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Giornalisti professionisti e non, un confine molto sottile

La crisi del giornalismo professionale

3.2 Giornalisti professionisti e non, un confine molto sottile

Il discorso cambia quando si considera la contrapposizione tra giornalisti professionisti e non, da intendersi questi ultimi quali coloro che praticamente svolgono attività equiparabili o molto simili a quelle di un giornalista professionista, pur in mancanza di un riconoscimento formale178. Ovviamente esistono varie sfumature del fenomeno, ma, in generale, è possibile affermare che tutto ciò che non rientra in un esercizio abusivo della professione ricade nella protezione costituzionale accordata alla libertà di espressione in ogni ordinamento liberale.

È opportuno considerare che oggi non si tratta più di questioni marginali: la più grande innovazione della rete nel mondo dell’informazione, infatti, consiste indubbiamente nell’aver moltiplicato le possibilità di partecipazione dal basso e interazione tra i destinatari delle notizie. Il sistema impermeabile della comunicazione di massa, dove le informazioni venivano veicolate da pochi e grandi emittenti verso un pubblico indistinto di persone con ridottissime capacità di reazione (basti pensare al mezzo televisivo), è stato messo in crisi dalla libertà della Rete, dove ognuno con il minimo sforzo e a costo zero può esprimere le proprie idee e convinzioni scegliendo tra una pluralità di canali telematici a disposizione. All’inizio, i primi siti di aggregazione di opinioni e informazioni sono stati i forum, definiti dalla Cassazione179 quali bacheche telematiche, aree di discussione e “piazze virtuali” per il libero scambio di opinioni tra gli utenti. Successivamente è stata la volta dei blog (da web-log, “diario in rete”): originati dall’esigenza soggettiva di condividere idee e interessi, che in assenza di una rete di promozione (come possono essere oggi i social network) rimanevano comunque strettamente personali mentre oggi sono tutt’altra cosa.

178 Sia esso tramite l’iscrizione all’Albo professionale, riconoscimento legale o affiliazione a un’organizzazione rappresentativa

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Molto spesso accade, infatti, che i blog più popolari e frequentati abbiano anche un ritorno in termini economici, talvolta molto elevato180 e che assumano progressivamente le sembianze di una vera e propria testata giornalistica online tanto da un punto di vista strutturale, di contenuti promossi o metodi adottati. Gli stessi autori passano da una gestione amatoriale della piattaforma in questione, a una imprenditoriale che prevede un ritorno in termini di guadagno ottenuto tramite la vendita di un’unica merce: le opinioni.

Quale allora la differenza tra un blogger molto popolare che tratta, ad esempio, di politica e un editorialista regolarmente iscritto all’Ordine?181 Si prenda il caso di Arianna Huffington, fondatrice dell’omonimo colosso globale The Huffington Post. Nato nel 2005 come progetto di sviluppo di un semplice blog personale, è diventato in un decennio una piattaforma di aggregazione di notizie che ospita sulle sue pagine online editorialisti da tutto il mondo. La svolta arriva nel 2012 quando una delle firme di punta del giornale, David Wood, si vede riconosciuto l’ambitissimo Premio Pulitzer. In una colorita analisi pubblicata su Repubblica, Vittorio Zucconi spiega come “da semplice assemblatore di immagini e di notizie prodotte altrove il Post sia diventato produttore di informazione originale. […] Questo, di distinguere fra buona informazione e cattiva informazione, sembra essere il criterio di giudizio che muove l'assegnazione del riconoscimento più ambito nel giornalismo mondiale. Non il medium in sé, o il luccichio della novità tecnologica, ma la qualità dell'offerta al pubblico, integrata dalla interazione con i lettori che soltanto un sito internet può offrire, attraverso le migliaia di blog che girano sull'Huffington Post, come ormai in tutte le versioni o le edizioni o le ramificazioni della carta che interagisce via pc o tablet. […] La

180 Questo è dovuto principalmente alla familiarizzazione del blog con la pubblicità che ha imparato a sfruttare l’esposizione mediatica di certi canali per attrarre consumatori

181 Il tema è molto attuale e dibattuto in dottrina per le diverse prospettive tramite cui può essere indagato e le implicazioni in vari settori (giuridici, sociologici, socio-politici etc); in questa sede ci si limiterà a rilevare le differenze e punti di incontro per ciò che riguarda la qualificazione degli autori in termini professionali e in termini di responsabilità.

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giuria del Pulitzer ha dunque premiato, più che la novità del mezzo, la normalizzazione della professione attraverso i new media182”.

Questo accade negli Stati Uniti dove, abbiamo visto, non esiste un sistema di qualificazione formale della professione, ma solo benefici specifici ai giornalisti professionisti riconosciuti tali in base alla definizione prevista dalle singole shield laws statali. In particolar modo, la garanzia della segretezza delle fonti è stata spesso negata ai blogger dalle Corti americane, adducendo la mancanza di requisiti formali della testata datrice di lavoro o economici in relazione alla provenienza delle maggiori entrate del singolo giornalista. Recentemente, invece, la Corte della Contea di Beaver ha stabilito che la shield laws dello Stato della Pennsylvenia garantisce anche i blogger dall’obbligo subpoenas di rivelare l’identità delle proprie fonti in Tribunale183. Scomponendo gli elementi dell’attività investigativa e informativa svolta da certi (non tutti i) blogger, ci si è resi conto che il loro modus operandi non è poi tanto diverso da qualsiasi altro giornalista professionista.

The [Shield Law’s] statute prohibits persons such as Mr. Vranesevich from being compelled to disclose "the source of any information procured or obtained" by him so long as the information was obtained "for purposes of gathering, procuring, compiling, editing or publishing news”184.

Negli ordinamenti di stampo liberale il confine tra giornalisti professionisti e non dipende dall’apprezzamento dell’attività svolta in concreto. Ci si affiderà pertanto a un criterio di somiglianza, valutando l’esercizio dell’attività ai fini

182 ZUCCONI V., La guerra raccontata da Pulitzer.com in La Repubblica 22 aprile 2012 183 Qui il percorso logico ricostruito dalla Corte: “Mr. Vranesevich authors articles posted on the site. Further its publication online is available to anyone who wishes to access the website. In that sense, it constitutes a newspaper of general circulation. The fact that the content is published online rather than in a traditional format is inconsequential considering the clear intent of the statute. There is no indication in the language of the Shield Law that its provisions are limited to publications printed in a traditional "hard copy" print format. Further, it is apparent that Mr. Vranesevich operates the website for the purpose of gathering, compiling and publishing news” Court of Common Pleas of Beaver County, civil division 10550/2016

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di un guadagno personale, il metodo di applicazione, lo scopo ultimo di raccolta di informazioni e successiva diffusione al pubblico.

Nei paesi in cui la professione è regolamentata, come in Italia, la giurisprudenza tende a essere più rigorosa quando si tratta di distinguere chi è professionista e chi no. Abbiamo visto come le Sezioni Unite della Cassazione si siano recentemente espresse (2015) nel senso di limitare l’estensione del concetto di “stampa” alle sole testate telematiche (considerate tali per rispetto dei requisiti strutturali e ontologici previsti), in modo da escludere le altre formule di espressione del pensiero online (forum, blog e social network, mailing list, newsletter etc). Non rientrando nel concetto giuridico di “stampa”, il blog è svincolato dal rispetto dell’obbligo di registrazione presso il Tribunale, e in tal modo non risulta il luogo adeguato in cui poter svolgere il periodo di praticantato al fine della successiva iscrizione presso l’Albo dei giornalisti. Avrà pertanto una considerazione giuridica ben diversa dalle testate giornalistiche, a prescindere dalla somiglianza nel metodo di svolgimento dell’attività. Il blogger potrà, infatti, scrivere articoli, fare interviste, citare fonti, proporre sondaggi e svolgere indagini circostanziali, ma fintanto che sarà relegato a quel contesto, non potrà mai definirsi “giornalista”. Gli sarà precluso di avvalersi a sproposito del titolo professionale e di usufruire delle garanzie di rappresentanza, sarà tenuto a rispettare i limiti ordinari alla libera manifestazione del pensiero in contrapposizione ai diritti altrui mentre sarà esonerato dal rispetto delle prescrizioni stabilite dal codice deontologico. Con questo non si intende escludere a propri un’elevata qualità o standard etico dell’informazione online, semplicemente questa è rimessa alla discrezionalità del singolo blogger e non è soggetta ad apprezzamento da parte di un organo di controllo costituito ad hoc. In proposito si cita l’iniziativa avuta da Blogo.it nel 2008 circa l’adozione di un codice di autoregolamentazione per tutti i blogger italiani:

L’etica, e il codice che proponiamo, è lo strumento per dialogare con il lettore attraverso un linguaggio comune: una corretta informazione. Un

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codice di autoregolamentazione non è solo utile, dunque, ma si rivela necessario in questa fase dell’informazione almeno in Italia, in cui i media stanno velocemente ridefinendo il loro assetto. Se i media mainstream (giornali, televisioni, radio) possono poggiare su solide basi di autodisciplina (che poi essa sia o meno applicata è una valutazione che non rientra nel nostro ambito di discussione) attraverso il controllo effettuato dagli ordini dei giornalisti delle varie regioni, dalla FNSI e dalle Associazioni sindacali, è chiaro che per i blogger non valgono esattamente le stesse regole. I media, dalla nascita dei blog, hanno preso una nuova strada: è inutile negarlo. Vi è un tratto che differenzia i media mainstream dai blog: la partecipazione attiva del lettore che diviene l’asse principale su cui ruota l’informazione. […] Questo genere di circostanza ci deve far riflettere sulla necessità di un codice che regolamenti l’attività del blogger, e non per porre paletti, ma per segnare una strada che altrimenti risulterebbe priva di ogni punto di riferimento. La necessità è dovuta al fatto che i blogger in molti casi abbandonano lo status di “artigiani” dell’informazione per diventare dei semi professionisti o professionisti pagati da testate regolarmente iscritte ai Tribunali di competenza, ma che conservano l’identità del blog: ossia che sono sul mercato grazie al flusso di lettori che gestiscono l’approvazione dei contenuti con i loro click. Ciò vuol dire, che in quanto testate, rientrano nell’ambito del codice dell’informazione e che assumono completamente la responsabilità di quanto scrivono sia nell’esercizio delle fonti, sia nel trattamento dei dati personali, ecc”185.

In Italia, chiunque si avvalga a sproposito del titolo di giornalista professionista rischia di essere censurato per esercizio abusivo della professione previsto dagli artt. 45 della l. 69/63 e 348 c.p.186, la cui pena è

185 Papuzzi A., op. cit. pag. 265

186 Art. 45 l. 69/63: Nessuno può assumere il titolo né esercitare la professione di giornalista se non è iscritto nell’elenco dei professionisti ovvero in quello dei pubblicisti dell’Albo istituito presso l’Ordine regionale o interregionale competente. La violazione della disposizione del primo periodo è punita a norma degli art. 348 e 498 del codice penale ove il fatto non costituisca un reato più grave. Art. 348 c.p. Chiunque abusivamente eserciti una professione per la quale è necessaria una particolare abilitazione dello Stato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni con la multa da euro 10.000 a 50.000. La condanna

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stata recentemente inasprita per l’intervento della L. 11 gennaio 2018, n. 3, in vigore dal febbraio scorso. Quest’ultima legge, emanata in materia di riordino delle professioni sanitarie, si muove nell’intenzione di rafforzare il regime punitivo per chiunque eserciti un’attività senza esserne competente, mettendo potenzialmente a rischio l’interesse pubblico sotteso a quella particolare professione. La logica è evidente nel caso delle professioni sanitarie (il medico non abilitato che prescrive una terapia a un paziente), mentre dà risultati ambigui nell’ambito della professione giornalistica, in quanto si scontra con l’ampio margine riconosciuto alla libertà di manifestazione del pensiero. Per comprendere, si faccia riferimento ai due casi recenti che hanno messo in luce la criticità di cui si discute e che hanno avuto come protagonisti rispettivamente i conduttori televisivi Barbara d’Urso e Fabio Fazio. La prima, mai stata iscritta all’Ordine dei giornalisti, nel novembre del 2014 è stata raggiunta da una denuncia/esposto firmata dal Presidente nazionale dell’ODG dell’epoca, Enzo Iacopino, il quale, rivolgendosi alle Procure di Roma e Milano, all’AGCOM, al Garante della protezione dei dati personali e al Comitato Media e Minori, denunciava un continuo e incessante esercizio abusivo della professione da parte della showgirl. “Si susseguono nel programma televisivo Domenica Live trasmesso da Canale 5, interviste realizzate con modalità che non tengono conto di esigenze quali la difesa della privacy e/o il coinvolgimento dei minori dinnanzi a cui finanche il diritto di cronaca trova un limite sancito dalla legge e sia dalle Carte deontologiche che regolano la professione giornalistica. Si evidenzia pertanto che la signora D’Urso, pur non essendo iscritta all’ODG, compie sistematicamente un’attività (l’intervista) individuata come specifica della

comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente la professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a 3 anni dalla professione o attività regolarmente esercitata.

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professione giornalistica senza esserne titolata e senza rispettare le regole, con negative ripercussioni all’immagine di questo Ordine”187.

Nel febbraio 2016 il Gip del Tribunale di Monza annuncia l’accoglimento della richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero in ragione della tutela dei diritti fondamentali, quali quello della libera manifestazione del pensiero, soffermandosi poi sulla natura dell’attività svolta dalla stessa qualificabile come “infotainment” (una via di mezzo tra informazione e intrattenimento) e sottolineando come la stessa conduttrice sia coadiuvata da una redazione composta da giornalisti iscritti all’Ordine.

Diversa è, invece, la vicenda che vede protagonista il conduttore televisivo Fabio Fazio, all’epoca dei fatti tesserato come pubblicista, “reo” di aver prestato la sua immagine per una campagna pubblicitaria istituzionale promossa da Telecom Italia nel novembre 2015. Il comportamento messo in atto dal noto intervistatore si pone in contrasto con l’art. 10 del Testo unico dei doveri del giornalista che recita al primo comma: “Il giornalista: a) assicura ai cittadini il diritto di ricevere un’informazione corretta, sempre distinta dal messaggio pubblicitario attraverso chiare indicazioni; b) non presta il nome, la voce, l’immagine per iniziative pubblicitarie. Sono consentite, a titolo gratuito e previa comunicazione scritta all’Ordine di appartenenza, analoghe prestazioni per iniziative pubblicitarie volte ai fini sociali, umanitari, culturali, religiosi, artistici, sindacali”. Il giornalista, nell’intenzione di partecipare alla campagna, aveva anticipatamente inviato una lettera all’ODG della Liguria presso il quale risultava iscritto, chiedendo delucidazioni sulla compatibilità delle sue azioni rispetto al codice deontologico e affermando la sua volontà di procedere alla cancellazione dell’Albo in caso di risposta negativa. Il Presidente dell’Ordine rimetteva la questione al Consiglio di Disciplina regionale, il quale affermava di non poter prestare un parere consultivo in anticipo rispetto al contestuale procedimento disciplinare. Fazio procedeva allora alla richiesta di cancellazione dall’Albo,

187 Dalla denuncia/esposto firmata dal Presidente nazionale dell’ODG pubblicata in versione integrale sulla sua pagina Facebook il 25 novembre 2014

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continuando, come fa tuttora, a svolgere il suo incarico presso una delle Reti di punta della televisione nazionale in nome del legittimo diritto a informare che gli spetta in quanto cittadino.

A questo punto si avverte la complessità di tutta la questione: a fronte di un riconoscimento generale ed estratto del diritto a informare declinabile in una pluralità di forme legittime, bisogna comprendere in cosa consista la competenza esclusiva del giornalista professionista. Potremmo rispondere semplicemente che al giornalista spetta l’esercizio dell’attività giornalistica esclusivamente in senso professionale. In questo soccorre la Corte di Cassazione sez. lavoro che, ribadendo una tendenza giurisprudenziale ormai consolidata, si è recentemente espressa definendo l’attività giornalistica quale “prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto di comunicazione attraverso gli organi di informazione, ponendosi il giornalista quale mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, con il compito di acquisirne la conoscenza, valutarne la rilevanza in relazione ai destinatari e predisporre il messaggio con apporto soggettivo e creativo assumendo rilievo, a tal fine, la continuità o periodicità del servizio nel cui ambito il lavoro è utilizzato, l’attualità delle notizie, la tempestività dell’informazione, elementi distintivi rispetto ad altre professioni intellettuali e funzionali a sollecitare l’interesse di una molteplicità di persone verso tematiche meritevoli di attenzione per la loro novità”188.

Ne consegue che l’attività dei blogger o di coloro che apparentemente svolgono un’attività concorrente a quella dei giornalisti professionisti non è perseguibile fintanto che non presenta tutti gli elementi di cui sopra (modus operandi, mediazione intellettuale, apporto soggettivo e creativo, continuità o periodicità della prestazione etc) o ancora finché viene ricondotta a filoni narrativi diversi dal giornalismo in senso stretto.

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