È risaputo — e il metodo dell’educazione mo
derna lo predica in tutti i toni e in tutte le for
me come se si trattasse di una sua invenzione — che il gioco debitamente sorvegliato e moderato serve mirabilmente a sviluppare non solo l’at
tività, ma indirettamente anche la personalità d ell’educando. Si dice con ragione che nei p ic co li e ingenui giochi dei fanciulli si concentra il più delle volte tutta l’attività umana della loro incipiente personalità. Lo sforzo che essi metto
no nel giocare, l ’agonismo per riuscire, la soddi
sfazione della conquista, segnano com e altrettan
te tappe di sviluppo e, possiamo dire, di form a
zione del loro animo.
Il gioco poi è in tutti i sensi una necessità per l’animo giovane, soprattutto nel periodo d ell’in
fanzia, della fanciullezza e anche dell’adolescen
za. È una vera distensione del corpo e dell’ani
mo, uno sfogo alle loro m olteplici energie, e per
sino un diversivo per le loro tendenze ed in cli
nazioni, le quali potrebbero purtroppo dirigersi verso scopi e mete meno giuste e meno oneste.
A D on Bosco non isfuggì questo aspetto psi
cologico e spirituale del gioco; anzi egli seppe servirsi del gioco com e di uno dei mezzi di più notevole im portanza nell’opera educativa che si svolge nei suoi Istituti, e di grande giovam ento
ai giovani.
L ’Onorevole A lfred o E. Smith, presentando al pu b b lico N ordam ericano la vita di San G
io-31
vanni Bosco scritta da Padre Neil Boyton, dice che il nostro Fondatore potrebbe con ragione esse
re considerato com e il Santo Patrono dei giochi.
È fuor di dubbio che nessun santo più di lui si è servito tanto ampiamente e attivamente di questo mezzo per il bene della gioventù.
R icordiam olo ancora una volta il p iccolo gio
coliere, acrobata sulla corda, agilissimo nelle cor
se e nel salto, mago dei bussolotti, attorniato dai suoi conterranei, p iccoli e adulti, che egli a f
fascinava coi giochi e poi edificava col raccouto di esempi e la recita di prediche udite, r,on l’e
sortazione alla preghiera e alle virtù cristiane!
Non pochi, di certo, leggendo il prim o sogno fat
to dal giovanetto Bosco, all’età di nove anni, saranno rimasti colpiti dal fatto che la prima scena, presentatasi al futuro educatore e santo, è un cam po di ricreazione, un animato svolger
si di giochi, una moltitudine sterminata di fan
ciulli che si trastullavano: quasi a indicargli che, anche con i giochi e la ricreazione, avrebbe p o tuto e dovuto com piere una missione efficace di bene. A nzi fu precisamente durante la foga di quella ricreazione che egli ascoltò, per la prim a volta, d airU om o venerando e dalla Donna di maestoso aspetto, quei saggi consigli, che avreb
bero costituito il fondam ento e l’essenza del suo sistema pedagogico.
Quanto egli aveva praticato ai Becchi, lo con
tinuò alla Moglia, a Chieri. Sacerdote, fondò l’O ratorio Festivo, il cui scopo, — scrisse già nel prim o Regolamento, — « è di trattenere la gio
ventù nei giorni di festa con piacevole ed one
sta ricreazione dopo aver assistito alle sacre fun
zioni di chiesa ». Considerava pertanto la ricrea
zione « come allettamento ai giovani per farli in
tervenire » (37).
Nello stesso Regolamento, in due capitoli, dà norme sapienti per regolare lo svolgersi dei gio
chi, stabilendo, quando non aveva ancora assi
stenti, la categoria dei cosiddetti « Regolatori d el
la R icreazione », il cui ufficio era precisamente quello di far sì che i giochi fossero efficaci stru
menti educativi.
Che più? D ella ricreazione, com e abbiamo d e t
to, egli fu per molti anni animatore e fattore at
tivissimo; bastava anzi la sua presenza per ren
derla vivace e pervasa di santa letizia.
D on Bosco, profon do conoscitore del cuore giovanile, era convinto che, per migliorarlo, fos
se indispensabile preparargli quell’ambiente di gaiezza e innocente espansione che, mentre gli serve di attrattiva, ne sodisfa le inclinazioni e lo affeziona alle persone e alla istituzione che ne devono plasmare l’animo e formare il, carattere.
E qui si avverta che il Santo voleva giochi
2 (II)
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adatti per tutti. Nel già citato Regolamento egli scrive: « È vivo desiderio che nella ricreazione tutti possano prendere parte a qualche trastullo nel modo e nell’ora permessa ». E, dopo aver enumerato negli articoli seguenti i giochi princi
pali e aver dato sapienti disposizioni per rego
larne il funzionamento, insiste ancora: « È par
ticolarmente raccom andato agli invigilatori il p ro
curare che tutti possano partecipare a qualche divertimento » (38).
Del gioco e della ricreazione parlò in non poche circostanze. Q uando tratta dell’a p p lica zio
ne del sistema preventivo classifica i giochi « tra i mezzi più efficaci per ottenere la disciplina, giovare alla moralità e alla sanità ». Per questo vuole che ai giovani, a tutti i giovani « ... si dia am pia libertà di saltare, correre, schiamaz
zare a piacim ento » (Regolam ., 93).
Anzi, a dimostrare quale importanza m ora
lizzatrice dava al gioco, giunse talvolta a farne argomento di fioretti spirituali. Il prim o dicem bre 1864, nella Buona Notte ai suoi cari gio
vani, dopo aver avvisato che non voleva si cambiasse l’ora di ricreazione in ora di studio ed aver insistito perchè la ricreazione si facesse intera, s’indugiava a indicar norme opportune per renderla ben fatta, e conchiudeva lasciando a tutti questo fioretto: « Una ricreazione ordi
nata com e si richiede da giovani ben ordina
ti » (39).
D on Bosco, da buon educatore, quantunque m i
rasse, con zelo più intenso e come a fine ulti
mo, al bene d ell’anima, era convinto, come si dis
se, che tutte le energie umane possono e devono essere mirabilmente e santamente sfruttate a van
taggio di quella. Nel suo pensiero anche il gio
co e la piacevole ricreazione dovevano cooperare efficacem ente a tal fine.
Il Locke scrisse essere il motto mens sana in corpore sano la breve ma com pleta definizione della felicità di questo mondo. D on Bosco avreb
be fatto le sue riserve su questa affermazione, a meno che alla m ente sana si fosse dato queiram pio significato morale che abbraccia tutto il com plesso di una vita veramente cristiana. N eppure egli avrebbe ammesso ciò che fu affermato da taluno, ossia che dalla sanità, com e dalla cifra significativa collocata avanti agli zeri, la vita riceve tutto il vigore. Insomma D on B osco rifu g
giva da queste pur velate concezioni di sapore materialistico, che fanno consistere prevalente
mente la felicità nel benessere fisico e nelle sodi- sfazioni del corpo.
Tuttavia egli era d ’accordo con i migliori edu
catori e psicologi nell ammettere che è notevole l’influenza della robustezza fisica —■ acquistata
35
e conservata con esercizi e ricreazioni op portu ne — sulla intelligenza e sulla volontà.
È risaputo infatti che le energie fìsiche e m o
rali, e le loro rispettive manchevolezze, s’influen
zano a vicenda.
Mentre i giochi e la ricreazione esercitano un influsso notevole sullo svilu p po fìsico, procurano freschezza e forza di assimilazione all’intelligen
za, gioia allo spirito, e sono al tem po stesso un sano diversivo e un freno efficace alle passioni.
E cco perchè D on Bosco volle con tanta insi
stenza e sapiente accortezza che la gioia, il riso, i giochi, fossero in giuste proporzioni mescolati alle occupazioni serie, preparando così il piacere con la fatica e ricreando la fatica con il piacere.
a) Ne c e s s it à e f in e d e l l a r i c r e a z i o n e.
Il lavoro intellettuale im pone l’imm obilità del corpo con la sedentarietà, a volte in un ambiente non bene arieggiato; e a ciò si deve aggiungere 10 sforzo deH’applicazione. È doveroso pertanto 11 meritato e tempestivo riposo all’intelligenza : riposo che non è ozio, poiché presuppone lavoro.
E cco il m otivo per cui l’ozioso non gusterà mai le gioie di un meritato riposo, essendo il lavoro piacevole anche perchè vien poi ricom pensato dal riposo.
Questi p rincìpi, riaffermati dalla pedagogia e dalla psicologia moderna, vengono a dare pie
namente ragione a Don Bosco, il quale, mentre fu apostolo e uno dei più alti esponenti del lavoro, fu anche assertore della efficacia che ha la ri
creazione — praticata come mezzo e mai come fine — per rinvigorire le energie perdute, renden
dole nuovamente atte al lavoro.
Ricreare, etimologicamente, vorrebbe dire ap
punto creare di nuovo. Praticamente la fatica (si badi bene, la fatica e non solo l’uso o l’eser
cizio), affievolisce e quasi riduce a nulla le ener
gie di determinate facoltà: è necessario pertan
to riacquistarle, ri-crearle, liberandole da quella specie di narcosi o intossicazione che la stan
chezza produce. Ed è praticamente nello stato di riposo o di semiriposo che esse si rinnovel- lano. Il sonno calm o e p rofon do è il riposo per eccellenza, che meglio ridà le energie perdute.
E qui è bene osservare che, non solo l’uso ec
cessivo delle energie intellettuali produce la stan
chezza mentale, ma anche il lavoro fìsico, che perciò, se esagerato, può rendere l’uomo inet
to allo studio.
D a ciò si conclude che la ricreazione, il gio
co, per corrispondere alle finalità dell’educazio
ne devono avere determinati requisiti, che noi ci proponiam o ora di esaminare, studiando il
37
gioco e la ricreazione com e furono intesi e prati
cati da San Giovanni Bosco.
b) R i c r e a z io n e p i a c e v o l e . N ell’introduzione al suo già citato Regolam ento Don Bosco parla di « ricreazione piacevole », e noi possiamo senz’altro asserire che da questo solo qualificativo e specificativo son fìssati i ca
ratteri, i requisiti pedagogici delle ricreazioni.
D icono gli psicologi che l ’attività fìsica della ricreazione per raggiungere il suo fine d ev’essere gradita al fanciullo: solo se è conform e ai suoi gusti, essa suscita in lui sentimenti di piacere.
A ggiungono che il gioco deve sviluppare la for
za fìsica nella gioia e nella libertà, e svolgersi
— per quanto è possibile — non già in sale chiuse, ma all’aria libera e sana, all’aperto. Solo in tal m odo il gioco diventa veramente una' ricrea
zione, rinnovando o irrobustendo le facoltà, me
diante il riposo dello spirito.
La gioia viene così a tramutarsi in un tonico efficace e potrebbe definirsi il canto del trionfo di un organismo ben equilibrato: il riso dei fan ciulli fu chiamato « l a musica di D io » .
E così intese e volle la ricreazione Don Bo
sco, il Santo della piacevolezza e deH’allegria.
Il suo saluto più com une era questo: « State al
legri ». E perchè la ricreazione riuscisse piace
vole e gioconda voleva che si lasciasse ai giova
ni « ampia libertà » nel gioco (Regolarti., 93).
E qui è bene mettere in evidenza quanta par
te sia riservata all’attività del giovane nella ri
creazione salesiana. Gli allievi, uscendo dalle aule o dal refettorio, dopo aver fatto una breve vi
sitina in Cappella, si accingono a organizzare i giochi, e ciò essi fanno a seconda dei loro gusti nelle varie epoche dell’anno. Il Superiore, l’as
sistente, è, tra loro, uno di loro: è un fratello maggiore; non comanda il gioco, generalmente non ne è nemmeno l’arbitro; è sorteggiato al pari degli altri e si trova con essi per dire, quando fosse opportuna, la parola eccitatrice e pacifica
trice.
c ) I l g i o c o c o m e e l e m e n t o e d u c a t i v o.
Abbiamo ripetuto che Don Bosco, non solo procurava il gioco a tutti i suoi allievi, ma qua
si a nobilitarlo, egli stesso, quando il tempo e le forze glielo consentivano, vi si dedicava, essen
done non solo l ’anima, ma inarrivabile ed indi
scutibile trionfatore. Questo fatto costituisce una delle più belle e tipiche nostre tradizioni: il Salesiano che gioca.
Quante volte i parenti e i visitatori si fermano
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sorpresi e ammirati a osservare i nostri maestri e assistenti che, agili e trafelati, corrono nei cor
tili, fatti giovani coi giovani, accomunando, in una sola, la gioia degli alunni e dei precettori nell’ambiente di un mirabile spirito di famiglia, tutto pervaso di semplicità ed eminentemente edu
cativo, come lo volle e praticò il nostro Padre Don Bosco.
Allora soprattutto l’educatore si rende padro
ne del cuore dell’educando. Cogliendo il momento opportuno, egli, dietro l’esempio di Don Bosco, sa dire, sia pure di sfuggita, la parola buona che, appunto perchè meno aspettata, colpisce, trova la via del cuore, ottiene risultati inspe
rati. Si realizzano in questa maniera sempre nuo
vi e mai interrotti anelli della mirabile catena delle magiche paroline che ebbero tanta potenza sulle labbra di Don Bosco.
A taluno può forse recar meraviglia l’insisten
za con cui il nostro Padre proclamò l’intima e logica colleganza tra la ricreazione e la moralità.
La sua tenacia nel non permettere giochi seden
tari e nel volere all’incontro quelli che mettes
sero possibilmente in esercizio tutta la persona, derivava dal fatto che da questi ne viene van
taggio alla mente, allo studio, alla disciplina, e soprattutto alla moralità (40).
A Don Bosco l’esperienza aveva insegnato che
là ove non si gioca, regna sovrana la noia, la qua
le è pessima ispiratrice e consigliera. D alla noia alla critica, alla mormorazione, e a discorsi meno corretti, non vi è che un passo. I crocchi dei gio
vani furono paragonati a mucchi di materia in
fiammabile: basta una scintilla per provocare l ’incendio.
Se gli allievi giocano, non si formeranno croc
chi, nei quali entra il diavolo per fare i suoi gua
dagni; poiché, quando il repertorio della crona
ca dell’istituto e delle altre notizie sia esaurito, spesso si viene alle critiche e ai discorsi più o meno cattivi (41).
« Se la ricreazione — diceva a Don Bosco la guida nel sogno di Roma — è fatta con svoglia
tezza, ne proviene la freddezza in tanti nell’ac- costarsi ai santi Sacramenti, la trascuratezza nelle pratiche di pietà in chiesa e altrove, lo stare mal volentieri in luogo dove la divina Provviden
za li ricolma di ogni bene per il corpo, per l’a
nima, per l ’intelletto. D i qui il non corrispondere, che molti fanno, alla loro vocazione. Di qui le in
gratitudini verso i Superiori, di qui i segretumi, le mormorazioni, con tutte le altre deplorevoli conseguenze » (42).
Affinchè il gioco fosse veramente giovevole allo spirito, Don Bosco voleva lo si circondasse di tutte quelle precauzioni che concorressero a
41
renderlo tale. Egli non avrebbe certamente appro
vato taluni succinti vestiti che oggi sono in voga, specialmente trattandosi di determinati giochi, nei quali gli abiti sportivi offendono la modestia cristiana con il conseguente danno della morale.
Una tradizione salesiana, fissata nei Regolamenti, dice appunto: « Si esiga dagli alunni quella mo
destia e decenza nel vestire, che è voluta dal ca
rattere religioso dei nostri istituti e dallo spirito del nostro Fondatore» (Regolam., llò ).
Tutti sanno quanto fosse elevato, pudico, santo il sentimento che Don Bosco aveva della mode
stia, virtù che voleva fosse come il celeste pro
fumo dei suoi Istituti. È doveroso perciò che i suoi figli, eredi del suo spirito, reagiscano forte
mente contro certe correnti spudorate, che non si possono, con passività traditrice dei propri doveri, tollerare; ogni debolezza in questi casi può essere peccaminosa. Che avrebbe detto, il grande Padre e Maestro della gioventù, di certi spogliatoi, ove la virtù fa naufragio in un ambiente ammor
bante di paganesimo?
Si difenda pertanto, con tenace ardimento, la ricreazione salesiana quale la volle e praticò Don Bosco, il quale esigeva che si divertissero i gio
vani appunto perchè non avessero a pervertirsi.
Ecco perchè elencò sempre i giochi tra i grandi fattori di educazione. Nel suo pensiero il giovane
d ie gioca, si apre alla gioia come il fiore rugiadoso all’apparire dell’aurora. Tale gioia egli ebbe cara come riflesso e specchio della pace e della pu
rezza del cuore.
Affinchè il gioco raggiungesse la sua finalità educativa, Don Bosco voleva che tutti i superiori prendessero parte alla ricreazione dei giovani (4>), non escluso il Direttore (44).
Con ciò egli mirava a promuovere quello spi
rito di famiglia, per cui « la fam iliarità porta affetto e l ’affetto porta confidenza » togliendo
« la fatale barriera della diffidenza » (45).
Ecco perchè i figli di San Giovanni Bosco continuano, sulle orme del Padre, ad essere Ma
gistri ludorum , per far sì che i cortili delle Case salesiane siano perennemente scuole, templi, pa
lestre vivificatrici per il corpo e per lo spirito.
D'altronde basta udire le testimonianze dei nostri Ex-A llievi per capire come gli educatori più apprezzati e rispettati siano proprio quelli che sanno mettersi come compagni di gioco tra i loro educandi. In questi casi l’affetto e la grati
tudine aggiungono forza all’autorità e al rispetto.
Un educatore che gioca è una vera provvi
denza per il suo Istituto, nel quale egli sarà coef
ficiente valido di buona educazione, vero angelo della ricreazione. Se con i giovani saprà essere uno di loro, sempre con loro, tutto per loro, egli
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sarà pure, come Superiore, sopra di loro con l’av
viso e il consiglio, con la soave correzione e col co
stante incoraggiamento.
d) La g i n n a s t i c a .
A proposito del gioco, taluno amerà forse sa
pere quale fosse il pensiero di Don Bosco riguar
do alla ginnastica. Egli la enumera tra i mezzi che possono contribuire al bene dei giovani, e ne fa cenno nel Sistema Preventivo (R e g o la r t i95).
Quando poi nel 1878 parlò al Ministro Crispi del sistema preventivo come mezzo per la rigenera
zione della gioventù, presentandogli all’uopo un apposito memoriale — di cui avrebbe poco dopo inviato copia anche al Ministro Zanardelli, suc
ceduto a Crispi — tra i mezzi educativi mise anche la ginnastica (46).
Nelle solenni celebrazioni per la consacrazione del tempio di Maria Ausiliatrice, e proprio nel pomeriggio dello stesso giorno, alla presenza del Vescovo di Alba e di un pubblico distinto, vi fu un saggio ginnico dato dai giovani di Lanzo e dell’Oratorio.
Ma la domanda che qui si affaccia è questa:
può e dev’essere la ginnastica considerata come un gioco, e quale vera ricreazione? Rispondiamo subito che, se la ginnastica non ò libera, non può
essere considerata come un gioco. Essa, come scienza regolatrice di movimenti, come arte siste
matica di esercizi fisici, non è che una lezione di più; utile senza dubbio, quando non sia esagerata, allo sviluppo delle membra e aH’irrobustiinento generale. Ma tutti riconoscono che i movimenti artificiosi e compassati della ginnastica non val
gono certamente quanto l’attività libera e spon
tanea del gioco. Anzi non mancano dei pedago
gisti, i quali considerano la ginnastica come un insufficiente surrogato dei giochi naturali della gioventù, poiché essa, oltre ad altri inconvenienti, non procura il piacere che si prova nel gioco li
bero, e risulta perciò fisiologicamente di meno valore. Y ’è chi giunge a ritenere che l ’insegna
mento della ginnastica è più faticoso di tutti gli altri insegnamenti, non escluso quello della ma
tematica.
In certe nazioni, insigni pedagogisti fecero un’attiva propaganda dei giochi giovanili da con
trapporsi alla ginnastica. Quale fosse il pensiero dei pedagogisti dell’Università di Torino ai tempi di Don Bosco al riguardo, ce lo dice l’Allievo:
« Spingendo la riflessione teorica oltre il conve
nevole si sono escogitati sistemi ed intrecci di mo
vimenti ginnastici talmente com plicati e artifi
ciali, che ad essere eseguiti importano una fatica di cervello e di applicazione di mente quale si
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converrebbe allo studio di una materia astratta;
ed impacciano Io spontaneo sviluppo delle forze muscolari. La natura ha essa stessa insegnato al fanciullo la libera e salutare ginnastica delle sue membra, e questa ginnastica non va pervertita dalla strapotenza dell’arte » (47).
Il nostro Padre non avrebbe approvato cer
te forme di atletismo e non pochi sforzi violenti in vigore presso i ginnasti, che praticamente sot
traggono energie al lavoro intellettuale; nè cre
diamo necessario aggiungere che egli non avrebbe mai permesso un’educazione fisica che si propo
nesse lo sfoggio di virtuosismi di forza bruta: a lui bastava formare e mantenere corpi fisicamente e moralmente sani. Quando nel 1865 il Duca d’Aosta, con gentile pensiero, volle regalare ai giovani dell’Oratorio una parte dei suoi attrezzi ginnastici, Don Bosco, anziché collocarli in una palestra per servire di scuola, li volle nell’am
biente libero del cortile per la ricreazione (48).
biente libero del cortile per la ricreazione (48).