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Gli aspetti fonetici peculiari del consonantismo

Nel documento Gaia Russo (pagine 107-111)

2.1 La lingua del Manoscritto

2.1.3 Gli aspetti fonetici peculiari del consonantismo

Passiamo, quindi, a vedere più da vicino gli aspetti fonetici, morfologici e sintattici. L’analisi dei fenomeni prettamente linguistici, diversamente da quelli grafici appena esaminati, può per la loro stessa natura, apportare degli indizi di maggiore rilevanza. Partendo dalla prima manifestazione linguistica sopraelencata, cercheremo di proporre degli esempi a livello della struttura consonantica.

2.1.3.1 La degeminazione consonantica

Dall’analisi del testo, l’aspetto più evidente di difformità consonantica rispetto al fiorentino letterario che ne emerge è una diffusa tendenza allo scempiamento, che diventa, a ragione della sua vastità, quasi una norma interna. Riteniamo che questo fenomeno grafico rispecchi l’intensità con la quale il suono viene pronunciato nella lingua orale e coinvolge soprattutto le consonanti in posizione intervocalica come si può osservare nel caso della degeminazione della laterale /l/ in alegra. Tuttavia, vale lo stesso per i suoni di alcune occlusive sonore, quali, /k/, per esempio in richi, della consonante /b/, come in debia che sta per ‘debba’, o anche restarebe, obidiente; e della /d/ basti qui l’esempio di d’acordo. Inoltre, il fenomeno coinvolge anche le occlusive sorde, dentali, /t/, come si legge in atendi e labiali, /p/, anche in posizione anteriore alla liquida, come nell’esempio di suplico per ‘supplico’. Lo stesso accade in posizione intervocalica per le consonanti nasali /n/ come in vane per ‘vanne’ per esempio, e /m/, in molte manifestazioni tra le quali: geme, femina, giamai, sumamente, che come abbiamo già osservato sono due grafemi intercambiabili e confusi in molte occasioni. Inoltre, sono coinvolte nello stesso principio fonetico anche le affricate, come l’alveolare sorda /tʃ/, per esempio in aceso, o anche in spiacia, che sta per ‘spiaccia’ (questa lezione è probabilmente analogica alla forma e al suono dell’indicativo presente

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di terza persona singolare: ‘spiace’). Un’altra affricata su cui agisce il fenomeno di scempiamento è la post-alveolare sonora /ʤ/, come si legge, a titolo di esempio nella lezione fuge, che sta per ‘fugge’119, o in quella, ancora più insolita, di lampegiare. Neanche la consonante rotativa /r/ viene risparmiata dal processo di degeminazione, come per la lezione incore per ‘incorre’, così come avviene per la consonante fricativa /f/ basti l’esempio di una lezione fra tutte: soferse.

Infine, gli esempi più numerosi arrivano dalla degeminazione dei foni della fricativa alveolare sorda e sonora /s/, /z/ e dell’affricata alveolare sonora /dz/, che avviene sempre in posizione intervocalica e di cui ne diamo qui solo alcuni esempi:

masaia per ‘massaia’, eser per ‘esser’, pasione, conceso, asai, mezo.

D’altra parte, come conseguenza della stessa tendenza allo scempiamento emergono dal testo, come ci si aspetterebbe, anche delle bizzarre forme ipercorrette come per esempio: crudelle per ‘crudele’, appittito per ‘appetito’, abbeti per ‘abeti’. Per fare una prima valutazione topografica, sottolineiamo, come è noto, che nei dialetti dell’Italia a Nord diLa Spezia-Rimini120 le opposizioni fondate sulla quantità consonantica del latino volgare hanno perso valore distintivo e le consonanti lunghe sono spesso ridotte a brevi.

2.1.3.2 Il passaggio dalla <z> alla <s> e viceversa

Lo scempiamento è certamente il fenomeno fonetico più esteso tra le consonati ma non è l’unico ad agire sulle sibilanti. Infatti, assistiamo di frequente nel manoscritto al passaggio grafico dal grafema <z>, normale, alla <s>, o viceversa. In molte occasioni l’autore, infatti, commette questo rovesciamento scrivendo sappe al posto di ‘zappe’,

grasia per ‘grazia’ (o anche ‘gratia’, se si considera il termine latino presente nel

manoscritto), sensa per ‘senza’, drisai per ‘drizzai’. Al contrario, segue la tendenza opposta negli esempi delle seguenti lezioni: tolze per ‘tolse’ balzami per ‘balsami’, e, infine, eccielzo per ‘eccelso’.

Questo aspetto può essere, verosimilmente, il risultato grafico di un fenomeno fonetico che avviene nella lingua locale orale dell’autore, oppure, un semplice segno della difficoltà di rappresentare i diversi suoni fricativi e affricati, sordi e sonori: /s/ /z/ e /ts/ e /tz/. Infatti, per ovvie ragioni, non sappiamo in che modo l’autore legga i due

119 Nel caso della lezione fuge potrebbe aver confermato l’uso della forma scempiata l’etimo latino, dal paradigma: fŭgĭo, fŭgis, fugi, fugitum, fŭgĕre.

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grafemi e non possediamo la prova tangibile di un reale slittamento consonantico al livello articolatorio; tuttavia, si vede chiaramente da queste prove la confusione dello scrivente sul segno grafico da assegnare alle diverse pronunce.

La compresenza di questi due aspetti fonetici osservati (lo scempiamento e la confusione sui suoni consonantici) ci induce a proporre un primo raggruppamento topografico. Più nel dettaglio, entrambi i fenomeni sembrano indicare un luogo, ancora indeterminato, dell’area geografica dialettale Settentrionale, dove com’è noto il fenomeno della degeminazione consonantica è, appunto, consolidato e frequente sia nei testi che nell’oralità e dove, come ci spiega precisamente lo studioso Rohlfs: «ogni z [iniziale], di qualunque provenienza sia, perde la sua occlusione dentale, cosicché z (=ts) passa a s e ź (=dś) passa a ś»121.

Date per verosimili queste assunzioni, la riflessione successiva e consequenziale è che si possa, quasi senza dubbio, scartare l’ipotesi dell’origine fiorentinità dell’autore e, in maniera meno certa, far decadere l’idea che la sua provenienza possa essere di origine meridionale.

2.1.3.3 La rappresentazione del suono affricato: /ʃ/

A questo proposito, sembrerebbe a favore della stessa ipotesi un terzo elemento grafico e fonetico, ossia, la restituzione grafica del suono /ʃ/. Spesso il suono non viene, infatti, reso dalla normale scrittura: s+c, ma viene rappresentato dalla sola s. L’autore, per esempio, scrive: usito per ‘uscito’, resusitare al posto di ‘resuscitare’, rusiello per ‘ruscello’, lassando per ‘lasciando’. Simile risulta anche il caso emblematico di fesse per ‘fece’, dove l’affricata alveolare sorda /tʃ/ viene a coincidere, ancora una volta, con il grafema <s>. Dati questi esempi, potremmo sospettare che nella lingua orale dell’autore, ai suoni toscani dell’affricata alveolare /tʃ/ e della prepalatale sorda, /ʃ/, corrisponda un fono alveolare, non si sa se sordo /s/ o sonoro /z/ e che nella grafia viene tradotto come una <s>. Di conseguenza, potremmo, allora, spiegare come forme di ipercorrezione le lezioni: concideri per ‘consideri’ e smorcia al posto di ‘smorza’, nelle quali avviene la sostituzione fonetica ma in direzione opposta, dal suono alveolare toscano si passa a quello prepalatale.

121 Rohlfs, Op. cit., § 169.

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Infine, sembra appartenere allo stesso quadro fonetico, la lezione ipercorretta

genufleco, che vale per ‘genuflesso’, che si presuppone possa essere stato letto come per

gli altri: [ʤenufle’ʃo].

Questi ultimi esempi sono molto indicativi per delimitare regionalmente il dialetto dello scrivente, infatti, come osserva lo studioso Bruni: alla /ć/ toscana corrisponde normalmente una /z/ settentrionale122 e come afferma a tal proposito anche lo studioso Paolo Trovato: «un altro settore problematico per i settentrionali è quello della rappresentazione dell’affricata»123. Naturalmente, non si scartano del tutto le ipotesi che la variazione consonantica sia il riflesso della confusione tra la lingua orale e quella scritta o della scarsa cultura dell’autore.

2.1.3.4 Gli altri aspetti di difformità consonantica

In conclusione alla parte relativa al consonantismo, annotiamo altre forme distanti dalla norma che non paiono rientrare nelle categorie prese in esame finora, come

cangnar per ‘cambiare’, probabilmente vicina alla forma “cangiare”124 e le forme cerba per ‘cerva’, dove stranamente non ritroviamo la normale spirantizzazione del suono occlusivo /b/. Come è noto, infatti, nel passaggio dal latino all’italiano il suono /b/ intervocalico si è spirantizzato realizzandosi prima come suono fricativo [β], poi come [v]125, come, per esempio, avviene per il passaggio tra habere e ‘avere’. Alla luce di questo, l’autore che si mostra in generale molto propenso verso ogni forma di latinismo, potrebbe aver consapevolmente marcato la lezione in funzione retorica su analogia alle altre forme latine.

Altro fenomeno consonantico, infine, riguarda il verbo ‘vedere’ nella sua forma al presente indicativo. Precisamente, si legge, appunto, nel manoscritto la lezione vego per ‘vedo’, quest’ultima forma non etimologica ma analogica sulle forme come vedi (in tal modo si evita l’alternanza veggio-vedi)126. L’uscita del manoscritto potrebbe, invece, essere giustificata come forma adeguata su ‘leggo’,127 che vince contro la rivale ‘veggio’, la forma, appunto, dell'etimologia (video>veggio). In alternativa, facendo un

122 Bruni, Op. cit., p. 419.

123 Trovato, La prosa dell’“Arcadia” e degli “Asolani”, cit., p. 87.

124 Cangiare verbo dal francese changer, che è il latino tardo cambiare. Questa definizione è stata presa dal Vocabolario Treccani online, consultato il 3 marzo 2018.

125Esempio tratto dal portale dell’Enciclopedia Treccani:

http://www.treccani.it/enciclopedia/spirantizzazione, consultato il 4 marzo 2018.

126 Bruni, Op. cit., p. 433.

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ragionamento un po’ più arduo, la lezione potrebbe essere la forma comune per i dialetti antichi del padovano e del ligure, che hanno, appunto, ‘vego’128.

Nel documento Gaia Russo (pagine 107-111)