3.1 Breve storia della Pastorale
3.1.3 La prima generazione di Bucolici: il Quattrocento e i tre poli culturali
3.1.3.1 Il polo Toscano-Senese
Le prime esperienze avvengono, quindi, nell’ambiente toscano negli anni ‘60 del Quattrocento dove prospera una produzione bucolica sperimentale ancora non irrigidita e regolarizzata nei temi, nei toni, nel metro e nella lingua. Per esempio, infatti, come afferma Marzia Pieri, a Siena in particolare continuerà il culto in forme peculiari specialmente rappresentative perché più vicino «al gusto del suo pubblico borghese».200 La prima data certa è quella del 1468, una delle date che servono legittimamente da post quem per il nostro manoscritto, ossia, quando il senese Jacopo Fiorino Boninsegni dedica al duca di Calabria le sue prime 4 Egloghe; oltre a lui opera un altro rimatore municipale Arzocchi, di cui la più antica sua imitazione della I egloga è del mantovano Giovan Francesco Suardi morto nel 1468(-1469) e che probabilmente ne venne a conoscenza a Siena, quando fu accolto nel circolo letterario di Firenze.
Ma il personaggio chiave per il nostro studio è Filippo Gallo, poeta senese, necessario per comprendere la diffusione geografica del genere. Egli era un Frate
200 Pieri, La pastorale, p. 275.
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dell’ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, autore oltre che di un canzoniere amoroso di due egloghe in sdruccioli la Saphyra e la Lylia, firmate con lo pseudonimo pastorale di Fileno Gallo e precedute da un prologo in prosa. Interessante, a questo proposito, è l’osservazione di similarità linguistiche tra Filenio e il nostro autore201, come la conservazione di e col prefisso re, (remediii)202; o la concorrenza della tradizione poetico-latineggiante e regionale che privilegia la u protonica e intertonica. E ritroviamo, ancora, nei due autori una coincidenza di tendenze fonetiche senesi e di resa latineggiante (suspir, facultà) con apocopi irregolari (paur staser), oltre ad affinità morfologiche come la prevalenza nei possessivi della forma a struttura isomorfa proprie di tutta la toscana provinciale. Filenio, infatti usa, mie per i nomi maschili e femminili singolari e i pronomi tuo e suo anche per il femminile singolare e plurale e, infine, come ultimo tratto di prossimità, gli infiniti in –ar- (offendare). Ancora più importante è notare, al contrario, una discontinuità tra questi dal punto di vista metrico, infatti, vi è la presenza del verso sdrucciolo in rima ternaria impiegato da Filenio, e di un verso endecasillabo piano usato dal nostro autore.
A proposito della rima e del metro adeguato al genere bucolico si esprimeva anche il Trissino, quando nella sesta divisione della Poetica (edite nel 1562) afferma che la prima «è figura che ha molto di vago e che pensamento dimostra, onde al parlare rustico e pastorale non ben si convene»203 e quando si esprime negativamente sugli sdruccioli del Sannazzaro nell’Arcadia, preferendo gli endecasillabi piani. Ebbene, potremmo dire che l’autore degli Abbozzi sembri non ascoltare i suggerimenti del trattatista riguardo il primo punto e, invece, li segua nella predilezione per gli endecasillabi piani.
Ritornando al contributo di quest’ultimo poeta alla diffusione del genere, sappiamo che è merito delle sue «peregrinazioni conventuali» 204 e dei suoi privati contatti con una serie di poeti volgari attivi nel circuito diplomatico e mondano delle corti tardo quattrocentesche se i testi e con questi il genere, raggiungono gli ambienti letterari settentrionali, Venezia e Padova, e meridionali. Venezia, Padova e Napoli, saranno, inoltre, teatro della fortuna editoriale cinquecentesca dei suoi testi e nel 1472
201 Le caratteristiche linguistiche di Filenio Gallo sono state osservate nella descrizione che ne fa Mirko Tavoni alle pag. 123-134 dell’opera citata.
202 I termini tra parentesi sono quelli usati da Filenio Gallo.
203 Gian Giorgio Trissino, La Poetica (V-VI), in «Trattati di poetica e retorica del Cinquecento», II, a cura di Weinberg, Bari, Laterza, 1970, p. 88.
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sappiamo, anche, che il frate risiede tra Urbino e Ferrara, dove probabilmente conosce e frequenta Pietro Jacopo De Jennari indicato come l’intermediario della bucolica al Sannazzaro che «con l’Arcadia farà della pastorale italiana un classico europeo»205. Dieci anni dopo, ossia nel 1482, verrà pubblicata presso l’editore Antonio Miscomini un’importantissima raccolta di poesie intitolate Bucoliche Elegantisime206, del già citato Jacopo Fiorino de Boninsegni, Francesco Arzocchi senese e dei due fiorentini: Bernardo Pulci, che vi volgarizza in terzine Bucolicon Liber di Virgilio e Girolamo Beninvieni. Inoltre è interessante sottolineare che sul solco della bucolica latina, il Boiardo dopo i Pastoralia per Ercole I nel 1463, compone una Pastorale in 10 egloghe, proprio in terzine: metro nel quale comporranno, oltre che il nostro autore, anche il Correggio, il Tebaldeo e Lorenzo de’ Medici, che affronta il tema boschereccio nel Corinto del 1464, in Apollo e Pan del 1482, due vere e proprie egloghe volgari in terzine incatenate e nell’Ambrae e negli incompiuti Amaridi Venere e Marte, due poemetti mitologici. Inoltre, lo stesso si cimenta in versioni meno classiche e quindi molto diverse dalle intenzioni dell’opera del nostro poeta, ossia, nella Nencia da
Barberino del 1470, una parodia dell’amena vita bucolica dove ai pastori si
sostituiscono i villani e all’Arcadia leggiadra il contado mugellano e il Simposio ovvero
i beoni, sempre in terzine dantesche e diviso in capitoli, d’argomento bucolico. Come si
vede da questi esempi, queste prove di bravura fra gli anni Settanta e Ottanta del Quattrocento restano confinate solo a un piccolo gruppo di intellettuali di corte.
Simmetricamente allo sviluppo del genere bucolico è estremamente importante notare la presenza coeva della deriva drammatica del genere, vale a dire, la sua rappresentazione dialogica che vediamo coinvolgere anche due componimenti del nostro autore e che viene trattata dalle generazioni di poeti rinascimentali come una vera e propria terza via, o terza scena, del teatro. Come osserva giustamente Marzia Pieri207:
Tutto ciò insomma che non può stare nello scomparto drammaturgico della verosimiglianza comica (realistica e cittadinesca) e del sublime tragico (regale e
205 Tavoni, Op. cit., p.128.
206 Bucoliche elegantissime fa riferimento alla princeps (priva di frontespizio) dell’opera, stampata Firenze per i tipi di Antonio Miscomini. Nella successiva edizione del 1494 si legge: Bucoliche
elegantissimamente composte da Bernardo Pulci Fiorentino et da Francesco Arsochi senese e daGerolamo Benivieni Fiorentino et da Jacopo Boninsegni senese.
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severo) trova accoglienza sulla terza scena, incerta erede dell’antico dramma satiresco greco. La campagna, il giardino o le selve in cui si ambientano queste piccole storie private e amorose costituiscono l’esile elemento unificante di forme drammatiche di lunga durata, che potrebbero cominciare dai contrasti medievali per esempio fra Robin e Marion e continuare con i drammi mescidati e le egloghe rappresentative quattrocentesche, le favole pastorali del Rinascimento, gli autos di Encina, i masques, fino al melodramma e all’opera regia, riempiendo di volta in volta il contenitore naturalistico – campagnolo o esotico – di contenuti e linguaggi disparati. Alle spalle di questa natura culturalizzata, che tende sempre a diventare scena di altro, stanno gli archetipi del paradiso terrestre, dell’orto delle Esperidi, del Parnaso, dell’età dell’oro, dell’Arcadia, con i loro miti di conciliazione fra uomo e natura, di evasione dalla storia, con le loro utopie alte e basse, celebrate dai generi letterari della poesia idillica e bucolica.
Come sappiamo, infatti, intorno alla metà del Cinquecento il sistema dei generi teatrali è ormai chiaramente strutturato secondo una scansione ternaria: la tragedia, caratterizzata nella sua forma regolare da uno stile sublime, dallo status aristocratico dei suoi personaggi e dall’inesorabile precipitare dell’azione verso una catastrofe purificatrice; la commedia, identificabile per il suo stile dimesso, per i suoi personaggi di umile condizione e per il lieto fine che conclude i suoi intrecci; e una terza forma espressiva, appunto, che, per l’ambientazione campestre e per la presenza nelle sue
fabulae di personaggi in veste di pastori, verrà comunemente definita dramma o favola pastorale.
Per legittimare il dramma pastorale dotandolo di una precisa genealogia classica, i teorici del XVI secolo individuano l’archetipo del teatro “bucolico” nel dramma satiresco greco. Il volgarizzamento del Ciclope di Euripide di Alessandro Pazzi de’Medici (1525) è un primo sintomo di quella rinascita di interesse da parte degli umanisti verso il satirikón che culmina nella Lettera ovvero Discorso sovra il comporre
le satire atte alla scena di Giambattista Giraldi Cinzio (1554): nella parodica
conclusione delle trilogie tragiche il Cinzio scopre infatti l’origine dei drammi incentrati sul “maneggio di pastorale amore” (Lettera sovra il comporre le Satire atte alla
scena)208.
208 Notizie prese dal saggio di Raffaele Tedesco, Due scene d’amore del Pastor Fido, tra tradizione e
innovazione, Luigi M. Reale, Rid.IT - Rivista on line di italianistica, in «Italianistica Online», n.2, 24
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Molto stimolante ai fini della nostra ricerca è notare, riprendendo le parole di Raffaele Tedesco, che il vero fondamento dell’intreccio delle favole pastorali del ‘500 è la dinamica della fuga e inseguimento. I protagonisti sono, infatti, l’amante disperato e l’amato che rifiuta il corteggiamento e tale modello diverrà proprio:
[…] il mezzo tramite cui l’egloga pastorale potrà essere drammatizzata, ovvero portata in scena e attorno al quale le favole pastorali, dal Cinzio in poi, costruiranno i loro intrecci rappresentativi. Questo passaggio dalla diegesi alla mimesi sarà possibile grazie all’introduzione della “ninfa amata ragionare” e dunque […] di un’azione cioè in cui insieme all’amante disperato è presente anche l’oggetto del desiderio […]209
Il topos narrativo della relazione infelice tra una ninfa amata e inseguita e il pastore incalzante, fisicamente e verbalmente, lo ritroviamo applicato dal nostro autore a diversi componimenti. È presente in due diverse bucoliche dallo sviluppo diegetico, dove il tema viene mostrato dal pastore sconsolato che vede la ninfa e cerca di prenderla, e nella versione mimetica del cosiddetto dramma pastorale, dove l’attore-pastore racconta a posteriori, nel nostro frammento, di essersi ucciso per una ninfa che non ricambia il suo amore. Inoltre, sebbene tratti di una relazione con una “signora”, Ersilia, l’autore non manca di esporre il tema dell’amore non corrisposto nella prima egloga, o meglio, dello stato infelice del servo Groldo a causa di un amore impossibile con la detta donna. Tuttavia, benché il tema sia più volte presentato e costituisca il motore dinamico dell’episodio narrativo, non possiamo affermare che il presunto “passaggio” sia perfettamente compiuto, o almeno dalle porzioni di testo che ci sono giunte, poiché non viene messa sulla scena la vera e propria azione drammatica ma viene, ancora, soltanto raccontata.
Ma ritorniamo a seguire la cronologia; a tal proposito sembra che sia stato il già menzionato Angelo Poliziano a inaugurare codesto genere nella sua versione quattrocentesca, con la sua Favola d’Orfeo composta a Mantova nel 1480. Il testo drammatico non è diviso in atti e presenta un’estrema irregolarità formale: dall’ottava alla terzina all’ode saffica in latino, mentre nel 1487, Niccolò da Correggio presenta a
209 Ibidem.
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Ferrara la Fabula di Cefalo, anche queste in metro vario, con il quale il modello del dramma mitologico-pastorale, come il nostro, si può dire ormai compiuto. Infine, poco più che 20 anni dopo, Baldassare Castiglione e Cesare Gonzaga compone il Tirsi, 55 ottave pastorali, in metro vario, per il Carnevale urbinate del 1508, che si può vedere come la naturale prosecuzione delle precedenti favole mitologiche e che ha come protagonista: Dameta, un pastore, il cui nome verrà usato, a questo punto significativamente, anche dal nostro autore210.