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Scuole professionali interne

Nel documento DON BOSCO EDUCATORE (pagine 143-157)

Don Bosco si preoccupò grandemente dell’e­

ducazione intellettuale degli artigiani ricoverati al­

l’O ratorio, e diede origine all’opera delle Scuole Salesiane di Arti e Mestieri, la quale doveva avere- in seguito così notevoli sviluppi.

È noto come Don Bosco, nei primordi del suo 123

Oratorio, ricoverasse giovani che, per essere sprovvisti d'ogni coltura, e per giunta orfani o la­

sciati in abbandono dai propri parenti, non era­

no in grado di guadagnarsi da vivere. Preoccu­

pato dei loro bisogni materiali, provvide anzitut­

to ad essi pane e lavoro collocandoli presso qual­

che officina o bottega in città. In un secondo tempo fondò laboratori interni di vario genere per garantire loro, con l’apprendimento dell’arte, an­

che una migliore formazione morale e religiosa.

Finalmente, appena potè, istituì scuole profes­

sionali allo scopo di completare e perfezionare la formazione dei giovani artigiani con quegli ele­

menti di cultura generale e particolare, che era­

no convenienti alla loro condizione speciale e al­

l’esercizio del loro mestiere. Don Bosco adunque procedette per gradi.

Il malcostume e l ’irreligione degli operai, la stampa pornografica e le produzioni indecorose delle vetrine e delle botteghe lungo le strade, met­

tevano in serio pericolo l’educazione morale e re­

ligiosa che egli cercava di impartire ai suoi fi­

gliuoli artigiani, che si recavano a lavorare in città. Perciò col concorso dei benefattori, l’anno 1853, comprati alcuni deschetti e gli attrezzi ne­

cessari, collocò il laboratorio dei calzolai in un piccolo corridoio della casa Pinardi, presso il campanile della chiesa. Contemporaneamente

de-stillò alcuni giovani al mestiere di sarto collocan­

doli nell’antica cucina.

Don Bosco fu il primo maestro degli uni e degli altri. Aveva già esercitato il mestiere di sarto quando era studente. Così pure, di quando in quando, andava a sedersi al deschetto per in­

segnare ai giovani calzolai il maneggio della le­

sina e dello spago impeciato, per rattoppare le scarpe (171).

A ll’inizio del 1854, nella speranza di poter avere in tempo non lontano una tipografìa a sua disposizione, apriva quasi scherzando, — com’era solito in molte sue imprese, — un terzo laborato­

rio: la Legatoria di libri. Ed ecco come.

F ra i giovani dell’Oratorio non v era alcuno che s’intendesse di questo mestiere, e pagare un capo d’arte esterno non era ancora il caso. T u t­

tavia un giorno, mentr’era attorniato da alunni, depose sopra un tavolino i fogli del libro che ave­

va per titolo « Gli Angeli Custodi 2> e, chiamato un giovane, gli disse:

— Tu farai il legatore!

— Io il legatore? Ma come faccio, se non so nulla di questo mestiere?

— Vieni qua! Vedi questi fogli? Siediti a ta ­ volino: bisogna cominciare dal piegarli.

Don Bosco pure si sedette, e, fra lui e il gio­

vane, piegarono tutti i fogli.

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Il libro era formato, ma bisognava cucirlo.

Subito con farin a si fece un po’ di pasta, e al li­

bro si attaccò anche la copertina.

Quindi si trattò di rifilare i fogli pel taglio voluto. Come fare? T u tti gli altri giovani cir­

condavano il tavolino, curiosi spettatori e te­

stimoni di quella inaugurazione. Ciascuno dava il suo parere. Chi propóneva il coltello, chi le forbici. Non c ’erano ancora le lamette.

L a necessità rese Don Bosco industrioso. Va in cucina, prende con sussiego la mezzaluna d’a c ­ ciaio che serviva per tagliare l’aglio e le cipolle, e, con questo arnese, si mette al lavoro. I giovani sbottavano dalle risa.

— Voi ridete, — esclamò Don Bosco, — ma io so che in casa nostra ci dev’essere questo labo­

ratorio di legatori, e voglio che s’incominci.

Il libro era infine rilegato e rifilato; e Don Bo­

sco: — O ra vogliamo indorarne il taglio.

— Vedremo anche questa! — soggiunse M am­

ma M argherita.

Egli, fatta com prare un po’ di vernice, scio­

glieva in essa un po’ di « te rr a d’om b ra» gialla:

ed ecco il libro dorato.

Tutti ridevano, anche Don Bosco. Ma il labo­

ratorio era inaugurato e si stabiliva nella secon­

da stanza della prim a p arte del fabbricato nuovo, vicino alla scala.

Egli intanto, andando nelle botteghe di To­

rino, p rocu rava d’im parare le regole di questo mestiere e, di mano in mano, l’insegnava al suo primo legatore.

A questo primo ne aggiunse poi altri, e com­

però pure qualche strumento col quale si an­

dava lavorando alla buona. Poi vennero ricove­

rati alcuni giovanetti che avevano già fatto i legatori in città, ed essi contribuirono al pro­

gresso dei lavori, in modo che il laboratorio co­

minciò a fare le sue prime prove con la piega­

tura e cucitura delle Letture Cattoliche e di libri scolastici (172).

Anche a noi viene da sorridere. Ma ci voleva tu tta la fede e la volontà di Don Bosco per dar principio a così grandi imprese, partendo dal nulla.

Due anni dopo, nel 1856, istituiva il primo laboratorio dei falegnami a pianterreno, sotto le sue camerette. Per la fine dell anno fu provvisto di banchi, di svariati ferri e di un magazzino di legnami (173).

Nel 1861 attuava un gran disegno, che gli sta­

va sommamente a cuore.

Col Vescovo di Ivrea, nel febbraio dello stesso anno, aveva trattato dell’allestimento di una ti­

pografìa, per la edizione di classici greci, latini e italiani, nonché di vocabolari purgati, e spe­

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cialm ente p er le Letture Cattoliche e per la buona stam pa da diffondersi più attivam ente in mezzo al popolo. Entram bi si erano m ostrati dello stesso parere del C ard. Pie, il quale aveva lasciato scrit­

to: « Quando tu tta una popolazione, fosse anche la più devota ed assidua alla chiesa ed alle p re­

diche, non leggesse che giornali cattivi, in meno di tren t’anni diventerebbe un popolo di empi e di rivoltosi. Um anam ente parlando, non v ’è p re­

dicazione di sorta che valga contro la forza della stam pa ca ttiv a » (174).

Don Bosco da undici anni andava vagheggian­

do una tipografìa di sua proprietà. Ne aveva pure trattato col Rosmini. Finalm ente il suo desiderio diventava realtà.

Nel settembre ordinò lo sgombero di una sala situata presso la portineria e in quel locale fece collocare due vecchie m acchine a ruota, con un torchio com prato d’occasione; in più, un banco e le cassette p er i caratteri, lavoro dei falegnami d ellO ratorio.

Ripeteva intanto ai suoi giovani: « Vedrete!

Avremo una tipografia, due tipografìe, dieci tipo­

grafìe. Vedrete! » (175). P arev a le contemplasse già a Sam pierdarena, a N izza, a Barcellona, a Buenos Aires, a Montevideo, e via dicendo, m oltiplicate ora p er tutto il mondo e alim entate dal provvi­

denziale vivaio di Coadiutori per le A rti Grafiche

situato presso la sua casetta nativa, sul Colle che p orta il suo nome.

Nel 1862 al posto della tipografìa, che venne traslocata, iniziò l’officina dei fabbri-ferrai.

Questo aumento progressivo dei laboratori in­

duceva Don Bosco a modificare successivamente i rispettivi Regolamenti al fine di provvedere me­

glio alla responsabilità del lavoro, alla disciplina, alla economia e alla moralità degli artigiani (176).

Nella scelta dei m aestri d’arte Don Bosco era oculatissimo, e rigoroso nel togliere quell’ufficio a chi se ne fosse reso indegno. Essi infatti, più d’ogni altro, avevano influsso sui giovani sia nel bene che nel male, e da loro dipendeva p rin ­ cipalm ente l’avvenire professionale degli alun­

ni (177).

D a un foglietto aggiunto al fascicolo delle Letture Cattoliche del dicembre 1864 si viene a conoscere che, in quel medesimo anno, il Santo aveva aperto una libreria vera e propria. Vi si annunziavano infatti varie opere messe in ven­

dita.

Q uesta libreria, che doveva prendere vaste proporzioni, ap riva un nuovo cam po di attività a un certo numero di giovani, pei quali Don Bosco stabilì una scuola di commercio.

A pprezzando poi tutto il valore della pubbli­

cità, non tardò a pubblicare, come nuovo mezzo 129

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di propaganda per il bene, un catalogo generale, che in novantasei pagine conteneva l’elenco delle edizioni uscite dalla sua tipografìa (178).

Tutto sommato, nel 1874 « gli artigiani nei vari stabilimenti dellO ratorio esercitavano il mestie­

re di calzolaio, sarto, ferraio, falegname, ebanista, pristinaio, libraio, legatore, compositore, tipogra­

fo, cappellaio, musica, disegno, fonditore di ca­

ratteri, stereotipista, calcografo e litografo » (179).

M igliaia e migliaia di operai uscirono da quei laboratori di Don Bosco, educati cristianamente:

e si sparsero dovunque con immenso vantaggio per loro e per la società (180).

T ali furono gli umili inizi dei fiorenti labora­

tori, che oggi come allora si sforzano, come ap­

punto egli voleva, di porsi all’avanguardia per la preparazione dei capi e maestri, per l’attrezza­

tura delle macchine, per la regolarità dei corsi di studio, e per la serietà del tirocinio pratico.

E non è a dire a quante fatiche e a quanti sa­

crifici Don Bosco non si sobbarcasse per mettere e mantenere in efficienza i suoi laboratori. Egli stesso il 4 dicembre del 1885 narrò ai Capitolari alcune difficoltà che aveva dovuto superare nel- l’istituire le scuole di arti e mestieri all’Oratorio:

« Prim a — così disse — obbligai i capi a provve­

dere i ferri del mestiere anche per i giovani; poi quest’obbligo fu ristretto personalmente al capo,

mentre la C asa era obbligata a provvedere i ferri ai giovani; talora si pattu iva che io avrei messo solo certi ferri determ inati a disposizione dei capi, m entre gli altri se li sarebbero portati da casa; tal altra che il capo avrebbe dovuto provvedere ai giovani una p arte degli strumenti del mestiere e l’altra sarebbe provvista dall’O ra­

torio. Ma ne seguivano sempre spese a capriccio dei capi, ed ora i giovani non erano provvisti, ora i capi usavano i ferri dei giovani e risparm ia­

vano i loro... O ra c ’erano le questioni dei ferri ro t­

ti, ora di quelli scomparsi, ora perchè erano stati usati fuori del laboratorio e fuori del tempo di la ­ voro... Così pure sorgevano dissensi sulle modalità dei lavori, negligenze nell’insegnare ai giovani, diverbi sui guadagni quando erano interessati in un’impresa. Ho provato a m andare i giovani nei laboratori in città, quindi a ritirarli con lo stabilire laboratori in casa. Ho anche posto tutti i giovani sotto capi che nei nostri laboratori esercitassero l’autorità dei padroni di bottega;

ma allora i giovani divenivano veri servitori ed erano sottratti all’autorità del Superiore. Non si poteva più esercitare una sorveglianza diretta, i giovani non ascoltavano che il capo, talora lo stesso orario correva pericolo di venire violato per l’urgenza di un lavoro. Furono insomma fastidi sopra fastidi » (181). A tutti questi e ad altri in­

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convenienti Don Bosco cercò di porre fine con l’istituzione dei Coadiutori messi a capo dei suoi laboratori.

F rattan to , col crescere del personale e dei lo­

cali, Don Bosco aveva provveduto a sollevare il livello culturale degli artigiani, istituendo per essi, man mano d ie se ne presentava l’opportunità, speciali corsi di istruzione, che avevano luogo re­

golarmente nelle ultime ore della sera.

L ’anno 1875 segnava un vero progresso nel­

l’andamento dei laboratori, che s’incamminavano sempre più a divenire scuole professionali. La scuola per gli artigiani, che finiva con l ’anno scolastico degli studenti, fu proseguita anche do­

po. Essa, lim itata precedentemente alle ultime ore della sera, prese a farsi anche al mattino appena terminata la Messa, a cui gli artigiani assisteva­

no da soli, come ancor oggi, subito dopo la levata.

Degno di nota il fatto che Don Bosco non ve­

deva bene che gli artigiani cambiassero mestiere, ritenendo che da ciò provenisse loro gran danno.

Perciò il 50 maggio ammonì chi di ragione che tali cambiamenti non si permettessero. « Bisogna proprio — disse — che chi viene per una deter­

minata cosa faccia quella e non un’altra. Quanti cambiamenti si sono già fatti! E quasi tutti riu­

scirono m ale» (182). Vedremo più tardi come egli favorì l’orientamento.

F ra tta n to le scuole professionali si m oltiplica­

vano in Italia e all’estero.

Nel settembre del 1886, a dare un notevole im­

pulso a tali scuole intervennero le deliberazioni del IV0 Capitolo Generale. Il paragrafo 2° dello schema diramato ai Confratelli presentava un duplice oggetto: indirizzo da darsi agli artigiani e mezzi per svilupparne la vocazione religiosa.

Partecipò alla discussione anche il coadiutore Rossi. Le deliberazioni prese meritano di non gia­

cere negli archivi, sia perchè rispecchiano il pen­

siero di Don Bosco, che certamente le suggerì o fece sue, sia perchè segnano il primo passo, da un periodo basato sulla tradizione, a un altro re­

golato da leggi scritte circa l'indirizzo intellet­

tuale, tecnico, religioso, delle nostre scuole profes­

sionali (183).

Vi si definisce anzitutto lo scopo caritativo della nostra Congregazione: « F r a le principali opere di ca rità che esercita la nostra P ia So­

cietà vi è quella di raccogliere, per quanto è possibile, giovanetti abbandonati, pei quali riu­

scirebbe inutile ogni cu ra di istruirli nelle verità della cattolica fede, se non fossero ricoverati ed avviati a qualche arte o mestiere ». Si provvede quindi alla creazione di un incaricato straordina­

rio degli artigiani: « In quelle case dove il numero degli artigiani è considerevole, si potrà incaricare

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uno dei soci che abbia cura particolare di loro, col nome di Consigliere professionale ». Quanto ai giovani si stabilisce: « Il fine che si propone la P ia Società Salesiana neH’accogliere ed educa­

re questi giovanetti artigiani, si è di allevarli in modo che, uscendo dalle nostre case, dopo aver compiuto il tirocinio, abbiano appreso un mestie­

re onde guadagnarsi onoratamente il pane della vita, siano bene istruiti nella Religione, ed ab­

biano le cognizioni scientifiche opportune al loro stato. Ne segue che triplice deve essere l’indi­

rizzo da darsi alla loro educazione: religioso-mo­

rale, intellettuale e professionale » (184).

Dopo aver trattato dell’indirizzo religioso-mo­

rale, il quale riflette in generale quello degli stu­

denti — e che da noi verrà opportunamente espo­

sto nel capitolo della educazione morale — il do­

cumento viene a parlare dell’indirizzo intellet­

tuale.

Ed è per noi doveroso tener conto dell’epoca in cui queste cose furono deliberate, ricordando la scarsissima coltura allora im partita ai meno abbienti, in gran parte analfabeti.

Quale parte avesse l’istruzione nel quadro del­

la vita degli artigiani all’Oratorio risulta evi­

dente dalla semplice esposizione delle delibera­

zioni prese in seno al Capitolo: « Perchè gli alunni artigiani conseguano nel loro tirocinio

professionale quel corredo di cognizioni lettera­

rie, artistiche, scientifiche, che loro sono necessa­

rie, si stabilisce che abbiano ogni giorno, finito il lavoro, un’ora di scuola; e, per coloro che ne aves­

sero maggior bisogno, si faccia anche scuola al mattino dopo la Messa della Comunità fino al tempo di colazione... Sia compilato un program­

ma scolastico da eseguirsi in tutte le nostre case di artigiani e vengano indicati i libri da leggere e spiegare nella scuola; si classifichino i giovani dopo averli sottoposti ad un esame di prova, e si affidi la loro istruzione a maestri pratici. Una volta alla settimana un Superiore faccia loro una lezione di buona creanza; nessuno possa essere ammesso a scuole speciali, come di disegno, di lin­

gua francese, ecc., se non è sufficientemente istrui­

to nelle cose spettanti alle classi elementari. Al fine dell’anno scolastico si dia un esame per con­

statare il profitto di ciascun alunno e siano pre­

miati i più degni. Quando, finito il suo tiroci­

nio, un giovane volesse uscire dall’istituto gli si consegni un attestato notando distintamente il suo profitto nell’arte o mestiere, nell’istruzione e buona condotta» (185).

F in da allora parte essenziale delle scuole di arti e mestieri di Don Bosco è la scuola detta di teoria e di disegno professionale. U na ben stu­

diata distribuzione delle ore di lavoro, di istru-135

zione generale, di teoria dell’arte e di disegno a p ­ plicato ha dato splendidi risultati p ratici a van­

taggio degli alunni form ati in dette scuole.

Abbiamo creduto bene di ricordare queste deliberazioni, p er dim ostrare quanto stesse a cuo­

re a Don Bosco l’educazione intellettuale degli artigiani e quanto avesse egli stabilito concreta­

mente al riguardo, valendosi unicam ente del su©

profondo intuito e della sua esperienza.

Egli sapeva benissimo che, m entre da una parte il braccio compie quello che la mente detta, dall’altra il solo lavoro, ossia l’esercizio del pro­

prio mestiere non raggiungerà mai gli scopi del­

l’educazione in genere, e neppure quelli della edu­

cazione professionale in ispecie. È troppo neces­

sario che l’esperienza venga sostenuta dalla teoria e sia fiancheggiata da nozioni com plementari, affinchè il lavoratore sia cosciente di quello che fa e di quello che può e vuole fare. Soltanto a questa condizione il lavoro risulterà riflesso e in­

dice della personalità umana, ossia di tutto l’uo­

mo: il quale è m ateria e spirito, intelligenza, sen­

timento e volontà.

Lo stesso possiamo dire per le scuole agricole di Don Bosco, nelle quali i piccoli agricoltori, m entre sono iniziati nell’esercizio dei lavori della terra e nel maneggio dei relativi strum enti e m acchine, ricevono pure quella istruzione teorica

agraria che è necessaria per conoscere a fondo i problemi riguardanti le loro attività.

Noi pertanto, con orgoglio di figli, possiamo afferm are che, anche in questo settore del lavoro.

Don Bosco è stato antesignano, precorrendo i bi­

sogni dei tempi. Giustamente fu annoverato tra i più grandi benefattori dell’umanità.

Anziché perdersi in vane teorie, il Santo ha preferito risolvere praticam ente i problemi sociali, mettendo i suoi alunni in grado di guadagnarsi il pane con cognizione della p ropria arte e con onestà di costumi. E vi è riuscito mirabilmente, dando a tutti un grande esempio di efficace vo­

lontà, e mostrando col fatto che la Chiesa, solle­

cita degli interessi spirituali ed eterni degli uo­

mini, non perde di vista i loro interessi e biso­

gni tem porali, facendo convergere anche questi al fine precipuo della salvezza delle anime.

Nel documento DON BOSCO EDUCATORE (pagine 143-157)