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Il ruolo della religione secondo la morale laica

Il suicidio tra educazione morale e religiosa

3.4. Il ruolo della religione secondo la morale laica

Émile Durkheim si è più volte impegnato, in ambito sociologico, a dare un’interpretazione sociale della religione, che comunque, è per lui, il risultato di forze, portatrici di vita e di energia che, unite insieme, danno all’individuo la possibilità concreta di migliorare e migliorarsi. Egli ha scritto un testo specifico di studio delle religioni Le forme elementari della vita religiosa, nel quale prende in esame la nozione di soprannaturale, a partire da uno studio su gruppi umani che, in Australia, vivevano ancora seguendo particolari riti di carattere religioso fino a fornire la sua definizione di religione.

Sostiene intanto che la religione è cosa eminentemente sociale e le rappresentazioni religiose hanno carattere collettivo ed esprimono realtà altrettanto collettive. Così i riti sono modi di agire che sorgono in mezzo a gruppi costituiti e sono destinati a suscitare, ma soprattutto a mantenere e trasmettere, stati mentali tipici dei gruppi stessi. Questo significa che i fatti religiosi sono cose

sociali e quindi prodotti del pensiero collettivo167.

In tal modo Durkheim va a ricercare fatti che possano testimoniare il carattere sociale della religione; per questo si dedica allo studio di gruppi, tribù allora

166 Ivi, p. 579

167 M. Rosati (a cura di), Émile Durkheim. Le forme elementari della vita religiosa, Booklet,

79 presenti in Australia e nell’America settentrionale presso i quali lo spazio appare concepito nella forma di un immenso cerchio, avendo l’accampamento in cui essi vivono uguale forma circolare. Così il cerchio spaziale appare esattamente diviso come quello della tribù e a sua immagine. Al suo interno esistono varie zone distinte tante quanti sono i clan che compongono la tribù e il posto da ciascuno occupato determina l’orientamento delle regioni e si definisce attraverso il totem del clan al quale ciascuna è assegnata.

Esistono insomma realtà concrete in cui è possibile verificare l’aspetto sociale e collettivo delle convinzioni religiose. Queste appaiono comuni a una precisa collettività che vi aderisce e pratica i riti aderenti a tali credenze, che non rimandano al singolo individuo soltanto, ma ai membri di una collettività, così da costituirne l’unità stessa. Insomma, per Durkheim, gli individui che aderiscono a credenze religiose sono legati gli uni agli altri per il semplice fatto di avere una fede comune168.

La religione è dunque un fatto sociale universale, che nasce da forze presenti in una collettività, così da dare luogo a pratiche a cui i componenti della società stessa aderiscono. Durkheim non nega l’importanza della religione, ma le attribuisce un’origine sociale, tanto da definirla in questo modo: “Una religione è un sistema solidale di credenze e pratiche relative a cose sacre, cioè separate, interdette, le quali uniscono in un’unica comunità morale, chiamata chiesa, tutti quelli che vi aderiscono”169

.

Appare in questo senso significativa l’idea che scaturisce da tale definizione, poiché allora la religione diventa la trasfigurazione sacralizzata della società, per cui le regole morali, le leggi, ma anche i dettami che costituiscono la coscienza collettiva sono in larga parte legati alla forza del sacro.

È significativo l’intervento di Durkheim sull’avvenire della religione, nel quale egli si rivolge a quelli che chiama “liberi pensatori” e ai credenti, tuttavia non asserviti del tutto alla confessione religiosa a cui aderiscono. Durkheim intende sollecitare entrambi i gruppi a riflettere sulla proposta da lui portata avanti di una religione a base sociale. Nel primo caso egli invita i liberi pensatori a non considerare esclusivamente la religione come un sistema di idee perché questo

168 Ivi, p. 83 169 Ivi, p.

80 rischierebbe di far credere che l’individuo abbia potuto costruire la religione con le sue sole forze. Egli è infatti convinto che la religione non sia soltanto un sistema di idee, ma in primo luogo un sistema di forze. Afferma testualmente

L’uomo che vive religiosamente non è solo un uomo che si rappresenta il mondo in un modo determinato, che sa ciò che altri ignorano; è prima di tutto un uomo che sente in sé un potere che generalmente non riconosce in sé, che non avverte quando non è allo stato religioso. La vita religiosa implica l’esistenza di forze molto particolari, forze che sollevano le montagne170.

Ciò significa che, quando l’individuo vive una vita religiosa, egli sente di partecipare a una forza che, se da una parte lo domina dall’altra lo sostiene e lo pone al di sopra di se stesso. Facendo insomma leva sulla religione, l’uomo si sente meglio in grado di affrontare le difficoltà della vita. Tale sentimento, secondo Durkheim, è così generale e costantemente presente nell’umanità che non si può considerare un’illusione, poiché le illusioni non durano secoli. Occorre ammettere allora che questa forza, avvertita dall’uomo, esiste realmente.

Per questo il libero pensatore, quindi colui che cerca e intende spiegare la religione secondo motivazioni di carattere naturale, senza far intervenire qualcosa di più profondo e di più alto, non si pone nel giusto modo, secondo Durkheim, per affrontare la questione religiosa. Piuttosto dovrebbe domandarsi da quali parti del mondo possono derivare quelle forze che, mentre lo dominano, al tempo stesso lo sostengono. Durkheim fa comprendere in questo modo che la religione è espressione di forze realmente esistenti, che vengono da gruppi riuniti e quindi dall’interno della società, tanto da imporsi in qualche misura, ma al tempo stesso rigenerarla e darle forza insieme al sostegno.

I liberi pensatori hanno tentato di spiegare la religione in modo razionale, senza riuscirvi, soprattutto perché si sono affidati soltanto all’osservazione fisica della realtà, ma le forze fisiche restano esterne all’uomo e invece, per Durkheim, esse nascono dall’interno; le forze devono essere reali, presenti negli individui e quindi il sentimento di conforto e di dipendenza che a queste si lega non può essere illusorio. Durkheim afferma in merito:

81 Per spiegare la religione, per renderla razionalmente intellegibile- e questo è ciò che si propone il libero pensatore- è necessario trovare nel mondo che possiamo sottoporre alla nostra osservazione e alle nostre facoltà umane, una fonte di energie superiori a quelle a disposizione dell’individuo, e che tuttavia possono comunicarglisi. Orbene io mi chiedo se questa fonte può essere trovata altrove se non in questa vita assai specifica che si sviluppa fra gli uomini associati171.

Durkheim insomma è convinto, che quando gli uomini sono riuniti insieme e vivono un’esistenza comune, da questo nascano forze intense che “li dominano, li esaltano, portando il loro tono vitale a un grado che non attingono nella vita privata”172

.

Durkheim sostiene che questa sua concezione non è una tesi filosofica, ma scaturisce dai fatti e dall’osservazione storica, e che ha già anche passato la prova dell’esperienza, dimostrando la propria validità. Il libero pensatore allora deve porsi di fronte alla religione nello stato d’animo del credente per poter riuscire a comprenderla. La caratteristica della religione, per Durkheim, è l’influenza positiva, capace di generare forza, cioè l’influsso specifico che essa esercita sulle coscienze.

Altrettanto particolare è la richiesta che Durkheim pone al credente libero, e quindi all’individuo, che pur aderendo a una specifica confessione religiosa, mantiene però una libertà di spirito che lo porta a essere disponibile alla riflessione critica. A lui Durkheim chiede simpatia perché per chi è convinto che la propria confessione religiosa costituisca una verità assoluta, diventa impossibile sottoporre ad analisi quanto più oggettiva una tesi diversa. Bisogna insomma sottrarsi alla tirannia della fede in una confessione ritenuta come l’unica possibile. Soltanto a queste condizioni anche il credente potrà essere disponibile a pensare una religione più consapevole delle sue origini sociali.

Così la religione dell’avvenire non può essere fatta coincidere con una forma precisa, perché non sappiamo come la religione ipotizzata da Durkheim giungerà a esprimersi, ma l’elemento che conta è quello di poter individuare quali siano le forze sociali che la genereranno. Appare per questo determinante un’affermazione centrale di Durkheim, secondo il quale “Se oggi la nostra vita religiosa langue, se le rinascite effimere che vengono segnalate non hanno altro effetto dei movimenti

171 Ivi, p. 336 172 Ibidem

82 superficiali e temporanei, questo non deriva dal fatto che ci si è sviati da una specifica formula confessionale, ma che la nostra potenza creatrice di ideali si è affievolita”173

.

È come se, per Durkheim, le religioni avessero determinato nel passato una sorta di pericolo, un equilibrio in cui vivere e lasciar vivere tranquillamente, senza bisogno di rinnovarsi. La società contemporanea, per Durkheim, vive invece una fase di profondo scuotimento e sconvolgimento; Durkheim infatti non perde mai di vista la realtà storica del suo tempo; questo, in campo religioso, diventa motivo di ricerca in base a nuove aspirazioni che si avvertono, ma che ancora non hanno generato nuovi ideali. “Noi ci troviamo così in un periodo intermedio, periodo di freddo morale che spiega le diverse manifestazioni di cui noi siamo, a ogni istante, i testimoni inquieti o rattristati”174

. Tuttavia niente può impedire di cogliere come, nel profondo della società, stia muovendosi una forza vitale intensa

che cerca vie d’uscita e che finirà ben presto per trovarle. Noi aspiriamo a una giustizia più alta, che nessuna delle formule esistenti esprime in maniera soddisfacente. Ma queste aspirazioni oscure che ci scuotono, arriveranno, un giorno o l’altro, a prendere chiaramente coscienza di se stesse, a tradursi in formule definite intorno a cui gli uomini si riuniranno e che diventeranno un centro di cristallizzazione per nuove credenze175.

Dunque, per Durkheim, al di sotto del freddo di una morale che si avverte in generale nella vita collettiva, esistono forze vitali che daranno vita a nuove credenze e le classi sociali che potranno tradurle in elementi innovativi saranno le classi popolari. Così può concludere:

A prima vista questa idea può turbare l’uomo abituato a rappresentarsi come extraumane le forze su cui si appoggia, ma se egli giunge a comprendere che la stessa umanità può fornigli l’appoggio di cui ha bisogno, non vi è forse in questa prospettiva qualcosa di fortemente confortante, dal momento che le risorse richieste si trovano così presso di lui, e, per così dire, alla portata della sua mano?176

Il testo citato, ben al di là di quanto Durkheim ha affermato nel suo libro Le

forme elementari della vita religiosa, conferma non soltanto l’importanza sociale

173 Ivi, p. 339 174 Ivi, p. 340 175 Ibidem 176 Ivi, p. 341

83 che Durkheim attribuisce alla religione, ma anche la consapevolezza di quanto, se intesa socialmente, essa costituisca non una rigida riunione di dogmi, al contrario una forza rinnovatrice della società, soprattutto in momenti di crisi morale e storica. Questo può costituire un’arma estremamente vitale per arginare anche quelle forze suicidogene che comunque sono presenti in ogni tessuto sociale. La religione, come espressione di una collettività solidale, diventa sostegno per tutti gli individui purchè, come ha affermato Durkheim, essa non sia identificata con una formula confessionale rigida e dogmatica.

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Capitolo 4