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LUGLIO: GLI ACCORDI DI ČIERNA NAD TISOU

Il mese di luglio iniziò con lo stesso clamore sulle ormai famose duemila parole della fine del mese precedente. Josef Smrkovsky decise di pubblicare una risposta a titolo personale dal nome “Mille parole in risposta alle duemila”151 sul quotidiano praghese

Rudé Pravo del 5 luglio. L'autore precisava che l'articolo era stato scritto “per impulso

della coscienza e per il senso della responsabilità che sto portando (in qualità di presidente dell'Assemblea Nazionale) in nome di tutti”. Smrkovsky riconosceva la lealtà e l'impegno civile degli autori delle duemila parole, ma li accusava di un certo “romanticismo politico”, derivante da un'analisi poco attenta della realtà e delle forze contrastanti presenti nel Paese,

Romanticismo consistente, fra l’altro, nel convincimento che l’appello astratto a “rifiutare le maniere illegali, indecorose e grossolane” abbia maggior forza dell’invito concreto alle dimostrazioni, al boicottaggio e così via, che hanno in sé una carica elementare di illegalità, indecorosità e non-umanità; romanticismo consistente nella mancata valutazione di come – purtroppo – si leggono da noi i giornali, di come parole, anche singole, siano capaci di nascondere il senso voluto dall’autore. Romanticismo consistente, penso, nella mancata valutazione della distanza che spesso divide le intenzioni dai risultati possibili.152

La risposta dei dirigenti cecoslovacchi (che pure si basava – per una certa realpolitik – su una esclusione della critica interna) poté calmare le acque in patria, ma le critiche oltre confine non si placarono. Anche perché era stata una risposta di metodo, senza nessuna azione coercitiva per “redimere” la stampa; in definitiva era stata una reazione nello stile di Dubček, mentre Mosca chiedeva da tempo una reazione parallela alle pratiche sovietiche di gestione dell'opinione pubblica. L'eresia cecoslovacca doveva terminare. Il Politburo sovietico si era incontrato nella notte tra il 2 ed il 3 luglio, con la Cecoslovacchia come topic del discorso; fu decisa la convocazione di un nuovo meeting dei Paesi del Patto di Varsavia che si erano incontrati a Dresda, al più presto possibile (indicativamente verso il 6 o 7 di luglio)153. Nella lettera che il 4 luglio Červonenko

recapitò a Dubček vi fu per la prima volta la parola “normalizzare”; il PCUS chiedeva che la società cecoslovacca tornasse nelle mani del Partito e che la sperimentazione

151 Come il Manifesto delle duemila parole, anche le Mille parole di Smrkovsky sono state tradotte e pubblicate in eSamizdat, Maledetta Primavera – il 1968 a Praga, anno 2009, num. VII.

152 Ibidem, cit. pag. 376.

democratica avesse fine. I sovietici si spingevano a mettere in guardia la leadership cecoslovacca dalla presenza di forze controrivoluzionarie ormai all'interno del Partito stesso, e promettevano dal conto loro “tutto l'aiuto necessario”154. Altre lettere dal

contenuto simile (i toni erano più aspri nella lettera tedesca e più moderati in quella ungherese) giunsero tra il 4 ed il 5 luglio dalle altre quattro capitali coinvolte: Berlino, Varsavia, Budapest e Sofia. La “tregua” stipulata con Kosygin a maggio era finita. Dubček prese tempo con Brežnev, che proponeva un incontro per domenica 7 luglio, dicendo che il Presidium non poteva riunirsi prima di lunedì 8. Fu proposta la data del 10 luglio a Varsavia.

Il Presidium cecoslovacco analizzò la proposta dell'incontro a sei e la maggior parte dei membri si trovò d'accordo nel rifiutare l'invito. La sensazione era quella di doversi presentare ad un tribunale, e molti fecero un parallelo tra la situazione presente e l'espulsione della Jugoslavia dall'orbita sovietica dopo il 1948; anche il gruppo conservatore non era unito, e solo Bil'ak, Kolder e Kapek erano favorevoli alla partecipazione al meeting. Il Presidium dell'8 raggiunse cinque punti programmatici:

1. fu raggiunto l'accordo sull'impreparazione del Partito per un incontro multilaterale

e si richiedevano piuttosto incontro bilaterali con tutti i Paesi socialisti europei (ovvero con la presenza di Romania e Jugoslavia),

2. il Partito avrebbe offerto la partecipazione come osservatori esterni a delegazioni

dei Partiti Fratelli durante il prossimo Congresso,

3. non avrebbero reso pubbliche le lettere dei Cinque per evitare polemiche, 4. una lettera di risposta al Politburo doveva essere scritta e per finire

5. alcuni delegati (Černík, Smrkovsky, Lenárt e Mlynář) avrebbero studiato misure

contro le deviazioni destriste ed i movimenti controrivoluzionari.155

Černík portò la risposta del Presidium all'ambasciatore sovietico Červonenko, che non nascose la sua contrarietà a quanto deciso dai cecoslovacchi: stavano commettendo un grave errore. Mosca ripropose un incontro multilaterale per domenica 14 luglio e nuovamente il Presidium (il 12) mantenne salda la sua posizione di non partecipare prima di aver effettuato incontri separati. Il 13 luglio sera Černík e Dubček incontrarono Kádár al confine ungherese156: quest'ultimo cercava di convincere i dirigenti cecoslovacchi

(probabilmente su mandato di Brežnev) a partire per Varsavia: inaspettatamente per i

154 Ibidem. 155 Ibidem.

cecoslovacchi, il meeting si sarebbe dunque tenuto il giorno successivo anche in loro assenza.

7.1 L'erosione della fiducia sovietica (e dei Partiti Fratelli)

Un capitolo del saggio più volte citato di Kieran Williams. The Prague Spring and its

Aftermath, si intitola The erosion of Soviet trust, l'erosione della fiducia sovietica. A

questa va aggiunta l'erosione della fiducia, o per meglio dire della complicità, dei Partiti comunisti degli altri Paesi del blocco orientale. Non bisogna dimenticare il contesto in cui Dubček riuscì a portare in pochi mesi il proprio Stato verso profondi processi di autogestione politica. I governanti dei Paesi satelliti che confinavano con la Cecoslovacchia avevano avuto a che fare con dei processi o manifestazioni di libertà democratiche, per lo più con esiti drammatici. Walter Ulbricht era Primo Segretario del Partito di Unità Socialista della Germania (SED, ovvero il Partito comunista della Germania Est) dal 1950, e ciò vuol dire che aveva fronteggiato il movimento degli scioperi del '53 (moti tra il giugno e luglio di quell'anno che causarono decine di vittime tra gli operai e centinaia di condanne) e aveva superato la seconda crisi di Berlino tra il 1958 ed il 1961, terminata tristemente con la costruzione del Muro al centro della città. Kádár era al potere in Ungheria direttamente dall'invasione sovietica del 1956 che stroncò il popolare governo di Imre Nagy, mentre questi tentava di portare l'Ungheria fuori dall'orbita socialista. Sempre nel 1956 la Polonia aveva conosciuto i moti di protesta partiti dagli operai di Poznan (repressi nel sangue dall'intervento del Generale sovietico Rokossovsky, allora Ministro della Difesa polacco) e Gomulka era salito al potere ponendosi come compromesso verso i sovietici.

In tutti i casi descritti il Partito Comunista di turno aveva agito nell'interesse della stabilizzazione del modello sovietico, solitamente con la repressione e con l'aumento del controllo dittatoriale. Solo in Polonia Gomulka aveva dovuto “sopportare” il dialogo con una Chiesa cattolica che rimaneva un'interlocutrice anche sotto il socialismo157; gli stessi

studenti polacchi furono, come già descritto, fautori di movimenti di protesta nella primavera del 1968 sulla scia degli eventi cecoslovacchi. La paura di un “contagio” delle aspirazioni democratiche da Praga alle proprie città mosse non solo l'Unione Sovietica ma l'intero blocco (ad eccezione della Romania) a decidersi per bloccare le politiche dei

157 Guida, Francesco, Il blocco sovietico negli anni Sessanta, in Guida, Francesco (a cura di), Era

riformisti di Dubček. Bisogna notare come in nessun caso fu critica la politica estera della Cecoslovacchia, che non era accusabile di voler lasciare il Patto di Varsavia (come invece aveva fatto Nagy nel '56): la lealtà di Praga al Patto fu ripetuta innumerevoli volte dai dirigenti, e la pericolosa concessione data dal PCCS di effettuare esercitazioni militari a giugno sul proprio territorio era un'ulteriore dimostrazione di fiducia. Le critiche mosse dai Paesi fratelli erano incentrate sugli affari interni cecoslovacchi. Ulbricht e Gomulka furono i più accesi oppositori di Dubček, tanto da arrivare a mettersi in ridicolo come per l'episodio dell'articolo sul Berliner Zeitung che rivelava carri armati americani in territorio boemo (ma come già detto, era parte di una scenografia cinematografica). Nelle sue memorie Dubček riporta come numerose volte Ulbricht non esitasse a degradare apertamente il processo di riforma; la prima volta fu a febbraio quando minimizzò le riforme di Šik come inutili (ma, afferma con ironia Dubček, “non ce ne preoccupammo minimamente: nessuno pensava che Ulbricht avesse avuto conoscenze economiche”158) e

nelle lettere di luglio Dubček segnò quella del tedesco come “insultante”. È molto probabile che i timori di Ulbricht venissero oltre che dalla vicinanza fisica dei due Stati anche dalle somiglianze abbondanti tra le due società, che erano al tempo quelle con i livelli di vita più alti tra i Paesi socialisti. Più ad est, gli spettri di Gomulka non potevano non essere stati richiamati dagli slogan già citati “Anche la Polonia aspetta il suo

Dubček” nelle manifestazioni di marzo, ma già durante la sfilata del primo maggio il

governo di Varsavia aveva ripreso saldamente in mano la situazione159.

Le reazioni degli ungheresi allo sviluppo cecoslovacco furono più distaccate rispetto agli altri paesi confinanti, e questo poteva spiegarsi con diversi fattori guardando alla storia recente e meno recente tra i due paesi. Prima di tutto la Cecoslovacchia era nata come già detto dallo smembramento dell'impero austro-ungarico, nel 1918; gli ungheresi contestarono da subito la geografia del nuovo Stato, richiamandosi alla presenza di numerosi ungheresi nei territori slovacchi160. Nella rivolta ungherese del 1956 i

cecoslovacchi rimasero in maggior parte indifferenti, mentre la leadership politica di Praga si schierava con l'invasione sovietica161. Quanto al Primo Segretario Kádár, egli fu

visto come un possibile alleato da Dubček sino a luglio, quando l'ungherese decise di

158 Dubček, Alexander, Hope dies last, op. cit. pag. 138.

159 Packovski, Andrzej, La Pologne et le Printemps de Prague, in Fejtö, François e Rupnik, Jacques (sous la direction de), Le printemps tchécoslovaque 1968, op. cit.

160 Dopo i Patti di Monaco del 1938 infatti l'Ungheria occupò la porzione più meridionale della Slovacchia, salvo poi perdere quei territori nuovamente nel 1945.

161 Kende, Pierre, Les quatre Hongries dans la crise de 1968, in Fejtö, François e Rupnik, Jacques (sous la direction de), Le printemps tchécoslovaque 1968, op. cit.

schierarsi tout court con gli altri quattro Paesi del blocco. Effettivamente Kádár era stato il più moderato ed il primo interlocutore di Dubček, ma non si spinse mai ad approvarne le riforme politiche; i tratti comuni e le differenze nella dirigenza dei due Paesi potevano venire anche dalla gestione economica: dal primo gennaio 1968 anche in Ungheria era partita una riforma che aveva dei tratti in comune con quella cecoslovacca, con la differenza di non avere implicazioni politiche e democratiche come a Praga162.

I Paesi del Patto non confinanti erano la Bulgaria e la Romania. Quest'ultima ormai era riuscita a ritagliarsi una presenza sui generis nell'alleanza militare, con una più ampia autonomia per la politica estera. Durante la Primavera il leader Ceauşescu indirizzò più volte segnali di apprezzamento ed incoraggiamento per Dubček, ma più in un'ottica diplomatica che per un vero interessamento ideologico. Nonostante il suo schierarsi “a favore”, la stampa rumena censurava i documenti politici cecoslovacchi (come ad esempio il Programma d'Azione) nello stesso modo in cui lo facevano i Paesi “contro”. Poco prima della riunione di Varsavia del 14 luglio, l'ambasciata sovietica a Bucarest comunicò una nota a Ceauşescu in cui venivano annunciate le critiche che dovevano essere proprie della Lettera dei Cinque di pochi giorni dopo; il rumeno rifiutò l'analisi fatta a Mosca di “pericoli controrivoluzionari” presenti in Cecoslovacchia e accusò gli altri Partiti di gravi ingerenze; la stessa posizione mantenne quando la lettera di Varsavia fu pubblicata, diventando per contro molto popolare in Cecoslovacchia163.

La Bulgaria di Živkov infine era per motivi geografici e storici più distante di altri dalla politica e dal popolo cecoslovacco, tuttavia da gennaio a giugno la stampa bulgara non criticò mai il nuovo corso cecoslovacco, mentre gli incontri diplomatici avvennero in uno stile asciutto e di dichiarata stima reciproca. In un incontro di fine aprile fu siglato un nuovo trattato d'alleanza a Praga tra i due Stati, e Živkov, che pure era stato presente a Dresda un mese prima, non mosse nessuna critica alla democratizzazione; Dubček notò causticamente che “Brežnev non era nei paraggi, così Živkov non sentì il bisogno di dire la sua”164. Tuttavia dopo il Manifesto delle duemila parole, i media di Sofia riportarono in

maniera pressoché uguale le critiche che apparivano sulla Pravda di Mosca.

La mattina del 16 luglio, due giorni dopo la riunione dei Cinque, arrivò a Praga una lettera indirizzata al Comitato Centrale cecoslovacco da parte dei Partiti che avevano preso parte al meeting di Varsavia. La sera stessa il Presidium del PCCS si riunì per

162 Ibidem.

163 Berindei, Mihnea, Ceausescu et la position singulière de la Roumanie en 1968, in Fejtö, François e Rupnik, Jacques (sous la direction de), Le printemps tchécoslovaque 1968, op. cit.

discutere del testo in questione, che indicava l'inizio di una fase decisamente più acuta della crisi tra Praga ed il blocco sovietico. La lettera, dopo le dovute presentazioni, affermava i timori di una fine del socialismo in Cecoslovacchia:

Lo sviluppo degli avvenimenti nel vostro Paese suscita in noi profonda preoccupazione. L’attacco della reazione, approvato dall’imperialismo, contro il vostro Partito e le basi del regime sociale della Repubblica socialista cecoslovacca, secondo il nostro profondo convincimento, minaccia di far deviare il vostro Paese dalla via del socialismo e conseguentemente di far gravare una minaccia sugli interessi dell’intero sistema socialista.165

Più avanti la critica tenta un approccio più concreto, che mostra sia un'analisi per certi versi superficiale della realtà cecoslovacca, sia le reali paure (più che per l'imperialismo occidentale o l'improbabile caduta dei confini post-Yalta) dei sovietici:

Le forze della reazione sfruttando l’indebolimento della direzione del Partito nel Paese, abusando demagogicamente della parola d’ordine della “democratizzazione” hanno scatenato una campagna contro il Partito comunista cecoslovacco, contro i suoi quadri onorati e devoti, con la chiara intenzione di liquidare il ruolo dirigente del Partito, di scalzare il regime socialista, di contrapporre la Cecoslovacchia agli altri Paesi socialisti. […]

Una serie di organi di informazione di massa pratica un sistematico e vero terrorismo morale nei confronti di coloro che prendono posizione contro le forze della reazione o esprimono la loro inquietudine per il corso degli avvenimenti.[...]

Proprio per questo la reazione ha avuto la possibilità di intervenire pubblicamente davanti a tutto il paese, di pubblicare la sua piattaforma politica denominata “2000 parole”, che contiene un invito aperto alla lotta contro il partito comunista e contro il potere costituzionale, un appello agli scioperi e ai disordini.[...]

Si è creata in tal modo una situazione assolutamente inaccettabile per un paese socialista.166

I Cinque ripeterono nella lettera le accuse verso i “centri di potere imperialista” che erano ormai ovunque nel Paese, contro le critiche mosse verso l'Unione Sovietica ed il Patto di Varsavia che altro non facevano se non il gioco della NATO e degli occidentali; tuttavia, ripetendo quanto detto in precedenza e come fece notare a proposito Tigrid nel suo Così

finì Alexander Dubček, di tutte le critiche e le richieste degli alleati anche in questo 165 Anche questo documento è stato tradotto e pubblicato in eSamizdat, Maledetta Primavera – il 1968 a

Praga, anno 2009, num. VII.

documento non si trovava assolutamente niente che potesse rivelare un timore riguardante possibili mancanze degli obblighi cecoslovacchi verso i patti di politica estera167. Il documento includeva infine una scaletta di azioni che i Cinque

raccomandavano al PCCS: si chiedeva

1. una risoluta ed efficace azione contro le forze di destra ed antisocialiste, 2. la cessazione di qualsiasi attività ed organizzazioni contro il socialismo, 3. il passaggio nelle mani del Partito dei mezzi di informazione di massa e

4. la compattezza del Partito stesso sulla base del marxismo-leninismo ed il

principio del centralismo democratico (semplificando potremmo dire: del dogma sovietico).

Il Presidium del Partito reagì con orgoglio alle accuse di Varsavia, dichiarandosi unanimemente contrario al documento (anche se Bil'ak e Kolder mantennero la propria posizione favorevole al meeting, vedendo come un errore politico la mancata presenza) e confutando punto per punto le richieste esterne. Il 17 fu approvato un documento di risposta che richiamava alla lealtà ed al rapporto paritetico tra i diversi Partiti, difendendo pienamente le politiche intraprese, in special modo la libertà d'espressione del Paese. Ai punti richiesti dai Cinque, Praga rispose con tre passi fondamentali da compiere, ovvero:

1. il distacco del Partito dalle nocive pratiche del passato,

2. una serena preparazione al prossimo Congresso e dopo questo

3. trovare soluzioni definitive ai problemi dello sviluppo del Paese168. Il documento

finiva con un richiamo alla dichiarazione del governo sovietico del 30 ottobre 1956,

dove è detto tra l'altro che gli ideali comuni dell'edificazione del socialismo si basano sui principi dell’internazionalismo proletario, sui rapporti di piena, reciproca parità di diritti, sul rispetto dell’integrità territoriale, sull’indipendenza, sulla sovranità e sulla non intromissione negli affari interni degli altri paesi.

Desideriamo che i rapporti non si acutizzino ulteriormente, e vogliamo contribuire a tranquillizzare la situazione a favore del socialismo e dell’unità dei paesi socialisti. Non faremo nulla contro questi principi, ma ci attendiamo però che anche gli altri partiti contribuiscano a questa nostra posizione e comprendano la nostra situazione. Ci auguriamo prossimi incontri bilaterali anche per giudicare la possibilità di una riunione comune dei paesi socialisti per poter discuterne il programma, la 167 Tigrid, Pavel, Così finì Alexander Dubček, op. cit. pag. 85.

composizione, i termini e il luogo dell’incontro.169

Il Presidium inviò la sua risposta il 17 luglio, aggiungendo nuovamente il consiglio da parte di Praga di non pubblicare le lettere per evitare ulteriori polemiche mediatiche; ma proprio il giorno successivo la Pravda pubblicava integralmente la lettera dei Cinque, evitando di pubblicare al tempo stesso la risposta cecoslovacca. La mossa di Mosca era evidentemente quella di creare un'atmosfera critica tale da giustificare possibili interventi nel Paese. In Unione Sovietica come negli altri Paesi, la pubblicazione solo di uno dei due documenti non poteva che creare una certa opinione pubblica: d'altra parte come potevano sapere all'estero della reale situazione cecoslovacca? Il 19 la Pravda pubblicò un editoriale in cui assicurava a “tutti i comunisti e lavoratori della Cecoslovacchia che il Partito Comunista dell'Unione Sovietica ed il governo sovietico erano pronti a mostrare tutto l'aiuto necessario in difesa delle conquiste sovietiche”170.

Dopo aver rigettato la lettera di Varsavia, Dubček decise di indire il Plenum del Comitato Centrale, affinché l'organo collegiale del Partito si esprimesse sulla posizione assunta dal Presidium. La mossa creò timori nei riformisti (non era detto che l'intero CC avrebbe accettato il rifiuto della lettera) ma il 19 luglio vi fu un voto pressoché unanime per l'operato di Dubček; la mossa aveva un significato decisivo: Mosca non avrebbe potuto accusare l'intero PCCS di essere alla deriva controrivoluzionaria.

Poche ore dopo l'approvazione del CC per la replica ai Cinque, Brežnev telefonò a Dubček per un incontro bilaterale da tenersi nei giorni successivi. L'atteggiamento del leader sovietico non era un passo indietro sull'idea di riunioni private piuttosto che pubbliche, quanto la possibilità di interloquire con Dubček a seguito dell'enorme pressione esercitata con il documento di Varsavia. Dal canto suo Dubček decise di affrontare i successivi incontri con l'appoggio di una forte maggioranza del Partito e della nazione stessa: bisognava serrare i ranghi e resistere alle pressioni esterne171. Per questo

indirizzò un lungo discorso indirizzato alle due nazioni via televisione, ringraziandole per il supporto dimostrato nei mesi del suo mandato e chiarendo enfaticamente che il