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I RISULTATI DELL'INTERPRETAZIONE

CAPITOLO 5. UNA NUOVA INTERPRETAZIONE

3. I RISULTATI DELL'INTERPRETAZIONE

L'applicazione dello schema teorico precedentemente illustrato ci ha permesso di precisare in che senso la rivoluzione cecoslovacca è stata una rivoluzione nonviolenta, oltre l’ovvio carattere non distruttivo delle azioni di difesa della popolazione di fronte agli invasori. In queste conclusioni valuterò i limiti nella adeguazione e nella validità dello schema utilizzato e alla fine, sempre come applicazione dello schema interpretativo, analizzerò i motivi del fallimento (o del mancato compimento) della rivoluzione.

Premetto ora una considerazione sui due aspetti fondamentali di quelle che abbiamo chiamato le motivazioni del popolo. La spinta verso il decentramento politico delle scelte, può anche essere intesa come “democratizzazione, o implementazione dei diritti umani”, cioè può essere assimilabile ad una caratteristica politica dell'occidente; ma questa valutazione è anche una forzatura, poiché abbiamo visto come le basi del cambiamento cecoslovacco differivano da un mero ritorno ai valori della democrazia borghese. Purtroppo è una forzatura frequentemente utilizzata dalla storiografia nelle comparazioni tra movimenti di protesta in contesti totalitari. Ad ogni modo, l’altra motivazione del popolo, a creare “l'umanesimo cecoslovacco”, lo sviluppo delle potenzialità di singoli e la scelta nonviolenta, rendono ancor più difficile l’inquadramento in categorie come “liberalismo”; questo perché siamo di fronte ad una prospettiva differente, una prospettiva riconducibile almeno in buona parte alla nonviolenza della liberazione indiana guidata da Gandhi; è una prospettiva quindi irriducibile a categorie totalmente occidentali. Tale prospettiva, nella nostra raffigurazione geometrica dei quattro MDS, è rappresentata dalla spinta verso il basso, verso la scelta IP, lo sviluppo delle relazioni interpersonali. In questo senso l’uso di categorie che considerassero una politica nonviolenta era inevitabile nel nostro caso storico.

I contenuti delle nove caselle dello schema qui presentato contribuiscono ad inquadrare secondo molteplici categorie interpretative la prospettiva politica innovativa del popolo cecoslovacco. Le prime due colonne dello schema ampliano il punto di vista tradizionale (rappresentabile con la sua ultima colonna, la rappresentazione oggettiva) rivelando la stretta relazione tra le rappresentazioni effettive e soggettive e quanto avvenuto nella Storia; viene dimostrata dunque la pertinenza della nuova interpretazione con gli avvenimenti raccontati.

socialismo-umanesimo-democrazia, notiamo come gli storici abbiano messo in evidenza

solo la tendenza democratica; in realtà quella suddetta caratterizzazione triangolare rappresenta esattamente l'A-B-C di Galtung. Questa convergenza permette di sottolineare che ciò che appare nei libri di testo è la visione oggettiva (B) della democrazia, ma manca l'interpretazione completa del conflitto in Cecoslovacchia, con le sue dinamiche motivazionali (A, il socialismo) e soggettive (C, l'umanesimo)477.

L'uso di uno schema interpretativo, però, deve necessariamente sintetizzare la realtà; della quale impone dunque una semplificazione. Così la semplificazione “popolo” include sicuramente una omogeneizzazione delle singole personalità che lo componevano. Tuttavia, dall'analisi dei dati storici, alcune categorie generali si sono rivelate effettivamente conciliabili con la realtà. Così un fenomeno ad esempio come lo

sc'veikismo, una delle voci utilizzate per sintetizzare la statica della rappresentazione

soggettiva (che racchiude quindi l'aspetto emotivo, interiore dei soggetti), si ritrova ampiamente nella descrizione della resistenza, dalle azioni beffarde alla non- collaborazione, dal sentimento di ostilità affiancato alla visione di un possibile cambio dell'opinione altrui. Così, innegabilmente, l'attitudine logica differente, volta a scardinare la visione “in bianco e nero” dell'attore sovietico, è una generalizzazione pertinente con il popolo di quel tempo, dalle associazioni per l'amicizia cecoslovacco-sovietica che inviavano lettere in russo agli ufficiali occupanti, alle esclamazioni di Svoboda prima di partire, “[riferito a Brežnev] gli aprirò gli occhi!” (ovvero, la mente). I cecoslovacchi comunicavano: “il nostro non è antisocialismo”, “la nostra non è una controrivoluzione”478; la doppia negazione non-non-socialismo non rispecchiava l'idea-

tipo di socialismo dell'URSS; lo stesso per il concetto di rivoluzione di quest'ultima. Così, il sentire personale della popolazione in riferimento alla democrazia socialista, non è valutabile – così come è stato fatto più volte – come l'allontanamento dai valori socialisti dietro un “velo opportunistico” del supporto al Partito; seppur alcune minoranze

477 L'A-B-C è l'indicazione di un conflitto espresso nelle sue componenti propositive; è la base teorica per una gestione nonviolenta dei conflitti. Ne consegue dunque che lo slogan socialismo-umanesimo-

democrazia è l'espressione sintetica della direzione nonviolenta della politica cecoslovacca.

478 Affermazioni in questo senso furono usate più volte dai cecoslovacchi per rispondere alla accuse lanciate loro da Mosca o dalle altre capitali filosovietiche; alcuni esempi sono riportati nel resoconto delle trasmissioni radiofoniche clandestina fatto da Wechsberg; il 24 agosto uno studente dichiarava seccamente “Qui non c'è controrivoluzione!”, il 26 un vecchio partigiano leggeva una lettera ad un suo vecchio amico tedesco, in cui gli chiedeva “credi davvero che la nostra nazione ha voltato le spalle al

Socialismo? Che siamo controrivoluzionari, come dicono i tuoi giornali? Riesci a realizzare che la popolazione è interamente dietro a Dubček? Quando un popolo intero riscopre la propria vera anima,

questa non è una controrivoluzione. Se riesci a credermi, dì a tutti la verità, ed aiutaci in questo

momento terribile. Torna indietro amico mio, ma senza armi, e sarai accolto a braccia aperte.”

– come i gruppi K-231 e KAN – provarono a mettere in discussione le fondamenta socialiste, non è errato a mio avviso sostenere che la grande maggioranza della classe operaia e del popolo fecero proprie le aspirazioni di una effettiva riforma dell'idea di comunismo, ma non del suo abbandono. Questo è dimostrato dalle parole degli slogan sui muri (Lenin, svegliati!), dagli articoli dei giornali (il fiorire delle discussioni sull'umanesimo socialista), dalle azioni di supporto e fiducia nel Partito stesso. Trovo perciò che l'inserimento di tali slogan e giudizi nell'appendice della mia tesi, per quanto sintetici essi possano apparire, offra una cartina al tornasole efficace; le manifestazioni del comune sentire del popolo cecoslovacco si adattano in maniera positiva alla rappresentazione soggettiva dello schema, che così evidenzia quella che ho precedentemente definito la visione innovativa rispetto alla politica tradizionale. La contrapposizione dualistica vista dall'attore URSS come rivoluzione/controrivoluzione trovava una terza via nel popolo cecoslovacco. Possiamo sintetizzare l'approccio al conflitto di quest'ultimo come un approccio both/and di Galtung, ovvero per una società sia umanista (sviluppo personale, conforme ai desideri dell'attore Popolo) sia socialista (conforme ai motivi politici originari dell'attore URSS); quindi una trascendenza positiva del conflitto, raggiungibile con un modello di risoluzione dei conflitti nonviolento da parte del popolo e della dirigenza cecoslovacca479.

L'uso dello schema interpretativo sembra dunque averci dato la possibilità di definire in maniera più dettagliata e approfondita gli eventi raccontati. Tuttavia, tenendo ben presente della complessità di un evento quale una rivoluzione (e a maggior ragione di una RNV, che evita il tradizionale scontro armato per dar luogo ad una serie di nuove interazioni), dei problemi interpretativi rimangono aperti; ho già detto che, per adattare la realtà storica allo schema, c'è bisogno di una sua semplificazione; da essa è derivato che l'attore che ha agito in maniera più ambigua, e quindi richiederebbe più attenzione, è però risultato il più difficilmente sintetizzabile: la conduzione nel conflitto da parte dell'attore Stato-Partito è stata semplificata adeguando in maniera alterna la rappresentazione dei suoi componenti in favore del Popolo come in favore dell'URSS. Il lancio delle riforme politiche così come l'organizzazione del Congresso clandestino identificano lo Stato- Partito negli interessi del Popolo; le trattative di Mosca e l'azione dei politici collaborazionisti lo spostano invece nell'azione dell'URSS. Conseguentemente, per avere

479 È opportuno notare che, a proposito della trascendenza positiva dei conflitti, che possa dunque garantire una trasformazione in termini di sia/sia (both/and) per gli attori in conflitto, Galtung sostiene che questa è ottenibile esclusivamente attraverso un metodo di risoluzione nonviolento. Galtung, Johan and Scott, Paul, Democracy, Peace, Development, op. cit.

un'interpretazione più completa bisognerebbe prendere in esame, in un gioco di scatole cinesi, il conflitto interno dell'attore in questione. Occorrerebbe ripetere dunque il procedimento di analisi ridefinendo un nuovo contesto, quello comprendente istituzioni dello Stato e PCCS, ed estrapolando gli attori principali di questo metaconflitto (ad esempio i delegati del Congresso ed i collaborazionisti sarebbero i due attori più distanti, tra i quali andrebbero inseriti il gruppo di dirigenti riformisti, la polizia, l'esercito). È probabile che un'ulteriore analisi di questo genere garantisca ulteriori interpretazioni delle dinamiche descritte, anche se il rovescio della medaglia di questa operazioen è che quanto più è ristretta l'analisi quanto meno è possibile dare interpretazioni che si riferiscano per intero alla società cecoslovacca.

Cerco ora di dare un'interpretazione dell'epilogo storico di quanto studiato: di fatto la RNV (sicuri adesso di poterla definire in questo modo) non poté giungere ad un compimento, ovvero non riuscì ad impedire il ritorno della struttura politica comunista post-totalitaria. Il suo modello di risoluzione both/and non fu accettato dai sovietici, che imposero il loro (either/or, la dominazione dell'uno sull'altro).

A fronte di quanto è stato detto, la mia interpretazione è che la causa del fallimento della RNV cecoslovacca sia individuabile nell'incapacità di avvicinare maggiormente il MDS voluto dalle sue strutture politiche di base e cercato dallo Stato-Partito: tornando al precedente schema teorico, notiamo che il modello a cui tendeva il movimento cecoslovacco era un MDS rosso-verde – ed a questo proposito la freccia termina esattamente sul confine tra le aree dei due modelli. Il fallimento è avvenuto perché, sebbene la Cecoslovacchia del 1968 si sia spostata al seguito delle sue scelte verso gli estremi OP ed IP, non è riuscita soprattutto superare la struttura gerarchica dello Stato- tipico del modello sovietico. Parafrasando Pelikan, non è riuscita a liquidare il potere

burocratico e centrale480. Su questo punto si possono addurre diversi motivi. Ovviamente

la decentralizzazione di una struttura centralizzata è un'azione politica radicale e tanto più era difficilmente attuabile nella Cecoslovacchia del 1968, anche perché un punto fondamentale della Primavera è stata la vicinanza e la solidarietà creatasi tra il popolo e la dirigenza di proprio quelle istituzioni. È perciò difficile immaginare che il popolo riuscisse ad attuare riforme sociali con l'imporsi o l'escludere politicamente il carismatico gruppo dirigente, pur vedendolo come un fedele alleato. Infatti Si può anche pensare, come scrisse Zdeněk Mlynář, che l'intera struttura statale resistente all'aggressione

sovietica – ed in particolar modo il Congresso Straordinario nella fabbrica di Visočany – non fu altro che un'istituzione temporanea di potere popolare in attesa che la vera dirigenza politica tornasse da Mosca.

Occorre aggiungere inoltre che un altro motivo ostativo proveniva dalla stessa ideologia politica nonviolenta. Il MDS a cui tendeva la rivoluzione, nella misura in cui mutuava il MDS nonviolento, non aveva risposte al problema di quale Stato e quale organizzazione istituzionale darsi481. Tanto più che il movimento cecoslovacco giunse a tale ideologia in

maniera spontanea.

Ad ogni modo sottolineo come il poco tempo della occupazione, prima del ritorno del gruppo di Dubček, di sicuro non poté permettere alla popolazione di formare una nuova leadership, dal basso, la quale avrebbe ulteriormente spostato la società cecoslovacca lungo la diagonale nel disegno dei modelli di sviluppo; e garantito dunque una prospettiva politica ancora più nuova, ancora più “rivoluzionaria”.

481 Né ci furono mai esempi dal passato: lo stesso Gandhi, dopo la vittoria, si ritirò nella sua capanna. Anche nelle altre rivoluzioni nonviolente (comprese quelle del 1989) il dopo-rivoluzione non ha mai dato luogo ad una struttura politica che fosse stata suggerita dalla popolazione che aveva combattuto nonviolentemente.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

È giunto il momento di tirare le somme.

Nella prima parte di questa tesi ho tentato di ricostruire la storia del 1968 cecoslovacco, per quanto mi era possibile, con semplicità e coerenza. Ho prediletto un approccio cronologico “puro”, analizzando gli eventi mese per mese e, per quanto riguarda l'invasione, giorno per giorno; lasciando al lettore la necessaria congiunzione tematica tra quanto avveniva in gennaio e quanto accadeva in maggio, o in agosto.

Ho già evidenziato dei limiti che ho dovuto pormi, da una parte per amor della sintesi, dall'altra per l'impossibilità di trovare fonti adatte. Alla prima corrisponde la scelta di concentrarmi esclusivamente sulle questioni interne alla Cecoslovacchia, con l'unica finestra aperta sui vertici del Patto di Varsavia. Gli accenni alle reazioni popolari negli altri Paesi dell'orbita socialista (come quanto detto per la Polonia nei primi mesi del '68) sono perciò limitati. È però doveroso sottolineare che un'analisi di questi riverberi delle politiche libertarie in Cecoslovacchia potrebbe sicuramente essere funzionale non solo ad una più completa contestualizzazione storica, ma anche ad una migliore comprensione di quello che in sede interpretativa abbiamo definito come attore politico “URSS”; ovvero per una migliore comprensione dei conflitti “silenziosi” presenti nei sistemi comunisti europei, sistemi che Havel ha descritto come post-totalitari. Così da spiegare, per reazione a temuti sviluppi interni, gli atteggiamenti “guerriglieri” di personaggi come Ulbricht, Gomulka, Shelest, Andropov482; spiegazioni che ho lasciato anche qui alla

deduzione del lettore.

Ad ogni modo vediamo se quanto detto è bastato a rispondere alla prima serie di domande che ho posto all'inizio di questa tesi; le ricordo: che cosa indusse i sovietici ad

aggredire un proprio alleato? Cosa c'era dietro l'accusa di contro-rivoluzione? I cecoslovacchi avevano davvero tentato di abbandonare il campo socialista, come i loro vicini ungheresi dodici anni prima? A fronte di tutto quello che ho raccontato, possiamo

notare come le risposte a queste domande si completano l'un l'altra: i sovietici intervennero per mantenere il totale controllo politico ed ideologico del Paese, accusando i cecoslovacchi di condurre una contro-rivoluzione per disconoscere, screditare e

482 Ricordo che questi personaggi erano, rispettivamente, il segretario del Partito comunista della DDR, il segretario del Partito comunista polacco, il segretario del Partito comunista ucraino ed il direttore del KGB, i servizi segreti sovietici.

mistificare la via cecoslovacca (dal volto umano) al socialismo (che quindi non metteva in discussione l'appartenenza della Cecoslovacchia al campo socialista).

La seconda serie di domande poneva invece l'accento sulle reazioni all'invasione: come

reagirono i cecoslovacchi all'invasione militare del proprio Paese? Nello specifico: ci fu una guerra partigiana? Ci fu chi si schierò a favore dell'invasione? Il punto cruciale del

mio racconto è stata la resistenza nonviolenta del popolo cecoslovacco, che risponde in maniera netta alle prime due domande. La terza pone in risalto le contraddizioni al centro dell'élite politica, la piccola breccia aperta nella resistenza del Paese. I collaborazionisti furono una minoranza ben identificata dagli stessi cecoslovacchi; più difficile fu per loro evidenziare da subito le responsabilità e le colpe di chi, tra gli alti quadri politici, sfruttò a proprio favore (e ben lungi dagli interessi del popolo) l'intervento sovietico, come Husák, Svoboda, Štrougal.

Tuttavia a riguardo della settimana di invasione il mio studio ha aperto nuovi quesiti, a mio avviso interessanti. Ho tentato di recuperare il massimo delle informazioni a riguardo, ma ho verificato la non completezza di queste, il che rimanda essenzialmente alla scarsa attenzione pagata dagli storici alla resistenza nonviolenta. Così ancora oggi non abbiamo risposte certe su fatti oggettivi – ed in teoria oggettivamente verificabili: perché ad esempio i sovietici non sono intervenuti per bloccare i lavori del Congresso nei capannoni delle fabbriche di Visočany, una volta scoperto? Per quale motivo l'Unione Sovietica ha dato il via ad una gargantuesca operazione militare salvo poi farsi beffare a missione compiuta da oltre mille delegati provenienti da più di metà del Paese?

Va sicuramente sottolineato a questo punto come la forza della resistenza nonviolenta cecoslovacca fu proprio nel sorprendere la controparte sovietica. Questi non si aspettavano né che il piano di vertice fallisse né che la popolazione reagisse in maniera così compatta ed efficace. I sovietici furono così sorpresi dal XIV Congresso Straordinario, tanto che non riuscirono a bloccarne la condanna politica; furono sorpresi dalla struttura comunicativa clandestina cecoslovacca, tanto che non riuscirono ad instaurare una struttura comunicativa propria nel Paese prima del 25 agosto (quinto giorno di occupazione) senza comunque riuscire ad interrompere le trasmissioni della radio clandestina cecoslovacca; furono sorpresi dalla reazione di alcuni dei propri soldati e ufficiali; furono sorpresi infine dalle strutture repressive dello Stato cecoslovacco, che si schierarono con il popolo e non con il potere sovietico.

cecoslovacca colse l'impreparazione non solo dei sovietici, ma anche dei protagonisti politici cecoslovacchi, così come degli interpreti storici degli anni a venire.

Ciò che salta subito agli occhi è il piccolo numero delle interpretazioni degli avvenimenti. Perciò ho definito l'invasione e la resistenza come uno shock intellettuale dei dirigenti cecoslovacchi nell’interpretare la realtà; se negli anni successivi i grandi dirigenti pensarono in prima istanza a difendere la giustezza delle proprie azioni e delle proprie aspirazioni per un socialismo “dal volto umano” – così le memorie di Dubček, Smrkovsky, Goldstücker, Hajek, ed in parte Mlynář –, da quanto ho studiato mi risulta che fu solo Pelikan, al tempo direttore della televisione, ad incentrare la propria analisi sulle effettive prospettive rivoluzionarie di quanto era stato, in particolare con la svolta autogestionaria del socialismo cecoslovacco.

Dal canto suo Il mondo accademico ha reagito in maniera “prevedibile” al compito di studiare questo evento storico cruciale, cioè rispettando i canoni tradizionali della storia politica; in breve, evitando un'attenta disquisizione delle conseguenze sul popolo e sulla classe operaia di quanto avveniva tra le élite politiche. Preziosi sono stati dunque i suggerimenti interpretativi dati dagli studiosi che in quegli anni andavano specializzandosi nel campo ideologia nonviolenta: Roberts, Sharp, Ebert. Tuttavia va notato come a quella spinta iniziale è mancata, negli ultimi anni (e clamorosamente dopo il 1989, quando la prospettiva nonviolenta ha mostrato al mondo le proprie capacità) una più approfondita riflessione sul movimento del '68483.

Da quanto detto, e quanto studiato, ne deriva che sulla Primavera di Praga non è ancora stato trovato un giudizio condiviso; e perciò ho trovato lo spazio per poter dare una mia interpretazione sulla rivoluzione nonviolenta cecoslovacca. Grazie all'analisi del quinto capitolo ho descritto come il popolo, grazie al periodo iniziale di riforme politiche ed economiche volute dalla nuova dirigenza, riuscì ad acquisire gli strumenti teorici (la condivisione della verità) e pratici (la libertà d'espressione, l'autogestione operaia) per condurre tale rivoluzione. Così che la resistenza nonviolenta del popolo cecoslovacco all'invasione militare fu il risultato naturale della Primavera di Praga; questa però, come detto, non riuscì poi a stabilizzare il cambiamento del proprio MDS.

483 Lo stesso Adam Roberts ha curato un volume (sicuramente utile al mio lavoro) con Timothy Garton Ash, pubblicato nel 2009, incentrato sullo studio delle difese civili e delle politiche di potere nell'ultimo secolo; tuttavia il paragrafo in relazione alla Primavera di Praga, curato dallo storico (anche qui più volte citato) Kieran Williams, si limita a delle comparazioni tra '68 ed '89 in Cecoslovacchia, senza un giudizio completo (né dell'uno né dell'altro), limitandosi a fornire un'interessante panoramica storica. Roberts, Adam e Garton Ash, Timothy (ed.) “Civil Resistance and Power Politics”, op. cit.

Un'altra considerazione è da porre sul metodo interpretativo utilizzato. Lo schema interpretativo è risultato essere efficace per una completa rappresentazione del conflitto da parte dell'attore popolo. Ha permesso di caratterizzare, con una visione poliedrica, la mia interpretazione della rivoluzione nonviolenta: in poche parole, lo schema ha

superato la prova ed ha fornito un risultato positivo, soddisfacente.

Comunque questo lavoro non si propone di essere una risposta completa ed esaustiva al deficit interpretativo sul '68 cecoslovacco; nella Storia non esistono interpretazioni definitive: al massimo, condivise. È piuttosto un primo tentativo, un suggerimento per un'ulteriore analisi delle (trascurate) rivoluzioni nonviolente.

APPENDICE I