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Giudiziarizzazione del sociale e crisi del Welfare State: effetti sugli equilibri politici e scenari emergenti

macro-trasformazioni giuridiche

3. Giudiziarizzazione del sociale: profili, problemi, prospettive

3.3 Giudiziarizzazione del sociale e crisi del Welfare State: effetti sugli equilibri politici e scenari emergenti

Come già sostenuto, il protagonismo dell'istituzione giudiziaria, nel senso della sua pervasività nella sfera sociale che, in un certo senso, al giudiziario viene "conformata", s'incrocia con ulteriori, importanti cambiamenti intervenuti nello scenario politico riguardanti il funzionamento delle democrazie

occidentali.

In questa sede, più specificamente, è possibile leggere il fenomeno della giudiziarizzazione del sociale come progressiva integrazione della funzione giurisdizionale nell'universo delle relazioni politiche, sempre sullo sfondo di una profonda crisi delle istituzioni del Welfare State.

Si avvia una trasformazione che conduce verso una politicizzazione del giudiziario a fronte di

una giudiziarizzazione della politica. Nelle democrazie occidentali infatti, l'ascesa del potere giudiziario

e l'abbandono della sua posizione speculare rispetto ai poteri politici, alterano l'equilibrio costituzionale statico costruito sul predominio delle maggioranze e mettono in moto un nuovo equilibrio di tipo

dinamico, vicino all'idea dei checks and balance tra i poteri costituiti, nonché del giudiziario rispetto al potere politico (111).

Peraltro, la crisi del sistema politico (stricto sensu) post-welfare va letta in duplice senso: sia come crisi funzionale, sia come crisi di legittimazione (cfr. capitolo precedente). Di entrambi questi aspetti della crisi, che sembrano prestarsi bene a spiegare il ruolo accentuato delle istituzioni giudiziarie nei paesi europei a cultura giuridica continentale, conviene riprendere l'evoluzione, cercando di seguire gli sviluppi, fino ai più recenti cambiamenti provocati dalla giudiziarizzazione.

La crisi si manifesta innanzitutto come crisi di funzionamento della macchina politica congegnata in senso rappresentativo, che costitutiva il principio-architrave dell'organizzazione costituzionale: la crisi funzionale consiste nella sempre maggiore difficoltà di assicurare, attraverso i normali meccanismi rappresentativi, una risposta a tutti i bisogni che insorgono all'interno della vita associata. La difficoltà a praticare in sede parlamentare sintesi di interessi in società ad alta complessità e sempre meno omogenee, attraverso strumenti generali ed astratti come le leggi, porta ad espandere il ruolo della magistratura a cui viene sempre più spesso demandata la decisione finale da una legislazione ad integrazione differita (112). Le occasioni di coinvolgimento politico dei magistrati procedevano come l'ombra lunga di una sempre più manifesta crisi dell'istanza legislativa, come incapacità delle leggi di produrre sintesi di valori e di interessi credibili ed efficaci, di lunga durata e non bisognose di interventi.

Spesso, in passato, era la stessa magistratura che, di fronte all'inadempienza delle istituzioni politiche, si cimentava con decisioni di natura politica, svolgendo ciò che in Italia veniva identificato come una funzione si supplenza, e che altrove era più frequentemente chiamato "governo dei giudici": funzioni che richiamavano un ruolo "riformatore" della magistratura, volta a volta in veste redistributiva, equitativa, protettrice, punitiva.

Le polemiche politiche emerse sul tema del governo dei giudici e dei giudici-legislatori facevano cadere in penombra la ratio istituzionale che sottendeva la trasformazione: una ratio che conduceva la

giurisdizione a diventare una camera di compensazione per la crisi della legislazione (113).

Questo processo istituzionale si accompagna ad una sempre più visibile rottura dell'ingegneria

maggioritaria che faceva da sostegno alle democrazie rappresentative occidentali. Il protagonismo dei giudici sembra delineare un percorso ambivalente verso la democrazia. Per un verso, infatti, il risveglio del potere giudiziario avviene nell'ambito di un più vasto processo di crisi del demos che porta alla prevalenza del modello di democrazia maggioritaria verso la prevalenza di un modello di tipo consensuale (114). Senza entrare in un complesso dibattito sulla democrazia che ha nutrito molta letteratura e messo a fuoco tale passaggio nonché le sue luci ed ombre, basterà qui richiamata rapidamente come tale successione comporti il passaggio da un esercizio della democrazia a potere più concentrato, intento soprattutto a compito di governo, ad un esercizio della democrazia a poteri diffusi e condivisi, che prevede una più ampia compartecipazione al potere di gruppi di cittadini e persino di svariate forme di contropoteri (115).

Mentre la democrazia si ridefinisce in senso pluralista e partecipativo, nell'idea che poteri, idee ed interessi sono chiamati a confrontarsi, competere e contrattare sulle norme, l'ingresso del giudiziario nell'agone politico sembra dunque coerente con una trasformazione del processo democratico, che si affida sempre più a momenti di dibattito e confronto, che ci si aspetta producano risultati razionalmente accettabili, secondo gli assunti di quanto Habermas pone sotto l'etichetta di democrazia deliberativa.

Attraverso la prevalenza del diritto giudiziario, via via che passa dalla democrazia governante alla democrazia deliberante, il diritto sembra puntare meno sul momento della volontà del legislatore e affidarsi di più a processi di confronto o mediazione tra esigenze o richieste sociali in conflitto.

Per un altro verso, tuttavia, questo percorso sembra espropriare sempre più il meccanismo democratico dei suoi connoti classici e consegnare volta a volta alcune delle sue competenze al giudiziario, ai processi di lobbyng, alle autorità amministrative. Sembra insomma disegnarsi un paradossale percorso in cui la democrazia pare rafforzarsi attraverso meccanismi antimaggioritari e correttivi poco compatibili con il suo significato originario.

La dialettica maggioranza-opposizione, tradizionalmente guidata in Europa da forti appartenenze ideologico-politiche, poi approdata ad uno spettro più complesso di posizioni di tipo neocorporativo, che

sembravano riecheggiare al di qua dell'Atlantico la politica dei gruppi e del lobbyng, che l'America ha conosciuto a partire dagli anni sessanta e settanta del secolo scorso, ha trovato riflesso in una parallela trasformazione e frantumazione dei pubblici poteri, che per l'Europa hanno avuto così una portata ben più dirompente. Tra l'altro, questa trasformazione ha trovato riflesso in una nuova configurazione di contropoteri, tra i quali va annoverata anche la presenza del potere giudiziario o almeno di alcune sue parti. La giurisdizione appare così sfuggire definitivamente alla sua tradizionale configurazione

ancillare, per apparire sotto le nuove spoglie di un soggetto istituzionale che contraddice la tradizionale unità dello Stato e che, rompe la coerenza dei poteri statali che era rimasta fino ad allora intatta.

Mentre quei pilastri avevano cominciato a vacillare, la magistratura non aveva mancato di mostrare, sia pure in forma embrionale, alcuni tratti potenzialmente eversivi rispetto alla propria riducibilità ad una configurazione strettamente statale. Innanzitutto era emersa la sua vocazione ad essere potere diffuso e, come tale, tendenzialmente policentrico e propenso alla differenziazione: dunque difficilmente riconducibile ad unità, a dispetto dei legatari e nomofilattici. Altrettanto chiaramente si era profilato un altro suo tratto di invincibile diversità rispetto agli altri poteri statali: la sua posizione ambigua, collocata per tradizione dalla parte dello Stato, ma inesorabilmente esposta sul fronte della società civile.

La crisi delle istituzioni rappresentative di tipo "giacobino" conduceva ad un sistema politico

tendenzialmente incline ad una significativa riduzione di distanze tra chi governa e chi è governato, ad una ridefinizione della logica dei confini e delle distanze che era propria del vecchio ordine

costituzionale: confini e distanze, si potrebbe dire anche tra Stato e società civile.

L'irruzione dell'istituzione giudiziaria nella vita collettiva e nei "santuari del potere" è simbolo e segno anche di un corto circuito continuato che annulla molta della tradizionale separatezza tra Stato e società civile, permettendo a quest'ultima maggiori occasioni di incontri ravvicinati con il potere statale.

Ciò avviene innanzitutto per la particolare esposizione sociale che è propria dell'istituzione giudiziaria;

essa, soprattutto ma non solo nella sfera civilistica, dipende da meccanismi di attivazione sociale: il suo ruolo è forgiato in misura consistente dalla propensione sociale ad indirizzare le proprie domande, questioni conflitti. Ma anche nella sfera penale, come si dirà più avanti, specie nei processi a più alta valenza simbolica, che, come Durkheim ha insegnato, hanno il potere di attivare rituali sociali e comunicazioni sui valori, l'istituzione giudiziaria possiede valenze comunicative di grande importanza.

Infine, la giudiziarizzazione della politica apre uno scenario di ridotte distanze tra governati e

governanti: le corti sono spazi in cui la distanza tra istituzione e cittadini viene ridotta ed in cui la regola viene costruita attraverso una sinergia delle parti, che si produce anche attraverso il conflitto e la lotta (116). L'istituzione giudiziaria, infatti, è congegnata come istituzione molto più partecipata di quelle politiche poiché permette alle parti un protagonismo che non hanno nelle istituzioni rappresentative.

Il minor grado di identificazione con lo Stato potrebbe essere la chiave per comprendere la maggiore agilità istituzionale che ha rivelato la giurisdizione rispetto alle istituzioni a carattere rappresentativo, di fronte alla sfida della globalizzazione: sia la sua vocazione ad essere potere diffuso sia la sua

potenziale vocazione ad essere contropotere avrebbero, infatti, conferito alla giurisdizione una posizione di vantaggio tra le istituzioni per avviarsi verso una configurazione globale, evitando di ingessarla in un'appartenenza statale troppo limitativa o in una scala gerarchica troppo rigida.

Vi è un secondo aspetto della crisi delle istituzioni rappresentative: quello che si identifica

nell'indebolimento della legittimità delle istituzioni politiche, rispetto a cui viene in aiuto la previsione di un ruolo nuovo delle istituzioni giudiziarie, chiamate a svolgere una funzione di legittimazione ben più importante di quella che avevano nel vecchio stato di diritto. Il giudiziario verrà investito del compito di partecipare significativamente ai meccanismi di legittimazione, conquistando così il potere di far emergere eventuali deficit di legittimazione del potere politico.

Il percorso lungo il quale evolve questo nuovo ruolo delle giurisdizioni è il processo

di costituzionalizzazione, ovverosia il processo di accrescimento di importanza delle carte costituzionali che dispiega un duplice effetto sui poteri costituiti: imporre principi ai quali i poteri debbono ispirarsi;

espandere l'orizzonte visivo ed operativo dei magistrati declassando la legge da referente primo del magistrato a fonte tra le altre. Il potere giurisdizionale acquista così una nuova funzione, di supervisione dell'attività dei pubblici poteri.

Si sviluppa una nuova capacità di intervento particolarmente incisiva delle corti nel processo di legittimazione, ma anche, un'inversione di quella situazione in cui era la politica forte a legittimare un

giuridico ridotto alla sua proiezione: attraverso il circuito della costituzionalizzazione per il tramite del giudiziario, sarà ora il giuridico a legittimare una politica in crisi di autosufficienza.

La costituzionalizzazione crea una situazione dinamica in cui nell'istanza giurisdizionale si cumula un potere sempre maggiore di intervento, ma altresì un potere sempre maggiore di concorrere in maniera diretta o indiretta, a legittimare o delegittimare la politica, sulla base di standard costituzionale.

Nell'incapacità dei meccanismi rappresentativi di assicurare sufficiente legittimazione all'insieme delle decisioni assunte all'interno dello stato, o da esso recepite, si aprono nuovi spazi per la giurisdizione.

La legittimazione non si pone più come un data acquisito in virtù di un mero procedimento, ma diventa un problema che accompagna la democrazia, una posta in gioco che si assegna volta a volta a seguito di competizioni. In tale competizione il giudiziario è avvantaggiato, in forza del rovesciamento della subalternità alla legge e della assunzione del ruolo di interprete privilegiato delle carte costituzionale.

Alla fine di questo processo, mentre di producono effetti pratici (redistribuzione potere politico) e simbolici ("controllo della virtù"), che modificano sensibilmente il quadro della legittimazione, piuttosto che verificarsi una chiara rilegittimazione del potere politico, si crea una situazione

di istituzionalizzazione del conflitto tra poteri politici e giurisdizionale: una situazione, non priva di momenti di belligeranza, in cui la legittimazione è la posta in palio.

A determinare il successo dell'istituzione giudiziaria ha contribuito anche la capacità che essa ha dimostrato di misurarsi con i circuiti comunicativi che sono propri della società cosiddetta mediatica.

Quello che appare evidente, come ultima considerazione, è l'acquisizione da parte della magistratura di un ulteriore nuovo ruolo: mediatico (117). Il ruolo del giudiziario nella comunicazione politica, rinvia a nuovi modi di stringere legami sociali, propri delle società globalizzante. Siamo di fronte ad un mutamento del ruolo del giudiziario che non è più solo interno al circuito delle relazioni politiche, ma coinvolge il legame con la società. Del resto di fronte alla crescente facilità di produzione dei beni, e alla crescente crisi del lavoro, inteso come funzione sociale, la vecchia interdipendenza durkheimiana di un legame sociale costruito essenzialmente sulle interdipendenze proprie della divisione del lavoro sembra ormai non corrispondere più allo stato delle cose: le nostre società sono molto meno a solidarietà organica e molto più fondate su comunanze di idee e stili di vita. Il legame sociale si fa sempre più immateriale e capace perciò di trascendere i confini di uno Stato o di una comunità.

3.4 Conclusioni provvisorie sulla giudiziarizzazione: magistrature del

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