• Non ci sono risultati.

Gli elementi costitutivi della morale durkheimiana

Il suicidio tra educazione morale e religiosa

3.2. Gli elementi costitutivi della morale durkheimiana

Durkheim, nel suo intento di dare un fondamento razionale e laico alla morale, individua gli elementi che ne stanno alla base. Si tratta dello spirito di disciplina, dell’attaccamento al gruppo, dell’autonomia della volontà. È quanto egli delinea

132 Ivi, p. 474 133 Ibidem 134 Ivi, pp. 474-475 135 Ivi, p. 475

67 nella prima parte dell’opera l’Educazione morale, mentre nella seconda, che è strettamente pedagogica, egli stabilisce come gli insegnanti possano educare i giovani in base a tali principi. L’ultima sezione, quella relativa all’autonomia della volontà, non costituisce una parte determinante e rilevante perché non ben affinata.

Durkheim si interessa in primo luogo al problema dell’ordine e adotta una teoria della moralità che appare in linea con il cambiamento sociale del suo tempo. Riuscire a fondare su basi esclusivamente razionali una morale laica entro la riforma che, in Francia, la Repubblica operava togliendo la religione dalle scuole, costituiva una problematica di urgente attualità.

Per Durkheim, la morale diventa un sistema di regole che determina la condotta in situazioni particolari. Il sistema delle norme, nel suo insieme, si impone all’uomo come esteriore e costrittivo per cui tutti gli individui si sentono sottoposti a disciplina ed allora è questo il primo elemento della moralità.

Certamente, per Durkheim, essa non deve essere cieca, per non impedire l’esercizio critico della ragione, che è condizione imprescindibile del cambiamento in una società in trasformazione rapida.

Sostiene Luciano Cavalli: “Analizzando l’azione morale, Durkheim giunge alla conclusione che essa è caratterizzata da fini impersonali, che possono dunque essere posti solo da qualcuno o qualcosa al di sopra degli individui”136

.

Il primo compito di una morale laica è quello di determinare la condotta, fissarla, così da sottrarla all’arbitrio individuale. La morale dunque presuppone la capacità di ripetere gli stessi atti nelle medesime circostanze e “di conseguenza, implica un certo potere a contrarne l’abitudine, un certo bisogno di regolarità”137.

Questo significa che ogni abitudine collettiva presenta qualche carattere morale; non a caso, quando un modo di agire è diventato abituale in un gruppo

tutto ciò che se ne allontana, suscita un movimento di riprovazione assai simile a quello che provocano le colpe morali propriamente dette e partecipa in un certo modo di quel particolare rispetto di cui sono oggetto le pratiche morali. Se non tutte le abitudini collettive sono morali, tutte le pratiche morali sono abitudini collettive138.

136 L. Cavalli in Durkheim, il suicidio. L’educazione morale, op. cit., pp. 30-31 137 É. Durkheim, Il suicidio. L’educazione morale, op. cit., p. 488

68 Tuttavia la regolarità, che costituisce un elemento della morale, necessita di abitudini costituite, ma queste sono forze interiori all’individuo. A differenza di questa,

la norma è per essenza qualcosa di esterno all’individuo. Non possiamo concepirla se non sotto la forma di un ordine o, almeno, di un consiglio imperativo proveniente dall’esterno all’individuo. […] Essa è, in una certa misura e in quanto norma, sottratta alla nostra volontà. Vi è in lei qualcosa che ci resiste, ci supera, si impone a noi e ci costringe. Non dipende da noi che essa esista o non esista, che sia diversa da quello che è. Essa è ciò che è indipendentemente da ciò che siamo. Ci domina anziché esprimerci.139

Ciò significa che, nella norma, oltre all’idea di regolarità, sta la nozione di autorità. “Per autorità dobbiamo intendere l’ascendente esercitato su di noi da ogni potere morale che riconosciamo a noi superiore”140

. Questo porta ad agire non tanto perché attragga l’atto, ma perché esiste nell’autorità, che lo detta, qualcosa che lo impone. Si spiega così come sia la società a imporre le norme sulla base della propria autorità, per cui Durkheim può affermare: “La morale non è un semplice sistema di consuetudini, ma un sistema di comandamenti”141. È allora il concetto di disciplina a diventare implicito in quello di autorità, che viene a costituire il primo elemento della moralità. “È il concetto di disciplina, la quale ha, come oggetto, di regolarizzare la condotta, implicando atti che si ripetono con il ripetersi di determinate condizioni, a non poter procedere senza autorità”142

. Secondo Durkheim, la morale presuppone nell’individuo sia la disponibilità ad avere una vita regolare sia un rispetto di tale regolarità che rimanda all’idea del dovere. Questo infatti è regolare poiché ritorna sempre nelle stesse modalità ed è uniforme perché esso è quotidiano ed è l’esistenza stessa a riproporlo, di volta in volta.

Così regolarità e autorità diventano elementi inseparabili e presuppongono uno spirito di disciplina, che ogni individuo acquisisce anche in relazione al fatto stesso di vivere in una società che comunque, in maniera costrittiva, presenta regole da seguire. Se la regolarità e il senso dell’autorità sono elementi costitutivi di un unico comportamento, quello morale, la disciplina diventa “la prima

139 Ivi, pp. 488-489 140 Ivi, p. 489 141 Ivi, p. 491 142 Ivi, pp. 491-492

69 fondamentale disposizione di ogni comportamento morale”143

. Indubbiamente la disciplina assume il carattere di vera e propria utilità sociale già di per sé, indipendentemente agli atti che essa prescrive visto come la vita sociale sia soggetta a precise necessità per il soddisfacimento delle quali c’è bisogno di una regolare disciplina. Ed è tipico dell’essere umano non voler vivere nell’incertezza, al contrario in un sistema in cui l’andamento regolare delle cose legato al rispetto delle regole è garanzia di positiva convivenza.

Dunque l’individuo ha bisogno di essere impegnato in compiti molto specifici e definiti, in relazione al divenire della società, visto come i bisogni cambino.

Sentirsi contenuti entro orizzonti limitati con particolari e concreti compiti, significa liberarsi dalla condizione insoddisfacente di chi abbia l’impressione di essere travolto da orizzonti senza limiti. Questo è il potere di una morale laica, che contiene lo spazio dei nostri bisogni tanto da tradursi in norme che chiedono di non superare precisi limiti e ciò dà garanzia di una positiva convivenza civile.

Naturalmente ciò comporta un richiamo inevitabile alla pedagogia, trattandosi di un problema prevalentemente educativo non essendo la disciplina da intendere “come uno strumento di compressione al quale ricorrere solamente quand’è indispensabile onde prevenire il ripetersi di atti riprovevoli. La disciplina è di per sé un fattore sui generis dell’educazione e nel carattere morale vi sono degli elementi essenziali che debbono essere affidati soltanto ad essa”144.

Durkheim ritiene insomma che la disciplina sia legata alla volontà di dare ai giovani uno strumento per moderare i propri desideri, limitare i bisogni, così da conseguire quella che egli definisce “salute morale”145.

Per Durkheim, allora, educazione e moralità fanno tutt’uno purchè ci si liberi dai condizionamenti e dalle invadenze della religione in campo morale. Spetta quindi all’educazione promuovere nei singoli giovani la capacità dell’autodominio, ma,

per imparare a resistere a noi stessi, occorre che ne sentiamo la necessità anche attraverso la resistenza che le cose stesse ci oppongono. Per autolimitarci, è necessario che sentiamo la realtà dei limiti che ci rinserrano. Un essere che fosse o si ritenesse illimitato, sia di fatto, sia di diritto,

143 Ivi, p. 495 144 Ivi, p. 502 145 Ibidem

70 non si sognerebbe di limitarsi senza contraddirsi, ché farebbe violenza alla propria natura. La resistenza interna può solo essere un riflesso, un’espressione interiore di quella esterna146.

Ciò significa che la disciplina è fondamentale ai fini della formazione del carattere e dell’intera personalità, tanto da non svolgere esclusivamente una funzione di tipo morale, per investire in realtà gran parte dell’esistenza dell’individuo.

Durkheim può allora concludere, relativamente al primo elemento della moralità, che la morale è essenzialmente disciplina; quest’ultima ha un duplice obiettivo, quello di favorire una regolarità del comportamento e al tempo stesso dare a ciascun individuo fini concreti che ne limitino l’orizzonte. “La disciplina fornisce abitudini alla volontà, le impone freni; regola e contiene. Essa risponde a quanto vi è di regolare e permanente nelle relazioni tra gli uomini”147

. Dette così, le affermazioni di Durkheim possono dare l’idea di una vera e propria violenza nei confronti della natura umana, poiché limitare in qualche misura la sua libera espansione potrebbe far pensare alla volontà di impedirle di essere se stessa.

Durkheim nega questo dato sostenendo la necessità di tale limitazione come presupposto della salute morale del singolo e della collettività.

L’uomo è fatto per vivere in un determinato ambiente, limitato, ma vasto quanto basta alla sua esistenza; e l’insieme degli atti che costituiscono la sua vita ha lo scopo di adattarlo a quell’ambiente o viceversa. […] . I fini che dobbiamo normalmente perseguire sono parimenti definiti né possiamo liberarci da tale limite senza porci subito in uno stato contro natura. È necessario che in ogni momento, aspirazioni, sentimenti di ogni genere vengano limitati. Il compito della disciplina è di garantire tale limitazione148.

La disciplina, per Durkheim, è determinante sia per la società e per la cooperazione tra gli individui, sia anche per il singolo individuo, poiché, per suo mezzo, egli apprende quella moderazione dei desideri senza la quale ciascuno sarebbe infelice. Secondo Durkheim,

essa contribuisce, in larga misura, a formare quanto di più essenziale è in ognuno di noi: la nostra personalità. Tale facoltà di frenare i nostri impulsi, di resistere a noi stessi, che acquistiamo alla scuola della disciplina morale, è condizione indispensabile al sorgere della volontà riflessiva e

146 Ivi, p. 504 147 Ivi, p. 506 148 Ivi, pp. 506-507

71 personale. La regola, insegnandoci a moderarci, a dominarci, è strumento di affrancamento e di libertà149.

Per Durkheim, parlare di educazione morale per i giovani significa allora, in primo luogo, educarli alla moderazione. Chi crede in una libertà senza regole, in realtà, fa la difesa di una condizione patologica; parlare di non regolamentazione, non significa alludere alla libertà perché, al contrario, questa si sostanzia proprio di regolamentazione; in definitiva la libertà non è possibile senza una norma e quest’ultima non va subita, secondo Durkheim, ma amata.

Si può allora rilevare come la morale consista in un insieme di norme che ci comandano e questo è necessario al singolo e alla collettività per risultare moderati, capaci di autodominio, in grado di sentire le norme come utili, legittime, necessarie. Parlando invece dei fini a cui occorre tendere nella vita quotidiana, Durkheim opera una distinzione fondamentale all’interno dei fini personali, che sono di due tipi, o quello di conservare la propria vita, quindi di salvarla da possibili minacce di distruzione oppure l’impegno a sviluppare il nostro essere.

Nel primo caso, quello della conservazione della vita, sul piano della coscienza pubblica, non ha particolare valore morale. Si tratta, per Durkheim, di “fini moralmente neutri”150. Questo esula dalla morale. Ben diverso è invece il caso in cui ci impegniamo a conservare la nostra vita non fine a se stessa, ma intanto per la famiglia, a cui ci sentiamo necessari. Gli atti che riguardano questa sfera sono propriamente morali, perché “non agiamo per vivere, ma per far vivere altri esseri diversi da noi”151

. Ciò non significa che l’uomo non debba cercare di mantenersi in vita, quanto piuttosto il fatto che egli non vive per se stesso, ma per conseguire un fine che lo supera. “Nulla vi è di morale a vivere per vivere”152

. Questo vale ugualmente per gli atti che compiamo in vista dello sviluppo del nostro essere, che non devono servire esclusivamente a noi, quanto piuttosto per dare risposta ai bisogni degli altri e questo, a sua volta, si lega al modo in cui noi ci avvaliamo della volontà di migliorarci e di svilupparci per essere in condizione di aiutare gli altri, superando così beni propriamente egoistici. In questo Durkheim si allontana

149 Ivi, p. 507 150 Ivi, p. 513 151 Ivi, p. 514 152 Ibidem

72 del tutto dalla morale utilitaristica, per la quale gli atti compiuti a fini egoistici costituiscono quelli da raccomandare per eccellenza.

La morale laica, a cui si richiama Durkheim, vede l’agire umano in funzione di fini che superino l’egoismo personale per esprimersi nella forma di aiuto verso gli altri e questo richiede il senso dell’appartenenza a un gruppo. L’uomo è motivato a perseguire fini impersonali perché frutto della vita sociale, per cui essa non è soltanto fuori di noi, ma è anche in noi. Al di fuori della società, la vita diventa priva di senso e quindi intollerabile, tanto da spingere talvolta, come già dimostrato, al suicidio. Sostiene in merito Luciano Cavalli: “Proprio questa relazione intima con il gruppo sociale spiega il nostro attaccamento al gruppo, che si esprime nel perseguimento dei fini impersonali da esso dati”153

. Ne consegue il secondo elemento della moralità, che è dato dall’attaccamento al gruppo. È tuttavia necessario delineare una gerarchia di obbedienza ai diversi gruppi entro cui interagiamo. Così la patria diventa più importante della famiglia, o comunque la comprende. Difficile è invece gerarchizzare il rapporto tra patria e umanità.

Secondo Durkheim, però, “l’alternativa non esiste in realtà, perché non esiste l’umanità, ma solo un ideale umano. L’antinomia asserita da tanti, si risolve con l’attaccamento alla patria intesa come una delle forze storiche che, ciascuna con la propria particolare angolatura sul mondo, cooperano all’attuazione dell’ideale umano”154

. Durkheim rileva comunque come la sua scelta vada per la Patria visto come i sistemi morali cambino da Paese a Paese e rispondano alla struttura particolare di un popolo.

Senza il senso di appartenenza, la morale perde allora tutta la sua valenza poiché l’individuo interagisce costantemente con più persone, ma soprattutto all’interno di gruppi sociali. Non si può dimenticare come, per Durkheim, agire moralmente significhi farlo in vista di un interesse collettivo, così come non si può prescindere dalla consapevolezza di quanto le relazioni morali siano rapporti tra le coscienze e queste rimandano, a loro volta, all’essere coscienti di appartenere alla società. Non si tratta di un’entità astratta, poiché la società allude a tutto quanto sia gruppo umano e quindi famiglia, gruppo di lavoro, patria,

153

L. Cavalli in Durkheim. Il suicidio. L’educazione morale, op. cit., p. 31

73 rispetto ai quali non esistono fini più importanti o meno, poiché è sufficiente dire, secondo Durkheim, che “il campo della morale comincia là dove comincia il campo sociale”155

.

Una società non è mai la somma numerica di tanti individui, quanto piuttosto un insieme di individui interagenti che, intenzionalmente, stanno insieme obbedendo a quanto le norme morali, che li limitano, impongono per il soddisfacimento di bisogni comuni. Se viviamo relazioni all’interno di vari gruppi sociali, significa che non basta essere parte di un gruppo, poiché occorre vivere il senso dell’appartenenza e quindi sperimentare l’attaccamento in varie direzioni.

Certamente la condotta morale produce conseguenze utili per tutti gli appartenenti al contesto sociale, pur dovendo ammettere che ciascun individuo tenderebbe spesso a forme di vero e proprio egoismo, che diventa amorale perché non aperto all’interazione con gli altri, non sorretto dall’idea dell’attaccamento, visto come non sia possibile vivere chiusi nel proprio spazio individuale per aprirsi invece alla solidarietà, all’altruismo. L’individuo egoista non è in realtà la persona in grado di comprendere l’arte della felicità, visto come qualsiasi cosa possa compromettere quella che egli ritiene essere la sua felicità. Al contrario, consegue una condizione di vita vicina quanto più possibile alla felicità colui che non vive in maniera antagonistica il suo rapporto con la società, ma sa collocarsi nei diversi gruppi sociali rispettando in essi quelle norme morali che è la società a garantire per rafforzare la propria sicurezza.

L’attaccamento a un gruppo, sia esso la famiglia, la scuola, la patria, termine che Durkheim richiama molto spesso, costituisce la condizione per tutelare l’esistenza di tutti e quindi indirettamente anche la propria. In questa direzione il senso di appartenenza al gruppo diventa un ottimo baluardo di difesa dalle tendenze suicidogene, un modo per sperimentare il senso delle regole ed evitare l’anomia, ma anche vivere la solidarietà quale effettivo strumento di coesione sociale. Questo non significa che l’attaccamento debba diventare troppo accentuato, poiché conta l’apertura dei gruppi tra loro. L’attaccamento vero rifiuta il senso di dipendenza dal gruppo per dare spazio invece al legame solidale.

74 Dunque né essere totalmente dipendente da un gruppo e neppure temere la rinuncia all’autonomia personale poiché, per Durkheim, l’attaccamento deve essere sinonimo di apertura e non di rigide chiusure in spazi ristretti e gelosamente custoditi. Sostiene infatti: “Un essere che non viva esclusivamente per se stesso e di se stesso, che si offra e si dia, che si unisca all’ambiente esterno e se ne lasci penetrare, vive sicuramente una vita più ricca e più intensa dell’egoista solitario che si chiude in se stesso e si sforza di rimanere estraneo alle cose e agli uomini”156

.

Il passaggio successivo è allora quello di vivere entro i gruppi, a loro volta aperti e reciprocamente in relazione.

Famiglia, patria, umanità rappresentano fasi diverse della nostra evoluzione sociale e morale; preparati l’uno per l’altro, i gruppi corrispondenti possono sovrapporsi senza escludersi. Come ognuno di essi, nel susseguirsi dello sviluppo storico, ha la propria funzione, così si completano vicendevolmente, nel rispetto del ruolo di ciascuno. La famiglia avvolge l’individuo in tutt’altro modo della patria e risponde ad altri bisogni morali, ma non vi è ragione di fare una scelta esclusiva tra loro157.

Certamente la patria costituisce, per Durkheim, il gruppo che ha moralmente finalità essenziali per la vita di tutti gli individui. Per il ragazzo questo significa che “l’unico ambiente in cui egli possa imparare a conoscere la patria e ad amarla è la scuola ed è precisamente ciò che conferisce oggi alla scuola l’importante funzione di formatrice morale del Paese”158.

Le norme morali hanno quell’autorità per la quale la volontà degli uomini si conforma ad esse perché sono loro a ordinarlo, in quanto “fare il proprio dovere per rispetto del dovere è obbedire alla legge in quanto legge”159.

In senso più specifico la morale ha poi, per oggetto, l’attaccamento del singolo a uno o più gruppi sociali ed è la morale stessa a presupporlo. “Dunque la morale è fatta per la società: non è allora ovvio, a priori, che essa sia anche fatta dalla società?”160. 156 Ivi, p. 527 157 Ivi, p. 528 158 Ivi, p. 532 159 Ivi, p. 537 160 Ibidem

75 È dunque la società a istituire le norme sociali, dando loro autorità; questo è il presupposto di una società che agisca moralmente e la coscienza morale degli individui è opera della società stessa, per cui “quando la coscienza parla, è la società che parla in noi. Il tono con il quale ci parla è la prova migliore dell’eccezionale autorità di cui è investita”161

.