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Gli atti internazionali a portata universale e regionale

Ai fini della presente tesi, il profilo che interessa maggiormente è quello attivo, ossia come già riportato, quello relativo alla “libertà di informare”.

1.2 Gli atti internazionali a portata universale e regionale

1.2.1 L’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del Patto internazionale diritti civili e politici

Anche nei documenti internazionali la tutela della libertà di informazione, garanzia essenziale al libero esercizio dell’attività giornalistica, è inscindibilmente legata a quella della libertà di espressione. A differenza della disposizione costituzionale italiana però, in cui questa relazione risulta grazie a uno sforzo interpretativo, nelle fonti internazionali viene spesso espressa dalle stesse norme in oggetto. Ciò accade nei documenti internazionali di portata tanto universale che regionale, in segno di un’accuratezza maggiore nel distinguere due diritti seppur riuniti sotto la stessa egida protettiva. L’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, infatti, stabilendo che ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, specifica che esso include il diritto a non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo di frontiere.

Il richiamo alle attività di ricerca, ricezione e diffusione delle informazioni fanno riferimento a quelle singole posizioni soggettive che abbiamo già avuto modo di analizzare precedentemente (“libertà di informare”, “di informarsi”, “di essere informato”), mentre quello all’assenza delle frontiere, si avvia nell’intenzione di garantire una libera circolazione spaziale di idee e informazioni. In questo contesto, le libertà di espressione e di informazione sono percepite come condizione imprescindibile alla promozione della pace e alla cooperazione internazionale: nel Preambolo, si legge non a caso che l'avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell'uomo. Questo era all’alba del 10 dicembre 1948, giorno in cui la Dichiarazione fu approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni unite, come reazione organizzata agli orrori avvenuti durante la guerra.

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La disposizione, ancora diversamente dall’art. 21 Cost., non prevede alcun limite esplicito alla libertà di informazione. Questi sono piuttosto ricavabili in forza dell’art. 29, laddove è previsto che nell’esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell’ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica. Riserva di legge nazionale quindi, ma non solo: l’ultimo paragrafo dell’articolo 29 prevede che, in ogni caso, i diritti e le libertà non possono essere esercitati in contrasto con i fini e principi delle Nazioni Unite.

Alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è riconosciuto un inestimabile valore storico e simbolico, come traguardo fondamentale per la promozione e lo sviluppo dei diritti umani in ambito internazionale, ma ha pur sempre un’efficacia limitata, in quanto, dal punto di vista giuridico formale costituisce una mera raccomandazione internazionale. Seppur l’appello alla lesione dei diritti sia sempre invocato in funzione della Dichiarazione, essa non è giuridicamente vincolante e, per questo, non è idonea a qualificare degli obblighi sanzionabili a carico degli Stati firmatari. Perché si arrivi ad una cogenza normativa65, è necessario attendere la sigla del Patto internazionale dei diritti civili e politici, adottato dall’Assemblea generale dell’ONU il 16 dicembre 1966 ed entrato in vigore solo dieci anni dopo, per mancanza iniziale del numero minimo di ratifiche. In questo documento, ancora all’articolo 19 viene sancita la tutela della libertà

65 Resa evidente da quanto disposto dall’art. 2 dello stesso Patto laddove stabilisce che ciascuno degli Stati si impegna a rispettare ed a garantire i diritti riconosciuti senza distinzione alcuna nonché a compiere i passi per l’adozione delle misure legislative o di altro genere che possano occorrere a rendere effettivi tali diritti. Il terzo paragrafo prevede infine che: Ciascuno degli Stati parti del presente Patto s’impegna a: (a) garantire che qualsiasi persona, i cui diritti o libertà riconosciuti dal presente Patto siano stati violati, disponga di effettivi mezzi di ricorso, anche nel caso in cui la violazione sia stata commessa da persone agenti nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali; (b) garantire che l’autorità competente, giudiziaria, amministrativa o legislativa, od ogni altra autorità competente ai sensi dell’ordinamento giuridico dello Stato, decida in merito ai diritti del ricorrente, e sviluppare le possibilità di ricorso in sede giudiziaria; (c) garantire che le autorità competenti diano esecuzione a qualsiasi pronuncia di accoglimento di tali ricorsi.

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di espressione e con essa quella di informazione66. I primi due paragrafi dell’articolo 19 del Patto, trattandosi di disposizioni di principio che prevedono obblighi negativi (divieto di ingerenza) e positivi (misure di garanzia), sono praticamente identici al medesimo articolo della Dichiarazione. Il terzo paragrafo dell’articolo, invece, stabilisce che l’esercizio di tali libertà comporta doveri e responsabilità speciali. Si prevede, inoltre, la possibilità che esso sia sottoposto a talune restrizioni tassative, considerate necessarie al rispetto dei diritti o della reputazione altrui o alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della sanità o della morale pubbliche. L’esercizio della libertà di espressione e di informazione incontra l’ulteriore limite stabilito dall’art. 20: Qualsiasi propaganda a favore della guerra, qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale, o religioso che costituisce incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza deve essere vietata dalla legge.

A vigilare sul rispetto del principio e sulla legittimità di tali possibili compressioni da parte degli Stati, è preposto il Comitato dei diritti dell’uomo, la cui istituzione viene prevista dallo stesso Patto. Si tratta di un organo formato da diciotto membri, eletti a scrutinio segreto fra una lista di cittadini di alta levatura morale o riconosciuta competenza nel campo dei diritti umani (art. 28). Il Comitato svolge essenzialmente tre funzioni di controllo: la prima consiste nel monitoraggio sullo stato di attuazione dei diritti sanciti dal Patto, mediante presentazione periodica di rapporti da parte degli Stati membri; per la seconda e la terza si chiede al Comitato di dar conto sulle comunicazioni statali e individuali circa presunte violazioni degli stessi. Da ricordare che quelle individuali possono essere recepite solo se la parte lesa lamenti la violazione contro uno Stato firmatario del Protocollo facoltativo aggiunto al Patto. Per ciò che riguarda la prima funzione di controllo, l’art. 40 prevede

66 I primi due paragrafi dell’art. 19 del Patto stabiliscono che: (1) Ogni individuo ha diritto a non essere molestato per le proprie opinioni. (2) Ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere, diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente o per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta.

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che gli Stati membri del Patto presentino rapporti (il primo entro un anno dall’entrata in vigore del Patto) sulle misure che avranno adottate per dare attuazione ai diritti sanciti e sui progressi compiuti nel loro godimento, ogni qualvolta che il Comitato ne faccia richiesta. A sua volta, il Comitato è tenuto a presentare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite un rapporto riguardo le sue attività (art. 45), in virtù del rapporto funzionale che lega i due organi. Questa prima procedura di verifica è obbligatoria per tutti gli Stati membri ed ha un carattere “automatizzato”, anche se si rilevano numerosi casi di ritardo o mancata consegna dei rapporti. Un’altra grande criticità di questa procedura, consiste nel puntualizzare che, a redigere tali rapporti, sono gli stessi Stati membri, oggetto dell’analisi.

Nella sua seconda veste, il Comitato riceve ed esamina le comunicazioni statali, nelle quali uno Stato parte dichiari che un altro Stato parte non adempie agli obblighi derivanti dal Patto, e, al termine di una procedura che si svolge a porte chiuse, emana un rapporto da inviare agli Stati interessati. Ciò che più interessa, però, è certamente il procedimento di esame delle comunicazioni individuali, previsto non più dal Patto ma dal Protocollo facoltativo ad esso allegato. Il titolare del potere di iniziativa è il singolo individuo che abbia già esaurito tutti i ricorsi giurisdizionali interni, il quale lamenti la violazione di uno qualsiasi dei diritti enunciati nel Patto da parte di uno degli Stati firmatari del suddetto Protocollo. Il Comitato, ricevuta la comunicazione, in un primo momento si rivolge allo Stato che si ritiene abbia violato il Patto e, se entro sei mesi non riceve dichiarazioni o spiegazioni che chiariscano la questione, procede all’esame tenendo conto di tutte le informazioni ricevute sia dall’individuo che dallo Stato. Al termine della procedura, che si svolge a porte chiuse, il Comitato trasmette le sue considerazioni alle parti.

Per comprendere la portata attuale dell’articolo 19 del Patto è importante fare riferimento al commento generale n.34 emanato nel 2011, sostitutivo del precedente n. 10 del 1983. Ribadito fin dal principio che le libertà di opinione e di espressione sono le condizioni indispensabili alla completa realizzazione

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individuale e a quella di una società libera e democratica, il Comitato ha stabilito per gli Stati parte l’obbligo di porre in essere misure effettive contro gli attacchi volti a silenziare chiunque eserciti tali libertà. Precisa poi: Paragraph 3 may never be invoked as a justification for the muzzling of any advocacy of multi-party democracy, democratic tenets and human rights. Nor, under any circumstance, can an attack on a person, because of the exercise of his or her freedom of opinion or expression, including such forms of attack as arbitrary arrest, torture, threats to life and killing, be compatible with article 19. Journalists are frequently subjected to such threats, intimidation and attacks because of their activities. So too are persons who engage in the gathering and analysis of information on the human rights situation and who publish human rights-related reports, including judges and lawyers. All such attacks should be vigorously investigated in a timely fashion, and the perpetrators prosecuted, and the victims, or, in the case of killings, their representatives, be in receipt of appropriate forms of redress.

Il Comitato è inoltre arrivato ad estendere il concetto di “giornalismo” tanto da un punto di vista oggettivo (ossia delle forme e dei mezzi attraverso cui esso può esprimersi67), che soggettivo avuto riguardo alla pluralità di qualifiche individuali attratte sotto quella di “operatore dell’informazione”68. Il Patto internazionale sui diritti civili e politici, per il grado di protezione accordato alla libertà di espressione e di informazione che abbiamo finora analizzato, è sicuramente il documento internazionale a portata universale che meglio risponde alle esigenze di protezione di giornalisti e altri operatori dei

67 Comitato dei dei diritti dell’uomo, Commento generale n. 34/11: (12) […] Means of expression include books, newspapers, pamphlets, posters, banners, dress and legal submissions. They include all forms of audio-visual as well as electronic and internet-based modes of expression; (15) States parties should take account of the extent to which developments in information and communication technologies, such as internet and mobile based electronic information dissemination systems, have substantially changed communication practices around the world […]

68 Comitato dei dei diritti dell’uomo, Commento generale n. 34/11: (44) Journalism is a function shared by a wide range of actors, including professional full time reporters and analysts, as well as bloggers and others who engage in forms of self-publication in print, on the internet or elsewhere, and general State systems of registration or licensing of journalists are incompatible with paragraph 3

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media. È chiaro però che, a seconda delle violazioni e degli abusi che possono essere perpetrati a loro danno, saranno invocate altre carte altrettanto fondamentali, come ad esempio la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli (1984) o la Convenzione sulla protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata (2006).

Doveroso cenno va inoltre al diritto di Ginevra. Il Protocollo addizionale alle Convenzioni del 1977 accorda, ai sensi dell’articolo 79, una particolare protezione a favore dei giornalisti che svolgono missioni professionali pericolose nelle zone di conflitto armato, i quali saranno considerati come persone civili ai sensi dell’articolo 50 par. 1 dello stesso Protocollo. “Essi saranno protetti – continua – a condizione che si astengano da qualsiasi azione ledente il loro statuto di persone civili, e senza pregiudizio del diritto dei corrispondenti di guerra accreditati presso le forze armate, di beneficiare dello statuto previsto dall'articolo 4 A. 4) della III Convenzione69”.

Nel complesso delle fonti internazionali a favore dei giornalisti si richiama infine, la Risoluzione 1738 del Consiglio di Sicurezza ONU emanata nel 2006, la quale, considerata la frequenza degli atti di violenza perpetrati a danno dei giornalisti70 che operano in zone di guerra in varie parti del mondo, riconosce l’importanza cruciale di un’azione coordinata e incisiva a livello internazionale, dando slancio a nuove iniziative legislative come quella del Piano di azione che andremo ad analizzare nel prossimo paragrafo.

1.2.2 Il Piano di azione per la salvaguardia dei giornalisti e la questione dell’impunità

L’Unesco, con risoluzione 68/163, ha ufficialmente istituito la Giornata internazionale contro l’impunità per i crimini contro i giornalisti per il 2 novembre di ogni anno, in ricordo dei due reporter francesi Claude Verlon and Ghislaine Dupont, uccisi in Mali nel 2013.

69 Ossia quello dei prigionieri di guerra

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Secondo l’ultimo report del Direttore Generale dell’Unesco sull’argomento71, nei dieci anni tra il 2006 e il 2015 sono stati uccisi 827 giornalisti, 213 solo tra il 2014 e il 2015. Le zone geografiche in cui si registrano le percentuali di assassinii più alte sono i paesi arabi (35%), seguiti dall’Asia e sud est asiatico (25%), dall’America Latina e Caraibi (21%), dall’Africa (13%), dal centro ed est Europa (4%) e, infine, dai restanti paesi europei insieme al Nord America (2%). Come intuibile, il maggior numero di crimini si registra nei paesi interessati da conflitti bellici (59%), e riguardano più i giornalisti locali (95%) rispetto a quelli stranieri. Il 19% degli 827 giornalisti uccisi, svolgeva il proprio mestiere da freelance: secondo il Direttore Generale, questa tipologia di professionisti rappresenta, proprio per la mancanza di adeguata assistenza e protezione riservata invece agli inviati delle testate, la categoria più esposta al rischio di aggressioni, rapimenti, assassinii. Infine, sebbene tendenzialmente la maggior parte dei giornalisti aggrediti sia di sesso maschile (94%), è vero anche che le giornaliste donne, sono con più frequenza vittime di altri cimini e abusi, tra cui molestie e violenza sessuale72.

Il secondo profilo di indagine riguarda l’impunità, ossia il difetto giurisdizionale per tali crimini73, sia da un punto di vista teorico-giuridico (per vere e proprie lacune legislative), sia in concreto, considerato l’alto numero di casi tuttora irrisolti. In proposito, tra il febbraio e il marzo 2016, l’UNESCO ha inviato richieste di informazioni sullo stato di indagini o processi su 784 degli 827 casi già menzionati. Dei 62 Stati membri contattati, 40 hanno provveduto a inviare informazioni più o meno concrete al mittente74, mentre 22 Stati non hanno inviato alcuna risposta. “With only 8%

71 “Time to break the cycle of violence against journalists. Highlights from the UNESCO Director-General’s 2016 Report on the Safety of Journalists and the danger of impunity” pubblicata in occasione della 30° sessione del Programma internazionale per lo sviluppo e la

comunicazione. Consultabile online all’indirizzo:

https://en.unesco.org/sites/default/files/unesco_report_english_rgb.pdf

72 Si legge dal report che questo dato potrebbe essere parzialmente spiegato anche dal numero esiguo delle giornaliste che trasmettono da zone di conflitto.

73 La definizione resa dal Piano è: “[…] it may be understood as the failure to bring perpetrators of human rights violations to justice”

74 Di questi, 32 hanno provveduto a rispondere riferendo notizie concrete sullo stato delle indagini, mentre gli altri 8 Stati hanno informato l’UNESCO di aver trasferito la competenza

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of cases reported as resolved (63 out of 827), impunity for these crimes is alarmingly high – si legge nelle conclusioni –; This impedes the free flow of information that is so vital for sustainable development, peace building, and the social welfare of humankind. this widespread impunity fuels and perpetuates a cycle of violence that silences media and stifles public debate”. Le conseguenze esponenziali dell’omertà o dell’indifferenza sui rischi corsi dai giornalisti potrebbero essere annullate solo attraverso azioni preventive o di puntuale amministrazione della giustizia successiva. Questa è l’aspirazione in base alla quale le Nazioni Unite si sono attivate nell’elaborazione del Piano di azione per la salvaguardia dei giornalisti e il problema dell’impunità, promosso in seno al Programma internazionale per lo sviluppo e la comunicazione nel 2012. “Working toward the creation of a free and safe environment for journalists and media workers in both conflict and non- conflict situations, with a view to strengthening peace, democracy and development worldwide”, questo l’obiettivo principale del Piano che si propone di rafforzare: (a) i meccanismi interni delle Nazioni Unite (agenzie, programmi, organismi) volti alla tutela dei giornalisti; (b) la cooperazione fra gli Stati membri, incoraggiando iniziative legislative e di prevenzione; (c) la relazione con altre organizzazioni (non governative; professionali; internazionali e regionali etc); (d) le campagne di sensibilizzazione che trattano rischi cui, tristemente, incorre il giornalista che voglia liberamente esercitare la sua libertà di informare.

Il Piano di azione per la salvaguardia dei giornalisti si pone quindi come una dichiarazione di intenti, che partendo da dati oggettivi, statistiche, studi di casi determinati, predilige iniziative e azioni concrete nell’ottica di una piena difesa dei diritti umani specialmente in zone ad alto rischio di abusi.

del caso a autorità nazionali senza quindi allegare alcuna notizia. Tutti i documenti sono disponibili integralmente sul sito dell’UNESCO.

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1.2.3 L’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo

A livello europeo, la protezione accordata alla libertà di espressione e informazione risulta da un sistema formato da fonti legislative, tra cui la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), il Trattato sull’Unione europea e la Carta di Nizza, e giurisprudenziali, ossia dalla costante attività interpretativa svolta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. Il presidio garantistico più importante è sicuramente quello previsto dalla Convenzione, che all’art. 10 stabilisce il seguente standard di garanzia: 1.Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive.

In questo primo paragrafo si ribadisce il diritto inviolabile e assoluto di ogni persona a esprimere, senza ingerenze e senza limiti di frontiera, il proprio pensiero, seguito poi dalla consueta distinzione delle diverse “facce” di questo diritto. A differenza delle altre disposizioni richiamate finora, la Convenzione introduce, già al termine del primo paragrafo, la possibilità per gli Stati parte di prevedere un sistema di controllo e regolazione per quanto riguarda le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive, purché ovviamente non si traduca in un’ingerenza eccessiva ma si renda necessario solo al fine di prevenire abusi o distorsioni economiche tipiche del mercato dell’informazione. Il secondo paragrafo continua:

2.L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla

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protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario.

La Convenzione prevede che l’esercizio della libertà di espressione comporti doveri e responsabilità; ciò risulta particolarmente evidente quando il soggetto attivo se ne avvale in funzione della sua professione. La Corte EDU si è dimostrata attenta nella tutela della libertà di informare e del diritto di cronaca, il quale risulta pienamente garantito nell’ambito dell’art.10 Cedu qualora sia esercitato nel rispetto delle regole deontologiche previste dal