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L’iperbole

Nel documento Gaia Russo (pagine 141-146)

2.3 Le figure Retoriche

2.3.3 L’iperbole

Proseguendo nella lista, si nota l’uso dell’iperbole, figura molto apprezzata dai poeti della meraviglia, che ritroviamo o per enfatizzare la bellezza del paesaggio bucolico, (de tal dolceza ch'io non scrivo in carte), o in funzione auto elogiativa (che

tolto credo a Febo a me sua arte). In generale, la meraviglia diviene una vera e propria

protagonista, avvalorando e calcando la presunta eccezionalità delle esperienze raccontate, come nei seguenti casi: Non mai aura senti con tal dolceza /spirar suave e

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mai sì adorno fonte /con piante intorno de sublime alteza/ mirai giamaj . E la mia leta fronte/ mai se trovo in loco tanto adorno/né un sì proportionato e alto monte.

Infine, notiamo che per due volte l’autore, usa l’artificio retorico di rivolgersi direttamente al lettore, nelle esclamazioni: Mirate pur l'erbete intorno intorno, li vagi

fiuri e le virente fronde, de quanta aminità è questo giorno! e nell’esempio, meno

esplicito: al dolce son de li amorosi acenti,/che dal bel fonte odir potevate apena. Concludendo questo breve paragrafo, notiamo che la ripetizione a poca distanza degli stessi vocaboli, (dunque si in te qualche discorso avrai, tu avrai del scriver mio

qualche costrutto; al fin…al fin; adorno…adorno) può essere valutata non come

un’intenzione dell’autore di rientrare nei canoni del monolinguismo petrarchesco, ma come un sintomo del basso livello artistico del poeta, della scarsezza del suo vocabolario e della sua limitata capacità creativa.

Oltre a ciò, come segnalato nel Capitolo I è significativo a tal proposito l’uso di rime facili o identiche e le già incontrate disarmonie morfologiche. Non mancano errori legati alla cultura letteraria dello scrivente, che si segnaleranno di volta in volta nel testo del Capitolo IV, per esempio quando vediamo scrivere al posto di Eris, la famosa dea della discordia che lancio la mela sul tavolo al banchetto sacro, Iris la messaggera degli dei, personificazione dell’arcobaleno, citata nell’Iliade (VIII, v.397) e da Esiodo (Theogonia, vv. 265, 780).

Riflessioni finali di capitolo

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Dall’analisi complessiva sulla forma linguistica del manoscritto, appena esposta, emerge un profilo d’autore abbastanza preciso: lo scrivente vuole rientrare negli schemi linguistici e letterari toscani, scegliendo un lessico ricavato da una lunga tradizione lirica italiana, usando un registro alto e ricercato, evitando le forme dialettali e le espressioni colloquiali. Tuttavia, le frequenti indecisioni a ogni livello fono-morfologico, le manifestazioni dei fenomeni fonetici articolatori settentrionali, gli ipertoscanismi e le rilevanti ipercorrezioni sono il risultato della situazione ibrida, non standardizzata e mal sostenuta della lingua poetica dello scrivente. Quest’ultima si compone nei fatti da una combinazione di tre elementi: il volgare forse veneziano, il latino e il toscano, ognuno dei quali, come abbiamo visto, a volte, viene a coincidere nella forma con gli altri due.

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Concludiamo riportando le parole, valide anche nel nostro caso, dello studioso Mirko Tavoni192, il quale, riflettendo sui parametri di fondo che accomunano la problematica linguistica della lirica di corte, scrive: «l’elemento locale […] è il dato inerziale, involontario, che condiziona, frenandola, la ricerca in direzione extra municipale (che di volta in volta fa forza sul latino, sul toscano contemporaneo, o sulla lingua poetica)».

192 Tavoni, La poesia lirica, p. 91.

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Capitolo 3

Il contenuto del Manoscritto:

I temi, i personaggi e i modelli di genere

Introduzione

Gli studi sviluppati sul metro nel primo capitolo e sugli aspetti linguistici e stilistici nel secondo hanno posto delle solide basi per indagare sulla natura narrativa del testo e hanno cercato, implicitamente, di rispondere alla cruciale domanda: A quale

tipologia appartiene il nostro manoscritto? Per provare a rispondere, abbiamo, quindi,

osservato il repertorio lessicale del nostro oggetto d’esame: lo abbiamo rapportato alla tradizione della letteratura classicheggiante rinascimentale, la quale, a sua volta si è servita degli stilemi fiorentini trecenteschi e, in minor parte, di quelli quattrocenteschi e abbiamo riconosciuto una discreta contaminazione espressiva dal basso del registro quotidiano. Parallelamente, abbiamo esaminato la struttura metrica e la versificazione e riscontrato uno sviluppo di tutti i diversi componimenti in uno schema ternario di versi endecasillabi non sempre rispettato canonicamente. Malgrado tutte le informazioni raccolte finora, la domanda è rimasta aperta.

Com’è noto, in letteratura il concetto di “genere”, sebbene a prima vista molto semplice, è di per sé mobile e spesso inafferrabile, va allora specificato che con il suddetto termine si intende un insieme di motivi, personaggi e situazioni narrative comuni a una parte della produzione letteraria, per il quale, in base al principio di similarità, si può classificare un testo, in questo caso il nostro, inserendolo in uno o anche più sottoinsiemi contemporaneamente.

Considerando, banalmente, che per fare delle valutazioni e dei confronti riguardo il genere letterario è indispensabile arrivare a leggere il contenuto del testo nella sua pienezza, si avverte che nel nostro caso si è preferito, come in altre occasioni, procedere inversamente: prima fornire al lettore le informazioni raggiunte, che serviranno come conoscenze preparatorie alla lettura del Capitolo IV e successivamente, passare ad affrontare il testo vero e proprio nella sua composita ricchezza filologica di scrittura, senso e background storico-culturale. Anticipiamo, pertanto, che dallo studio condotto sul testo si può affermare che i componimenti appartengano, in definitiva, al genere

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letterario della bucolica pastorale; possiamo, infatti, definire il corpus dei componimenti come un complesso di scritti formato da vari idilli, intendendo con quest’ultimo termine il nome con cui i Greci designarono in origine qualsiasi poesia di piccole proporzioni, di genere descrittivo e di argomento pastorale. Molti sono, infatti i tratti che avvicinano gli abbozzi del nostro anonimo autore alla cultura del genere pastorale, o boschereccia, ma per studiarli dobbiamo preliminarmente tracciarne dei limiti storici, geografici e temporali.

3.1 Breve storia della Pastorale

Nel documento Gaia Russo (pagine 141-146)