G rande fu la preoccupazione di Don Bosco per evitare che si infiltrassero nelle sue scuole elementi, i quali potessero in qualsiasi modo a f
fievolire o guastare la sana e com pleta form a
zione dell’uomo e del cristiano. Si persuase ben presto che i due pericoli principali potevano de
rivare dalla m ancanza di maestri adatti e dal di
fetto di opportuni libri di testo. Ed ecco che egli, p ur assillato da cento altre preoccupazioni, anche d’indole m ateriale, si accinse alla
forma-zione di insegnanti cap aci e alla preparaforma-zione di testi che non offrissero pericoli per la moralità degli allievi.
Leggere nella vita di Don Bosco ciò che egli fece per la preparazione di insegnanti idonei, che avrebbero dovuto, seguendo i suoi esempi e le sue norme, continuare l’opera sua, desta sempre viva commozione.
Egli era solo: non im porta. D app rim a si preoc
cupò di fornire, come già accennamm o, le sue scuole festive e serali di buoni maestri di cate
chismo. T ra coloro che frequentarono l’Oratorio ve n’erano alcuni dei più grandicelli, di eletto in
gegno, desiderosi di un’istruzione più estesa. Fece una scelta di questi, e somministrò loro, in ore adatte, l’insegnamento gratuito della lingua ita liana, latina, francese, di aritm etica e altre m ate
rie; ma a condizione che essi alla loro volta ve
nissero ad aiutarlo nell’insegnare il catechismo durante la quaresima, e nel fare la scuola dome
nicale e serale ai loro compagni.
L a prova riuscì a m eraviglia, quantunque co
stasse a lui fatica e sudori, e anche disillusioni:
taluni infatti, dopo avergli fatto spendere molto tempo e denaro per libri e sussidi dati alle loro famiglie, gli mancarono infine di parola.
Quei maestrini, da otto a dieci all’inizio, si accrebbero, e non solamente gli furono di grande
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aiuto neH’istruire altri giovanetti, ma riuscirono ancor essi a prendere nel· mondo carriere onorate.
In alcuni poi, avendo egli scoperto speciali atti
tudini per una decisa vocazione allo stato eccle
siastico, prese a far loro particolari ripetizioni, sicché divennero sacerdoti eccellenti nel ministero delle anime (186).
Più tard i da un egregio professore, il quale aveva aperto una scuola p rivata per elementi scelti della nobiltà torinese, ottenne fossero a c cettati anche alcuni dei suoi migliori elementi ri
tenuti meritevoli di quel favore. L ’ottimo profes
sore, che stim ava assai Don Bosco, ripetutam ente ebbe poi a dirgli che quegli alunni avevano con
tribuito efficacemente a migliorare la sua scuola.
Mentre i figli dei ricchi e dei nobili avevano forse troppe distrazioni in casa e fuori, e quindi non sempre grande interesse per lo studio, i gio
vani di Don Bosco portarono la nota di una gran de serietà, di un’applicazione, diremmo, eccezio
nale, e di un profitto tale, che cooperò a rendere man mano la scuola stessa più ap p rezzata ed a t
traente.
D ’altronde gli allievi dell’O ratorio ci tene
vano a figurare tra i prim i, sia p er sentimento di dovere, sia per recare soddisfazione a Don Bo
sco. Il profitto di quei primi giovani fu vera
mente notevole, cosicché poterono presentarsi agli
esami ufficiali e frequentare in seguito l’U niver
sità.
Ad essi, appena rivestiti dell’abito chiericale, Don Bosco affidò i corsi ginnasiali dell’O ratorio.
Gli prem eva soprattutto che quei giovani aiu
tanti fossero forniti delle necessarie doti peda
gogiche e didattiche. A questo lavoro si accinse egli stesso consigliandoli, guidandoli, assistendoli oppure facendoli assistere, nelle prim e prove, da professori provetti. Li interrogava e li esaminava frequentemente, nelle riunioni e conferenze che teneva a tale scopo, arricchendo così la loro for
mazione did attica e pedagogica, non solo coi suoi consigli tanto preziosi, m a anche mediante l’espe
rienza dei m aestri più quotati. Il Santo faceva tutto ciò da pari suo, poiché aveva sortito da n a
tu ra doti preclare per l’insegnamento.
E cco un esempio del come Don Bosco formava i suoi insegnanti. Nell’anno scolastico 1877-78 aveva affidato la scuola di prim a ginnasiale infe
riore, n ellO ratorio, al chierico Bernardo V acchi
na, che aveva appena finito il noviziato: un r a gazzo, insomma, vestito da chierico. Egli però lo vigilava paternam ente. Gli dava, nella direzione spirituale e in altre circostanze, avvisi sul modo di com portarsi con la scolaresca, di pregare per i suoi alunni, di dar loro buon esempio special
mente in chiesa, n arrare fatti edificanti, formarsi 143
idee chiare, non p arlare troppo lui medesimo ma far p arlare gli scolari, prendersi cu ra dei meno intelligenti, raccom andare che tutti si avvicinas
sero spesso ai Superiori. Lo esortava anche a la
vorare, ora in espiazione dei propri peccati, ora per farsi dei meriti, ora per esercitare la carità verso il prossimo, ora per evitare l’assalto delle tentazioni.
U na volta gli domandò se in classe vi fosse ordine. — Non sem pre — rispose Vacchina.
— Vedi, — gli osservò Don Bosco, — se vuoi essere obbedito e rispettato, fatti voler bene. Ma non carezze, massime sulla faccia o prendendo per le mani.
Simili raccomandazioni gli ripeteva alle volte incontrandolo in cortile e durante la conversa
zione in camera. Tra l’altro si faceva dare da lui ogni mese, corretto, un lavoro di prova dei suoi alunni (187).
« È un fatto innegabile, — afferma il biogra
fo, — che, sotto l’influsso di Don Bosco, si for
mavano di anno in anno certi tipi di chierici, dei quali si sarebbe voluto perpetuare la generazione:
riflessivi, studiosi, ferventi nelle pratiche di vote, e insieme pronti a far di tutto, sol che sapessero una cosa conforme al desiderio dei Superiori.
Conducevano una vita che era un misto di ra c coglimento e di attività, e che noi oggi potremm®
definire come un riflesso della spiritualità stessa di Don Bosco » (188).
E questa spiritualità Don Bosco cercava d’in
fondere e di alimentare nel cuore dei suoi primi collaboratori, in tutte le maniere, non ultima quella di riservare ad essi soli dei corsi speciali
di Esercizi Spirituali. /
Egli bramava inoltre che i suoi maestri, alla formazione pedagogica, didattica e morale, ac
coppiassero quella letteraria e scientifica corre
data da titoli legali d’insegnamento, per una sem
pre migliore attrezzatura delle sue scuole. Per questo stabiliva di iscrivere i suoi chierici all’U
niversità.
Ma qui è bene ricordare che a quei tempi era
no pochissimi gli ecclesiastici e religiosi che fre
quentavano le Università dello Stato, e, se le frequentavano, era per compiervi i loro studi nelle facoltà di filosofia e teologia, che allora formavaho parte delle Università statali. Invece quasi nessuno frequentava le altre facoltà lette
rarie e scientifiche.
Don Bosco, intuendo i tempi, si era persuaso che i Governi avrebbero preparato leggi restrit
tive, per proibire l’insegnamento a quei sacer
doti o religiosi che non avessero titoli legali. In
fatti il 4 ottobre 1848 era stata promulgata una nuova legge sulla pubblica istruzione, con la
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quale si abrogava il Regolamento scolastico del 1822. L ’insegnamento fu sostanzialmente secola
rizzato, in quanto veniva tolta qualsiasi inge
renza dell’autorità ecclesiastica nelle scuole pub
bliche e private, pur conservando negli Istituti di educazione qualche pratica di pietà, la Messa festiva, e il triduo di preparazione alla Pasqua.
I Seminari si lasciarono, per grazia, pienamente soggetti ai Vescovi; ma gli studi ivi compiuti era
no dichiarati senza valore per gli esami e i gradi nelle scuole pubbliche, qualora non si seguissero i nuovi regolamenti.
Don Bosco subito comprese il bisogno di nume
rosi Istituti cattolici da erigersi a qualunque co
sto; perchè altrim enti, come avrebbero potuto i Vescovi riposare tranquilli sull’ortodossia di un insegnamento religioso im partito da m aestri non soggetti alla loro autorità? E poi andando di quando in quando all’Università per assistere a qualche lezione, non tardò a costatare il cre
scente mal animo di studenti ed insegnanti contro la Chiesa. Un giorno udì che un professore di
ceva: « U n a volta l’istruzione era tu tta in mano ai preti, ed ora bisogna che passi in mano ai laici. V errà il tempo in cui il clero, se vorrà im
p arare qualcosa, bisognerà che venga a scuola da noi » (189). E ra quello il proposito deliberato dei settari.
P e r di più nell'Università eravi anche la fa coltà di teologia: ma non vi fu stranezza nè errore che non si sostenesse, che non si difendesse spe
cialm ente contro i diritti e l’autorità del Sommo Pontefice e della Chiesa. I Vescovi reclamarono invano. Alcuni di essi vietarono ai loro chierici di frequentare i corsi universitari, mentre altri dissimulavano, lasciando che i loro diocesani pro
seguissero a studiare teologia e ne ottenessero la laurea.
Don Bosco era del parere di questi ultimi.
Ferm o sempre nella certezza che questa legge sarebbe durata molti anni, era d’avviso che si mandassero a conseguire lauree — e specialmente quelle necessarie p er i vari ram i d’insegnamento nei ginnasi, nei licei ed anche nelle Università,
— chierici e sacerdoti di p rovata virtù e inge
gno: bastava premunirli e assisterli, perchè po
tessero schivare i temuti pericoli di pervertimento.
Egli osservava che questo era l’unico mezzo per il quale la Chiesa avrebbe potuto indiretta
mente influire sull’istruzione pubblica; altrimenti, venendo a cessare i molti ottimi insegnanti di al
lora, forse e senza forse avrebbero preso il loro posto professori guasti da falsi princìpi.
Pel Santo Educatore, operare diversamente sa
rebbe stato un abbandonare col tempo tutta la gioventù agli avversari (190).
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P er questo, superando egli stesso difficoltà di ogni genere, — le quali, prese insieme, costitui
rono durante anni interi un vero calvario, — in
viò quei suoi primi allievi e figliuoli a prendere titoli legali universitari. L ’esito compensò lar
gam ente i suoi sacrifìci e così man mano potè dotare le sue scuole di maestri e professori uffi
cialm ente patentati.
Y i furono di quelli che trovarono argomento di critica e fecero le m eraviglie per la risoluzione di Don Bosco. P er lui era cosa evidente che gli uomini politici, a dispetto della legge allora vi
gente, sarebbero stati di anno in anno sempre più ostili alla libertà d’insegnamento, e che avreb
bero posto gravi incagli, affinchè gli O rdini re
ligiosi e i Sacerdoti in generale non potessero più attendere nè al pubblico nè al privato insegna
mento, sia scientifico sia letterario. « È finita, — andava egli dicendo, — i tempi sono cattivi e non cam bieranno così presto. Noi, fra alcuni anni, dovremo o chiudere le nostre scuole od avere maestri e professori patentati per insegnare >
(191).
Perciò, come già prim a aveva messo a stu
diare parecchi suoi chierici perchè potessero p re
sentarsi agli esami di corso normale e fornirsi delle patenti per le scuole elementari, allo stesse modo ne preparò alcuni fra i più distinti per il
conseguimento delle lauree: cosicché fra i Supe
riori di Congregazioni religiose fu il primo, e il solo allora, a prendere questo provvedimento, fa
cendo iscrivere alla Regia Università di Torino i suoi alunni per com piervi i corsi di Belle L e t
tere, di Filosofia e di M atem atica.
Con ciò Don Bosco dim ostrava la necessità che il clero si armasse conformandosi alle esigenze delle leggi, al fine di resistere, per quanto sarebbe stato possibile, all’istruzione laica, em pia e scan
dalosa. Mentre tutelava così un gran numero di vocazioni ecclesiastiche, dim ostrava pure in faccia alla gente quanta im portanza desse agli studi, e p rep arav a infine l’espansione, anche fuori di To
rino, della sua Società, la quale altrim enti nep
pure allO rato rio avrebbe potuto sussistere come Congregazione insegnante.
Egli, in questa sua decisione, era andato d ’a c cordo col Vicario generale della D iocesi; e di ciò fu testimone Don Rua. Ma non tutti gli E cclesia
stici, anche di molta pietà, videro bene questa misura. Alcuni Vescovi la disapprovarono, con
dannando il buon prete quasi che si fosse piegato ad ingiuste pretensioni del Governo: ed essi non perm ettevano che il loro clero si presentasse agli esami. In seguito però, scorgendo le conseguenze che il loro disparere produceva a danno delle anime, si accorsero quanto prudentem ente Don
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Bosco avesse operato nell’interesse della Chiesa, provvedendo a che le scuole non sfuggissero com
pletam ente di mano al clero: e ben tosto imita
rono il suo esempio.
Avendo egli stesso consigliato i Superiori di vari O rdini religiosi di p rocurare ai loro Istituti professori laureati del proprio O rdine, essi sulle prim e si mostrarono sorpresi, ma più tard i con
vennero non potersi fare altrim enti. A questo mo
do Don Bosco fu stimolo a che molti sacerdoti e chierici, oltre i suoi, si abilitassero all’insegna
mento classico inferiore e superiore.
Al Vescovo di Bergamo, che non voleva con
venire con le sue ragioni, egli rispose: «D irò po
che parole per non fare questioni. O i Pastori della Chiesa si gettano avanti e riprendono con questo mezzo l’istruzione della gioventù, preve
nendo i laici, e allora le cose andranno bene;
ovvero si ritirano e stanno inerti, ed allora da qui a dieci anni l’empietà avrà il suo trionfo nelle scuole ». Dopo qualche anno, Monsignore dovette ricredersi, e scrisse a Don Bosco: « Avevate ra
gione; ma ora è forse troppo tardi » (192).
Con tutto ciò si continuava ad accusarlo di imprevidenza, perchè l’attendere a questi studi non era senza pericolo per la gioventù ecclesia
stica. Il Professore Tommaso Vallauri diceva a Don F ran cesia: «D on Bosco fa sem pre conto di
mandare i suoi chierici all’Università? Ditegli da parte mia che qui regna un’aria pestilenzia
le! » (193). Ma Don Bosco era sicuro che i prin
cìpi cattolici avevano salde radici nel cuore dei suoi figli; e poi questi erano premuniti dai suoi avvisi.
Diceva loro: « Volete voi essere forti per com
battere contro il demonio e le sue tentazioni?
Amate la Chiesa, venerate il Sommo Pontefice, frequentate i Sacramenti, fate sovente la visita a Gesù nei suoi Tabernacoli, siate molto divoti di M aria SS., offritele il vostro cuore, ed allora su
pererete tutte le battaglie e tutte le lusinghe del mondo. Quando si tratta di fare il bene, di re
spingere o di combattere gli errori, mettete la vostra confidenza in Gesù e Maria, e allora sa
rete pronti a calpestare il rispetto umano e a su
bire il m artirio» (194).
Iddio premiò quella sua fatica dandogli la sodisfazione di vedere che la riuscita fatta da quei suoi primi figli superò ogni sua speranza.
Basti citare alcuni nomi: Don Giovanni Battista Fran cesia, elegante umanista, che all’età di no
v a n ta n n i scriveva ancora apprezzate poesie in italiano, e il cui latino classico lo fece stimare e ritenere come il miglior discepolo del Vallauri;
Don Francesco C erniti, organizzatore sagace delle scuole salesiane e scrittore di libri pedagogici e
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letterari; Don Celestino D urando, autore di di
zionari latini; Don Giovanni Garino, autore a sua volta di una gram m atica greca assai apprezzata e di altri scritti e commenti in latino ed in greco;
Don Giovanni Tam ietti, com m entatore di autori classici; e altri molti, più vicini a noi, quali Don Paolo Ubaldi, ellenista insigne, Don Sisto Co
lombo e Don Eugenio C eria, valenti umanisti, com m entatori essi pure di classici italiani, latini, greci.
Insomma fu una vera eletta generazione di uomini, i quali, alla lor volta, ne formarono altri non pochi, rendendo cosi le scuole di Don Bosco sem pre più apprezzate, sia dai genitori che vi mandavano i loro figliuoli, sia dagli esam inato
ri pubblici, che riconoscevano negli alunni di Don Bosco una preparazione degna di lode.
E d è bello qui ricordare che questi figliuoli arrivarono a conseguire i necessari diplomi e ti
toli a prezzo d ’inauditi sacrifici, poiché m entre frequentavano i corsi dell’Università, facevano scuola ed attendevano a determ inate discipline ecclesiastiche. Si era nei tempi eroici, e quei p ri
mi Salesiani erano disposti a tutto.
È vero che queste occupazioni sottraevano loro un tempo notevole, ma Don Bosco teneva per fermo che essi, senza qualche cosa da fare, si sarebbero forse ap p licati meno intensamente al
proprio studio, mentre, incalzati da altri lavori, im paravano a non perdere il tempo e profittava
no di più.
E qui bisogna notare che allora Don Bosco solo per grave indigenza di personale permise che in alcuni collegi venisse assunto qualche ele
mento esterno.
In seguito alla formazione d’un numero suffi
ciente di insegnanti scelti tra i suoi figli, nella conferenza dei Direttori del 24 settembre 1875, presieduta dallo stesso Don Bosco, fu deciso « che non si prendessero professori esterni, sia per l’in
gente spesa, sia per un po’ di noncuranza loro circa il profitto degli alunni, sia per i pericoli morali causati da divergenze di idee, di spirito e di interessi » (195).