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La mediazione penale presso il Giudice di Pace di Milano

una sintesi introduttiva

3. La mediazione penale: un profilo sociologico- sociologico-giuridico

3.3 La mediazione penale presso il Giudice di Pace di Milano

L'ultimo Centro di mediazione penale con gli operatori (19) del quale ho avuto modo di parlare, è stato quello attivo nella città di Milano.

Il Centro di mediazione penale di Milano viene formalmente attivato nel Febbraio 2003, in conformità ad un accordo di collaborazione siglato tra l'Ufficio del Giudice di Pace di Milano e l'Assessorato alla Sicurezza Urbana. Promotore della costituzione del centro, è un'associazione, il Centro italiano per la promozione della mediazione sociale e penale. L'attuale gruppo di mediatori penali, con qualche piccola modifica nella loro composizione, già a partire dal 1990 lavora nell'ambito della mediazione sociale, attività egualmente promossa da associazioni, questa volta operative prevalentemente nella periferia milanese e dal Comune di Milano, nell'ambito di un progetto sulla prevenzione del disagio degli adolescenti a rischio.

Il centro di mediazione penale, ubicato in Via Paulucci Di Calboli Fulcieri, 1, è aperto al pubblico i giorni di Lunedì, Mercoledì, Venerdì, dalle ore 16.00 alle ore 19.00, Martedì, Giovedì, Sabato dalle 9.30 alle 12.30. Nel centro prestano servizio nove mediatori, provenienti da ambiti culturali omogenei

(criminologico, penitenziario, penalistico), con formazione alla mediazione di tipo umanistico, integrata da elementi del modello conciliativo-negoziale. Ricordo in più, che alcuni degli operatori milanesi sono stati formati direttamente al Centro di mediazione e formazione alla mediazione di Jaqueline Morineau, a Parigi. Il Centro di mediazione penale di Milano collabora con il Servizio d'assistenza alle vittime, ospitato nello stesso edificio, che offre alle vittime di reato un supporto di tipo psicologico e legale.

Per quanto concerne le prassi operative del Centro, parto dall'esaminare le fasi formali di gestione del caso da mediare. Primo momento è, l'invio del caso da parte de Giudice di Pace, al Centro, in

conformità all'art. 29 co. 4 ex D.lgs 274/2000. Dal fascicolo non risultano che informazioni minime circa lo specifico caso, vale a dire, i nominativi delle parti e dei difensori con rispettivi recapiti telefonici, mancando dunque, qualsiasi indicazione concernente il merito della vicenda. Particolarmente interessante notare il fatto che il Centro abbia, ormai da tempo, definito con le Forze di Polizia, una collaborazione circa la trasmissione dei casi. Prima ancora della querela, infatti, la polizia, percependo la possibilità di una mediazione in relazione ad uno specifico conflitto cui è chiamata ad intervenire, magari svolgendo attività di conciliazione ex art. 1 del T.U. sulla Pubblica Sicurezza, segnala quel conflitto al Centro, che in questo modo viene attivato. Aggiungo che a volte sono i Comuni

dell'interland milanese, ad inviare al Centro casi da mediare, emergendo tutta la potenzialità preventiva e la dimensione di "prossimità" della mediazione penale.

Alla sospensione del procedimento e all'invio del caso al Centro, da parte del Giudice di Pace, segue la fase dei contatti telefonici tra mediatori, parti e avvocati delle stesse. Da rilevare che questi ultimi vengono informati della sospensione del procedimento e del suo deferimento al Centro di mediazione, esclusivamente per via telefonica e non per lettera scritta come accadeva per le altre due esperienze.

In più, e anche questo è un dato singolare, spesso capita che siano le stesse parti a contattare il Centro, perché informate della nuova situazione, dal Giudice di Pace. In questo modo si passa ai colloqui preliminari individuali, cui partecipano oltre alla singola parte, due mediatori, dei quali almeno uno assisterà all'incontro anche con l'altra parte, mentre non è prevista la presenza dei difensori. Negli incontri preliminari si cerca di ricostruire storicamente la vicenda di conflitto, in seguito viene sondata la disponibilità di vittima e reo a pervenire all'incontro di mediazione face-to-face. Da sottolineare che, al contrario della prassi sviluppata negli altri centri esaminati, la partecipazione delle parti non è

formalizzata con la sottoscrizione di alcun modulo di presenza.

Per quanto concerne l'ultima fase sostanziale dell'attività del Centro, ricordo che è previsto anche più di un incontro di mediazione, a seconda delle esigenze specifiche delle parti.

A termine dell'incontro face-to-face, nel quale a volte sono trattati anche gli aspetti materiali e negoziali del conflitto, è redatto il verbale di mediazione, nel quale è riportato al Giudice di Pace, l'esito

dell'incontro finale, in maniera alquanto sintetica. Ci è stato riferito tuttavia, di come i Giudici tendano normalmente a chiedere notizie più dettagliate riguardo all'esito della mediazione, invito altrettanto regolarmente declinato dagli operatori, in conformità alle previsioni del legislatore Europeo in materia. I parametri di valutazione dell'esito dell'incontro finale, sono quelli tipicamente contemplati dal modello umanistico di mediazione: facilitazione e cambio di prospettiva nella comunicazione tra soggetti in conflitto, riconoscimento della sofferenza reciproca, riparazione simbolica. Come per l'esperienza fiorentina e al contrario di Trento, gli operatori milanesi considerano una mediazione riuscita solo nel caso in cui si giunga alla remissione della querela, vista come suggello della ricorrenza dei parametri

"umanistici". Tale considerazione, deriva in parte dalla specifica prospettiva di lavoro dell'equipe di mediazione, in parte dalla convenzione siglata tra il Centro e il Giudice di Pace, che prevede esplicitamente la remissione di querela come indice formale di avvenuta conciliazione, pena il proseguimento dell'iter giurisdizionale.

Dopo la chiusura del fascicolo non è prevista attività di fallow-up, ovvero di monitoraggio successivo degli esiti della mediazione, mentre solo informalmente viene sondato il livello di soddisfazione delle parti e degli operatori, normalmente molto alto, circa quello specifico caso gestito.

Vengo ora, al delicato tema dell'interazione tra Centro e tradizionali agenti del diritto. Gli operatori del Centro hanno indicato il rapporto con l'Ordine degli avvocati come relativamente problematico. Seppur senza verificarsi conflitti aperti e plateali, emerge costantemente la forte diffidenza dei difensori ad accettare l'esistenza della mediazione, diffidenza che spesso si trasforma in pressioni indirette sui Giudici di Pace a non operare il rinvio del caso al Centro. Probabilmente tale difficoltà, è, almeno in parte, imputabile all'assenza di una preliminare attività di sensibilizzazione verso gli avvocati, circa il rapporto mediazione-processo, nonché al senso generale dell'attività di mediazione. A ciò si aggiunge il fatto che per i difensori delle parti, non ci sia spazio, neanche sotto il profilo negoziale, nella gestione del conflitto.

Altro livello dell'attività mediatoria da considerare, è quello degli orizzonti di senso, di come cioè, nel determinato contesto lavorativo in analisi, la mediazione venga a ricoprirsi di significati ulteriori e specifici. Mi sembra che la mediazione nell'esperienza milanese, proprio come a Firenze e Trento, non sia avvertita come attività di terapia, di presa in carico dei soggetti in conflitto, stanti i possibili,

incidentali effetti terapeutici della pratica stessa. L'idea di fondo è che la mediazione sia invece, uno spazio e un tempo di "anatomizzazione" dei nodi problematici di una relazione intersoggettiva che, per eventi contingenti, è andata deteriorandosi, fino alla cessione della sua gestione agli "specialisti senza cuore" del processo giurisdizionale. L'attività del mediatore è poi concepita come tipicamente non-direttiva, il mediatore non dà consigli, non giudica, non interpreta ma si limita a svolgere un lavoro disoftware della comunicazione, agevolando il confronto, sintetizzando i punti di vista, assistendo le parti nell'elaborazione costruttiva del conflitto, nell'esplorazione creativa dei suoi lati reconditi e profondi.

Connessa strettamente a questa prospettiva è la convinzione, rilevata presso gli operatori milanesi, che le categorie di vittima e reo altro non siano che cristallizzazioni giuridiche di posizioni in un rapporto intersoggettivo, ben più complesso di quello che superficialmente appare. Non esiste, infatti, questa rigida contrapposizione tra vittima e reo, spesso la differenza la fa la celerità nel querelare, profilandosi, una certa "mobilità" tra le posizioni delle parti (il reo potrebbe essere vittima e viceversa). Le etichette giuridiche, che accompagnano, e spesso stigmatizzano i soggetti in conflitto durante l'iter processuale, rappresentano una vera semplificazione cognitiva (oltre che terminologia distorsiva) di una relazione, come dicevamo, quasi mai lineare, quella di vicinato, familiare ecc., il cui deterioramento precede e in qualche modo soggiace al reato. La mediazione, al contrario del percorso giurisdizionale, mira

all'approfondimento di quel rapporto, alla comprensione delle molteplici implicazioni emotive e

simboliche del conflitto, superando l'angusto orizzonte dei ruoli fissi della "commedia processuale", mai corrispondenti alla irripetibile e specifica realtà della disputa. Secondo questa prospettiva si cerca la elaborazione del conflitto, prescindendo dunque, dalle categorie preconfezionate.

Prima di passare alle considerazioni conclusive circa la mediazione penale nel contesto milanese, intendo svolgere qualche osservazione in relazione al tema della specifica conflittualità sulla quale opera il Centro. Dirò allora, che il primato circa i reati maggiormente mediati, tra i circa quaranta complessivi di cui l'80% positivamente conclusi, è conteso tra l'ingiuria, le percosse e le lesioni lievissime, legate a conflittualità di vicinato, familiare e automobilistica.

In verità si rivela necessario un ulteriore approfondimento sugli ambiti di conflittualità cui afferiscono quegli specifici reati. Due in particolare i dati che voglio porre in risalto. Prima di tutto c'è stato riferito del carattere interetnico di diverse dispute composte. Una città come Milano presenta, infatti, tipologie di conflitto che vedono coinvolti soggetti italiani e stranieri, ma anche esclusivamente stranieri, contrasti caratterizzati da innumerevoli difficoltà nella loro gestione, data la "differenza" culturale della quale sono portatrici le parti. Altro rilievo interessante è quello che concerne la microconflittualità da vicinato. Gli operatori ci hanno informato del fatto che molti dei vicini di casa in conflitto, dimorano nelle abitazioni dell'ALER, la società che a Milano gestisce le case popolari. Le mura estremamente sottili di questi edifici, e dunque il fatto che i rumori s'intendano da un appartamento all'altro agevolmente, sembrano spesso essere, se non alla base del conflitto, quantomeno il contesto ecologico che lo amplifica.

Dall'esame delle prassi operative del Centro di mediazione penale di Milano, ho tratto numerose e rilevanti indicazioni, circa un'ulteriore prospettiva di mediazione. Come per le esperienza di Trento, il modello culturale di riferimento è quello umanistico di Jaqueline Morineau. Appare chiaro tuttavia quanto il rapporto con tale schema sia di continuo dialogo, un "sestante" che orienta l'attività del Centro, soprattutto a livello dei contenuti della mediazione, meno nella struttura della stessa (più di un incontro di mediazione, possibilità di discutere su aspetti negoziali, necessità di remissione della querela ecc). L'elasticità nell'utilizzo del modello, costantemente declinato alle esigenze dei soggetti confliggenti, ritengo possa essere conseguenza diretta della grande esperienza accumulata negli anni dagli operatori milanesi. Questo gruppo, opera nell'ambito della mediazione dei conflitti, prima sociale poi penale, da più di dieci anni, caratterizzandosi come l'équipe maggiormente consolidata, tra quelle esaminate, sotto il profilo dell'esperienza, della conoscenza reciproca, delle tecniche di lavoro.

Ultimo dato da evidenziare, è la singolare sinergia creatasi tra il Centro e le forze di Polizia, circa la segnalazione di conflitti sociali da mediare.

Come già detto, la Polizia, in taluni casi, contatta e richiede direttamente l'intervento del Centro a proposito di dispute di carattere non particolarmente "intenso" e soprattutto non integranti (almeno per il momento) gli estremi di una fattispecie penale, in assenza, altresì, di querela. Il senso e il valore di questa collaborazione sono abbastanza chiari, venendo data piena applicazione alla virtualità preventiva e alla dimensione di "prossimità" della mediazione. È possibile appunto, in base a quella collaborazione, procedere al tentativo di dispersione dei fattori critici di degenerazione del conflitto, direzione nella quale opera anche la mediazione successiva a querela, rendendo tuttavia tale intervento ancora più efficace. Viene, infatti, anticipata "sul campo", la radicalizzazione del conflitto nella quale normalmente consiste l'accesso alla giustizia processuale (e dunque la giuridicizzazione della disputa) con il suo corollario di azzeramento della comunicazione interpersonale.

Concludo, dicendo che nell'ipotesi di casi inoltrati dalle forze di Polizia, l'esito della mediazione è valutato esclusivamente in base ai parametri umanistici, per il semplice fatto che manca la querela, la cui remissione è condizione principale per potersi parlare di mediazione riuscita.

Note

1. G. Bateson, Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976.

2. J. G. Belley, L'Etat et la regulation juridique des sociétés globales. Pour une problematique du pluralisme juridique, in "Sociologie et Sociétés", XVIII, 1, p. 17 ss., 1986.

3. P. Bonafè-Shmitt, Le boutique de droit: L'autre mediation, in "Archives de Politique Criminelle", 14, p.

30 ss., 1992.

4. B. Faedda, Incontri culturali tra mediazione e conflitto, in "Diritto & Diritti", 2001.

5. S. Castelli, La mediazione. Teorie e tecniche, cit; cfr. D. H. Ford, R.M. Lerner, Teoria dei sistemi evolutivi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995.

6. Tutti gli atti nazionali e sopranazionali di seguito analizzati sono consultabili, rispettivamente, sui siti del Ministero della Giustizia, di Restorative Justice e delle Nazioni Unite.

7. Cfr. Relazione di accompagnamento al D.lgs 274/2000, par. 10.1.

8. C. Sotis, La mediazione nel sistema penale del giudice di pace, in G. Mannozzi (a cura di), Mediazione e Diritto penale, Giuffrè, Milano, 2004.

9. G. Mannozzi, Mediazione e diritto penale, cit.

10. Per un'analisi approfondita sulle modalità operative di ricerca sociologica "sul campo", in stile etnografico, rimando, a titolo puramente informativo, ad A. Dal Lago, R. De Biasi (a cura di), Un certo sguardo, introduzione all'etnografia sociale, Laterza, Roma-Bari 2002; J. Clifford, G. E.

Marcus, Scrivere le culture. Poetiche e politiche in etnografia, Maltemi, Roma, 2005; G.

Gobo, Descrivere il mondo. Teoria e pratica del metodo etnografico in sociologia, Carocci, Roma, 2001.

11. Ringrazio, per essersi prestate con pazienza a rispondere alle mie domande, l'avv. Valentina Adduci, coordinatrice, e la dott.sa Paola Sanchez-Moreno, mediatrice.

12. L. Lombardi Vallauri, Introduzione generale al Convegno su Le professioni giuridiche come

vacazioni, in Le professioni giuridiche come vocazioni, Atti del convegno di Firenze, inIustitia, 1990, 10 ss.

13. L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Torino, Tr. it. Einaudi, 1967.

14. J. L. Austin, How to do Things With Words, London, Oxford University Press, 1955.

15. S. Castelli, La mediazione. Teorie e tecniche, cit.

16. Ringrazio per le esaustive informazioni datemi, la dott.sa Cristina Corsi, coordinatrice dei mediatori trentini, e il dott. Mauro Cereghini, mediatore.

17. Vedere J., Morineau, Lo spirito della mediazione, FrancoAngeli, Milano, 2000.

18. S. Castelli, La mediazione. Teorie e tecniche, cit.

19.

Il paragrafo che qui propongo consiste della rielaborazione di un'intervista svolta con la dott.sa Francesca Garbarino, mediatrice milanese, cui va il mio personale ringraziamento per avermi ricevuto e aver risposto alle mie domande.

Capitolo 5

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