La fondazione delle scuole serali e diurne per esterni, segnò in pratica i primi passi verso le scuole ginnasiali interne, le quali, naturalmente, stavano più a cuore a Don Bosco, tutto inteso a dare ai giovani dell’Oratorio una più soda forma
zione morale e intellettuale per mezzo di un’assi
stenza accurata e di un controllo immediato ri
guardo all’andamento generale degli studi.
Don Bosco si risolvette a stabilire le scuole in
terne dellO ratorio nel 1855. Fino allora aveva mandato gli studenti presso ottimi professori del
la città; ma l’andata e il ritorno erano stati pieni di pericoli morali per quello che si vedeva e si udiva.
Procedendo in questo con la solita prudenza, ai primi di novembre destinò ad aula scolastica
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la sala della prima Cappella, Qui radunò 1 gio
vani appartenenti alla terza ginnasiale, e assegnò loro per maestro il chierico Giovanni Francesia, il quale, compiuti i 17 anni, aveva finito in modo splendido i corsi di latinità.
Don Bosco ben conosceva il valore intellettuale e morale di Fran cesia e anche degli altri chierici P roverà, Anfossi, D urando e C erruti, man mano che li destinava all’insegnamento. In vari modi li aveva messi alla prova con diverse occupazioni sim ultanee: e, scherzando, faceva loro osservare che i grandi storici, poeti, oratori del foro rom a
no, avevano passata gran parte della loro vita sui cam pi di guerra, tra i rumori del foro, nelle fa c
cende dello stato, e riuscivano in cose disparate grazie all’esercizio, che perfezionava ogni loro fa
coltà. Il F ran cesia ebbe in quell’anno la fortuna di avere p er discepolo il Beato Domenico Savio, che meritò di essere promosso tra i primi.
Frattanto gli studenti di l a e 2a ginnasiale, e quelli di umanità e rettorica, continuavano a fre
quentare scuole private in città (166).
Per farci un’idea del coraggio dimostrato da Don Bosco nell’aprire scuole interne all’Oratorio, basta osservare che, dopo pochi mesi, e cioè al
l ’inizio del 1856, il Ministro della Pubblica Istru
zione faceva approvare dal Senato e dal P arla
mento una legge, secondo la quale l’insegnamento
presso i Seminari e i Collegi doveva dipendere dal Ministero.
In tali angustie Don Bosco, meditando la va
stità dei suoi disegni per l’istruzione e l ’educazio
ne cristiana della gioventù, prevedeva le grandi procelle che si sarebbero sollevate contro di lui;
ma procedeva sicuro, dicendo più volte ai suoi figliuoli: « Non dubitate, passerà la burrasca, tor
nerà il bel tempo, e fortunati quelli che non pi- glieranno scandalo da me. È una promessa che io ebbi da Tale che non s’inganna. L ’Oratorio non è cosa mia; anzi, se fosse mia, vorrei che il S i
gnore la disfacesse subito » (167).
Queste in fatti non furono che il principio di una lunga serie di difficoltà più grandi, escogi
tate dai settari allo scopo di distruggere le bene
fiche istituzioni dellO ratorio, e culminate nelle famigerate perquisizioni governative, che però non sortirono l’effetto voluto dai nemici di Don Bosco.
Perseverando con indomita costanza nelle sue imprese il Santo giunse a compilare, all’inizio dell’anno scolastico 1860, il Regolamento della Casa, che, pur non essendo ancora stampato, venne letto con solenne apparato agli alunni, pre
senti tutti i Superiori con Don Bosco (168).
Nel 1863, mentre ferveva ancora una grave questione con l’Autorità scolastica a motivo dei titoli d’insegnamento, Don Bosco, imperterrito,
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ceva innalzare un nuovo edificio destinato alle scuole ginnasiali.
Nel 1874 apriva le stesse scuole agli esterni.
Nè si contentò che ai medesimi s’impartisse l’in
segnamento: nel mese di gennaio del 1875 stabilì che anch’essi prendessero parte con i loro condi
scepoli interni alle funzioni religiose nella Chie
sa di Maria Ausiliatrice, e volle che non si fa
cesse « nessuna eccezione per nessun moti
vo » (169).
D ell’applicazione allo studio e dell’atmosfera di disciplina che regnava nelle scuole dell’Orato
rio sono splendida testimonianza i risultati con
seguiti dagli alunni agli esami pubblici, il rico
noscimento delle Autorità scolastiche e la gratitu
dine che dimostrarono in ogni circostanza gli al
lievi dell’antico Oratorio. Qui ci piace citare un solo fatto.
Nel maggio del 1863 visitò l ’Oratorio l’ispet
tore delle scuole secondarie classiche, con fini tutt’altro che buoni. Tuttavia restò altamente am
mirato per l ’ordine e la disciplina che ovunque andava riscontrando. La 3a ginnasiale poi, compo
sta di oltre 120 alunni, lo convinse che tal di
sciplina non era passeggera e fittizia, ma soda e reale. Infatti, term inata l’ispezione, l ’insegnante in segno di gentilezza volle accompagnarlo fino al
l’altra aula; ma l’ispettore cercò di dissuaderlo,
per timore che durante la di lui assenza ancor
ché solo momentanea, tanti vispi giovanetti fa
cessero disordine.
— Non tema, sig. Professore, perchè io sono sicuro che niuno di essi ap rirà bocca o si muo- verà di posto.
— Questo mi p are impossibile -— replicò l’i spettore. Si lasciò nondimeno accom pagnare un tratto, e poi disse: — Ritorniam o indietro e an
diamo ad ascoltare il silenzio che ella dice.
Accostatosi pian piano all’uscio della scuola, origliò e spiò dal buco della serratu ra: tu tta la numerosa scolaresca stava immobile e silenziosa, come se l’insegnante fosse in catted ra. A llora con
cluse:
— Non avrei mai creduto! Non avrei mai cre
duto! Q uesta è una m eraviglia: e fa onore a lei
e ai suoi scolari! ^
L ’insegnante era il chierico Celestino Duran
do (170).