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L’obsolescenza del supporto digitale

Nel documento Gaia Russo (pagine 32-37)

Non si può dire lo stesso di un’altra questione: l’obsolescenza del supporto digitale e il problema della conservazione dei dati. Ogni tipo di medium, anche non digitale, è sottoposto a un progressivo livello di degrado dei supporti, come i CDs, DVDs, i Floppy Disc e ogni altro tipo di memoria, al quale si deve aggiungere anche la problematica legata all’obsolescenza delle tecnologie che di anno in anno si arricchiscono di aggiornamenti, subiscono trasformazioni a livello strutturale, migliorano la loro operabilità. Si tratta di una tematica che riguarda, quindi, sia

32 Pierazzo, Digital Scholarly Editing: Theories, Models and Methods, p. 104. Opera citata: Tanselle, Thomas, Reproductions and Scholarship, Studies in Bibliography, 1989.

33 Ibidem, p. 105. Opera citata: Treharne, Elaine, Fleshing out the TEXT: the Transcendent Manuscript in

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l’hardware34,(parte fisica del computer, o di un sistema di calcolo che rende possibile

l’esecuzione), che il software, (istruzioni e programmi), e come sottolinea più precisamente la riflessione del già citato saggio L’umanista Digitale: «siamo di fronte a una costante evoluzione non solo delle tecnologie fisiche per lo storage (immagazzinamento o archiviazione dei file su un certo medium), ma anche delle piattaforme di riversamento dei materiali e degli applicativi utili per produrre e interpretare, cioè leggere, quei materiali»35.

Ma come porre un rimedio alla progressiva obsolescenza tecnologica, se per sua stessa natura la tecnologia non ammette l’idea di avere limiti e di conservare una stabilità? Concretamente abbiamo prodotto e con ogni probabilità produrremmo sempre in maggior misura degli oggetti digitali di ogni tipo, genere e formato ma non sappiamo ancora come preservarli per il futuro e questo fenomeno è conosciuto come ‘data

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, vale a dire, il gravoso problema di conservare questa moltitudine infinita di

data che ci “piovono” dallo schermo. Proprio per questo e prendendo in prestito, ancora

una volta, le parole a riguardo di Elena Pierazzo è già in atto ed è auspicabile in futuro una volontà di interventi multipli come: «new professions, new strategies, reliable data formats and standards, good practices, all of these are being deployed across the planet in order to try to tackle the problem of longevity and the preservation of digital assets»37. Il mondo digitale, insomma, sta investendo su sè stesso, anche con la creazione di nuovi professionisti e professioni, che possano dar vita, si spera, a nuove strategie.

2.2.2 Le soluzioni

Ma quali sono quindi le soluzioni ipotetiche e le “buone pratiche” già in uso? Sono definitive o migliorabili? Vediamo qui di seguito le risoluzioni prendendo e adattando per i nostroìi scopi l’utile lista presente nel contributo sul tema dell’Umanista

Digitale, con il quale indubbiamente si concorda:

34 In inglese il vocabolo significa letteralmente “ferramenta” (da hard “duro” e ware “manufatto”, “componente”) e si contrappone al software, vale a dire, la parte logica (soft “morbido”, “leggero”).

35 Numerico, Fiorimonte, Tomasi, Op. cit., 2010, p. 23.

36 Pierazzo, Digital Scholarly Editing: Theories, Models and Methods, p. 185. Mio il corsivo.

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o Il Mantenimento, consiste nella conservazione sia dell’hardware che del

software ormai obsoleti, che siano in grado di leggere un determinato

oggetto digitale ed è la soluzione logisticamente più semplice nell’immediato, ma risolve la questione solo a breve termine. Per fare un esempio, è come se si volesse fare la manutenzione ad libitum del lettore VHS, per leggere in futuro le vecchie videocassette, oltretutto, richiederebbe costi elevati per la manutenzione di ogni tipo di supporto creato finora, per non pensare a tutti i tipi di supporti che nel tempo si andrebbero ad aggiungere.

o Il Refreshing, presuppone la copia dei dati da un medium all’altro, per esempio è il metodo che è stato utilizzato per passare i dati dal CD al DvD. Questo metodo fa fronte solo all’obsolescenza dell’hardware, quindi neanche questa soluzione può essere considerata definitiva.

o L’Utilizzo formati Standard, in questo caso si tratta da un lato di passare gli oggetti digitali dal loro formato originario a uno standard e dall’altro proporre uno standard da seguire per tutti gli oggetti digitali futuri e come sottolinea anche lo studioso Roberto Rosselli Del Turco, nel suo saggio dal titolo emblematico The Battle We Forgot to Fight: Should We Make a

Case for Digital Editions? : «if the editor makes use of standard-based

data formats (such as TIFF, JPEG for digitised images, (X) HTML or XML for texts etc.), he or she can be reasonably confident that the core of the edition will still be readable and usable for a very long time»38. Ma questa buona pratica, non deve farci trascurare che anche gli standard sono soggetti a cambiamenti, aggiornamenti e adeguamenti negli anni.

Fortunatamente esistono altre due soluzioni che, al contrario delle prime due, propongono delle soluzioni a lungo termine e sono:

38 Roberto Rosselli Del Turco, The Battle We Forgot to Fight: Should We Make a Case for Digital

Editions?

p.234, in «Digital Scholarly Editing: Theories and Practices», Cambridge: Open Book Publishers, 2016, doi:10.11647/OBP.0095.

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o La Migrazione, per la quale si trasferiscono gli oggetti digitali su una nuova piattaforma prima che la precedente diventi obsoleta, quindi, oltre che la copia e l’adattamento del medium di conservazione, si aggiunge una ricodifica degli oggetti digitali affinché siano compatibili con il nuovo

hardware e il nuovo software.

Oppure:

o L’Emulazione: che consiste nell’emulare, appunto, sistemi obsoleti su nuovi sistemi, quindi, vengono preservati gli oggetti digitali e il software, con l’ambiente tecnologico entro il quale è stato prodotto. In qualsiasi sistema operativo più moderno, si richiama l’oggetto assieme al software necessario per leggerlo e all’emulatore della nativa piattaforma hardware, in questo modo, vengono conservate tutte le informazioni riguardo l’oggetto e il sistema di riferimento.

Ancora non è chiaro quale sarà il modello o i modelli che verranno maggiormente adottati e seguiti in futuro, noi come studenti possiamo dare il nostro piccolissimo contributo cercando di restare più vicini agli standard accreditati più diffusi, per esempio attraverso l’adozione del vocabolario della TEI, oppure cercando di utilizzare programmi di scrittura condivisi dalla maggior parte dell’ambiente scientifico, al fine di non creare un’ulteriore dispersione.

2.2.3 Le Istituzioni

Ma se queste erano delle ipotesi di intervento sui dati, metadati e sui supporti, resta da chiedersi: chi nella pratica si occuperà di queste informazioni e quali istituzioni potrebbero intervenire a riguardo. Le istituzioni che si occupano della conservazione dei dati, possono essere divise in tre macro-gruppi39, che riprendiamo, traducendoli e riadattandoli alla nostra esposizione, dalla lista redatta all’interno del Digital Scholarly

Editing: Theories, Models and Methods:

o Ad hoc institutions: sono le istituzioni create e nate proprio per sopperire

alla mancanza di iniziative da parte delle istituzioni già esistenti e che quindi assolvono la funzione delle biblioteche e degli archivi. Degli

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esempi esistenti sono le istituzioni di AHDS e TextGrid, queste iniziative non solo costituiscono un porto sicuro per i dati digitali già creati, ma informano gli studiosi sulle migliori pratiche da adottare.

o Producers: sono le istituzioni che hanno sviluppato le risorse e si rendono

responsabili della loro manutenzione. L’orientamento verso le migliori prassi da seguire non è formalmente fornito, ma l’adozione è implicita nella modalità di finanziamento, detto in altri termini: non viene concesso alcun finanziamento nel caso in cui i progetti non forniscano strategie di conservazione convincenti. Questo, per fare un esempio, è il modello postAHDS, produttore digitale nel Regno Unito.

o Libraries: le tradizionali biblioteche, che storicamente hanno conservato

gran parte del nostro patrimonio culturale e a cui sarebbero affidati anche i compiti di conservazione e di mantenimento del patrimonio virtuale.

È evidente, a questo punto, che al contrario delle edizioni cartacee c’è bisogno di un maggiore investimento di mezzi, strutture e professionalità per la conservazione dei

data, che a oggi non sono ancora sufficienti, anche perché i limiti cronologici di usura

delle edizioni digitali risultano minori rispetto a quelle a stampa. In definitiva, la costituzione rapida di Biblioteche digitali e ‘repositories’ pare indispensabile e necessaria per assicurare un futuro concreto e lineare nel tempo alle edizioni digitali e sopperire in questo modo al più grande svantaggio di quest’ultime.

Nel documento Gaia Russo (pagine 32-37)