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Il problema del metodo: osservazioni critiche

Considerazioni critiche sul Saggio “Il Suicidio”

4.2. Il problema del metodo: osservazioni critiche

Sicuramente Durkheim ha il merito di aver cercato dati empirici utili a dare una spiegazione del suicidio in rapporto a elementi che comunque le statistiche gli forniscono. Egli è convinto che tutto, anche il suicidio, debba essere ricondotto a un fatto sociale, allontanandosi così dalle teorie psicanalitiche che invece vedono nel suicidio un fatto prettamente individuale.

Siamo nell’ambito di un tipo di ricerca che Durkheim, nel 1897, ha condotto a livello empirico per sviluppare una teoria, che avesse comunque un sostegno di dati. Se infatti la Sociologia è disciplina autonoma su basi empiriche, essa si occupa di fatti sociali e quindi la metodologia di ricerca è di tipo induttivo, poichè la conoscenza si lega all’osservazione, descrizione e confronto di dati. Quando Durkheim definisce il suicidio come fatto sociale, egli fa riferimento a dati concreti, raccolti a partire dal 1841 per un arco di tempo abbastanza ampio, fino al 1860, o comunque su materiali già pubblicati, a partire da Morselli186.

Durkheim ha evidenziato come, dalle statistiche sulle frequenze del suicidio, si possa giungere all’affermazione secondo la quale il tasso di suicidi presso una popolazione è relativamente costante, ma varia da Paese a Paese.

Sulla base di queste constatazioni, Durkheim ipotizza che l’insieme dei suicidi presenti in una data società, entro un arco di tempo ben preciso, abbia una natura prevalentemente sociale e quindi non dipenda dalle decisioni individuali; ogni società presenta sempre un gruppo di persone che cerca la morte volontaria.

Durkheim, però, non ha ancora a disposizione, come strumento di indagine, la matrice dei dati, per cui non raccoglie in maniera sistematica le informazioni e, di volta in volta, modifica l’analisi attenendosi a dati raccolti a livello nazionale, in altri casi nel contesto regionale oppure provinciale. Questo non significa, tuttavia, che Durkheim abbia avuto a disposizione pochi dati, al contrario egli ne gestisce moltissimi, utilizzando il sistema delle variazioni concomitanti187, una sorta di

186 Cfr. E. Morselli, Il suicidio, Dumolard, Milano, 1879 187

Il metodo della variazione concomitante prevede il confronto fra serie differenti di dati: quando le due serie variano simultaneamente, si ha cioè una variazione concomitante, si è di fronte a una variazione significativa.

90 analisi delle correlazioni, per cui gli va attribuito il merito di aver offerto un esempio di utilizzo dei principi fondamentali di un’analisi di tipo multivariato.

Durkheim giunge così a definire alcuni modelli attraverso l’introduzione di variabili diverse, per controllare relazioni che siano già emerse. L’intento è quello di stabilire rapporti regolari e costanti, ma soprattutto confronti nelle variazioni del suicidio, per poi risalire a relazioni causali tra la variazione del tasso dei suicidi e un fenomeno sociale precedente, che ne potrebbe essere la causa.

Richiamandosi particolarmente a Comte, Durkheim assume, quale premessa, l’idea che la società sia comunque parte della natura e quindi la scienza della società debba fondarsi su quegli stessi principi di tipo logico che caratterizzano le Scienze naturali. Torna così in primo piano l’idea che i fatti sociali siano comunque cose e, come tali, dati della realtà. Allora i fatti sociali vanno studiati come se fossero cose. Non si tratta dunque di fenomeni sociali che sono il prodotto della nostra volontà, al contrario sono loro a determinarla dall’esterno, per cui, similmente a qualsiasi altro oggetto, di loro si possono delineare i caratteri esterni cioè quelli che esistono ben al di là della volontà individuale.

È il metodo osservativo a diventare così lo strumento che permette di studiare le caratteristiche dei fatti sociali osservabili, appunto, dall’esterno, così che si possa raggiungere una conoscenza oggettiva. Ciò significa che, per Durkheim, la scienza non fornisce le cause prime, ma rivela le forme della loro oggettivazione nel sociale. Sono questi i presupposti in virtù dei quali Durkheim crede possibile anche nelle Scienze sociali la formulazione di leggi, purchè se ne individuino le cause necessarie, che sempre precedono il fenomeno da spiegare visto come esse lo producano meccanicamente.

Questo spiega, come nel testo Il suicidio, Durkheim si affidi a un’analisi di tipo causale, che mette in relazione effetti sociali e cause sociali attraverso leggi ottenute mediante il metodo comparativo della variazione concomitante. Così, relativamente al suicidio, attraverso questo tipo di variazioni, Durkheim può individuare se le cause del suicidio siano sociali o extrasociali.

Attenendosi a un’indagine di tipo induttivo, Durkheim consegue la sua teoria sul suicidio, definendone i vari tipi, come già è stato evidenziato nel secondo capitolo del presente lavoro. Durkheim è stato infatti anche il primo a valutare

91 l’utilizzo della variabile di controllo sia come variabile antecedente sia interveniente, tutte operazioni che saranno poi teorizzate più specificamente nella metà del 1900188. L’introduzione della variabile di controllo serve spesso a Durkheim per mostrare come l’interpretazione corretta sia in vari casi il contrario di quella suggerita inizialmente dai dati.

Durkheim ha dunque il merito, pur nei suoi oggettivi limiti, di tentare una convalida della sociologia quale scienza autonoma, che fa dell’osservazione il suo elemento portante. Egli vuole spiegare i fatti sociali attraverso una sua teoria, che però sia costantemente supportata da dati empirici. Per questo non rileva una sola volta una relazione tra le variabili, ma ripete la stessa osservazione in situazioni e contesti diversi. Così ad esempio, quando si occupa del suicidio egoistico, afferma che in Francia i tassi di suicidio tra i protestanti sono più alti di quelli dei cattolici; poiché intende affermare questa tesi, ripete la comparazione tra religione e suicidio non meno di diciassette volte in Paesi e Regioni europee diversi. In questo modo diventa possibile una generalizzazione, che ha un suo valore e una sua forza perché fondata su un supporto empirico assai vasto. Questo significa che, replicando e confrontando una relazione che sia stata riscontrata in tempi e in contesti diversi, Durkheim può trovare alcune corrispondenze, ma anche parallelismi, delle variazioni concomitanti. Se infatti la covariazione fra i due fenomeni è regolare, ma anche controllata, prima nel suo insieme, poi in tutte le condizioni nelle quali è possibile che si manifesti, allora essa può essere individuata come legame di causa-effetto. Questo significa che, se anche parte del metodo è stato oggi superato, i principi di fondo sono apprezzabili perché Durkheim non si è limitato ad affermazioni di tipo teorico, ma le ha supportate con dati empirici di ampia portata, offrendo modelli di lettura dei dati che hanno una loro validità.

Durkheim insomma può giungere a una generalizzazione di tipo descrittivo, osservata a partire da dati empirici tuttavia, pur attenendosi sempre e comunque a un metodo di tipo induttivo, come afferma ne Le regole del metodo sociologico, quando poi non ha a disposizione dati utili per controllare una relazione tra due

188

Cfr. I. Acocella, E. Cellini, Il Suicidio di Émile Durkheim: un esempio di analisi

92 variabili, si vede costretto ad affidarsi alla propria interpretazione, ma questo non ha riscontro empirico, quindi non in ogni caso è sicuro il richiamo ai dati, tanto da costringere Durkheim a utilizzare le proprie conoscenze per dare un senso alle relazioni. Il richiamo al contesto sociale, ai dati, rimane comunque centrale.

In rapporto alla società del suo tempo, è proprio il suicidio a diventare, per Durkheim, lo specchio della condizione di turbamento in cui versa soprattutto la società francese. Un tasso di suicidi molto più elevato della norma è causato da condizioni di anomia ed egoismo, quindi di assenza di integrazione; questo vuol dire che la società di riferimento vive un profondo disagio. Durkheim addirittura può affermare che la variazione del tasso di suicidio dà la misura del livello di crisi sociale.

Così il tasso di suicidi diventa, nel contempo, un effetto della mancanza di integrazione e anche un indicatore di questa. Certamente Durkheim non è ancora nelle condizioni di individuare tutte le dimensioni latenti che possono incidere sull’aumento o meno del tasso di suicidi perché questo è sempre lasciato a chi legge i dati. Soltanto la conoscenza e l’interpretazione del contesto sociale che Durkheim studia, gli permettono di individuare specifiche relazioni. Quindi, anche se egli considera centrale l’esperienza empirica, non in ogni caso ha la possibilità di cogliere aspetti latenti perché mancano i dati empirici; così, inevitabilmente, Durkheim deve affidarsi a concetti teorici avvalendosi di conoscenze dei fenomeni già acquisite e che egli dà ormai per assunte.

Un esempio di forte generalizzazione teorica si ha quando Durkheim afferma che un basso grado di integrazione sociale determina un alto tasso di suicidi. I gruppi sociali che presentano un tasso di suicidi più basso, sono quelli che, secondo l’interpretazione di Durkheim, hanno un grado di integrazione più alto.

Si può allora affermare che, sul piano statistico e metodologico, l’indagine svolta da Durkheim sul suicidio, è, per i suoi tempi, profondamente innovativa, pur presentando oggettivi limiti nelle modalità di analisi e nelle conclusioni189.

Quando, ad esempio, Durkheim, dopo aver individuato in Francia una relazione tra il numero di coloro che vivono di una propria rendita e il tasso di suicidi, poiché questo risultava più alto nei dipartimenti abitati da un più elevato

189

93 numero di benestanti, egli fa un’inferenza individuata a livello di unità di analisi aggregate a livello territoriale, riferendola a un livello individuale tanto da affermare che i poveri allora si uccidono meno.

Anche le statistiche non sempre sono utilizzate nella maniera più corretta, perché Durkheim se ne avvale in quanto, a suo parere, possono, meglio di altre, cogliere sia l’esteriorità sia l’aspetto coercitivo tipico di ciascun fatto sociale.

Durkheim considera le statistiche ufficiali come misura precisa della distribuzione del suicidio, partendo dall’idea che, alla base della piena corrispondenza tra fatto empirico e dato statistico, stia una realtà oggettiva.

Sostengono in merito Ivana Acocella e Erika Cellini:

Il modo in cui sono descritti e classificati i fenomeni, per il sociologo francese, dipende esclusivamente dalla natura delle cose, che si assume possa essere conosciuta mediante l’osservazione, attività cognitiva considerata pura, non influenzabile dal pensiero di chi osserva, né dalle modalità di rilevazione delle informazioni, ma solo da ciò che si osserva nel mondo190.

Ne consegue che, per Durkheim, perché si possa definire un concetto, è in primo luogo necessario delinearne i caratteri esteriori e immediatamente percettibili; ugualmente, la formulazione di un concetto ha sempre un fondamento empirico e deriva da un esame sistematico della realtà teso a individuarne i caratteri. Durkheim considera infine i concetti non come strumenti del pensiero, quindi utili o non, quanto piuttosto rappresentazioni fedeli della struttura della realtà. Così egli giunge alla convinzione non corretta che il pensiero sia in grado di arrivare alle essenze osservando le caratteristiche che si presentano come costanti e trascurando le altre. In sostanza, Durkheim non pensa mai i concetti come attività di concettualizzazione, al contrario come descrizione della realtà oggettiva delle cose così come esse esistono nella natura delle cose.

Nell’indagine di Durkheim manca una riflessione sul fatto che il risultato finale sia influenzato dal motivo e dal modo in cui certi dati siano stati raccolti.

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