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LA CADUTA DI DUBČEK E LA DEFINITIVA NORMALIZZAZIONE

CAPITOLO 3. EPILOGO: SETTEMBRE 1968-

2. LA CADUTA DI DUBČEK E LA DEFINITIVA NORMALIZZAZIONE

Il 16 gennaio un evento segnò tristemente la vita della Repubblica Socialista Cecoslovacca, scuotendo l'intera Europa. Un giovane studente di filosofia, Jan Palach, si diede fuoco in piazza Venceslao, in segno di protesta. A soli 21 anni, egli morì tre giorni dopo in ospedale per le gravi ustioni riportate. Palach lasciò una breve lettera in cui spiegava il gesto391, firmandosi “Fiaccola numero uno”. Egli fu infatti il primo (estratto a

sorte) di un gruppo di studenti decisi a ricorrere a questa estrema misura (probabilmente ispirati da quanto avevano fatto in quegli anni alcuni monaci buddhisti in Vietnam) per “ridestare il popolo di questo Paese”. Gli studenti chiesero l'immediata abolizione della censura e la proibizione del giornale di propaganda sovietica Zpravy; il messaggio conteneva un ultimatum: se entro cinque giorni le esigenze non fossero state soddisfatte, un'altra fiaccola si sarebbe accesa. La lettera terminava con un post scriptum di forte impatto emotivo:

Ricordatevi dell'agosto. Nella politica internazionale si è aperto uno spazio per la Repubblica socialista cecoslovacca; approfittiamone.

Ma le richieste di Palach erano ormai impossibili per Dubček e per quel che rimaneva del gruppo dirigente del nuovo corso. Come ha fatto di recente notare Paulina Bren in un saggio sulla cultura comunista post-1968, Dubček era ancora convinto che solo il compromesso con “i nuovi sceriffi del paese” avrebbe potuto salvare la situazione392. La

copertura dei media cecoslovacchi sull'atto di Palach non fece altro che confermare la presenza della censura; la radio diede poco spazio alla notizia, così come la stampa, per paura che il giovane fosse visto dalla popolazione come un martire di una giusta causa politica. Il giorno dopo l'evento, mentre il giovane ventunenne giaceva in ospedale, Radio Praga, ormai epurata dalle pretese popolari e resistenti, diffuse un memorandum ai propri dipendenti chiedendo di non menzionare la notizia. La televisione nazionale, forse nel suo ultimo moto d'indipendenza, riuscì a mandare in onda un talk show sul tentato (Palach non era ancora morto) suicidio, scatenando le ire dei conservatori, che videro in questo una campagna volta a creare tensione e spirito anti-sovietico nel Paese.393

391 La lettera è riportata nella raccolta di documenti a cura di Gianlorenzo Pacini, Cecoslovacchia: cinque

anni dopo, Roma, Edizioni Savelli, 1973; ho deciso inoltre di inserirla tra i documenti in appendice

(appendice I punto g).

392 Bren, Paulina, The greengrocer and his TV – the culture of Communism after 1968 Prague Spring, Ithaca, Cornell University Press, 2010.

Mentre cresceva fortemente il sentimento di dolore nazionale per il gesto di Palach e migliaia di fiori furono ammassati sotto la finestra dell'ospedale ove il giovane stava morendo, la risposta di Dubček rimase debole, confusa, e aumentò l'enorme distacco ormai creato tra lui e la popolazione; di conseguenza, venne meno la forza che aveva mantenuto lo slovacco al vertice della gerarchia partitica. Usando le parole di Williams, i giovani tornarono a considerare i dirigenti riformisti come dei “loro” più che dei “noi”394.

Per una settimana il gesto di Palach scosse nuovamente la popolazione cecoslovacca: tramontato il mito di Dubček, in molti videro nello studente un nuovo simbolo delle proprie speranze e della propria disperazione. Secondo quanto riporta Shawcross, in 120 mila giunsero a Praga dal resto del Paese il giorno prima del funerale dello studente, formando insieme ai praghesi un silenzioso corteo di quasi 350 mila persone395. Il giorno

successivo il corteo per il funerale divenne di 800 mila persone, e percorse tutto il centro della capitale. Per l'occasione non ci furono scontri con le forze dell'ordine, che al contrario rimasero in disparte; l'intero Paese era scosso. Passato il funerale, la protesta ripartì dalle aule universitarie; il 26 gennaio ci furono oltre 200 arresti a seguito di scontri con la polizia. Nel frattempo Dubček era rientrato a Bratislava, malato (ebbe un nuovo collasso), e Husák ripeteva in una riunione del Presidium l'importanza di riportare ordine nella vita politica e sociale cecoslovacca, per prevenire nuovi atti estremi. La visione della normalizzazione à la Husák raccoglieva consensi sempre maggiori. Così quando Jan Zajic, un altro giovanissimo studente, si immolò come nuova fiaccola umana il 25 febbraio, il Partito riuscì a minimizzare la diffusione della notizia ed a contenere la possibile nuova ondata di proteste.

Husák, Svoboda, Černík e Štrougal avevano formato un nocciolo duro di “riformisti realisti”; il risultato di questo “realismo” fu la caduta di Dubček. Sebbene la rimozione di Dubček fosse divenuta un passo ormai prevedibile, il pretesto per la sua attuazione fu del tutto inaspettato. Il 28 marzo, durante i mondiali di hockey su ghiaccio (all'epoca come oggi lo sport maggiormente seguito sia nelle terre ceche che in Slovacchia), la squadra cecoslovacca sconfisse la squadra sovietica. Improvvisamente decine di migliaia di cecoslovacchi – secondo Williams furono oltre mezzo milione in tutto il Paese – invasero le strade per manifestare contro il potente vicino, grazie alla rivalsa sportiva396.

394 Williams, Kieran, The Prague Spring and its Aftermath: Czechoslovak Politics, 1968-1970, op. cit. pag. 188.

395 Shawcross, William, Dubcek and Czechoslovakia 1918-1990, op. cit.

396 Lo stesso Dubček, nella sua autobiografia, afferma che si sentì “in estasi” quando i suoi compatrioti segnarono il goal della vittoria. Dubček, Alexander, Hope dies last, op. cit.

Nel centro di Praga una folla di circa quattromila persone si trovò nei pressi di un ufficio della Aeroflot, la compagnia aerea sovietica. Diverse pietre furono lanciate verso le vetrine, ed in poco tempo l'intero ufficio fu demolito; in realtà l'atto vandalico fu premeditato da agenti dei servizi segreti, ma ovviamente questa notizia poté venire alla luce solo con decenni di ritardo397. Al tempo invece l'episodio fu dichiarato dai sovietici

non solo come un atto criminale, ma come la chiara spiegazione che la normalizzazione tentata da Dubček non aveva funzionato. Il 30 marzo si riunì una riunione del Politburo sovietico in cui venne deciso che una nuova svolta era necessaria per la politica cecoslovacca.398 Due giorni dopo il Maresciallo Grechko era a Praga, portando con sé una

lettera per il Presidium cecoslovacco; egli portò anche la minaccia di una nuova invasione: le truppe tedesche, polacche ed ungheresi erano in stato d'allerta per una possibile nuova invasione. Per la prima volta le critiche di Mosca erano dirette alla leadership di Dubček. La situazione politica era nuovamente critica, ed il gruppo di “realisti” tolse il proprio sostegno al Primo Segretario, mettendolo alle corde: bisognava cambiare nuovamente strategia. L'11 aprile l'ambasciatore sovietico riportò a Svoboda che “o il PCCS allontanava Dubček o ci avrebbero pensato i russi”399.

Il 17 aprile 1969 Alexander Dubček rassegnava le proprie dimissioni come Primo Segretario del PCCS.

397 Williams ha dedicato ai servizi segreti nel periodo della normalizzazione un paragrafo della sua più vole citata opera sulla Cecoslovacchia: Williams, Kieran, The Prague Spring and its Aftermath:

Czechoslovak Politics, 1968-1970, op. cit.

398 Ibidem.