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L'AUTUNNO 1968 E LE DISILLUSE SPERANZE DEI RIFORMIST

CAPITOLO 3. EPILOGO: SETTEMBRE 1968-

1. L'AUTUNNO 1968 E LE DISILLUSE SPERANZE DEI RIFORMIST

Dopo il rientro dei dirigenti in Cecoslovacchia, si aprì il breve periodo che molti chiamarono “la fase delle illusioni”365. I discorsi degli uomini principali del gruppo di

Dubček contribuirono a conservare l'idea che pur nel regime di occupazione militare sarebbe stato possibile salvare qualcosa della Primavera di Praga.

Il 28 agosto uscì un'edizione speciale, di sole quattro pagine, del Literární Listy. In prima pagina una vignetta satirica con un carro armato sovietico recitava: “Proletari di tutto il

mondo, unitevi – o vi spariamo”. Di seguito, un articolo dello scrittore Jan Prochazka

riprendeva amaramente le concezioni incomparabili della politica dei fucili e del movimento di resistenza:

Con i cannoni non si può sopprimere il desiderio di libertà della gente. Non si può sparare ai pensieri. Non ci sono abbastanza prigioni nel nostro Paese per tutti quelli che volevano portare la bandiera della libertà...366

Tre giorni dopo la Pravda moscovita definì il Listy “un nido di vespe della controrivoluzione che deve essere abolito”367. Tuttavia Dubček fu abile nel prevenire,

almeno per i primi mesi, qualsiasi ritorsione contro i giornalisti della stampa o della radio, o i resistenti in genere. Se è vero che non ci furono arresti né persecuzioni, è anche vero che le concessioni sulle nomine politiche si fecero sentire da subito. In pochi giorni

364 Kundera, Milan, L'insostenibile leggerezza dell'essere, Milano, Adelphi, 1985. 365 Goldstücker, Eduard, Da Praga a Danzica, op. cit.

366 Wechsberg, Joseph, The Voices, op. cit. pag. 89. 367 Ibidem.

furono allontanati dalle loro posizioni Pavel, Šik, Hajek, Pelikan; per ognuno furono trovati “posti decorosi” nell'amministrazione368. Quanto a František Kriegel, comunicò da

subito di non essere più disposto a presiedere il Fronte Nazionale, ritirandosi anche come membro del Presidium; mantenne comunque la sua posizione come deputato dell'Assemblea Nazionale e membro del Comitato Centrale369.

Aspetto decisivo della normalizzazione fu la “temporanea” e parziale reintroduzione della censura, o meglio la richiesta, da parte del governo, ai maggiori editori di bloccare le critiche ai sovietici e di agire in maniera “coerente con la nuova situazione” sino al ritiro delle truppe; le maggiori testate decisero ancora una volta di collaborare con le richieste del Partito. Le sedi ufficiali di radio e televisione continuarono ad essere occupate dalle truppe straniere.

Il 29 agosto Smrkovsky tenne il suo discorso alla nazione, sulla scia di quanto detto da Dubček, enfatizzando però la capacità di resistenza del popolo cecoslovacco. Come ha puntualizzato Williams, il gruppo dirigente, sebbene non potesse più garantire il socialismo dal volto umano, tentò di convincere la popolazione di poter compiere una possibile normalizzazione dal volto umano370. È molto probabile che Dubček, Smrkovsky

e Černík pensassero effettivamente di poter porre freno alle richieste di Mosca, mantenendo salde le proprie posizioni. Il fatto che loro fossero rimasti in ogni caso come referenti per Mosca, dopo che il gruppo di Indra, Kolder, Bil'ak aveva “giocato le sue carte”, era un dato positivo. A spostare l'equilibrio di tale situazione fu di fatto l'ascesa di Gustáv Husák.

Questi, di ritorno da Mosca, andò direttamente a Bratislava, dov'era programmato il Congresso del Partito Comunista Slovacco371. I deputati slovacchi, anche qui in

maggioranza sostenitori di Dubček, avrebbero dovuto eleggere un nuovo segretario al posto dell'ormai compromesso Vasil Bil'ak. Husák, secondo le parole di Goldstücker, inscenò per i propri colleghi una bella pièce drammatica. Egli affermò che l'occupazione militare, sebbene non fosse minimamente stata necessaria, era ormai un dato di fatto con cui era inevitabile fare i conti, a maggior ragione dopo che la delegazione cecoslovacca

368 Di questi nomi sono Jiří Pelikan, l'ex direttore delle reti televisive, fu costretto ad allontanarsi dalla Cecoslovacchia, in quanto fu nominato Console per gli uffici diplomatici del Paese a Roma.

369 Dubček riporta nelle sue memorie un continuo diverbio (“da amici”) tra lui e Kriegel, il quale criticava i compromessi siglati a Mosca e le continue concessioni; a tali critiche però, secondo la visione del Primo Segretario, non seguiva nessuna proposta realmente praticabile. Dubček, Alexander, Hope dies

last, op. cit.

370 Williams, Kieran, The Prague Spring and its Aftermath: Czechoslovak Politics, 1968-1970, op. cit. 371 Come ho ricordato nel capitolo precedente, egli aveva tardato i lavori del Congresso con un ordine

aveva accettato il Protocollo di Mosca. Il patto andava dunque onorato. Egli inoltre insisté sulla sua figura di riformista, sottolineando come fosse stato proprio il Primo Segretario del PCCS a nominarlo vice Primo Ministro; poté dunque dichiarare solennemente “con Dubček sono arrivato, con Dubček partirò”.372 Fu così eletto Primo

Segretario del PCS, nel ruolo che fu di Dubček per più di quattro anni. Continuava la sua scalata al potere.

Nel frattempo i sovietici decisero di aumentare la pressione sui dirigenti, inviando un proprio delegato a Praga, con il preciso compito di seguire da vicino le misure della segreteria per l'attuazione dei patti. Si trattava del vice Ministro degli Esteri Kuznetsov, che si mise subito al lavoro intrattenendo diversi colloqui privati con i membri della leadership di Partito. Come raccontò Mlynář, il sovietico era solito abbordare i propri interlocutori con domande generiche, in discussioni apparentemente innocue, salvo poi giungere a domande dirette su giudizi personali a riguardo di determinati personaggi politici. Spesso si trattava di “cosa ne pensassero” di Dubček, di Indra, di Brežnev373.

Pronti resoconti di tali discussioni venivano poi spediti a Mosca, dove venivano prontamente “giudicati”374.

Nei primi giorni di settembre il nuovo Presidium, cioè allargato a membri eletti dal XIV Congresso, si riunì per decidere l'indirizzo politico. Spaček sottolineò l'importanza del cercare di mantenere la fiducia della popolazione, e propose che il vertice del Partito inviasse ad ogni sua sezione un documento in cui venivano spiegate le ragioni che stavano dietro la firma del Protocollo di Mosca, e come questo avesse rappresentato l'unica soluzione per uscire dalla crisi. Controllando l'informazione e l'interpretazione dell'esito delle trattative, il Partito avrebbe potuto prevenire possibili conflitti; la proposta fu accolta375. Altra nota di rilievo della riunione fu lo scontro tra Husák e Smrkovsky sul

tema della “paura degli arresti” che aveva invaso il Paese. A centinaia ogni giorno i cecoslovacchi che si era impegnati nella resistenza valicavano i confini in fuga da possibili purghe376. Husák consigliò la creazione di un'unità speciale del Ministero degli

372 Goldstücker, Eduard, Da Praga a Danzica, op. cit. pag. 133.

373 Mlynář indica ad esempio un suo colloquio con Kutnetsov come uno dei motivi della sua esclusione politica. In una discussione “amichevole” gli fu chiesto un parere sul compagno Indra, in quel periodo a Mosca; egli rispose che, per lui, Indra poteva ben rimanere a Mosca: “il viso di Kutnetsov, che non era

mai molto piacevole nemmeno nei tempi migliori, raggelò.” in Mlynář, Zdeněk, Nightfrost in Prague: the end of the humane socialism, op. cit. pag. 249

374 Ibidem.

375 Williams, Kieran, The Prague Spring and its Aftermath: Czechoslovak Politics, 1968-1970, op. cit. 376 L'emigrazione di diverse migliaia di persone fu una sconfitta per la resistenza popolare ed al tempo

stesso un forte aiuto per la normalizzazione di Dubček. I primi esponenti dei gruppi politici fuori dal Partito comunista, come i leader del Partito socialdemocratico, del KAN e del K-231, fuggirono negli

Interni per bloccare l'emorragia di lavoratori, mentre Smrkovsky ribatté che bisognava semplicemente apparire in televisione (possibilmente dovevano essere Dubček o Svoboda) e chiarire che i soldati stranieri non avrebbero arrestato nessuno377. La seconda

proposta vinse, ma è da sottolineare la completa differenza di “tattica” tra i due nei rapporti con la popolazione. Era il primo segnale di un'imprevista divisione nella posizione unitaria della dirigenza, falla nata dalla capacità politica di Husák di emergere nello scontro conservatori/riformisti. Egli sembrò l'unico a saper interpretare correttamente la nuova situazione, riuscendo di conseguenza a ritagliarsi un ruolo dominante, tanto da diventare il leader indiscusso nei vent'anni successivi.

Il mese di settembre passò in un'atmosfera di attesa, in cui la maggioranza della popolazione rimase ferma nel suo sostegno al Primo Segretario. Sulla stata equestre di Jan Hus nel centro cittadino, rimanevano i ritratti di Dubček, Smrkovsky, Svoboda, oltre ai messaggi di sostegno appesi nella settimana d'invasione. Sebbene i soldati sovietici fossero ancora in patria, con la conseguente pressione e minaccia costante378, era anche

vero che i dirigenti del post-gennaio erano rientrati sani e salvi al loro posto. Inoltre, la Cecoslovacchia dell'autunno 1968 restava una delle società più libere dell'orbita socialista, senza persecuzioni per opera dei servizi di repressione, con una viva attività culturale e, nota importante, con un processo in corso di decentramento del potere sia politico (lo Stato si stava trasformando in una federazione tra cechi e slovacchi) che economico, con la permanenza dei consigli operai nelle fabbriche.

La situazione ebbe una svolta decisiva in ottobre, mese in cui si chiarì il distacco tra le aspettative popolari e le reali prospettive politiche della dirigenza. Il 3 ottobre ci fu un meeting a Mosca, cui furono “invitati” solo Dubček, Černík e Husák. I sovietici chiesero espressamente un incontro a tre con questi nomi, sebbene Husák non avesse una carica politica tale da spiegare la sua immissione nella delegazione. In sostanza, Brežnev non era soddisfatto delle politiche attuate da Praga: bisognava estromettere i dirigenti responsabili dell'indebolimento del PCCS, criticare gli errori del passato e dare una

ultimi giorni di agosto per paura di ritorsioni; conseguentemente questo aiutò a tenere basso il tenore delle proteste di settembre, prevenendo le pur legittime critiche al ritorno della repressione. Anche esponenti di alto calibro del mondo della cultura – e del Partito stesso – come Eduard Goldstücker decisero di lasciare il Paese.

377 Williams, Kieran, The Prague Spring and its Aftermath: Czechoslovak Politics, 1968-1970, op. cit. 378 La paura dei soldati sovietici veniva amplificata dai delitti che più volte i militari stranieri commisero

nelle settimane dopo l'invasione; diversi furono i casi di stupri, rapine, sparatorie accidentali dovute a soldati ubriachi, ed altri episodi del genere. Inoltre furono diverse le segnalazioni di arbitrari arresti da parte delle forze di occupazione (secondo Williams ci furono 172 arresti nella prima metà di settembre). Williams, Kieran, The Prague Spring and its Aftermath: Czechoslovak Politics, 1968-1970, op. cit.

nuova stretta al vertice. A questo scopo c'era bisogno di allontanare personaggi come Smrkovsky e Mlynář (che ricordo era colui che aveva fisicamente scritto il Programma d'Azione). Husák fu subito d'accordo con i sovietici, e Černík si disse disposto a muoversi in questo senso. Dubček dal canto suo risposte in maniera debole, evasiva, tentando di spostare l'attenzione sul ritiro delle truppe, punto su cui Brežnev gli fece capire come un totale ritiro fosse irrealizzabile. Dagli incontri di Mosca si vede come Černík fosse divenuto il primo importante dirigente a tentare un approccio diverso dopo l'agosto; cominciò a schierarsi al fianco di Husák, comprendendo bene che quest'ultimo era la chiave per restare al potere. Dubček fu messo in minoranza, ma l'incontro si concluse senza impegni precisi379.

Dieci giorni dopo Černík tornò a Mosca, da solo, per discutere del ritiro delle truppe. La tattica dei sovietici fu quella di far passare un possibile patto come una questione tra governi, più burocratica che politica; il Primo Ministro cecoslovacco si prestò a questa visione, accordando con i sovietici una temporanea permanenza di circa 100mila unità straniere. Il 14 ottobre Kosygin, il Maresciallo Grechko (il Ministro della Difesa sovietico) e Černík si presentarono da Svoboda chiedendogli di firmare il patto; il Presidente non oppose resistenza. Con questa preparazione, il governo cecoslovacco sottopose il trattato alla ratifica dell'Assemblea Nazionale. Dubček ammise in seguito di aver chiesto un voto favorevole “per ragioni di tattica politica”, temendo una nuova ondata repressiva sovietica380 (la presenza del Maresciallo Grechko a Praga era una

voluta intimidazione); allo stesso tempo però non protestò per il balzo in avanti compiuto da Černík. In maniera analoga si comportò Smrkovsky, la cui parola di Presidente avrebbe avuto certamente un peso per il parlamento. Il 18 ottobre l'Assembla Nazionale, messa così alle strette, approvò il trattato. Solo quattro deputati votarono contro; tra questi, ancora una volta, l'integerrimo František Kriegel.

Il voto sulla permanenza delle truppe straniere fu accolto come uno shock dalla popolazione; questa si sentiva tradita dai propri leader. Non passò molto tempo dalle prima manifestazioni di protesta. Il 28 ottobre, cinquantenario della nascita della Repubblica cecoslovacca, diversi gruppi, in maggioranza giovani, gridarono il proprio dissenso per le vie di Praga. I manifestanti, circa 4 mila, si concentrarono in serata davanti al Teatro Nazionale, dove Dubček e Svoboda seguivano un'opera celebrativa. La polizia intervenne per disperdere la folla, usando i manganelli per la prima volta dalle

379 Ibidem.

manifestazioni studentesche dell'autunno '67, esattamente un anno prima, nel regime di Novotný. Dieci giorni dopo, il 7 novembre, durante le celebrazioni della Rivoluzione d'Ottobre, diversi studenti bruciarono bandiere sovietiche. Circa 6 mila manifestanti si radunarono a Praga nella centrale Náměstí Republiky (Piazza della Repubblica), ed anche qui i poliziotti dovettero usare manganelli e lacrimogeni per disperdere la folla381. Alla

sera oltre cento ragazzi furono arrestati382.

Dubček tentò allora di bloccare l'ondata di proteste sforzandosi di parlare in pubblico il più possibile, attraverso i media ed attraverso diverse visite nel Paese. Tenne discorsi a studenti ed operai, cercando di convincergli della necessità di assecondare alcune richieste sovietiche, per avere in cambio la possibilità di continuare la via intrapresa nel gennaio. Sfruttando la fiducia ed il sostegno di cui egli godeva fra la popolazione mentre la situazione si normalizzava secondo i loro desideri, i sovietici utilizzarono Dubček mentre preparava egli stesso il terreno per l'inevitabile e definitiva sostituzione383.

Alle sue parole puntualmente non seguirono i fatti: l'incontro del Presidium del 16 novembre discusse le critiche sovietiche sulla lentezza nell'attuazione del Protocollo di Mosca. Il risultato fu la votazione di un documento nel quale veniva condannato “l'opportunismo destrista” di alcuni politici all'ombra delle riforma; pur senza far nomi, era evidente che si preannunciava un ricambio della classe dirigente. Conseguentemente, Zdeněk Mlynář, sentitosi chiamato direttamente in causa come “architetto delle riforme”, rassegnò le proprie dimissioni come segretario del Comitato Centrale384.

Tentando di giocare un'ultima carta per invertire la direzione repressiva della normalizzazione, in una riunione privata tra riformisti Mlynář consigliò a Dubček di dimettersi dal ruolo di Primo Segretario; Smrkovsky, Spaček e Šimon erano d'accordo anche loro nel dimettersi dai propri ruoli in segno di protesta. Ma Dubček contestò l'idea di Mlynář, temendo al contrario che si instaurasse un nuovo regime più conservatore e repressivo; Dubček infatti non era di un parere così negativo come gli altri sul futuro politico del Paese: continuava ad essere convinto di poter gestire la situazione385.

Ma la risoluzione di condanna dell'opportunismo destrista fu recepita dalla popolazione come un'ulteriore passo indietro; il malcontento sfociò in nuove manifestazioni di

381 Williams, Kieran, The Prague Spring and its Aftermath: Czechoslovak Politics, 1968-1970, op. cit. 382 I manifestanti erano in maggioranza giovanissimi, tra i quindici ed i venticinque anni. Come

nell'autunno 1967, anche nell'autunno 1968 furono gli studenti i primi a scendere in piazza.

383 Boserup, Anders e Mack, Andrew, L'occupazione della Cecoslovacchia nel 1968, in Roberts, Adam, Boserup, Anders e Mack, Andrew, Cecoslovacchia 1968, Napoli, Ipri – Loc – Mir, 1978

384 Mlynář, Zdeněk, Nightfrost in Prague: the end of the humane socialism, op. cit. 385 Ibidem.

protesta, in cui agli studenti si unirono gli operai; un nuovo sciopero di quindici minuti fu effettuato in maniera pressoché unanime dai metalmeccanici. Se le proteste prolungate degli studenti – diverse università furono occupate – preoccuparono i dirigenti riformisti per la caduta di consensi, le proteste portate avanti dai sindacati riuniti RTUM smossero forti paure per una crisi generalizzata in un momento molto delicato per il Paese. A fronte di ciò, a metà novembre il governo firmò con i sindacati un accordo sul mantenimento dei salari e dei prezzi, nonché evitò di bloccare le forme di autogestione lanciate nel programma d'aprile, come i consigli operai. Placata la protesta operaia, quella studentesca si esaurì nel giro di poco tempo, senza raggiungere alcun risultato completo, se non la forte delusione della gioventù cecoslovacca386.

Nel frattempo lo Stato cecoslovacco prendeva una nuova forma, dal primo gennaio la Repubblica sarebbe diventata una federazione. Per porre su un piano di parità la struttura partitica, si affiancò al Partito Comunista Slovacco un Ufficio Ceco: la confluenza di questi due avveniva nel PCCS – in tal modo si tentava di evitare la supremazia boema sul Partito, inaugurando una formale equità. A capo del gruppo ceco del Partito fu messo Lubomir Štrougal, uno stretto alleato di Černík che riuscì a trovare il giusto spazio tra questi e Husák, mettendo ancora una volta all'angolo il gruppo, ormai ristretto, di Dubček e Smrkovsky. Il nuovo eletto ebbe modo di farsi notare dai sovietici in un incontro di dicembre nel quale fu invitato insieme a Dubček, Černík, Svoboda e Husák. Dopo un rapporto della situazione, Štrougal disse che era giunto il momento “di mettere i nostri problemi personali in ordine, specialmente al livello distrettuale e locale”387. La proposta

fu apprezzata da Brežnev, ma colse di sorpresa Dubček. Husák e Svoboda si mostrarono d'accordo, Černík rimase passivo; le proteste di Dubček furono ancora una volta deboli, ed isolate. Parte della dirigenza era ormai concorde sull'epurazione di diversi quadri politici.

Significativo esempio della nuova tendenza politica, fu un intervento televisivo di Husák durante le feste natalizie. Con un calcolo molto più politico che matematico, egli notò come delle quattro più alte cariche dello Stato (Presidenza della Repubblica, Primo Ministro, Primo Segretario e Presidente dell'Assemblea Nazionale) i cechi fossero in maggioranza per 3 a 1. Conseguentemente, egli consigliò che il Presidente della nuova Assemblea Federale fosse slovacco. Era dunque un diretto attacco a Smrkovsky, da sempre mal voluto dai dirigenti sovietici. Negli stessi giorni la stampa di propaganda

386 Williams, Kieran, The Prague Spring and its Aftermath: Czechoslovak Politics, 1968-1970, op. cit. 387 Dubček, Alexander, Hope dies last, op. cit.

sovietica in Cecoslovacchia – un periodico intitolato Zpravy – denunciava Smrkovsky come uno degli opportunisti che aveva indebolito il Partito nei mesi passati; allo stesso modo furono distribuite migliaia di copie di un pamphlet in cui Smrkovsky veniva definito “un politico dai due volti”388.

La campagna politica di vertice contro il Presidente dell'Assemblea ebbe un effetto boomerang sulla popolazione: diverse manifestazioni chiesero al contrario che questi non fosse deposto. Il 4 gennaio scese in campo nuovamente il sindacato dei metalmeccanici (che contava circa un milione di iscritti), minacciando uno sciopero nazionale nel caso in cui Smrkovsky fosse stato allontanato389. D'improvviso la questione della nomina divenne

un punto cruciale. Nel Presidium Husák sostenne la nomina di uno slovacco, giocando la carta del nazionalismo e minacciando contromisure se Smrkovsky non fosse stato allontanato. Svoboda intervenne dicendo che “ogni volta che c'era stato bisogno di raggiungere l'unità, questa si era raggiunta”390, schierandosi poi dalla parte “ragionevole”

di Husák. Dubček non riuscì a cambiare l'esito della discussione, mentre Černík reiterò l'allarme di un nuovo intervento sovietico se il movimento di protesta non fosse stato sedato. Alla fine Smrkovsky decise di sacrificare la sua posizione, ed allo stesso tempo di indirizzare un discorso alla nazione, chiedendo di mantenere la calma: era il 5 gennaio 1969. Un altro importante volto del nuovo corso era stato costretto ad allontanarsi, una