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La mediazione penale presso il Giudice di Pace di Firenze

una sintesi introduttiva

3. La mediazione penale: un profilo sociologico- sociologico-giuridico

3.1 La mediazione penale presso il Giudice di Pace di Firenze

Il centro di mediazione penale presso il Giudice di Pace di Firenze, è stata la prima struttura le cui prassi operative ho avuto modo di costatare direttamente, attraverso due incontri svolti con le mediatrici del centro (11).

Sito in Via Fattori 10/b, all'interno dell'edificio che ospita il Giudice di Pace fiorentino, l'Ufficio di mediazione penale nasce sulla base di una convenzione stipulata il 28 Ottobre 2004, tra il Giudice Coordinatore dell'Ufficio del Giudice di Pace di Firenze, dott. Cesare Iapichino, e il Prof. Emilio Santoro,

direttore dell'Altro Diritto, promotore della costituzione dell'ufficio di mediazione.

L'ufficio diventa operativo effettivamente nel Dicembre 2004, rappresentando quindi la seconda esperienza di questo tipo in Italia, in ordine di tempo, dopo quella di Milano.

Per quanto attiene ai profili strettamente organizzativi, ricordo che l'Ufficio si avvale dell'attività di due mediatrici, formate e selezionate dall'Altro Diritto, l'avv. Valentina Adduci, coordinatrice, e la dott.ssa Paola Sanchez-Moreno, cui vanno aggiunte tre tirocinanti di un modulo professionalizzante dedicato alla mediazione dei conflitti, attivato dall'Università degli studi di Firenze. Le mediatrici operano nel centro per tre giorni settimanali, per quattro ore giornaliere.

L'inizio effettivo dell'attività dell'Ufficio, è stato preceduto da una consistente operazione di

sensibilizzazione circa il progetto di mediazione penale (profili normativi, orizzonti di senso ecc), a Firenze. In particolare, si è cercato di analizzare insieme agli "operatori del diritto", Giudici di Pace e avvocati, il contenuto dell'art. 29 e 35 ex D.lgs 274/2000, in forza dei quali è possibile attuare la mediazione, ma anche di valutare come si inserisce la mediazione nel procedimento presso il Giudice di Pace e dunque i suoi possibili esiti procedurali. Altra direttrice dell'attività di sensibilizzazione è consistita nel coinvolgimento delle istituzioni locali, in specie assessori comunali, provinciali, regionali alle politiche sociali, con l'obiettivo di illustrare il senso e le prospettive dell'attività di mediazione, e più in generale, l'ottica della gestione dei conflitti tra consociati in senso compositivo-satisfattivo.

Si è cercato altresì, di instaurare un rapporto collaborativo con gli altri organi di giustizia di prossimità, come i Difensori civici, l'Ufficio di Arbitrato e conciliazione della Camera di Commercio di Firenze, i Servizi di Pronto soccorso giuridico, i Quartieri, ecc. L'obiettivo in questo caso, è stato quello di promuovere la creazione di una concreta rete di sinergie tra i soggetti non giurisdizionali preposti alla gestione dei conflitti, in modo da sviluppare una consapevolezza comune, circa i servizi offerti ai cittadini, nonché un apparato organico e funzionale, nelle sue articolazioni di settore e sul territorio, di giustizia di prossimità.

Passo ora, a descrivere propriamente le pratiche effettive elaborate di suddetto ufficio e dunque il funzionamento reale della mediazione penale a Firenze, considerato in base alle informazioni derivate dai colloqui svolti con le mediatrici.

Primo profilo da considerare è il rapporto trilaterale tra l'Ufficio di mediazione penale, il Giudice di Pace e l'Ordine degli avvocati di Firenze. Quello dell'interazione tra operatori, della mediazione e del mondo giurisdizionale tradizionale, appare evidentemente un aspetto centrale ai fini della comprensione del livello applicativo della mediazione penale, del suo inveramento nella prassi.

Conflitti o meglio, torsioni di forze tra i due "mondi" (vedi sopra, pag. 22), determinerebbero giocoforza, una limitazione esogena delle potenzialità della mediazione, pratica meno solida, perché di più recente introduzione e meno conosciuta, rispetto al processo penale tradizionale. In parole semplici gli avvocati, sfruttando la loro credibilità professionale, potrebbero ad esempio, opporre qualche resistenza

all'attività di mediazione, esercitando pressioni sui Giudici di Pace e sui clienti, promovendo una certa

"diffidenza" rispetto alla nuova forma di gestione dei conflitti.

Mi è stato spiegato di rapporti ottimi con i Giudici di Pace, mentre l'interazione tra l'ufficio e l'Ordine degli avvocati è stata descritta appunto, come più problematica. Non è faticoso comprendere le ragioni di tale fredda accoglienza. È evidente, infatti, quanto l'avvocato possa almeno in un primo momento, non tanto sentirsi delegittimato dalla presenza dei mediatori, trattandosi di figure professionali nettamente distinte in ordine a mansioni e spazio di operatività, quanto vedere in essi una specie di concorrente rispetto alla gestione della causa davanti al Giudice di pace e quindi al proprio cliente. In verità, questa "diffidenza ambientale", col passare del tempo si è modificata nettamente, intravedendosi la possibilità di una vera collaborazione tra mediatori e avvocati, o quantomeno un attivo

coinvolgimento di questi ultimi. Il superamento dell'iniziale fase di stallo è da imputarsi sia all'attività d'intermediazione del dott. Iapichino, coordinatore dei G.d.P. di Firenze, sia alle modalità con le quali le mediatrici hanno definito il proprio rapporto con gli avvocati, informati sin dall'inizio del rinvio del Giudice ex art. 29 D.lgs 274/2000. In sintesi, posso descrivere quasi come "fisiologica" l'iniziale difficile

convivenza tra mediazione e avvocati, comprensibilmente sorpresi dall'irruzione sulla scena della gestione dei conflitti, prima egemonizzata da questi, di nuove figure, con nuovi compiti e un'innovativa prospettiva di lavoro. Resta poi un fatto da considerare, che, come scrive il Luigi Lombardi Vallauri, l'avvocato rispetto al conflitto rimane "l'impresario delle pompe funebri e non il medico patologo" (12)...

A questo punto, descritta l'interazione operatori tradizionali del diritto e mediatrici, posso provare a calarci nella dimensione propriamente prasseologica dell'attività mediatoria, partendo dalle fasi preliminari e informative. L'attivazione dell'Ufficio di mediazione in relazione ad una specifica vicenda, consegue alla comunicazione inoltrata dal Giudice di Pace all'Ufficio, attraverso la cancelleria, circa la sospensione della procedura ordinaria e il conseguente rinvio alla mediazione, ex art 29 co. 4 D.lgs 274/2000. L'avviso si caratterizza per l'assenza di qualsiasi informazione nel merito della controversia, essendo indicato solo il nome delle parti e dei difensori, nonché i rispettivi recapiti telefonici. Segue l'invio da parte dell'Ufficio di mediazione agli avvocati, della comunicazione di avvenuta applicazione dell'art. 29, e quindi della sospensione del procedimento. Informare l'avvocato è chiara operazione finalizzata al coinvolgimento dello stesso, onde evitare spiacevoli tensioni, come sopra riportato.

La terza fase del percorso informativo, riguarda evidentemente le parti.

L'Ufficio di mediazione contatta querelante e querelato attraverso i rispettivi avvocati, allegando alla missiva informativa per il difensore, un'ulteriore lettera, che quest'ultimo consegnerà al suo assistito.

Nella lettera inviata alla parte, è espresso chiaramente il senso e le prospettive dell'attività di

mediazione, definita come processo d'elaborazione costruttiva del conflitto, dove le parti sono messe in condizione di esprimere liberamente il proprio punto di vista in relazione a ciò che le oppone, pratica gratuita, consensuale e confidenziale. A ciò si aggiunge, naturalmente, l'informazione dell'avvenuto rinvio del caso che coinvolge le parti, alla mediazione.

Nel caso in cui le parti non contattino direttamente l'Ufficio, decorso un certo periodo di tempo, saranno le operatrici che cercheranno di rintracciare telefonicamente i difensori di querelato e querelante, in modo tale da sollecitare la fissazione del giorno del colloquio individuale preliminare. Durante questa fase, i soggetti contendenti sono invitati separatamente ad esporre il personale punto vista in relazione alla natura del conflitto che li oppone, si cerca quindi di ricostruire storicamente l'accaduto ed infine si procede a sondare la reciproca volontà delle parti ad incontrarsi direttamente.

In presenza di detta libera disponibilità, si passa alla mediazione in senso sostanziale, vale a dire all'incontro face-to-face. Ricordo che la partecipazione ad ogni fase è "formalizzata" attraverso la sottoscrizione di alcuni moduli, d'ingresso, colloquio esplorativo e incontro di mediazione face-to-face.

Da rilevare che l'esito dell'incontro finale, qualora abbia o meno avuto luogo, viene comunicato al Giudice di Pace in maniera estremamente sintetica, senza attribuzione di responsabilità del successo o insuccesso dell'attività alla singola parte, onde evitare possibili condizionamenti nella deliberazione dell'organo giudicante.

Due parole sul metodo seguito a Firenze. Da rilevare è l'originale commistione tra elementi mutuati da modello culturale umanistico (Morineau) e le tecniche di conciliazione-negoziazione, il tutto all'insegna della flessibilità nella definizione di risposte alle specifiche esigenze delle parti. Per meglio

comprendere le dinamiche effettive della mediazione, nonché i risvolti operativi del metodo d'intervento, propongo a questo punto, di considerare alcuni casi concretamente gestiti dalle mediatrici fiorentine, che gentilmente ci hanno concesso di esaminare, ovviamente nel rispetto della privacy delle parti coinvolte. Come vedremo, i casi selezionati rimandano a tipologie tipiche di conflitti interpersonali, ipotesi reali cui è possibile attribuire valore "esemplare".

Caso N.1

Rinviato il caso al centro di mediazione, espletata la fase informativa e raccolta l'adesione delle parti al colloquio esplorativo individuale, in quest'ultima sede, la vittima faceva emergere la tipologia di reato che lo vedeva coinvolto, si trattava di un caso di diffamazione.

La Vittima (chiameremo così la parte querelante), membro di un'amministrazione pubblica, era stato pubblicamente accusato dal Reo (parte querelata), di mala gestio di soldi dei contribuenti; giunta voce alla V. di tale accusa, questi reagiva querelando per diffamazione R. La vittima si diceva spinto a tale gesto dalla P.A. d'appartenenza, in vero, emergeva dall'incontro preliminare un forte risentimento personale dovuto alla gravità delle accuse mossegli. Risultava altresì, l'aspettativa minima della vittima rispetto al reo, vale a dire delle scuse formali per lo spiacevole accaduto, in più la V. si dichiarava ancora non pienamente convinto di voler accedere alla mediazione, in quanto parlare dinnanzi a terzi, con l'offensore, lo poneva a disagio. Da parte sua, il Reo, sosteneva la bontà delle sue accuse e si diceva riluttante a chiedere scusa.

Le parti, stante le preliminare diffidenza reciproca, decidono tuttavia di partecipare all'incontro

congiunto di mediazione. In questo contesto, vittima e reo in presenza delle mediatrici, si chiariscono spontaneamente, senza alcun intervento direttivo delle operatrici, che si limitano ad assistere la comunicazione tra le parti. Il reo, infatti, a contatto con l'"oggetto" delle sue accuse, "toccando con mano la sofferenza" a questi arrecata dalle sue parole, definisce queste ultime come affermazioni superficiali e quindi gratuitamente offensive. Le scelte della vittima a proposito della gestione dei soldi dei contribuenti, erano infatti dettate da complesse motivazioni tecniche, delle quali il reo era

malauguratamente ignaro, nessuno sperpero dunque, solo una necessaria, forse poco popolare, amministrazione delle risorse disponibili.

Il naturale esito procedurale della vicenda è stato la remissione della querela, in forza delle scuse del Reo e pertanto, dell'avvenuta pacificazione delle parti.

Il caso esaminato è interessante per diversi aspetti. Prima di tutto la resistenza preliminare alla mediazione, che testimonia quanto il conflitto fosse sentito, soprattutto dalla vittima, conflitto che in sede processuale sarebbe andato incontro ad una gestione poco sensibile a tale "carica affettiva"

meglio compresa e valorizzata dalla mediazione. Da considerare poi come il semplice

"posizionamento" face-to-face delle parti, abbia determinato un naturale flusso comunicativo che ha risolto il conflitto, quasi senza intervento delle mediatrici, attive soprattutto nella prima fase della mediazione. Il contatto apre alla dissoluzione di pregiudizi, come quelli che il reo nutriva verso la vittima, e dunque alla possibile pacificazione.

Caso N.2

Il motivo d'interesse che ci spinge a riportare questo secondo caso, è il fatto di risultare espressivo della cosiddetta microconflittualità "da vicinato", la cui gestione è tipicamente demandata al Giudice di Pace.

La querela era conseguente a delle ingiurie. Il Reo, infatti, aveva pesantemente offeso l'altra parte, con la quale era entrato in conflitto per una poco chiara situazione di parcheggi condominiali.

In sede di colloquio preliminare, il Reo, consapevole del proprio gesto, si dichiarava subito disponibile ad un accordo amichevole, simbolico (come stringere la mano) e materiale (un indennizzo economico).

La Vittima, da parte sua era ben disposta a quel tipo di riparazione, a patto che si trovasse un accordo anche per la questione parcheggio.

Durante l'incontro congiunto, cui le parti pervenivano, V. e R. parlano diffusamente delle modalità d'indennizzo e della questione parcheggio, trovando rapidamente l'accordo. Emergeva addirittura una netta convergenza di vedute in relazione al fatto scatenante il conflitto (il parcheggio), entrambi volevano la stessa cosa ma non si erano parlati e quindi compresi.

La mediazione, conclusasi con la remissione della querela, ha offerto alle parti lo spazio per

comunicare, spazio che per questioni contingenti non avevano precedentemente trovato. È un dato ricorrente, tra l'altro già evidenziato nella parte teorica del nostro studio, come l'assenza di

comunicazione assurga a chiaro fattore incidente sul verificarsi del conflitto, deficit di comunicazione acuito poi dal verificarsi del crimine, dove all'originaria incomunicabilità si sovrappone una vera frattura relazionale, che la mediazione tenta di ricomporre.

Casi N.3 e 4

Gli ultimi due casi che intendo riferire, attengono ad un'altra forma di conflittualità, quella intrafamiliare, forse la più complessa da gestire perché più forti i legami affettivi che coinvolgono le parti. Un conflitto relativo coniugi, infatti, non può non implicare aspettative e sofferenze, specificissime e profonde, che in sede di mediazione bisognerà "anatomizzare", operazione evidentemente non semplice.

La prima vicenda concerne una querela per lesioni, percosse, ingiurie, dove querelante era la moglie e querelato il marito, coinvolti tra l'altro, in una separazione giudiziale.

Durante l'incontro preliminare, il marito sosteneva che i rifiuti della moglie alle richieste d'incontro di questi con la loro figlia, avevano creato una situazione particolarmente ostile, alla base del conflitto attuale, nonché dell'imminente separazione. In più contestava il rapporto simbiotico tra la moglie e la madre (della moglie), che minava il rapporto coniugale.

Dal colloquio con la moglie querelante, emergeva invece, il timore di questa a lasciare che il marito, descritto come poco affidabile, addirittura violento, vedesse la bambina e in più il desiderio di portare avanti la querela. In questo caso la mediazione non è avvenuta, poiché la parte querelante ha rifiutato l'incontro di mediazione face-to-face. A riprova della difficoltà di gestire tale tipologia di conflitto, riporto un ulteriore interessante esempio. Premesso che anche in questo caso c'era una separazione

giudiziale in atto, il marito querelava la moglie per ingiurie, quest'ultima rispondeva querelando il primo per mancata corresponsione dell'assegno di mantenimento, controreplica del marito con denuncia perché la moglie gli impediva di vedere i figli.

Nell'incontro preliminare il marito individuava nella voglia della moglie di "avere sempre ragione" uno dei fattori a base della crisi matrimoniale. Affermava di voler vedere i figli come da accordi presi col giudice, dichiarandosi infine, poco persuaso dell'utilità della mediazione. La querelata, nel colloquio individuale, dopo essersi detta fiduciosa nella mediazione, considerava la nascita dei tre figli in solo diciotto mesi e quindi l'aver trascurato il marito, la causa del deterioramento del rapporto coniugale, infrantosi alla fine in un presunto tradimento del marito. Propriamente il caso di ingiurie si era verificato al termine di un esame medico sui figli, cui erano presenti entrambi i coniugi, occasione in cui la moglie aveva offeso dinnanzi ad altri il marito.

In sede di mediazione i coniugi non trovano l'accordo, emergendo soprattutto la scarsa motivazione del marito (dettosi spinto alla mediazione soprattutto dall'avvocato). È questo l'unico caso di mediazione arrivata all'incontro face-to-face (dei 27 totali nel periodo Dic. 04 - Ott. 05), con esito, tra l'altro comprensibilmente, negativo.

Diversi i dati che si possono considerare. Risalta prima di tutto, come la mediazione permetta costantemente l'emersione della dimensione profonda del conflitto, come dietro ad un evento

apparentemente risibile (si pensi alle ingiurie) si celi invece una situazione di disagio, di sofferenza, in generale un conflitto interpersonale spesso drammatico, riportato alla luce dall'attività di mediazione.

Il reato in sé, si configura come la punta di un iceberg, il mero sintomo di una contrapposizione

radicata, invisibile se non attraverso l'esplorazione creativa degli aspetti reconditi del conflitto: partendo dal reato, come frattura relazionale contingente, promuovendo la comunicazione tra parti, solo in questo modo, si può giungere alla comprensione profonda del conflitto, e di conseguenza alla sua gestione costruttiva.

La mediazione in sintesi, opera sulle cause della disputa, risale ai suoi elementi primi, mina alle fondamenta i fattori di rischio di future e spesso più intense esplosioni d'intolleranza, realizzando in questo modo, un'efficace azione preventiva circa la possibile degenerazione del conflitto.

Provando ora, a ricomporre organicamente i dati reperiti circa quest'esperienza di mediazione penale, è possibile dire come la mediazione penale presso il Giudice di Pace di Firenze, si caratterizzi prima di tutto, per il ruolo "non-direttivo" svolto dalle mediatrici. Come ci è stato espressamente detto, la mediazione è pensata prima di tutto, come spazio della comunicazione, come istituzionalizzazione del dialogo, che apre alla comprensione reciproca. Chiara è la consapevolezza che il sovrapporsi di svariati diaframmi comunicativi durante il processo giurisdizionale, alimenti la frattura relazionale che già tiene lontane le parti, acutizzando il conflitto. Lasciando invece, che reo e vittima si parlino direttamente, facendo affidamento sulla autonomia e maturità delle stesse, temperando possibili tensioni e

agevolando il dialogo, mansioni tipiche del mediatore, normalmente si perviene alla composizione della disputa. Questa fiducia nella comunicazione creativa, riecheggia delle elaborazioni dell'ultimo

Wittgenstein (13) e di Austin (14), per i quali "la comunicazione non è semplicemente strumento per rispecchiare la realtà esterna, bensì per crearla" (15), comunicazione come mezzo di mantenimento dell'ordine sociale, delle relazioni intersoggettive, della stessa identità personale.

La relazione di accompagnamento alla Raccomandazione Nº (99)19 poi, individua nell'espressione

"ethic of care", la necessaria guida dell'attività di mediazione: non prendere in carico le parti (la mediazione non è terapia) e curare il conflitto (che non è un episodio patologico), bensì prendersi cura della relazione interoggettiva deteriorata, questo l'obiettivo della mediazione. A Firenze ci sembra sia stata recepita in pieno questa prescrizione di metodo, risaltando la disponibilità, preparazione e l'umanità delle operatrici. Non è un caso quindi, che tutte le parti coinvolte nell'attività dell'ufficio, anche nei casi in cui non si sia pervenuti all'incontro finale, abbiano chiaramente espresso la propria

soddisfazione per lo spirito della mediazione, ne abbiano riconosciuto l'utilità e necessità.

Un ultimo dato. Le mediatrici ci hanno parlato di un "futuribile" progetto di accordo con le Procure della Repubblica e la Polizia Giudiziaria, circa la possibilità di inviare in mediazione casi che ancora non sono sfociati nella querela, ma che presumibilmente avranno quell'esito. Personalmente ritengo questo tipo di iniziativa veramente apprezzabile, venendo, infatti, aumentato lo spazio di operatività della mediazione penale, che svolgerebbe a questo punto una concreta azione preventiva.

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