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Il modello liberale

la regolamentazione della professione giornalistica

2.2 Il modello liberale

Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada e Irlanda costituiscono un modello di giornalismo a sé stante, definito liberale o anglo-americano. L’ideale predominante in questo contesto è quello del mercato: è infatti grazie al precoce sviluppo dell’industria che la stampa realizza appieno il suo spirito imprenditoriale, dalla sua prima apparizione a metà del ‘600 sotto forma di pamphlet e fino ad oggi considerato il prestigio internazionale di cui godono le testate giornalistiche anglosassoni. I motivi alla base di questa conformazione imprenditoriale della stampa sono da ricercare nella diffusione del protestantesimo che ha contribuito a mantenere basso il livello di analfabetismo, nell’ascesa della classe borghese portatrice di interessi specifici e la conseguente espansione del mercato in tale direzione. Tentativi di restrizioni alla libertà di stampa in Inghilterra (Licensing Act del 1662 e Stamp Act126 del 1712) hanno ritardato lo sviluppo della stampa commerciale a circolazione di massa fino al 1850, mentre negli Stati Uniti essa si era già palesata all’indomani della Rivoluzione, trovando presidio fondamentale nel Primo Emendamento della Bill of Rights. Risale, infatti, agli anni ’30 del XIX secolo la tradizione dei penny press, ossia dei giornali e tabloid venduti a solo un cent per incentivare la loro diffusione orizzontale e riconducibili nell’immaginario collettivo alla figura degli strilloni di strada. Ma è con l’avvento del capitalismo industriale, databile a fine Ottocento, che la stampa anglosassone assume definitivamente il carattere imprenditoriale che la contraddistingue e ciò accade tanto negli Stati Uniti, come in Inghilterra, che in Irlanda e in Canada.

A differenza del modello pluralista polarizzato, l’appiglio economico della stampa non è la politica e chi ne fa parte ma la pubblicità. Essendo meno vincolata all’élite, la stampa si rivolge alla massa, ossia al complesso dei cittadini, invece che a una piccola parte interessata. “Si può dire che la commercializzazione ha emancipato i giornali dei paesi liberali dalla

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dipendenza dai sussidi politici e statali […]; non ha però significato per la stampa perdere tutti i legami con i partiti politici, né cessare di svolgere un ruolo politico; piuttosto ha spinto tutto il sistema dei media e i suoi operatori a divenire attori politici indipendenti”127. La logica conseguenza di questo

carattere è un basso livello di parallelismo politico, specie se messo a confronto con il modello pluralista polarizzato. La stampa liberale si caratterizza infatti per un “fact centered journalism”, ciò significa che la narrazione si concentra maggiormente sui fatti e l’informazione rispetto che al commento e all’opinione. Anche all’interno di questo modello esistono comunque differenze: mentre la neutralità politica in America è una regola pressoché indiscussa, in Inghilterra si assiste a una maggiore polarizzazione, seppur attenuata rispetto al modello mediterraneo128. Questo è molto evidente specie per una particolare categoria di giornali inglesi, i cosiddetti tabloid, che si distinguono dalle altre testate per il diverso stile giornalistico, più scandalistico e popolare, per il target di riferimento, certamente più di massa, e se vogliamo anche per una minore accuratezza nella selezione e trasmissione delle notizie. Un’altra caratteristica che contraddistingue i tabloid dai giornali “di qualità” è che questi sono generalmente più faziosi e più tendenti a prese di posizione populiste volte a spronare, se non aizzare, il “senso comune”. La contrapposizione di queste due tipologie di giornali non esiste invece negli Stati Uniti o in Canada, dove predominano testate locali e una schiera di lettori più eterogenea. Il motivo è sicuramente da individuare nell’estensione geografica di questi luoghi, che per lungo tempo ha tecnicamente reso impossibile una circolazione di giornali nazionali.

Per quanto riguarda la professionalizzazione, il modello liberale si caratterizza per una precoce emancipazione della classe dei giornalisti. Negli Stati Uniti questo è dovuto ancora una volta allo sviluppo dell’industria dell’informazione, che a partire dal primo Novecento portò anche

127 D.C. HALLIN; P. MANCINI, op. cit. pag. 183

128 La tendenza generale, specialmente dal secondo Dopoguerra al Duemila è comunque quella di un decrescente livello di parallelismo politico

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all’inaugurazione delle prime scuole di giornalismo fra cui la già ricordata Columbia School of Journalism di Joseph Pulitzer. La formazione degli aspiranti giornalisti si concentra sui principi di obiettività, trasparenza e concorrenza in linea con la richiesta del mercato dominato dalla logica pubblicitaria e consumistica. Anche se in maniera meno evidente, questa spiccata autonomia professionale è riconosciuta anche in Gran Bretagna. Nonostante si assista alla nascita di specifici corsi formativi e universitari per diventare giornalisti, l’accesso alla professione, nei sistemi appartenenti a questo modello, non risulta regolamentato, in linea con l’egemonia della regola concorrenziale anche in ambito lavorativo129. Sull’organizzazione formale della professione giornalistica del modello liberale si può invece rilevare l’assenza di strutture assimilabili a quelle già descritte o altre forme di regolamentazione statale, mentre tendenzialmente sono presenti forti organizzazioni sindacali.

Il modello liberale si caratterizza, inoltre, per la scarsità di istituzioni formali di autoregolamentazione, con alcune eccezioni in Gran Bretagna con la Press Complaints Commission, sostituita nel 2014 dalla Indipendent Press Standard Organisation (IPSO) e del Quebéc, essendo predilette forme di self regulation informali all’interno delle singole testate.

129 “Il mestiere di giornalista si è delineato in primo luogo nel contesto di un sistema di

mercato e ha incorporato molto di questo contesto al suo interno. Le routine professionali di questo giornalismo attribuiscono particolare rilievo alla rispondenza con gli interessi del pubblico che è presupposto essenziale del mercato” D.C. HALLIN; P. MANCINI, op. cit. pag. 203

112 2.2.1 La self regulation inglese

Notoriamente la tradizione giuridica di common law si distingue da quella di civil law per la prevalenza del diritto di matrice giurisprudenziale su quello codificato e, di conseguenza, l’obbligo del rispetto da parte dei giudici dei precedenti giudicati nella soluzione di un caso concreto. La spiegazione di questa differenza risiede nella genetica del diritto anglosassone, il quale è caratterizzato da una lenta e graduale evoluzione a partire dalla sua forma primordiale di ius commune, contrapposta a quella continentale dove la codificazione si pone come momento di rottura con la precedente esperienza giuridica. Se è vero che nei sistemi di common law il diritto casistico, pragmatico, prevale sulla legislazione, non devono perciò stupire eventuali lacune normative laddove, invece, altri ordinamenti sono arrivati a legiferare. Il riferimento, per quanto ci interessa, è alla regolamentazione delle professioni liberali e in special modo a quella giornalistica, pressoché assente nel Regno Unito. Per riuscire a delineare lo status del giornalista inglese è opportuno soffermarsi prima sul concetto stesso di professione e, successivamente, chiedersi se questo possa applicarsi o meno al giornalismo. Journalism is often said not to be a profession for one or more of the following reasons: (1) journalists are not licensed, (2) journalism lacks a body of theoretical knowledge, (3) journalism has no required curriculum through which all (or even most) journalists must pass, (4) journalists cannot exclude nonjournalists (stringers, bloggers, and so on) from reporting news, (5) (most) journalist are not independent consultants but employees (and therefore lack “professional autonomy”), (6) journalists do not serve clients (only employers or the public), (7) most journalists are not members of any professional organization (such as the Society of Professional Journalists), and (8) journalists as such do not have high status or high income (though a few do)130.

130 DAVIS M., Why journalism is a profession, in C. MEYER, Journalism Ethics: A

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Queste motivazioni sarebbero già sufficienti ad escludere che il giornalismo possa qualificarsi effettivamente come una professione, ma il dibattito è ben lontano dal placarsi. La questione risulta ancora più urgente considerando i possibili futuri sviluppi dell’attività, caratterizzata sempre più da un’apertura del mercato a una pluralità di persone anche non specificatamente formate o qualificate (come traspare dal fenomeno del citizen journalism)131 soprattutto grazie alla facile disponibilità di mezzi di espressione prima riservata a una categoria ristretta e legittimata di soggetti.

Non esiste una storia legislativa e regolamentare simile a quella tipica del modello pluralista polarizzato (o come vedremo del modello democratico corporativo), né un Ordine professionale o anche solo un contratto di lavoro collettivo di categoria. Ciò non significa però che manchino strutture organizzative di rappresentanza: la maggior parte dei giornalisti inglesi e irlandesi è infatti iscritta alla National Union of Journalists (NUJ). Si tratta di un sindacato costituito, nel 1907, allo scopo di difendere la categoria e favorire la buona pratica giornalistica ammettendo l’adesione di vari profili professionali: giornalisti, editori, direttori, opinionisti, fotografi, autori televisivi, scrittori etc, ossia tutti coloro che, a prescindere dalla piattaforma espressiva utilizzata, lavorano nel campo dell’informazione. Il registro degli iscritti prevede una distinzione tra giornalisti dipendenti (che per completare l’application sono chiamati a presentare il proprio contratto di lavoro), freelance, freelance temporanei (coloro che stanno tentando di convertirsi in giornalisti a tempo pieno o non coprono almeno la metà delle proprie entrate grazie al lavoro da freelance) e associati (che svolgono tutt’altra professione a tempo pieno, dedicandosi al giornalismo solo occasionalmente). È inoltre ammessa l’iscrizione agli studenti universitari, maggiori di 16 anni, iscritti a corsi di giornalismo (o altri correlati come pubbliche relazioni, editoria, informatica) o aventi una comprovata esperienza professionale nell’ambito della comunicazione.

131 Sul fenomeno dell’erosione professionale accelerata anche dall’espandersi dei cosiddetti “nuovi giornalismi” torneremo nel capitolo conclusivo

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Tutti gli iscritti hanno diritto a ricevere una tessera identificativa riconosciuta presso qualsiasi istituzione pubblica in Inghilterra, Irlanda e in contesti internazionali. Il possesso della tessera non rappresenta comunque una conditio sine qua non per il legittimo esercizio dell’attività giornalistica a livello professionale.

In questo schema, l’assenza di un’organizzazione corporativa simile a quella italiana viene bilanciata da una forte istituzione sindacale che si occupa di garantire l’unità della categoria e promuovere importanti battaglie per mantenere un elevato standard professionale. È doveroso precisare, a questo punto, come la situazione occupazionale nel Regno Unito, benché presenti flessioni periodiche e criticità, sia molto meno preoccupante rispetto a quella di altre nazioni: stando all’ultima ricerca del Labour Force Survay risalente a giugno 2018132, sono in totale 90.000 quelli che si riconoscono nella categoria “journalists, newspaper and periodical editors”, di questi, 61.000 si qualificano come dipendenti e il restante come liberi professionisti. Questi dati confermano un trend molto positivo, considerato che dal 2015 gli impiegati totali sono aumentati di circa 30.000 unità con un sensibile aumento, in proporzione, dei professionisti con un contratto di lavoro stabile rispetto agli autonomi.

Il liberismo professionale inglese ha come conseguenza quella di delineare un sistema sostanzialmente privo di ostacoli o condizioni soggettive alla libertà di espressione e allo svolgimento dell’attività giornalistica professionale ma, allo stesso tempo, di aumentare lo strapotere delle imprese datrici di lavoro che hanno discrezionalità assoluta nella selezione del personale e quindi nella legittimazione professionale dei soggetti. Questo spinge gli aspiranti giornalisti a dedicarsi, negli anni della formazione, all’accreditamento presso i corsi di studio ritenuti più qualificati del paese stando a classifiche distribuite da enti preposti. Un’importante funzione di

132 Tutti i dati sono disponibili sul sito Office for National Statistics all’indirizzo: https://www.ons.gov.uk/employmentandlabourmarket/peopleinwork/employmentandemplo yeetypes/datasets/employmentbyoccupationemp04

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indirizzo a questo proposito è rivestita dal National council for the training of journalists (NCTJ), un’organizzazione privata costituita nel 1951, che si occupa di organizzare corsi di studio specifici e distribuire le sue certificazioni ad enti e università, accreditando più di 500 aspiranti giornalisti all’anno. Nel report costitutivo dell’organizzazione si legge la ragione principale dell’iniziativa: “The problem of recruiting the right people into journalism, whether from school or from university, and of ensuring that they achieve and maintain the necessary level of education and technical efficiency, is one of the most important facing the Press, because the quality of the individual journalist depends not only on the status of the whole profession of journalism but the possibility of bridging the gap between what society needs from the Press and what the Press is at present giving it. The problem is the common interest and the common responsibility of proprietors, editors and other journalists…”.

La questione della formazione del giornalista è essenziale non solo per la singola esigenza di credibilità di fronte a un potenziale datore di lavoro, ma anche per imporre all’intera categoria un elevato standard professionale, per cui tutti i suoi membri dovranno essere edotti sulle buone pratiche comportamentali e sui possibili rischi, soprattutto legali, in cui potrebbero incorrere nello svolgimento della professione. A questo proposito importa trattare dell’evoluzione della deontologia giornalistica nel Regno Unito, prima di attuazione totalmente discrezionale da parte delle singole imprese editrici e poi caratterizzata da tentativi di ripensamento più generali. Abbiamo già fatto riferimento in precedenza ai risultati dell’inchiesta pubblica denominata Leveson Inquiry costituita a seguito dello scandalo del News of the world, ossia alla sostituzione della Press Complaints Commission (PCC) con altri organismi di autoregolamentazione e controllo (ad iscrizione comunque facoltativa per le singole testate) come l’Independent Press Standards Organisation (IPSO) e l’IMPRESS133. Ciascuno di questi organismi, compresa la National Union of Journalist, è dotato di un proprio

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codice deontologico (da qui l’espressione self-regulation), di un proprio sistema di vigilanza e procedimenti disciplinari da attivare in seguito alle denunce di soggetti interessati alla pubblicazione. A titolo esemplificativo si può analizzare il funzionamento di uno di questi.

L’IPSO si vanta di essere l’organo di vigilanza sulla maggior parte dei giornali e magazines inglesi. Costituita nel 2014 e finanziata dalla Regulatory Funding Company (composta a sua volta dalle imprese editrici controllate ma in modo tale da assicurare l’indipendenza dell’organo di vigilanza), si compone di un Consiglio (Board) di pianificazione e di una Commissione di inchiesta (Complaints Commettee) che riceve le denunce (da inviare compilando un modulo online scaricabile dal sito web), le esamina e, se del caso, avvia il procedimento disciplinare. Il primo passo del procedimento è la valutazione della fondatezza della denuncia in base all’effettiva violazione dell’Editor’s Code of Ethics da parte della testata interessata, che, per essere sottoposta al vaglio, dovrà necessariamente averlo sottoscritto. La funzione principale svolta dalla Commissione è quella di favorire una mediazione tra il soggetto che si suppone leso dalla pubblicazione e l’editore che può decidere di correggere l’articolo, oscurarlo o porgere le sue scuse al denunciante. Al termine della fase istruttoria, la Commissione, potrà anche disporre un obbligo di pubblicazione del suo provvedimento di chiarificazione o correzione alla pubblicazione. È infine prevista la possibilità di “appellare” il provvedimento della Commissione, entro 14 giorni dall’emissione, davanti alla Indipendent Complaints Reviewer. L’Editor’s Code della IPSO si propone di garantire i seguenti aspetti dell’attività informativa: (1) l’accuratezza delle informazioni stabilendo obblighi di verifica delle fonti, di rettifica e scuse in caso di errore; di chiarezza e trasparenza delle informazioni e il diritto di replica dell’interessato; (2) la privacy di tutti i soggetti interessati dalla pubblicazione; (3) il rispetto della persona dall’assalto mediatico; (4) l’immagine dei minori e delle persone

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malate; (5) il principio di non discriminazione; (6) la segretezza delle fonti134. Lo stesso Codice prevede infine la possibilità di derogare alcune regole specifiche in nome di un dimostrabile pubblico interesse alla conoscenza della notizia, alla cui verifica è rimessa la stessa Commissione.

Stessa natura giuridica e funzioni, stessi presidi garantistici a mezzo del suo proprio codice deontologico sono riconosciuti all’IMPRESS, che si distingue dall’IPSO proprio per il suo essere organo di concorrenza con un bacino più ristretto di imprese editrici sottoscriventi. Per quanto riguarda invece la National Union of Journalists, in veste di sindacato a maggiore adesione, adotta un proprio codice di comportamento articolato in 12 punti:

A journalist:

1. At all times upholds and defends the principle of media freedom, the right of freedom of expression and the right of the public to be informed;

2. Strives to ensure that information disseminated is honestly conveyed, accurate and fair;

3. Does her/his utmost to correct harmful inaccuracies;

4. Differentiates between fact and opinion;

5. Obtains material by honest, straightforward and open means, with the exception of investigations that are both overwhelmingly in the public interest and which involve evidence that cannot be obtained by straightforward means;

6. Does nothing to intrude into anybody's private life, grief or distress unless justified by overriding consideration of the public interest;

134 La versione integrale dell’Editor’s Code of Ethics si compone di 16 articoli consultabili sul sito dell’IPSO ed è costantemente in aggiornamento in funzione delle progressive esigenze di tutela che emergono nella risoluzione di casi concreti da parte della Commissione.

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7. Protects the identity of sources who supply information in confidence and material gathered in the course of her/his work;

8. Resists threats or any other inducements to influence, distort or suppress information;

9. Takes no unfair personal advantage of information gained in the course of her/his duties before the information is public knowledge;

10. Produces no material likely to lead to hatred or discrimination on the grounds of a person's age, gender, race, colour, creed, legal status, disability, marital status, or sexual orientation;

11. Does not by way of statement, voice or appearance endorse by advertisement any commercial product or service save for the promotion of her/his own work or of the medium by which she/he is employed

12. Avoids plagiarism.

Non mancano, infine, casi di completa autoregolamentazione ad opera delle stesse testate giornalistiche che si dotano di proprie regole e principi di indirizzo nell’esercizio dell’attività professionale quotidiana. Ne sono un esempio il Guardian e il Financial Times.

Il carattere liberale del sistema di informazione inglese ha origine, come abbiamo visto, nella tradizione e nella cultura di questo ordinamento, e contribuisce, nella maggioranza dei casi, alla costruzione di un’idea di giornalismo più aderente al suo ruolo di watchdog della democrazia rispetto ad altri modelli, anche se non sono mancati casi in cui la mancanza di regole uniformi ha condotto a degenerazioni e scandali pubblici. Una tendenza all’uniformità regolamentare, nonostante il dibattito pubblico originato da quegli stessi scandali, sembra assente in quanto avvertita tuttora come un attacco alla democrazia espressiva, piuttosto che come mezzo per tutelare emittenti e destinatari dell’informazione.

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2.2.2 USA: Il First Amendament e lo scudo delle shield laws

Il giornalismo americano gode di un’indiscussa fama, complice nell’immaginario collettivo la figura del reporter d’assalto sempre pronto allo scoop, o quella dell’abile giornalista di inchiesta che smaschera truffe e complotti. Come ovvio, si tratta solo di un’immagine (questa tipologia di professionista esiste in ogni nazione), ma ciò che contribuisce a ricondurla maggiormente alla cultura americana è l’aspetto tipico, non solo del modello liberale in generale ma in particolare della stampa americana, del basso livello di parallelismo politico, di clientelismo, di affezione a questo o quello colore politico che invece definisce in misura maggiore il giornalismo dell’Europa continentale. Hallin e Mancini considerano questo aspetto come il sintomo di un’elevata professionalità della classe lavorativa, ma non è sempre stato così. Michael Shudson, nel suo saggio “The US model of journalism: Exception or Exemplar?”135, descrive un sistema di informazione americano post

rivoluzionario estremamente politicizzato. È solo tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, nel corso della cosiddetta Progressive Era, che il giornalismo americano inizia ad assumere un carattere più investigativo136 e la tipica tendenza ad attaccare il potere costituito allo scopo di rivelare scandali politici, casi di corruzione e portare alla luce altre urgenti questioni sociali come la prostituzione o il lavoro minorile. Così facendo la figura del giornalista va progressivamente distinguendosi da quella degli altri profili professionali della propaganda e delle pubbliche relazioni, assumendo il principale ruolo di difesa della pubblica informazione e, in senso più generale, dell’elettorato nazionale. Non a caso, come già accennato, il giornalista americano Joseph Pulitzer, fondatore della prima scuola di giornalismo presso la Columbia University, fu uno dei più accesi sostenitori dell’emancipazione scientifica del giornalismo rispetto agli altri settori accademici137.

135 SCHUDSON M. “The US model of journalism: Exception or Exemplar?” in Making