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MARZO: LA CADUTA DI NOVOTNY

Il mese di marzo si aprì in Cecoslovacchia con uno scandalo politico e (grazie alla rinnovata libertà di parola) mediatico che diede vita ad un effetto domino che terminò, nel giro di tre settimane, con le dimissioni del Presidente della Repubblica.

Il primo giorno del mese i media trasmisero la seguente notizia: il generale dell'esercito cecoslovacco Jan Sejna era fuggito dal Paese mentre era indagato per un furto dell'equivalente di 20.000 dollari ai danni dello Stato. Sejna era un alto gerarca e da sempre stretto collaboratore di Novotný; era, inoltre, viceministro della Difesa. Più che una fuga quella di Sejna fu un'onorevole uscita di scena: poté lasciare lo Stato tranquillamente in macchina, con un passaporto diplomatico concesso all'uopo, portando con sé il figlio e la nuora. Il 5 del mese si venne a sapere che Sejna era passato in Italia e da Roma aveva proseguito per Washington, Stati Uniti d'America80.

In Cecoslovacchia a marzo la censura aveva come detto ormai smesso di funzionare, ed i media sviscerarono completamente l'affaire Sejna. In poco tempo le malefatte del singolo divennero l'emblema del fallace sistema socialista del passato, e inflissero un duro colpo all'ala conservatrice del Partito, che sperava ancora di poter rovesciare la fragile dirigenza di Dubček. I conservatori infatti avevano recuperato discreti consensi durante febbraio; colpevole anche il mutismo di Dubček in quanto il suo programma, in fase di progettazione (la sua presentazione fu slittata agli inizi di aprile), faceva temere a diversi ambienti un qualsiasi cambiamento politico che potesse peggiorare la propria situazione. Buona parte degli operai ad esempio aveva il timore che la riforma economica di Šik avrebbe indotto licenziamenti, cambio dei dirigenti e della strutturazione dell'azienda per andare verso modelli occidentali e la perdita di diritti acquisiti con lo Stato socialista: erano tutti temi ovviamente estremizzati dai sostenitori di Novotný. Ma proprio il loro vecchio padrino si trovò in una posizione difficilissima dopo lo scandalo di cui sopra, fondamentalmente per due implicazioni. Primo: il generale Sejna era intimo amico di Jan Novotný, figlio del Presidente, ed aveva con lui lavorato quando questi era Ministro degli Affari Esteri; il ministero rilasciava al generale i visti necessari a “testare” delle autovetture occidentali, per lo più sportive o di lusso (Mercedes-Benz, Porsches, Jaguars e simili), che dopo pochi mesi egli rivendeva per proprio profitto; l'ordine di

80 Lo scandalo Sejna è riportato in vari lavori, tra i quali segnalo Shawcross, William, Dubcek and

Czechoslovakia 1918-1990, Schwartz, Harry, Prague's 200 days e Tigrid, Pavel, Così finì Alexander Dubček.

promuoverlo Generale Maggiore, nonostante non avesse ottenuto le necessarie qualifiche di istruzione, fu firmato direttamente da Antonín Novotný. Secondo: il generale Prchlik rivelò pubblicamente che nei primi giorni di gennaio, prima che Dubček fosse eletto, una divisione di carri armati agli ordini di Sejna era stata mobilitata per possibili azioni affinché Novotný non fosse deposto. L'intero Paese, indignato, seguiva la vicenda, e in breve tempo buona parte del sistema Novotnyano collassò. Il Colonnello Generale Vladimir Janko, implicato anche lui nel possibile colpo di Stato, si sparò un colpo di pistola alla testa; il suicidio sembrò a molti essere una confessione sull'effettiva esistenza del piano. Esponenti molto noti della vecchia guardia si dimisero (o furono dimessi) dai loro incarichi. Il 5 marzo, lo stesso giorno in cui si veniva a sapere che Sejna era a Washington, Jiří Hendrych fu dimesso come responsabile degli affari ideologici al Comitato Centrale, e rimpiazzato con Josef Spaček. I conservatori si mossero sulla difensiva: la televisione trasmise il discorso del Generale Lomsky, Ministro della Difesa, che si disse totalmente ignaro delle macchinazioni di Sejna e Janko per un possibile golpe; successivamente trasmise in diretta le scuse che il Ministero degli Interni Josef Kudrna rivolse agli studenti per la repressione dell'ottobre precedente. La difesa non fu tuttavia sufficiente: il 15 marzo il Ministro Kudrna ed il Procuratore Generale Jan Bartuska diedero le dimissioni. La base di potere di Novotný si era sgretolata: il 22 marzo i media annunciavano che, per ragioni di salute, egli aveva rinunciato alla carica di Presidente della Repubblica81.

In poche settimane Dubček si trovò libero da una fetta consistente dei propri nemici interni, mentre da fine marzo in poi iniziarono le pressioni di quelli che, col senno di poi, potremmo definire nemici esterni (ovvero i Partiti fratelli degli altri Paesi socialisti) al processo di rinnovamento. Durante marzo il Primo Segretario continuò a mantenere un atteggiamento riservato, non criticò apertamente Novotný ed i suoi collaboratori né ovviamente prese le sue difese. La promessa di non cambiare altri quadri del Partito fatta a Brežnev in gennaio non poteva più essere mantenuta, a meno di non bloccare definitivamente il nuovo corso intrapreso. Dubček si mantenne dietro le quinte, continuando ad invogliare la discussione tra i suoi alleati ed i cittadini, senza porre freno alla stampa ma tentando di evitare possibili derive violente tra fazioni contrapposte. In un incontro con Jiří Pelikan, direttore generale della televisione, gli pregò di evitare soggettivismi, di non far precipitare gli eventi, di “abituare gradualmente la gente alle

regole della democrazia socialista”; sottolineò tra l'altro l'importanza di evitare provocazioni verso l'Unione Sovietica e gli altri Paesi del blocco sovietico82. La velocità

con cui gli eventi presero forma misero in guardia gli esponenti liberali verso le reazioni che la politica cecoslovacca stava provocando nel contesto internazionale. L'effettivo indebolimento del blocco conservatore nel Presidium poté spingere Dubček, il 14 marzo, a proporre una riabilitazione generale per tutte le vittime della repressione politica degli anni passati83.

Un documentario girato da Karel Vachek con titolo “Le affinità elettive” mostra i giorni dalla caduta di Novotný all'elezione del nuovo Presidente della Repubblica, Ludvík Svoboda, seguendo da vicino le attività dei leader innovatori: Dubček, Černík, Smrkovsky, Šik84. Sostanzialmente la politica di questa frangia del Partito era indirizzata

ad incontrare, ascoltare e dialogare con i cittadini, tentando di sviluppare un attivismo politico che lo stalinismo aveva appiattito e ammutolito nel terrore della dittatura; allo stesso tempo i politici cercavano di: contenere questa spinta riformatrice, mantenere saldo il controllo del Partito sulla società ed evitare di mettere alla gogna la vecchia classe dirigente o di mettere in discussione l'alleanza fedele ai sovietici.

Il giorno seguente l'annuncio delle dimissioni di Novotný, il 23 marzo, una delegazione del Partito Comunista si recò a Dresda, nella Repubblica Democratica Tedesca, per un meeting del Patto di Varsavia. L'incontro fu voluto dai sovietici e preparato in gran velocità appena questi seppero della caduta di Novotný, già la sera del 21, durante una riunione del Politburo a Mosca85. Ufficialmente il meeting era basato su due punti di

discussione: il coordinamento economico dei Paesi del Comecon e la politica nei confronti della Germania Federale86. In realtà l'incontro era incentrato totalmente sugli

sviluppi della segreteria di Dubček in Cecoslovacchia. Brežnev e Kosygin espressero i timori dell'Unione Sovietica su quanto stava accadendo: il Primo Segretario del PCUS chiese direttamente a Dubček “Cosa sta accadendo nel vostro Paese?”87.

La delegazione cecoslovacca, composta da Dubček, Černík (come espressione dei

82 Pelikan, Jiří, Il fuoco di Praga, Milano, Feltrinelli, 1975.

83 Dubček, Alexander, Hope dies last, London, Harper Collins Publishers, 1993. 84 Vachek, Karel, Spříznìní volbou (Affinità elettive), Praga, Kratky Film, 1968.

85 Williams, Kieran, The Prague Spring and its aftermath: Czechoslovak politics, 1968-1970, op. cit. 86 Windsor, Philip and Roberts, Adam, Czechoslovakia 1968, op. cit.

87 Dubček rivelò in seguito che le preoccupazioni su un possibile intervento sovietico cominciarono proprio a Dresda. Quell'incontro fu per lui come un processo, trovandosi di fronte un infuriato Brežnev accompagnato da gerarchi militari, in compagnia di Ulbricht, Gomulka, Živkov e Kadar (ovvero i segretari del Partito Comunista in – rispettivamente – Germania Est, Polonia, Bulgaria e Ungheria): “mi

sembrò di essere Jan Hus a Costanza.” Shawcross, William, Dubcek and Czechoslovakia 1918-1990,

membri liberali del CC), Kolder, Lenárt e Bil'ak (esponenti conservatori), dovette ripetere numerose volte che la situazione era sotto il controllo del Partito, nonostante la rimozione della censura. Ulbricht e Gomulka misero in guardia i cecoslovacchi dai movimenti controrivoluzionari che prendevano piede nel Paese e persino Kádár, in cui Dubček vedeva ancora un alleato, si schierò con i sovietici ricordando come anche Imre Nagy88

fosse stato inizialmente spinto da buone intenzioni, prima dei drammatici fatti del '56 ungherese. Un duro avvertimento, che pesava come una minaccia, era stato lanciato. Al rientro in patria Dubček decise di non rivelare pubblicamente il peso delle preoccupazioni degli Stati fratelli, parlando in maniera irrealisticamente positiva del meeting, per paura che le (ormai) libere voci dei propri concittadini potessero acuire il conflitto con il neostalinismo sovietico.

Nel frattempo era nato il dibattito sulla successione di Novotný a capo dello Stato. Gli esponenti liberali premevano affinché il ruolo venisse affidato a Josef Smrkovsky o Čestmír Císař, entrambi divenuti molto popolari; gli slovacchi tuttavia li accusavano di nazionalismo ceco proponendo di contro Gustáv Husák, il quale però non raccoglieva attorno a sé lo stesso consenso dei primi. Smrkovsky rimaneva il nome più spalleggiato, ma egli era stato più volte criticato come revisionista e controrivoluzionario dagli alleati del Patto di Varsavia nell'incontro di Dresda: una sua ascesa come Presidente della Repubblica sarebbe stato un affronto all'URSS, che la dirigenza voleva assolutamente evitare. Dubček propose allora Ludvík Svoboda, settantenne Generale dell'esercito (il quale aveva vissuto in Unione Sovietica durante la guerra, combattendo al fianco dell'Armata Rossa), sicuramente una nomina più conciliante verso i sovietici. Il compromesso fu accettato: il 30 marzo l'Assemblea Nazionale elesse Svoboda Presidente della Repubblica.

Si concludeva così un mese cruciale nello sviluppo democratico del Paese, il cui passo successivo sarebbe stato la presentazione del Programma d'Azione, a cui il Partito aveva ormai finito di lavorare. Tuttavia, la libertà scaturita sia dall'abolizione di fatto della censura, sia dall'interesse per la cosa pubblica suscitato dagli eventi politici che dalla caduta dei vecchi falchi del regime, aveva delineato uno spirito di democratizzazione che

88 Imre Nagy fu il Primo Segretario del Partito Comunista Ungherese dal 23 ottobre al 3 novembre 1956, leader della rivolta ungherese. Egli cercò di uscire dall'orbita sovietica (e dal Patto di Varsavia) per aprire il proprio Paese all'Occidente; la rivolta ungherese si concluse drammaticamente con l'invasione dell' Ungheria da parte dell'Armata Rossa e la successiva restaurazione di un governo filo-sovietico. Nagy sarà in seguito processato e giustiziato (1958). Il suo successore, ex-ministro del governo Nagy e primo complice dei sovietici, fu lo stesso Janos Kádár.

già andava oltre quanto deciso a gennaio dalla élite del Paese, la quale da marzo in poi si trovò a dover frenare la radicalizzazione (le possibili derive anarchiche, per dirla con le parole di Dubček89) di questo processo per opera dei propri concittadini.

A fine mese si respirava un'aria nuova, l'incubo della dittatura burocratica era stato esorcizzato; nelle parole di un giovane studente universitario, durante un presidio in piazza Venceslao (nel centro di Praga) in supporto di Čestmír Císař come Presidente, il 27 di marzo:

Tutti hanno diritto a una vita migliore, a non aver paura, quando suonano alla porta la mattina, che invece del lattaio sia uno della polizia segreta90.

89 Shawcross, William, Dubcek and Czechoslovakia 1918-1990, op. cit. 90 Citazione dal documentario di Karel Vachek, Spříznìní volbou, op. cit.