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Il lessico dialettale e il registro basso

Nel documento Gaia Russo (pagine 137-140)

2.2 Lo stile del Manoscritto

2.2.4 Il lessico dialettale e il registro basso

In ultimo, veniamo alla parte riguardante il lessico dialettale del nostro autore e analizziamo, per quanto possiamo, il registro meno ricercato.

Ci sono, in effetti, molti punti in cui l’autore esce dai panni classicheggianti per rivestirne altri, a volte, quasi comici. Questo registro è, naturalmente, più presente nella prima parte del manoscritto, dove il tema trattato, tipico della commedia, invoglia l’uso

182 In questa lezione è evidente l’intenzione autoriale di conservare integro l’etimo latino: arbor.

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di un livello lessicale più popolareggiante, al contrario degli idilli, dove il tono si mantiene volutamente abbastanza alto.

2.2.4.1 Espressioni popolareggianti e lessico quotidiano

Accanto ai termini aulici, cultismi e latinismi vi sono, quindi, anche parole poco poetiche, o comunque quotidiane come sudore e terzine dal tono comico-burlesco, a volte, anche velatamente erotico. Come nel caso del dramma pastorale I, in cui si fa riferimento alle “voglie” del marito, nel passo seguente: Dice se tu vol eser suo mogle /

Volci dire se la voi per tuo marito /che ella tu n'avera tutte tu vogle, oppure

nell’allusione erotica, ancora più esplicita, dell’ultimo componimento, dove si legge un’espressione dal tono ancora più umoristico della precedente: Però, dolce mio ben,

meco verai/ nella mia stanza e lì ogni diletto/ che tu vorai de me sì piglarai. Quest’altro

tipo di registro popolareggiante, parodico, umoristico, si deve, forse, alle letture del teatro del padovano Angelo Beolco, detto il Ruzante (1496-1542) autore di commedie che esprimono, come nel nostro caso, i drammatici aspetti della situazione dei contadini e dove il dialetto e lingua si alternano. Precisamente, la prima parte della sua Pastoral (1521) oltre a essere scritta in terzine incatenate e in lingua, ha un’ambientazione e trama molto simili a quella della seconda egloga (si veda anche il Capitolo III) del nostro autore: si narra, infatti, della storia del vecchio Mileso, innamorato della ninfa Siringa (nome che, peraltro, verrà citato come paragone mitologico nel Capitolo

Bucolico II), che lo schernisce e lo rifiuta, portandolo per la profonda delusione al

suicidio. Le opere poi proseguono diversamente, nel nostro caso, infatti, si ha una fine certamente più felice: il contadino con l’aiuto della stessa ninfa ritornerà dagli inferi. Al contrario la seconda parte della Pastoral, differisce sia perché scritta in vernacolo, sia perché il contadino non avrà una sorte così fortunata, ma verrà sepolto sotto l’altare del dio Pan.

In alternativa, potremmo suggerire per l’argomento trattato anche un’eco della

Satira V (1523) di Ariosto, scritta sempre in terzine, dove il tema è quello, appunto, del

matrimonio e il tono resta pacatamente scherzoso e umoristico. Dalle sue commedie in versi (in particolare La lena) potrebbe avere, invece, ripreso il personaggio del servo scaltro, a sua volta recuperato, ovviamente, dal personaggio stereotipato del servus

callidus della commedia classica, greca e latina. Infine, data la preferenza stilistica e

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della letteratura italiana medievale (Dante, Petrarca), non sembra difficile ipotizzare che questi toni “briosi” possano essere debitori, anche, alle letture delle novelle più eroticamente esplicite del Decamerone di Boccaccio, che, com’è noto, verrà ribattezzato fortunato riferimento letterario per la prosa dal Bembo per gli scrittori del Cinquecento. Tra le parole che più rappresentano questo tipo di registro, basso e colloquiale, c’è

Caestronoro, una parola, certamente bizzarra, che vale come uomo stupido e balordo,

da definizione OVI e il termine scoltare, che sta, ovviamente, per ‘ascoltare’ e che, apparendo nei testi antichi veneziani184, confermerebbe l’ipotesi che questo dialetto sia, infine, la lingua madre dell’autore. Per di più, notiamo una caduta delle vocali finali di parola che potrebbe evidenziare la differenza tra le variazioni venete, infatti, il padovano, vicentino, veronese e rovigotto presentano finali vocaliche, mentre, il veneziano, il trevigiano e il bellunese mantengono di preferenza le finali consonantiche185.

È interessante notare che la congiunzione ‘come’, è resa a ogni occorrenza, nella forma dell’italiano antico ‘como’186, che è più vicina all’etimo latino quomodo contratto poi in quomo, da cui, appunto, como. Presumibilmente, questa scelta sarà stata condizionata vocalmente, pure, dall’esito del sistema linguistico settentrionale, infatti, in quello lombardo si ha l’uscita comod e nel veneziano è presente la forma

comodo/comuodo187.

E la stessa motivazione di origine dialettale potrebbe giustificare la grafia e la pronuncia della parola: dunqua, che sta per “dunque”, lezione presente, infatti, nella lingua della Serenissima, che registra una forma simile: “donca”188. In alternativa,

184 Trovato, La prosa dell’ “Arcadia” e degli “Asolani”, p. 87.

185https://aedobooks.com/wp-content/uploads/2015/02/Grammatica-Veneta.pdf

186 Particella usata dai poeti per come, voce trovata nel Vocabolario storico online Tommaseo Bellini, http://www.tommaseobellini.it/#/, URL consultato il 27 Marzo 2018.

187 Nel già citato Dizionario del dialetto veneziano, (Boerio, p. 184, 1867) vi è la voce: «Comodo e anticamente comuodo[…] comodo vala? Come state di salute?» che viene usato nella formula interrogativa. La forma comuodo è presente, inoltre, in molte commedie di Goldoni tra cui La Donna di

Garbo (Atto I, Scena XIII) e andando ancora più indietro nel tempo, troviamo la formula affermativa a comuodo (“come”, “in che modo”) nelle lettere di Andrea Calmo: Libro quarto, indrizzate a diverse donne, sotto molte occasio ni de inamoramenti, ne la vulgar antiqua lengua Veneta composte. Con cinquanta stanze al proposito dell'opera, stampate da Camillo Pincio a Venezia nel 1572.

188 Gasparo Patriarchi, Vocabolario Veneziano e Padovana co' termini e modi corrispondenti Toscani, 1821, letto nella versione digitalizzata all’URL: https://archive.org/details/vocabolariovene00patrgoog, consultato il 3 Marzo 2018.

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possiamo ipotizzare un errore di trascrizione, avvenuto per assimilazione alla vocale della parola seguente: andaro.

Non appartenente al mondo del dialetto, ma a quello popolare, è un riferimento biblico che possiamo identificare nella terzina: E li ministrj, con perfettio, l'ori,/

d'incenso, mirra , balzami e zibeto / profumavan li atari e nostri cori. Sembra, infatti,

scontato che qui vi sia un’allusione ai doni portati dai re magi a Gesù bambino, nella Sacra Bibbia189, ai quali, però, si è aggiunto curiosamente lo zibeto, profumo naturale, avente una propria storia letteraria. Quest’ultimo è, infatti, il protagonista della poesia

La canzona dello zibetto, che si trova nei Canti carnascialeschi di Lorenzo il

Magnifico190.

2.2.4.2 Le espressioni proverbiali

L’autore fa, oltre a ciò, frequente uso di espressioni idiomatiche, come nelle frasi che se

vol batter quando è caldo el chiodo, una forma simile a quella più moderna: ‘si deve

battere il ferro quando è caldo’; oppure, quando scrive per non adimandar si perde

spesso, entrambe le frasi si trovano nel primo componimento, dal tono più da

commedia: L’amore di Deifero.

Per concludere, come d’altronde ci si aspettava, abbiamo osservato che la patina della koinè settentrionale è più visibile sul versante fono-morfologico, che su quello della scelta lessicale. Dalla riflessione sui diversi aspetti del lessico, appena visti, possiamo desumere che ci sia da parte dello scrivente la volontà di restare il più possibile fedele alla tradizione trecentesca della letteratura italiana e di nobilitare la sua redazione con l’aiuto del bagaglio culturale del latino, tenendo l’uso del dialetto relegato ai componimenti dal tono più popolareggiante.

Nel documento Gaia Russo (pagine 137-140)