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La sintassi del testo

Nel documento Gaia Russo (pagine 122-126)

2.1 La lingua del Manoscritto

2.1.6 Le caratteristiche morfologiche

2.1.6.6 La sintassi del testo

La sintassi del testo risulta spesso molto articolata, in frasi subordinate, ipotattiche e paratattiche. A causa dell’atipica disposizione, spesso, non è stato semplice ricostruire la frase logicamente e comprenderne il suo significato letterale. Per approfondire il discorso passeremo ora in rassegna le forme verbali che sono lontane da quelle normali del fiorentino letterario. Tra queste le forme del verbo essere sono particolarmente interessanti e le vedremo raggruppate per modi.

Per l’indicativo appaiono nel manoscritto forme significative per l’imperfetto, il futuro e il passato remoto, infatti, sono insolite le fisionomie del futuro semplice, quali,

159 Ivi, § 367.

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serà160, il più frequente e serai per la seconda persona singolare: ‘sarai’. Nondimeno,

per la prima persona viene conservata la vocale –e-, al posto della normale vocale mediana –a- in posizione atona, leggiamo infatti, in un’occasione, la lezione sero per ‘sarò’, mentre, meno atipica è l’uscita per la terza persona in fia, per ‘sarà’, poiché come osserva Rohfs161 è consueta nella lingua antica come per Dante, Boccaccio e per lo stesso Macchiavelli.

Interessante anche l’uscita sistematica del passato remoto in fo per la terza persona singolare come si legge nei seguenti esempi: quel che a Roma fo crudel nimico; quando

ocupata fo mia debel mente; el quale aceso fo d'un crudo sguardo. E seguendo, ancora

una volta, le osservazioni dello studioso tedesco162 osserviamo che il passato remoto del verbo essere ha l’uscita fop per il romagnolo, per la terza persona e il veneziano antico ha la forma fono per furono. Di conseguenza, resta incerta l’origine geografica precisa della variazione vocalica.

In parte in linea con le precedenti uscite, è quella per il presente di terza persona

serei per ‘sarebbe’, mentre, più bizzarra, pare la variante del congiuntivo di seconda

persona, che esce in fori, per ‘fossi’ e forse, per questo caso è più economico pensare a un errore di trascrizione.

Passando al verbo ‘fare’, si prende nota delle strane uscite per il passato remoto, riguardanti la seconda e la terza persona singolare, in ordine, festi per ‘facesti’ e fesse, per ‘fece’, che resta, quest’ultima, una lezione presente nel testo. Per quanto riguarda il futuro, la seconda persona singolare presenta una geminazione consonantica, si legge, infatti, farrai, che è, forse, un’ipercorrezione della tendenza allo scempiamento nella lingua madre dell’autore.

Altro discorso va fatto per le desinenze verbali in –e e le uscite dell’imperfetto in – ea, con dileguo della –v-, che hanno un’origine tradizionalmente poetica163, tra le quali si danno gli esempi di ritorne per ‘ritorna’, spere per ‘spero’, done per ‘doni’, volgea per ‘volgeva’ e tenea per ‘teneva’. Inoltre, come si avverte nelle Prose del Bembo (III

160 Per lo studioso Mirko Tavoni questa lezione presenterebbe il segno di marca settentrionale «per la seconda persona nella I coniugazione er atono fiorentino-letterario prevale su ar e parimenti sarà prevale sul settentrionale serà». La poesia lirica in «Storia della lingua italiana. Il Quattrocento», Bologna, 1992, il Mulino, p. 98.

161 Rohlfs, Op. cit., § 592.

162 Ivi, § 583.

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30), nella prima e nella terza persona singolari dell’imperfetto «s’è usato di lasciare spesse volte adietro la v e dirse volea leggea sentia». Il tipo senza labiodentale rimarrà vitale nell’italiano scritto fino a Manzoni (Serianni 1989:171-175). Sembrano, rientrare, ugualmente, nella normalità, le forme non sincopate: vederai per ‘vedrai’, andaro per ‘andrò’, per la quale, si sarebbe atteso la forma antica più consueta: ‘anderò’, e, infine,

offerivano164, che sta, ovviamente, per ‘offrivano’. Più curiose di queste, sono l’uscita

del futuro di seconda persona singolare: arai, per ‘avrai’ e la lezione receuta per ‘recevuta’, nelle quali, come si legge, è avvenuto un fenomeno di spirantizzazione della consonante fricativa sonora: –v-.

Altre irregolarità sono, invece, frutto di fenomeni fonetici di assimilazione e dissimilazione vocalica, come nei casi di dinigrare per ‘denigrare’, diciva per ‘diceva’, di cui abbiamo già dato gli esempi nella parte relativa al vocalismo.

Interessante osservare la coniugazione del verbo ‘potere’, la quale, presenta delle forme molto caratteristiche, a cominciare dall’infinito poser, dove sembrerebbe esplicita la marca settentrionale nella presenza della sibilante. Per quanto riguarda l’uscita per il passato remoto, la prima persona poti165 apparirebbe calcata analogamente sulle forme dittongate del presente della seconda e la terza persona del singolare puoti e puote dell’antica lingua letteraria toscana, che sappiamo lasciare, assai presto, il posto alle forme puoi e può. In ragione di ciò, questa lezione si unirebbe, come tipologia, alle altre lezioni che dimostrano un’inclinazione dell’autore verso le forme arcaiche, antiquate e latineggianti, frequentissime nel testo e che nel complesso ne delineano un carattere antimoderno. Su questa specifica tematica torneremo anche in seguito, per approfondirla come merita.

Tornando alle uscite non tradizionali, non sembra geograficamente indicativa la forma possuto aver, ‘potuto aver’, essendo negli attuali dialetti toscani assai esteso l’uso di pussuto per ‘potuto’. Ma non si esclude l’ipotesi che, in questo caso, l’uso della sibilante, possa essere stato confermato dalla forma del veneziano, parzialmente simile:

posudo166. Inoltre, si inserisce nella stessa linea guida il congiuntivo possete pigliare per

164 Offerire o offerere, sono delle varianti antiche di offrire, come negli esempi: Per vedere un furare,

altro offerere (Dante); imbolato avrebbe e rubato con quella coscienza che un santo uomo offerrebbe

(Boccaccio); ch’egli è codardo e mente M’offero di provar con questa mano (T. Tasso). Questi esempi letterari sono stati presi dal già citato Vocabolario Treccani online, consultato il 4 Marzo 2018.

165 Rohlfs, Op. cit., § 547.

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‘possiate pigliare’. Insolita anche l’uscita del condizionale in porei, della terza persona singolare, che prendiamo qui come esempio della mancata desinenza in –ebbe, relativa a tutto il testo.

Restando nell’ambito del condizionale come in quello dell’assimilazione tra la prima e la terza persona, è da segnalare la desinenza in –ia, che appare nella lezione

potia, che sta per ‘potrei’ e in paria, che vale ‘parrebbe’, del tipo infinito+ habebam.

Paolo Trovato167 scrive, a tal proposito, che il condizionale in –ia viene ammesso nella grammatica del Fortunio solo per la terza persona, uscente in –ia, al contrario, la prima persona ammette come desinenza solo –ei, come nel caso di amerei, sebbene risultasse molto attestata la forma ameria. Vale la stessa desinenza per il passato remoto di terza persona singolare, come per esempio in sparia, ‘sparì’, che si conforma, questa volta, analogicamente all’uscita siciliana del condizionale –ia. In generale, si può affermare, che quasi tutte le forme del passato remoto del testo manifestino la mancanza di norme grammaticali precise e coerenti, soprattutto, per quello che riguarda i verbi irregolari. Esempi di questa difformità sono le forme anafonetiche, come quelle scempiate di

vini per ‘venni’ e venaen per ‘vennero’, oppure, quelle irregolari, quali, pusi per ‘posi’,

anche nella sua forma composta: inpuse per ‘impose’. Gli esempi appena fatti non ci meravigliano, dato che si giustificano con la nota situazione storica di questo tempo verbale, il quale ha subito, diacronicamente e diatopicamente, disparate evoluzioni. Questo stato è evidente dall’analisi della lezione crisi, ossia ‘credetti’. Leggendo Rolfhs168 sappiamo che i perfetti latini in –si (come risi, rasi, sparsi, misi) s’erano moltiplicati già nel latino volgare, a scapito di altre forme (presi, occisi, solsi). Nell’italiano queste forme aumentarono ancora, dato che x diede s: giunsi piansi, cinsi

trassi, dissi, dussi. Il loro numero aumento ancora per adeguamenti analogici: tolsi valsi

e, appunto, crisi ‘credetti’, che per lo studioso apparterebbe anche all’antico dialetto aquilano. In questa maniera ci si spiega la lezione nel testo e forse allo stesso modo, può essere spiegata l’uscita in visi per ‘vidi’.

Non sono appartenenti alla forma foneticamente canonica, anche, le seguenti forme: ossiva, per ‘usciva’, odita per ‘udita’, uiuta per ‘aiuta’, desse insegnare per ‘dovesse insegnare’, andamo per ‘andiamo’, venemmo acendere. Inoltre, notiamo

167 Paolo Trovato, La grammatica del Fortunio in «Storia della lingua italiana. Il primo Cinqueceto», Bologna, 1992, Il Mulino, p. 94.

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un’indecisione dell’autore sul tema verbale di ‘fuggire’, che porta all’infinito la forma scempiata fugire, normale per il dialetto settentrionale e accanto la lezione fiugeva, per l’indicativo imperfetto, che presenta, inoltre, un insolito dittongo ipercorretto.

Concludendo la lista dei verbi più rilevanti nel manoscritto annotiamo l’uso della forma

cognosca contro il toscano ‘conosca’, che è garantito dal modello prestigioso del latino

e insieme coincide con il dialetto locale169.

Nel documento Gaia Russo (pagine 122-126)