CAPITOLO 3 MUSEO, AZIENDA PUBBLICA
3.6 La gestione in forma autonoma: natura e assetti istituzionali della Soprintendenza speciale per il Polo museale
In Italia, attualmente, le norme in vigore per il settore dei beni culturali e l’ambito funzionale di quest’ultimo si rifanno sostanzialmente alla struttura normativa del d.lgs. 368 del 1998 (e relativi regolamenti), rispetto sia alle attività di tutela, sia alle modalità
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di gestione dell’attività di fruizione e valorizzazione [Bonini Baraldi, 2007]43. Soltanto allo Stato, vengono attribuite in maniera esclusiva regolamentazione ed amministrazione diretta del settore e in merito all’attività di fruizione e di valorizzazione il Ministero continua a far riferimento al suddetto decreto secondo il quale esso gestisce tutti i beni di proprietà dello Stato [Bonini Baraldi, 2007]. In particolare, per quanto riguarda la forma di gestione diretta prevista per le cosiddette soprintendenze autonome, si fa riferimento all’articolo 8 dello stesso. Il contesto normativo attuale44 stabilisce dunque che gli organi ministeriali preposti alla salvaguardia e alla valorizzazione dei beni statali, sono le Soprintendenze, distinguibili in quelle “di settore”, ovvero quelle che ad oggi costituiscono la maggioranza esistente e che gestiscono la quasi totalità del patrimonio statale, e quelle “speciali per i poli museali” che introducono la “gestione in forma autonoma”. Trattasi per entrambe di amministrazioni periferiche dello Stato con funzioni tecnico-scientifiche, delegate ad attuare la politica stabilita centralmente, in subordinazione della competente direzione generale, alle quali si attribuiscono non solo compiti di ispezione e vigilanza per la tutela di tutti i beni culturali di competenza (pubblici e privati), ma anche funzioni di tutela e gestione diretta sui beni culturali di proprietà statale di competenza della relativa Soprintendenza (ad es. la gestione dei musei in cui questi sono contenuti). La differenza che le contraddistingue risiede nella dotazione di autonomia per le Soprintendenze Speciali per tutto ciò che riguarda la loro gestione contrariamente a quelle di settore che dipendono dall’amministrazione centrale. A loro volta sono uffici delle soprintendenze tutti i musei statali definiti quali “entità parziali, inserite in realtà di livello superiore entro le quali non sono comunque enucleate compiutamente” [Zan 1999]45, per le quali talvolta non esiste neanche un direttore che vigila sulla loro corretta attività, essendo tale funzione attribuita nella maggior parte dei casi al soprintendente stesso. È evidente che tutto ciò influenza negativamente il funzionamento del museo e la tutela del suo patrimonio artistico e culturale a causa di una insufficiente gestione del personale e di una insufficiente pianificazione delle attività.
La conformazione dell’ambito in esame è mutata molte volte nel corso dell’ultimo decennio con continui provvedimenti e normative, influendo in modo negativo sul
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Bonini Baraldi S. (2007), Management, beni culturali e pubblica amministrazione, Milano, Franco Angeli.
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Cfr. normativa del settore museale esposta nel paragrafo 1.1. 45
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funzionamento delle strutture museali, e l’attuale situazione ministeriale emerge quale risultato di tre differenti impostazioni, ovvero:
• il d.lgs. 42 del 2004, con l’emanazione del “Codice dei beni culturali e del Paesaggio”;
• la normativa del 1998 con l’istituzione del “nuovo” Ministero per i beni e le attività culturali;
• la normativa antecedente al 1998, concernente interventi di riorganizzazione ministeriale [Bonini Baraldi, 2007].
In Italia, la prima soprintendenza autonoma è stata quella archeologica di Pompei46 istituita con la legge 352 del 1997, con cui si apportava due radicali novità:
• la redazione del bilancio di previsione e del conto consuntivo per rendicontare i dati di costo dell’amministrazione;
• il confluire delle entrate proprie della Soprintendenza nel bilancio della soprintendenza stessa e non più in quello dello stato [Bonini Baraldi, 2007].
Fu subito posto in rilievo il carattere riduttivo di tale autonomia, che a giudizio di molti, manteneva a livello ministeriale un’impostazione ancora centralizzata ed un’accountability decisamente parziale, in opposizione ad una gestione manageriale. La sperimentazione di Pompei ha condotto all’ottenimento dell’autonomia prevista dall’art. 8 del d.lgs 368/1998, per altre cinque soprintendenze: Soprintendenza per i beni archeologici di Roma (DM 22 maggio 2001) e quattro Soprintendenze per i poli museali, ovvero di Venezia, Firenze, Roma e Napoli (DM 11 dicembre 2011). Diversamente dalla soprintendenze di settore, alle quali sono attribuite funzioni di tutela e valorizzazione sui beni presenti sul territorio di qualunque proprietà, alle Soprintendenze autonome sono demandate le stesse funzioni ma soltanto sui beni dello Stato di cui sono consegnatarie. Il concetto di autonomia assume rilevanza sia per ciò che concerne la possibilità di parziale autofinanziamento dell’attività grazie all’introito delle entrate proprie consentendo un forte rinnovamento per la gestione degli enti coinvolti, sia per il disegno di riforma istituzionale, basato sul processo di decentramento delle funzioni statali e delega del potere decisionale ad enti ed organi
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amministrativi, il quale oltre a porre in essere un radicale cambiamento nell’ambito della gestione museale, si combina al processo di managerializzazione del settore pubblico, a livello nazionale e sovranazionale, in accordo col principio di accountability [Bonini Baraldi, 2007]. Le norme di riferimento sono pressoché le stesse di Pompei (Legge n.352 del 1997), pertanto, anche per le altre Soprintendenze autonome, la gestione del personale risulta ancora strettamente legata al Ministero. Secondo quanto stabilisce l’articolo 1 del dpr n. 240 del 2003, le soprintendenze speciali per i Poli museali hanno l’obbligo di presentare un bilancio annuale di previsione redatto in termini di competenza e di cassa. Questo deve essere redatto dal soprintendente nel mese di settembre, ed è sottoposto ad all’approvazione del collegio dei revisori. Successivamente, è il consiglio di amministrazione che entro il mese di ottobre (dell’anno antecedente quello di riferimento), delibera il bilancio di previsione e provvede ad inviarlo al Ministero dei beni e delle attività culturali, “unitamente alle relazioni del soprintendente e del collegio dei revisori dei conti e ad una copia della deliberazione del consiglio stesso al Ministero per i beni e le attività culturali e al Ministero dell’economia e delle finanze per l’approvazione di rispettiva competenza” (art. 1 comma 10)47. Il regolamento di funzionamento amministrativo e contabile delle soprintendenze dotate di autonomie, prevede altresì, che a fine esercizio esse devono dar conto dei risultati della gestione in un conto consuntivo ed un conto economico: il primo si compone di un rendiconto finanziario indicativo dei risultati conseguiti durante l’esercizio, posti a confronto del bilancio di previsione della Soprintendenza; il secondo si redige in conformità al preventivo economico.
Nei primi anni dell’autonomia, la situazione appariva alquanto contraddittoria e le criticità afferivano alle seguenti questioni:
• le normative attuate apparivano incoerenti; un esempio è dato dalla disposizione secondo cui il 30% dei guadagni deve essere versato al Ministero;
• le normative non erano in grado di affrontare problemi complessi come il blocco delle assunzioni per la nomina del direttore, l’obbligo posto sulle somme di giacenza, etc. [Bonini Baraldi, 2007].
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Secondo l’art. 10 comma 5 del DPR n. 97 del 27 febbraio 2003, il bilancio di previsione annuale “ha carattere autorizzativo, costituendo limite agli impegni di spesa”. Inoltre, così come recita l’art. 1 comma 12 del DPR n.240, “la gestione finanziaria della Soprintendenza è assoggettata al controllo successivo della corte dei conti”.
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Dinanzi a tale situazione alcuni Poli hanno avanzato proposte finalizzate all’implementazione di un’autonomia reale, giungendo persino ad attuare un piano di autonomia amministrativa. Il tentativo non ha condotto ad alcun cambiamento e ad oggi, il sistema risulta invariato.
A questo punto, appare di assoluta importanza soffermarsi sul processo di riforma avviato dal Ministero per i beni e le attività culturali, alla fine del 2003, nei confronti del sistema di rendicontazione dell’attività economica e della misurazione delle performance delle diverse amministrazioni ministeriali (sedi centrali e strutture periferiche), attraverso l’implementazione di un sistema di controllo di gestione.
Il controllo di gestione è stato introdotto nel Ministero per i beni e le attività culturali al fine di sostenere l’ampio processo di trasformazione contabile della pubblica amministrazione italiana mediante l’introduzione di un sistema di contabilità economica analitica. Negli anni precedenti alla sua entrata in vigore, tutte le spese specifiche della Soprintendenza non risultavano enucleabili, in quanto il loro bilancio era compreso in quello del Ministero. Il sistema finanziario in vigore fino agli anni ‘90 si basava essenzialmente sulla rilevazione della “spesa”, evidenziando i valori dei pagamenti liquidati nel semestre di riferimento per ciascun capitolo ministeriale, senza dare rilievo al valore delle risorse utilizzate nel periodo di riferimento in base al concetto di “costo”. Ciò non consentiva l’aggiustamento dei valori in rapporto ai processi economici della gestione ancora in corso alla fine dei sei mesi, cioè del periodo di riferimento in cui si è verificava la manifestazione numeraria. Si rispettava, così, il principio della competenza finanziaria ma non economica, dunque persisteva una mancata correlazione tra risorse economiche impiegate e grado di soddisfacimento dei bisogni [Borgonovi, 1996]48. A distanza di quindici anni, il sistema di rilevazione pubblico appare rinnovato, in quanto il tradizionale sistema di contabilità finanziaria è stato affiancato da rilevazioni di tipo economico-patrimoniali. Il nuovo sistema di rilevazione cui il controllo di gestione fa riferimento, si basa sulla considerazione del concetto di “costo” invece che di “spesa”, con la sostanziale differenza che l’analisi è svolta sul valore dei beni e servizi effettivamente utilizzati, e non computando l’esborso monetario legato alla loro acquisizione [Bonini Baraldi, 2007]49. Il sistema di contabilità economica analitica risulta strettamente connesso a quello di controllo interno di gestione che si basa sul
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Borgonovi E. in Bonini Baraldi S., in op. cit. 49
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principio di competenza economica. Inoltre, mentre in passato (fino al 2003) il sistema dei “rendiconti” [Bonini Baraldi, 2007]50 consentiva esclusivamente il riscontro di legittimità delle spese delle varie soprintendenze dello Stato da parte della ragioneria centrale, con l’introduzione del controllo di gestione si rende possibile monitorare la “qualità” dell’operato, oltre che qualsiasi altra finalità gestionale interna. Il passaggio dai rendiconti semestrali, alla contabilità economica, al controllo di gestione segna un’importante trasformazione che muove dall’obiettivo principale di supportare la dirigenza nelle decisioni e negli indirizzi di gestione, verificando l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa [Borgonovi, 1996]51. Con l’introduzione del controllo di gestione, si attua un cambiamento di rotta attraverso il quale un controllo di mera “verifica” lascia il campo ad un controllo “guida” volto a stabilire l’autonomia e la a responsabilizzazione attiva dei dirigenti, realizzando, almeno in via teorica, “il passaggio da un’accountability fondata sul controllo del processo (il cui strumento fondamentale era la contabilità finanziaria), ad un’accountability basata sul raggiungimento dei risultati (i cui strumenti principali sono la contabilità economico- patrimoniale ed il controllo di gestione), al centro del fenomeno di managerializzazione [Bonini Baraldi, 2007].
L’amministrazione centrale e periferica della Direzione per il patrimonio storico artistico e demoetnoantropologico (PSAD) del Ministero per i beni e le attività culturali ha elaborato52 un “Manuale operativo per la consuntivazione dei dati per il controllo di gestione della direzione generale”, le cui versioni variano leggermente in relazione alla tipologia di amministrazione periferica (polo museale, soprintendenza di settore, ecc.). Tale manuale si basa essenzialmente sui principi per la contabilità economica, disponendo un sistema di controllo di gestione per le amministrazioni del Ministero per i beni e le attività culturali. Unitamente all’individuazione delle “macroattività”, il manuale prevede le relative attività rispetto alle quali si suddividono i costi di ciascuna amministrazione. Nello specifico le macroattività previste dal sistema di controllo di gestione per le soprintendenze sono:
• catalogazione e tutela; 50
Il “rendiconto” costituiva un documento di rendicontazione giustificativo dei dati monetari generati dalle soprintendenze, ossia della spesa per ciascun capitolo ministeriale, per ciascun semestre.
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Borgonovi E., in Bonini Baraldi S., in op. cit. 52
In collaborazione con la direzione generale da una nota società di consulenza nell’ambito della revisione contabile e del management accounting.
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• valorizzazione e promozione; • gestione di musei e gallerie d’arte53
;
• gestione dei servizi educativi [Bonini Baraldi, 2007], In aggiunta, il manuale applica una distinzione tra:
• consuntivazione economica (o “consuntivazione dei costi”); • consuntivazione gestionale.
La prima tende a ricostruire la gestione economica e monetaria dell’amministrazione raggruppando i dati forniti dalla contabilità analitica per interpretare le informazioni tanto a livello complessivo che di singola unità, quanto per singola macroattività gestita. Essa si compone di due fasi:
• “reporting sui costi per macroattività”, che al fine di riassumere l’andamento complessivo della gestione, attribuisce per ciascuna attività dei costi sostenuti dal centro di costo (ad esempio il polo museale oppure la soprintendenza);
• “reporting dei musei”, che allo scopo di evidenziare i diversi margini, attribuisce per la macroattività di gestione dei musei e gallerie d’arte, dei costi sostenuti da ciascun museo di competenza della soprintendenza, ponendoli altresì in relazione alle entrate proprie di ciascun museo [Bonini Baraldi, 2007].
Per quanto concerne la consuntivazione gestionale, invece, essa si concentra non più sui costi e sulle spese ma sui risultati, e costituisce un supporto per il responsabile dell’unità organizzativa nella valutazione degli effetti derivanti dalle decisioni assunte e dalle azioni intraprese, nella gestione delle attività. Definita come un’attività di rendicontazione finalizzata alla valutazione delle performance dell’organizzazione, essa esegue un monitoraggio delle macroattività gestite in termini finanziari, economici e fisici attraverso l’attribuzione per ciascuna tipologia di centro di costo, di svariati indici sia monetari (con dati finanziari ed economici) che non monetari (ossia basati su quantità fisiche).
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Una specificazione ulteriore avviene per tale macroattività, mediante la disaggregazione dei costi sostenuti da ciascun museo di appartenenza.
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3.7 I processi di produzione del valore (culturale, economico, sociale) nei musei