83.
70 Citazione dal Manifesto del Partito Comunista, scritto da Marx ed Engels nel 1848; la citazione è tratta dalla traduzione italiana di Marcello Monaldi in Marx, Karl ed Engels, Friedrich, Manifesto del Partito
Comunista, Bur, Milano, 1998, pag. 117.
71 “In quest'ordine, e non l'inverso” puntualizzava Jiri Hajek, Ministro degli Affari Esteri durante il nuovo corso del '68, nelle sue memorie pubblicate in Francia nel 1978 dal titolo Dix ans aprés (Parigi, éditions du Seuil).
dei principi generali che permettono l’edificazione del socialismo, ma sottolineando nello stesso tempo, sempre e in modo coerente, la necessità di rispettare le particolari condizioni esistenti in ciascun paese, il grado di sviluppo, la mentalità, l’evoluzione storica delle nostre nazioni.72
Per superare le reticenze della stampa e del pubblico verso la nuova segreteria (visto che Dubček non si era ancora presentato pubblicamente ai cecoslovacchi), e per garantire l'attendibilità delle proprie dichiarazioni, Smrkovsky decise di spingersi oltre il suo singolo articolo e di indire una riunione con i giornalisti delle maggiori testate per fine gennaio. Accanto a lui sedeva Josef Boruvka, anch'egli nel gruppo riformista del Partito, ed i due esposero nuovamente le intenzioni della nuova segreteria (democratizzazione, maggiori libertà individuali, riforma economica), riprendendo quanto scritto da Smrkovsky sulle pagine di Práce. Essendo importanti portavoce del Partito i giornalisti non ebbero difficoltà a pubblicare articoli che poche settimane prima sarebbero stati indubbiamente tagliati dalla censura: i nuovi dirigenti si impegnavano a correggere e rettificare le deformazioni del socialismo avvenute nel passato, prevenendo l'insorgerne di nuove.
Sempre a fine gennaio un terzo personaggio impersonificò il nuovo corso politico: il 24 del mese Eduard Goldstücker (ancora una volta un politico riabilitato dai processi stalinisti) veniva eletto segretario dell'Unione degli Scrittori. Si ricuciva in questo modo lo strappo tra Partito ed intellettuali avvenuto con il IV Congresso dell'Unione, ed in parte anche tra Partito e studenti essendo stato Goldstücker l'intermediario istituzionale tra lo Stato e le proteste universitarie dell'autunno '67. Fu annunciato che a partire da marzo gli scrittori avrebbero riavuto il proprio giornale, che avrebbe preso il nome di
Literární Listy (fogli letterari).
I collaboratori di Dubček ebbero, in qualche modo, la funzione di apripista per il loro segretario, che a sua volta ruppe il proprio silenzio nel primo giorno di febbraio. Egli scelse il VII Congresso delle Cooperative Agricole per il suo primo incontro pubblico. Nel discorso che tenne annunciò un nuovo sforzo del Partito per promuovere la dignità dell'agricoltura, aiutando i contadini a raggiungere le stesse condizioni sociali e politiche degli operai. Nel suo discorso, basato sulla democratica necessità di ridare al popolo la capacità di scegliere e di cooperare, Dubček anticipò, pur senza farne menzione, le
72 Testo tratto dalla lettera scritta da Alexander Dubček alla moglie di Smrkovsky nel marzo 1974, dopo la morte di questi. La lettera fu pubblicata in Italia dalla rivista Giorni – Vie nuove e ripresa nel già citato eSamizdat, Maledetta Primavera – il 1968 a Praga, anno 2009, num. VII.
prospettive del Programma d'Azione (una parte fortemente voluta da Mlynář73). In
questa occasione il Primo Segretario, incentivò il dialogo tra i partecipanti al congresso, tanto che il documento stilato in precedenza dal Ministero dell'Agricoltura (come la tradizionale prassi comunista voleva, il documento era pronto già prima di essere discusso) fu dovuto riscrivere74. I primi incontri del gruppo riformista furono in effetti
deputati alla demolizione della routine di regime, nel tentativo, effettivamente riuscito, di suscitare interesse e dialogo tra il Partito ed il Paese. Una breccia era stata aperta.
Durante il mese di febbraio, mentre il progetto del Programma d'Azione prendeva forma, Dubček incontrò vari delegati delle Repubbliche Socialiste dell'orbita sovietica; il 4 febbraio era a Budapest, il 7 incontrava Gomulka. Diplomaticamente tenne per ultimo l'incontro con Nicolae Ceauşescu, il leader rumeno che aveva aperto un piccolo conflitto con gli alleati per la sua decisione di gestire autonomamente la propria politica estera (ad esempio con la Germania Federale); il rispetto del protocollo imposto da Mosca era una rinnovata prova di fedeltà al Patto di Varsavia75. Ed infatti sino alla fine di febbraio
nessuna critica fu rivolta alla nuova segreteria Cecoslovacca da parte dei “Paesi fratelli” (anche se una piccola lacuna era già visibile: non ci fu nessun invito a Berlino da parte di Ulbricht, Primo Segretario del Partito in Germania Est76). Il rapporto cominciò,
lentamente, ad incrinarsi proprio tra il 21 ed il 23 del mese, durante le celebrazioni a Praga per il ventennale del glorioso febbraio 1948.
Per questa occasione i principali Partiti Comunisti dell'Europa centro-orientale mandarono una delegazione (oltre al blocco sovietico erano presenti delegati dalla Jugoslavia di Tito), e Dubček tenne un ampio discorso sul processo di democratizzazione che stava prendendo piede nel Paese. Ripercorse i grandi errori del Partito negli anni cinquanta (parlava ovviamente del proprio Partito, ma è indubbio che il discorso poteva benissimo estendersi allo stalinismo in genere), auspicando di poter “rimuovere le ingiustizie fatte al popolo, come Partito e come Stato, e farlo senza riserve77”. Le parole
dello slovacco furono certamente indigeste ai leader sovietici, che consideravano ormai
73 Mlynář, Zdeněk, Nightfrost in Prague: the End of the Humane Socialism, op. cit. 74 Schwartz, Harry, Prague's 200 days, op. cit.
75 Windsor, Philip and Roberts, Adam, Czechoslovakia 1968, op. cit.
76 Ulbricht probabilmente non vedeva con simpatia il nuovo corso cecoslovacco già dai primissimi segnali – l'allontanamento del pari a lui dogmatico Novotný, l'aumento di libertà di parola, le intenzioni democratiche. Colui che aveva deciso la costruzione del muro di Berlino (avvenuto sette anni prima, nel 1961) avvertiva con pericolo la possibilità che riprendessero i movimenti di protesta nel suo Stato e nella capitale divisa. A partire dalla conferenza di Dresda del 23 marzo divenne uno dei più decisi antagonisti della segreteria cecoslovacca.
chiusa la pratica chruščeviana della destalinizzazione. Il discorso continuò poi sulla necessità di un confronto costante della politica con i cittadini – linea su cui i riformisti cechi si spesero ripetutamente nel corso di quei primi mesi – e sull'impegno di dare nuove prospettive ai giovani, agli studenti.
Brežnev fece sapere direttamente a Dubček che il discorso non gli era piaciuto su più punti: lo fece via telefono, il giorno stesso. Così la Pravda moscovita il giorno seguente tagliò di oltre due terzi il discorso del segretario cecoslovacco. I dubbi sull'eresia di Praga erano ufficialmente iniziati.
Il mese di febbraio portò con sé anche i primi cambiamenti tra i dirigenti. Novotný era al castello di Hradčany (la residenza del Presidente della Repubblica) ed era difficilmente rimovibile dal suo ufficio, ma alcuni funzionari del vecchio corso poterono essere allontanati. La mossa più importante per il gruppo riformista fu la sostituzione di Miroslav Mamula a capo del Dipartimento dell'amministrazione statale del Comitato Centrale, il più alto ufficio di controllo sulla sicurezza, la giustizia ed il potere militare. Mamula, considerato il Berija78 di Novotný, fu sostituito con il generale Václav Prchlik,
l'uomo che aveva avvisato Dubček del possibile golpe per difendere Novotný prima del Presidium del 5 gennaio. Con questa nomina, l'appoggio dal temuto “ottavo dipartimento” era pressoché assicurato79. Il cambio in questione allargò il movimento
riformista anche agli ambienti militari, e fu sicuramente decisivo per l'evoluzione degli