L ’educazione intellettuale, tenuta da Don Bo
sco in così alta stima e presentata alla luce delle migliori tradizioni, doveva comprendere un insie
me di norme, di mezzi pratici, di accorgimenti atti a fornire alle menti degli alunni la conoscen
za delle lettere e delle scienze indispensabili e convenienti alla loro vita.
Scuola, adunque, i cui risultati dovevano sfo
ciare e rimanere in funzione di vita, e mai da essa disgiunti o ad essa estranei.
Il Santo aveva cominciato l’opera sua didat
tica ed educativa con la scuola di catechismo:
ed è evidentissimo l’influsso di tale insegnamento .sulla vita vissuta dell’alunno. Ma, nel pensiero del nostro Padre, anche le scuole serali doveva
no migliorare, non solo le condizioni intellettuali, ma anche quelle morali e sociali di tanti poveri manovali e garzoni di bottega, la cui posizione era troppe volte infelice per la loro ignoranza nelle scienze e negli stessi mestieri che esercita
vano. Così pure le scuole professionali e classi
che dovevano essere, secondo le direttive di Don
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Bosco, in funzione della vita: e lo stesso è a dirsi di quelle agricole e commerciali.
I biografi ci mostrano come le sue scuole era
no adatte alla condizione degli alunni, al loro orientamento, alla loro vocazione: tutte quante dovevano gettare fasci di luce sui sentieri della vita percorsi dai giovani, migliorando il presen
te e garantendo l’avvenire.
Al fin qui detto aggiungeremo ancora una os
servazione. Mentre Don Bosco voleva che l’istru
zione fosse veramente educativa, non volle mai sostituire la scuola alla famiglia e alla Chiesa.
È certo che lo Stato ha nella scuola lo stru
mento più atto a provvedere alla formazione dei futuri cittadini: e non reca stupore che qua e là abbia modificato la scuola in modo tale da farne quasi un centro di vita famigliare, sociale, mo
rale e religiosa, illudendosi di poter surrogare la famiglia e la Chiesa con la scuola. Questa però è una evidente esagerazione e un fanatismo: è una delle deviazioni di un totalitarismo assai funesto.
La scuola, la vera scuola, deve restare quale ci fu tramandata dalle più sane tradizioni, e cioè palestra d’istruzione in lettere, in scienze ed ar
ti, anzi palestra educativa nel pieno significato della parola: senza tuttavia sostituirsi alla fami
glia e alla Chiesa.
4. Scuole domenicali e serali.
A questo punto è opportuno un breve cenno circa le scuole di vario genere che Don Bosco in
trodusse man mano aU’Oratorio, dimostrando in tal guisa quanto gli stesse a cuore l’educazione intellettuale dei figli del popolo.
Fin da quando era al Convitto Ecclesiastico di San Francesco d’Assisi, egli aveva ricono
sciuto la necessità d’istruire specialmente certi giovanotti analfabeti, i quali, pur essendo già inol
trati negli anni, ignoravano affatto le verità della Fede.
Per costoro organizzò presto le scuole dome
nicali e festive.
Interessante il metodo di scuola da lui adope
rato con essi.
Per una domenica o due faceva passare e ri
passare l’alfabeto e la relativa sillabazione. Di poi prendeva il piccolo catechismo della Dio
cesi e sopra di esso li faceva esercitare sino a tanto che fossero capaci di leggere una o due delle prime domande e risposte: e queste assegna
va poscia per lezione da studiare lungo la set
timana. La domenica successiva si ripeteva la stessa materia, aggiungendo altre domande e ri
sposte, e così di seguito. In questa guisa egli ot
tenne che, dopo poche settimane, taluni leggessero
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e studiasser© di per sè intiere pagine della dot
trina cristiana.
Per ovviare alla difficoltà di coloro clie, per tardo ingegno, dimenticavano lungo la settimana ciò che la domenica avevano imparato, si servì di scuole serali, con le quali istruiva i suoi giovani più profondamente e li teneva lontani dai pericoli nelle ore della sera. Con gare e con premi li in
namorava sempre più di tali studi (154).
Dette scuole serali, iniziate dal Santo a Val
docco verso la fine del 1844, vennero ben presto attivate in altri luoghi del Piemonte, e poi lar
gamente promosse e sparse ovunque in Italia.
Molti giovani, che non avrebbero potuto fre
quentare le scuole statali per motivi di età, o di lavoro, o di condizioni sociali od economiche, alla sera dei giorni feriali, eccettuato il sabato e la vigilia delle feste di precetto, si recavano a una certa ora da Don Bosco e dal Teologo Borei.
Questi cangiavano le proprie camere in scuole e insegnavano a leggere, a scrivere e a far di con
to. Ciò allo scopo, non solo di renderli più abili all’apprendimento di un’arte o mestiere, ma so
prattutto per im partir loro più facilmente l’istru
zione religiosa attraverso lo studio del catechi
smo (155).
Chiuse l’anno dopo per mancanza di locale, di lì a sei mesi riusciva a riaprirle, in grazia di
tre stanze che aveva preso a pigione, per adi
birle a scuole, in casa Moretta.
Ogni sera, dopo che in città erano state chiu
se le officine, i giovani venivano ad imparare a leggere sui cartelloni murali, escogitati apposita
mente da Don Bosco.
Ma non tardarono a farsi sentire le incompren
sioni e le inimicizie. Quantunque fosse chiara e manifesta la sincerità dello zelo di Don Bosco, non tutti vedevano bene questo suo intromettersi nelle scuole cittadine. Anche la frequenza di tan
ti giovanotti alla casa Moretta non poteva pas
sare inosservata e non dar da dire agli sfaccen
dati. Anzi se ne fece un gran rumore, da alcuni in senso favorevole e da altri in senso avverso. In seguito a certe dicerie sparse nell’inverno del 1845-46, l’opera era giudicata, anche da persone serie, vana e pericolosa. D alle male lingue Don Bosco era chiamato un rivoluzionario, un pazzo, un eretico. Dicevasi essere l’Oratorio un ripiego studiato per allontanare la gioventù dalle rispet
tive parrocchie e per istruirla in massime so
spette.
Queste ultime imputazioni, che erano preva
lenti, fondavansi sulla falsa credenza che Don Bosco fosse partigiano di una pedagogia assai dubbia, per il fatto che egli permetteva ai suoi ragazzi ogni sorta di ricreazione rumorosa,
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chè non tollerasse nè peccati nè inciviltà. Il si
stema corrente di educazione scolastica era di
sciplinato dal viso arcigno del maestro e dalla sferza: e le innovazioni di Don Bosco arieggiava
no troppo a libertà.
Alcuni, specialmente di idee settarie, facevano ciò per allontanare da lui i giovanotti, mentre questi, che lo conoscevano, aumentavano la stima e l’attaccamento a lui. A ltri invece vedevano in Don Bosco qualche cosa di straordinario e di grande, che non sapevano spiegare, e specialmen
te la sua arte nel legare a sè gli animi e domina
re le moltitudini. « Guai a noi — esclamavano — guai alla Chiesa, se Don Bosco non è prete se
condo il cuore di Dio!... Lo sarà? ». E l’osteggia
vano, non sapendo persuadersi che egli secon
dasse gli impulsi di una missione celeste.
San Giuseppe Cafasso comprendeva Don Bo
sco, ed ai mormoratori rispondeva invariabilmen
te con tono grave e con accento quasi profetico:
« Lasciatelo fare, lasciatelo fare! » (156).
Dopo qualche mese, nel 1846, Don Bosco potè avere altre sale a pianterreno e vi trasportò al
cune classi, divise e suddivise secondo la maggiore o la minore istruzione dei giovani: rendeva così più facile l’osservanza della disciplina, e soprat
tutto più graduale e profìcuo l’insegnamento ìg li alunni, cresciuti di numero fino a trecento (157).
Più tardi, durante le vacanze del 1848, Don Bosco diede maggior impulso alle scuole serali, ri
servandosi gli adulti illetterati, la maggior parie coi baffi e con la barba: faceva loro scuola a par
te, adoperando un metodo tutto suo per insegnar loro l’alfabeto.
Accompagnava la spiegazione con motti argu
ti e paragoni ameni che rallegravano gli scolari e fissavano loro in mente le lettere da lui scritte sulla lavagna. Disegnava, per esempio, una - O -, poi la tagliava in mezzo con una linea perpendi
colare. La parte sinistra era una - C -, quella destra una - D -. E così procedeva segnando li
nee rette e curve, cancellando e aggiungendo, ma tenendo un ordine logico di idee per non ingene
rare confusioni. In fine raggruppava le lettere in sillabe e formava le parole (158).
I suoi scolari, benché non avvezzi a lavori di mente, imparavano che era una meraviglia, e, dopo breve tempo, sapevano leggere e scrivere correttamente. Non faceva loro mai scuola senza un po’ di catechismo. Ad intervalli un fatterello che ispirava amore alla virtù, orrore al vizio. Al termine, il canto di una lode.
Come li ebbe così dirozzati, ne cedette l’in
segnamento a un suo giovane aiutante, senza tut
tavia tralasciare di vigilarli: e talora impartiva loro perfino lezioni di calligrafia e di aritmetica.
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Questi suoi alunni finivano con aiutare Don Bo
sco a can tare in presbiterio cogli alunni interni e a salvare le anime. Nei casi di necessità li soc
correva con denaro.
Nel 1849 si propose di indirizzare agli studi veri e propri, quattro giovani prescelti, per condurli nel più breve tempo possibile alla ve
stizione clericale. A veva compreso d ie gli ordi
nari metodi usati nel fare la scuola non gli avreb
bero dato frutto sufficiente; quindi ne aveva esco
gitato uno tutto caratteristico, e l’esperienza die
de ragione alla sua ingegnosa audacia. Insegnava la gram m atica esponendone con brevità e lucidis
sima chiarezza le regole, ed esigendone da ciascun allievo la ripetizione, per così accertarsi se aves
sero compreso. In virtù del suo ingegno sì acuto e sì chiaro, della facile sua com unicativa, e so
p rattu tto della sua inalterabile pazienza e carità, egli potè ben presto renderli in grado di assag
giare il latino. Nè ciò deve fare m eraviglia, se si riflette come fossero piene le giornate sue e dei suoi scolari. Basti dire che si levavano alle quat
tro e mezzo del mattino (159).