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La Questione metrica

Nel documento Gaia Russo (pagine 97-101)

1.1 L’esame codicologico: problematiche e soluzioni

1.3.2 La Questione metrica

Legata strettamente all’impianto strutturale della rima vi è, senza dubbio, la questione metrica, anche questa come le altre viste finora quanto mai complessa. Cercheremo qui d’illustrare la generale frammentarietà della costruzione metrica

102 Inoltre, la lezione chiovo è vicina all’etimo latino clavus.

103 L’occorrenza è stata trovata sul portale Gattoweb, consultato il 16 ottobre 2017, http://gattoweb.ovi.cnr.it/(S(srb1cf552ypxpv55xjymve45))/CatForm02.aspx.

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sviluppando da vicino l’esempio del primo componimento, che ci servirà, quindi, come caso emblematico e termine di confronto per tutti gli altri scritti del manoscritto.

Dunque, il frammento della prima Ecloga pastorale I, L’amore di Deifero, è composto da 30 stanze, la quasi totalità di queste vengono raggruppate dall’autore in una serie di terzine a rima incatenata (ABA BCB CDC…YZY etc.,), come avverrà per tutti i componimenti successivi104. La simmetria della divisione in terzine e la concordanza tra le parole rima, che verranno più rigidamente rispettate nei capitoli bucolici seguenti, come abbiamo visto anche negli esempi citati, vengono leggermente a mancare nel primo frammento e quasi certamente ciò avviene per la natura fortemente dialogica del componimento, che costringe l’autore ad adattare la terzina, armonizzandola con la lunghezza della battuta dei protagonisti, e a rispettare gli schemi mimetici, certamente più rigidi, del dramma pastorale.

In generale, per quanto riguarda la scelta del metro è interessante notare che l’autore preferisca non ricollegarsi alla tradizione dell’egloga volgare quattrocentesca, iniziata da Fillenio Gallo, nella quale si afferma la forma di capitolo in versi sdruccioli. Il verso usato nello scritto del nostro autore è, infatti, solitamente, l’endecasillabo di undici sillabe metriche e non quello da dodici, tuttavia, con non poche eccezioni che analizzeremo tra poco. Non è chiaro se questa mancanza di severità nel seguire una struttura metrica rigida sia stata una scelta consapevole dell’autore, malgrado ciò, il richiamo all’endecasillabo piano fa intuire, forse, la sua volontà di restare fedele al modello metrico dalla tradizione dantesca e petrarchesca, e di non seguire e adottare la moda più recente. Si mantiene, a riprova di questa sua tendenza arcaizzante, conservatore anche nella scelta delle sillabe toniche all’interno del verso, precisamente, l’endecasillabo è di tipo canonico, accentato variamente in maiore e in minore a seconda dei casi. Malgrado questa scelta precisa, se analizziamo complessivamente tutti gli scritti non possiamo definire lo strumento usato dal “poeta” come un vero e proprio

schema metrico; esattamente, solo nel primo componimento si registrano 7 casi in cui

l’autore non è rientrato nel computo delle 11 sillabe metriche corrette. In quattro di questi i versi sono stati composti da dodici sillabe metriche e sono accentati in undicesima posizione, vale a dire, nei seguenti esempi: una infamia te fia nel mo<n>do

104 L’importante questione riguardo la scelta di questo tipo di versificazione che è usata ampiamente nella tradizione dei capitoli delle Ecloghe scritte in volgare dal XV al XVI secolo, verrà approfondita meglio nel Capitolo III.

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espressa105; alla croce di Dio (che) te ne desgratio; Volci dire se la voi (per) tuo marito106; so<n> facto polastreri be<n>(che) no<n> piace. Negli altri tre casi si tratta

di versi ipermetri da tredici o quattordici sillabe accentati in penultima posizione: Eme

sta bene li poveri se stratiano; li poveri co<n>tadini lor carne stratiano; che volgio ire a trovare mio padre adesso. Per l’ultimo caso si potrebbe, ma difficilmente, ipotizzare il

mancato computo sillabico dell’ultima parola in sede di scrittura essendo questa stata aggiunta in un secondo momento dallo scrittore in alto all’interlinea. L’insieme copioso degli altri casi di difformità e di non organicità metrica sparsi nel testo, evidenziano, pertanto, il carattere poco curato e preciso dell’autore che probabilmente non era particolarmente accorto o consapevole dello schema metrico da adottare e, oltre a ciò, gli errori di calcolo potrebbero, anche, sottolineare la natura ancora provvisoria del testo del manoscritto che è evidentemente ancora in fase di elaborazione anche riguardo questo aspetto. Per gli altri componimenti non esistono delle rime completamente irrelate, se non quelle non perfette che abbiamo più su riportat o quelle di cui non è certa la trascrizione, nondimeno, il computo delle sillabe così come è stato esplicitato lungamente per la prima egloga è ugualmente frammentario e disorganico per le altre. Questo fenomeno deve essere studiato con le ovvie lievi differenze tra le diverse parti, infatti, alcune sono più curate delle altre ma mai senza errori di versi ipermetri o ipometri, come, per esempio, il Capitolo bucolico I, Il carro trionfale e la

fuga della ninfa.

Passiamo ora nel prossimo capitolo ad analizzare più da vicino gli aspetti stilistici e linguistici, sperando con quest’ultimo paragrafo di aver introdotto, sebbene ancora marginalmente, il tema della forma, non più intesa unicamente come espressione grafica, ma come portatrice di significato.

105 In alternativa potremmo considerare i dittonghi di “infamia” e “fia” come sineresi eccezionali.

106 Ovviamente il computo è di dodici sillabe considerando “voi” e “tuo” come monosillabi. In caso contrario si tratterebbe di un verso di 13 o 14 sillabe metriche.

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Capitolo 2

La forma del Manoscritto:

Il dialetto, lo stile e i registri linguistici

Introduzione

Il presente capitolo si pone l’obiettivo di studiare gli elementi linguistici e stilistici relativi al nostro oggetto di analisi, il manoscritto intitolato Anonimi abbozzi rinascimentali, drammi pastorali e capitoli bucolici in terza rima. In questa sede, il

complesso contesto linguistico sarà anatomizzato e esaminato nelle sue differenti “parti minime”, quali, in ordine di esposizione: le caratteristiche fonetiche, quelle morfologiche e quelle sintattiche (racchiuse nel Paragrafo I: La lingua del Manoscritto). Successivamente, il testo verrà approcciato dal punto di vista stilistico, pertanto, si valuteranno secondo l’ottica retorica i costituenti lessicali e si proporranno dei confronti intertestuali con autori maggiori, ritenuti particolarmente affini per il materiale lessicale usato o per il genere letterario trattato e che sono stimati, di conseguenza, plausibili modelli d’ispirazione (nel Paragrafo II: Lo stile del Manoscritto).

Questi due diversi percorsi di lavoro, linguistico-formale e di ricerca intertestuale, hanno posto le basi fondamentali per l’inquadramento diacronico e diatopico del testo e per le successive riflessioni critiche generali sul contenuto letterario del manoscritto. Nella conclusione del capitolo, viene concisamente affrontato il tema delle figure retoriche emerse dalla lettura; ciò appare utile per completare il quadro stilistico dello scrivente e per aggiungere i tasselli necessari all’attenta valutazione della cultura letteraria del sopradetto.

2.1 La lingua del Manoscritto

Nel documento Gaia Russo (pagine 97-101)