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Dai suicidi della follia ai tipi sociali di suicidio

Il suicidio nella Sociologia di Durkheim

2.4. Dai suicidi della follia ai tipi sociali di suicidio

Durkheim non istituisce una connessione specifica tra stati psicopatici e suicidio; riesce anche a confutare le cause extrasociali alle quali è attribuita spesso la capacità di incidere sul tasso dei suicidi, a partire dalle disposizioni organico- psichiche, legate alla costituzione individuale, fino a quelle attribuite alla natura dell’ambiente fisico.

È quanto Durkheim esamina nella prima parte dell’opera “Il suicidio”. Se non si può istituire un legame specifico tra la follia, che costituisce una malattia, e il suicidio, non si può neppure affermare che siano le condizioni climatiche a dar luogo all’atto del suicidio stesso.

La prima parte del libro è dedicata all’analisi dei fattori extrasociali e all’individuazione di quelli propriamente sociali che danno luogo al suicidio in ogni Paese e società, visto come, per Durkheim, la tendenza suicinogena, come egli la definisce, sia un dato tipico di qualsiasi contesto sociale. Questo indica la necessità non solo di risalire alle cause sociali, ma intanto di realizzare una sorta di classificazione delle tipologie del suicidio, a partire da quelle degli alienisti.

Sostiene in merito Durkheim:

L’unica maniera di procedere metodicamente consiste prima di tutto nel classificare secondo le loro proprietà essenziali i suicidi commessi dai pazzi, formando così i principali tipi di suicidi vesanici e poi nel ricercare se tutti i casi di morte volontaria non rientrino in questi quadri

42 nosologici. In altre parole, per sapere se un suicidio è un atto specifico degli alienati, occorre che si determinino le forme da esso assunte nell’alienazione mentale e vedere poi se gli alienati sono i soli a esserne colpiti.78

Così, richiamandosi alle categorie adottate da Jousset e Moreau de Tours, nel

Dictionnaire de médecine et de chirurgie pratique, Durkheim classifica intanto i

suicidi legati alla follia in quattro tipologie. Si parla in primo luogo di suicidio

maniaco o maniacale dovuto ad allucinazioni deliranti o alla fuga da pericoli e

vergogne. Il malato dunque si toglie la vita per motivazioni in vari casi immaginarie. Si tratta di comportamenti di vita caratterizzati da un’incredibile mobilità, per cui le alterazioni o i rovesciamenti della mania risultano frequenti, intensi e improvvisi.

Le idee, i sentimenti più disparati e contraddittori si succedono con straordinaria velocità nella mente dei maniaci, come un turbine perpetuo. Appena sorto uno stato di coscienza, un altro lo sostituisce. Lo stesso accade per i moventi che determinano il suicidio del maniaco: nascono, scompaiono o si trasformano con stupefacente rapidità. Di colpo l’allucinazione o il delirio, che decidono il soggetto a distruggersi, appaiono; ne segue il tentato suicidio; poi, in un attimo, la scena muta e, se il tentativo fallisce, non viene ripetuto, almeno per il momento. Se si riproduce più tardi, sarà per un altro motivo. Il più banale incidente può condurre a queste brusche trasformazioni79.

Secondo Durkheim poi,

Si ha il suicidio melanconico, dovuto a fortissima depressione. Spesso è accompagnato da allucinazioni e idee deliranti, ma in linea generale queste non cambiano, come invece accade nei maniaci. Chi cade nel suicidio melanconico, presenta un carattere molto tenace. “I malati di questa categoria preparano con calma i mezzi di esecuzione; dispiegano anche nel conseguire il proprio scopo una perseveranza e, talora, un’astuzia incredibili80.

Si passa quindi al suicidio ossessivo, legato all’idea fissa della morte che si impadronisce della mente del malato senza un apparente motivo, reale o immaginario.

Egli è ossessionato dal desiderio di uccidersi, pur sapendo di non aver alcun motivo plausibile di farlo. È come un bisogno istintivo sul quale né la riflessione né il ragionamento hanno potere. […] Rendendosi conto dell’assurdità della sua voglia, egli tende inizialmente di combatterla. Ma, finchè dura questa resistenza, egli è triste, oppresso, e avverte nella cavità epigastrica un’ansietà giorno per giorno più acuta. È per questa ragione che talora si è chiamato questo genere di suicidio, suicidio ansioso81.

Tale condizione genera nell’alienato un’ansia accentuata visto come egli cerchi di opporsi al male, così che rinunciare alla lotta o decidere di uccidersi può significare il conseguimento della calma. “Appena il malato decide di rinunciare

78 É. Durkheim, Il suicidio. L’educazione morale, op.cit., p. 83 79 Ivi, p. 84

80 Ivi, p. 85 81 Ivi, pp. 85-86

43 alla lotta, appena si risolve a uccidersi, l’ansietà cessa e torna la calma. Anche se il tentativo fallisce, è sufficiente a placare, per un certo tempo, il desiderio insano. Si direbbe che il malato se n’è levata la voglia”82

.

Si ha infine il suicidio impulsivo o automatico, che non sembra trovare spiegazione, in quanto un momento drammatico fa scattare nell’individuo l’atto della propria soppressione; si configura dunque come l’esito di un impulso brusco e irresistibile. Sostiene in merito Durkheim: “Anziché prodursi con un’idea fissa che perseguita la mente per un periodo più o meno lungo durante il quale si impadronisce progressivamente della volontà, esso risulta da un impulso improvviso e di irresistibile immediatezza”83.

Durkheim, rispetto a questa classificazione, osserva che il tasso dei suicidi varia con regolarità in situazioni sociali diverse, tanto da rendere del tutto insufficiente tale classificazione di carattere psicologico.

Egli infatti sostiene: “Tutti i suicidi vesanici o sono sprovvisti di motivo, o sono determinati da motivi puramente immaginari. Ora, un gran numero di morti volontarie non rientra in nessuna delle due categorie, perché hanno per lo più dei motivi e motivi non privi di fondamento nella realtà. Non si può dunque vedere un matto in ogni suicida se non abusando dei termini”84

. E ancora: “Poiché i suicidi di alienati non rappresentano tutto il genere, ma ne rappresentano una varietà, gli stati psicopatici che costituiscono l’alienazione mentale non possono dare conto della tendenza collettiva al suicidio nella sua generalità”85

.

Il sociologo rileva come il suicidio sia più frequente nelle città rispetto alla campagna, ma anche come gli uomini si suicidino in media quattro volte più delle donne e gli anziani più dei giovani.

Di particolare interesse risulta anche la considerazione del rapporto tra suicidio e confessione religiosa di appartenenza. Durkheim rileva intanto come la follia sia più frequente tra gli ebrei che negli altri gruppi religiosi, mentre la loro tendenza al suicidio sia molto scarsa. Afferma in merito Roberto Guiducci: “Si deduce da

82 Ivi, p. 86 83 Ibidem 84 Ivi, p. 87 85 Ivi, p. 89

44 questo caso che il suicidio varia in ragione inversa agli stati psicopatici, ben lungi da esserne una conseguenza”86

.

Mentre poi il suicidio è poco frequente tra gli ebrei, lo è maggiormente tra i cattolici e ancora di più tra i protestanti. Sembrerebbe potersi dedurre che, nei Paesi in cui sono minori i casi di follia, è invece maggiore il numero dei suicidi.

Paragonando cattolicesimo, ebraismo e protestantesimo, Durkheim rileva come il primo richieda una forte sottomissione della coscienza, mentre nell’ebraismo prevale un’attitudine alla solidarietà che è frutto anche delle forti persecuzioni subite. Poiché invece nel protestantesimo è evidente una forte accentuazione dell’individualismo, si spiega per questo una presenza maggiore della tendenza al suicidio.

Se poi si guarda alle cause sociali individuate da Durkheim sulla base di dati statistici, si può affermare che i suicidi siano numerosi durante il giorno per l’intensa vita sociale, che fa prendere coscienza a molti della propria incapacità a inserirsi attivamente, così che diventa forte il desiderio del suicidio, che rimane sempre e comunque un atto in cui l’individuo è presente a se stesso.

Durkheim stabilisce anche una relazione tra suicidio e appartenenza sociale tanto da rilevare come esso sia più frequente nelle classi colte e agiate che non in quelle più povere e prive di istruzione, così come esso risulta particolarmente diffuso tra gli uomini in un rapporto uomini-donne di 4 a 1.

Sicuramente il suicidio è estraneo a qualunque concetto di ereditarietà per cui esso è un’attitudine, una predisposizione dell’individuo, innescata dall’ambiente familiare e dalle vicissitudini della vita sociale. Può accadere talvolta che l’imitazione possa contribuire alla tendenza al suicidio. Questa infatti si verifica quando un atto ha, per antecedente, la rappresentazione di un atto simile che sia stato già compiuto da altri senza che tra questa rappresentazione e l’esecuzione si interponga alcuna operazione intellettuale, implicita o esplicita, riferita all’atto riprodotto. In particolari condizioni sociali può accadere che modelli etici deboli possano dare origine a una degenerazione comportamentale, ma non si tratta di imitazione essendo il suicidio un fenomeno sociale.

45 Altrettanto importante risulta l’analisi che Durkheim conduce sulla famiglia e sul matrimonio per individuare possibili motivi di suicidio. Se è vero che, in generale, gli uomini si suicidano più delle donne, è altrettanto vero che i suicidi maschili diminuiscono all’interno del matrimonio mentre il tasso è molto più alto per gli uomini che non si sposano. In caso di divorzio, sono invece gli uomini a suicidarsi di più rispetto alle donne. Così mentre l’uomo, nel matrimonio, trova un limite e una disciplina, la donna vive, in vari casi, una condizione di repressione, per cui il divorzio appare una liberazione. Durkheim non per questo è portato a dare un giudizio negativo sul matrimonio, per assumere, al contrario, una posizione conservativa visto come, se il numero dei suicidi si innalza in presenza di divorzio, allora è positiva l’indissolubilità del matrimonio, anche se questo può significare uno svantaggio per la figura femminile. Secondo Durkheim, una soluzione più equilibrata potrà essere trovata quando, in virtù di una maggiore socializzazione della donna, potrà diminuire lo scarto tra la posizione dei due coniugi. Significativo è il rilievo operato da Durkheim sulla presenza dei figli all’interno del matrimonio, poiché questa fa diminuire in misura notevole la tendenza al suicidio.

Su queste basi Durkheim ha potuto spostare l’attenzione dagli aspetti della follia o dall’ambiente naturale come potenziali cause del suicidio alle motivazioni di tipo sociale, tanto da individuare, su queste basi, tre tipologie di suicidio prese in esame nella seconda parte dell’opera.

Durkheim parla in primo luogo di suicidio egoistico derivante da un’eccessiva affermazione dell’io individuale a danno di quello sociale, così che l’atto di sopprimersi si lega prevalentemente a una carenza di integrazione sociale. Accade che la società imponga norme che, in forte misura, limitano la libertà individuale così che il singolo pone fine alla propria vita talvolta per evitare il disprezzo altrui o la vergogna; si può pensare, in questo caso, all’esempio del suicidio di un personaggio politico che sia coinvolto in uno scandalo. Dunque il suicidio egoistico porta l’individuo a estraniarsi dal gruppo e a entrare in uno stato di isolamento. Elementi di preservazione sono la religione, ma non quella protestante, perché molto individualistica, e la famiglia. In merito a quest’ultima,

46 Durkheim può affermare: “Come la famiglia è un potente preservativo contro il suicidio, tanto più preserva quanto meglio è più fortemente costituita”87.

Durkheim può allora concludere che,

il suicidio varia in ragione inversa al grado d’integrazione dei gruppi sociali di cui fa parte l’individuo. La società non può disgregarsi senza che l’individuo in egual misura esca dalla vita sociale, senza che i suoi fini personali diventino preponderanti su quelli comuni e la sua personalità-in una parola- tenda a porsi al di sopra di quella collettiva. Più deboli sono i gruppi cui appartiene, meno egli ne dipende per far capo solo a se stesso e riconoscere come regole di condotta soltanto quelle che si basano sul suo interesse privato88.

Si riconferma così la convinzione di quanto l’eccessiva affermazione dell’io individuale nei confronti di quello sociale possa generare il suicidio egoistico che allora dipende da una smisurata individualizzazione. Relativamente invece al

suicidio altruistico, questo è incoraggiato da un gruppo sociale che impone al

singolo il sacrificio della vita in nome di ideali che siano condivisi dal gruppo o dalla Nazione. Così il suicidio altruistico è l’esatto contrario di quello egoistico per cui si deduce che, da una parte, l’eccessiva individualizzazione, dall’altra, l’esagerata integrazione portino a un atto di soppressione volontaria di se stessi.

“L’uomo avulso dalla società si uccide facilmente quanto quello che è vi è troppo integrato”89. Nel caso altruistico si determinano eccessi di sacrificio a vantaggio della comunità. “Vecchi che si uccidono per non essere di peso; donne che, soprattutto nelle società povere o sottosviluppate, si uccidono per la morte del marito o del figlio; gregari o servitori che si uccidono alla morte dei capi; soldati che si uccidono per la gloria dell’esercito”, come afferma Roberto Guiducci90

. Sostiene lo stesso Durkheim: “ Sicuramente il sacrificio viene imposto per un fine sociale. Se il fedele non deve sopravvivere al capo o il servitore al principe, è perché la costituzione della società implica tra fedeli e padroni, tra ufficiali e re, una dipendenza così stretta da escludere persino l’idea della separazione. E il destino dell’uno deve essere quello degli altri”.91

E ancora:

87 É. Durkheim, Il suicidio. L’educazione morale, op. cit., p. 250 88

Ivi, pp. 257-258

89 Ivi, p. 266

90 R. Guiducci in É. Durkheim, Il suicidio, op. cit., p. 24 91 É. Durkheim, Il suicidio. L’educazione morale, op. cit., p. 269

47 Avendo chiamato egoismo lo stato in cui si trova l’io che vive la sua vita personale e obbedisce solo a se stesso, la parola altruismo bene esprime lo stato opposto in cui l’io non si appartiene, ma si confonde con cosa diversa da sé e dove il polo della condotta viene a trovarsi al di fuori cioè in un gruppo di cui un individuo è parte. Chiameremo suicidio altruistico quello risultante da un altruismo intenso. Però, dato che esso presenta anche il carattere di compimento di un dovere, la terminologia adottata deve esprimere anche questa particolarità; definiremo perciò suicidio

altruistico obbligatorio il tipo così individuato.92

I due aggettivi servono a definire questo tipo di suicidio visto come non necessariamente un suicidio altruistico sia anche obbligatorio. Ne esistono infatti alcuni che la società non impone espressamente. Per questo Durkheim ha voluto precisare l’esistenza di tre varietà di suicidio: suicidio altruistico, obbligatorio,

facoltativo e infine il suicidio acuto di cui quello mistico rappresenta il modello

perfetto. Le tre forme contrastano inevitabilmente con il suicidio egoistico essendo il primo legato a una dura morale che ritiene irrilevante ciò che riguarda esclusivamente l’individuo. Nel secondo caso si risponde a un’etica raffinata, che pone talmente in alto la personalità umana da non volerla subordinata a nulla, per cui tra queste due varietà si può individuare l’intera distanza che separa i popoli primitivi dalle Nazioni più colte93.

Infine Durkheim parla del suicidio anomico, sicuramente la forma più complessa derivante da squilibri sociali, per cui esso non si lega al modo in cui gli individui entrano a far parte della società, quanto piuttosto da come ne siano sottomessi. Questa tipologia di suicidio dipende dal disordine sociale, non tanto dalle crisi economiche o dalle fasi di recessione, quanto piuttosto da quelle di trasformazione, quando si verifichino brusche variazioni nelle situazioni socio- economiche o magari prima o dopo le rivoluzioni, insomma da tutto quanto possa turbare l’ordine collettivo. Scrive a questo proposito lo stesso Durkheim: “Ogni rottura di equilibrio, anche se apportatrice di un maggior benessere o di aumento della vitalità generale, spinge alla morte volontaria”94

. E, a sua volta, Roberto Guiducci commenta: “Quello che è molto interessante notare è che fenomeni analoghi si verificano non solo in casi di insuccesso o di difficoltà, ma anche in casi di boom, nei momenti di brusca prosperità, di rapida espansione”95

. Questo significa che l’eccesso di rischi e una tensione troppo alta nello sviluppo portano a

92

Ivi, p. 271

93 Cfr. É. Durkheim, Il suicidio, op. cit., p. 279 94 Ivi, p. 300

48 gravi anomie a cui corrisponde l’aumento dei suicidi. “Durkheim vede soprattutto nella velocità dei processi una delle cause di scompenso, di difficoltà e, quindi, di suicidio”96

. Luciano Cavalli può allora affermare: “Durkheim considera il suicidio soprattutto come segno di crisi della nostra società, travagliata da un cambiamento continuo e troppo rapido, che minaccia, con l’esistenza della società, anche quella degli individui.”97

In questo modo Durkheim sviluppa la sua teoria sociale del suicidio che è strettamente connessa a quanto egli sostiene nell’opera Divisione del lavoro

sociale. Il suicidio può verificarsi in una società caratterizzata da solidarietà organica, e quindi individualistica, indubbiamente per eccesso, per cui la

coscienza collettiva non ha più una forte presa tanto da non dare stabilità alla salute sia della società sia dei singoli individui.

Durkheim ricorre, come sempre, al metodo della valutazione concomitante e quindi del rapporto tra tassi di suicidio e realtà sociale, come è accaduto nella sua considerazione del rapporto tra tassi di suicidio e religione. Ciò significa che il suicidio egoistico si lega all’impossibilità dell’individuo di trovare una ragion d’essere nella vita, mentre quello altruistico è dovuto alla percezione di sentirsi al di fuori della vita stessa; il suicidio anomico deriva dal fatto che l’attività degli individui non è più regolata per cui essi ne soffrono. È quest’ultimo tipo di suicidio a interessare particolarmente Durkheim; soprattutto quello che più stupisce è il ricorso a tale atto nei tempi di espansione economica e di arricchimento. Ciò significa che qualsiasi cambiamento sociale molto rapido, che generi condizioni migliori o peggiori, rende più vulnerabili alle tendenze suicide.

È per questo motivo che Durkheim si sofferma a fondo sul problema dell’ordine, così da rilevare una volta di più come i bisogni materiali dell’uomo siano limitati, mentre diventino illimitati e insaziabili quelli morali per cui, essendo l’ordine sociale e l’equilibrio personale strettamente legati, essi si equilibrano soltanto se ai desideri è posto un limite dall’esterno, quindi dalle norme. Ecco perché lo squilibrio, la mancanza di norme, può dar luogo all’ultima tipologia di suicidio, quello anomico, che appare molto vicino a quello egoistico.

96 Ivi, p. 25

49 Non a caso Durkheim può sostenere:“In particolare ci sono due fattori di suicidio che hanno una specifica speciale affinità e sono l’egoismo e l’anomia”98

. Si tratta infatti di due diversi aspetti dello stesso stato sociale che possono incontrarsi in uno stesso individuo. L’egoista tende infatti alla sregolatezza poiché, essendo staccato dalla società, questa non lo può regolare. Anche la sregolatezza però non è priva di aspetti egoistici poiché, se fossimo ben socializzati, non ci ribelleremmo ai freni sociali.

In sostanza Durkheim rileva come i cambiamenti rapidi e improvvisi turbino e disturbino l’azione regolatrice della società. Il suicidio non è dunque determinato da volubili motivazioni individuali, quanto piuttosto da forze collettive, indipendenti dai singoli, che agiscono in maniera costrittiva su di loro attraverso la logica dell’egoismo, dell’altruismo o dell’anomia.

Su queste basi Durkheim può anche stabilire una relazione tra omicidio e suicidio tanto da rilevare che, laddove il primo appare molto sviluppato, è presente in misura minore il secondo. È tuttavia la suddivisione delle tre tipologie di suicidio a generare una considerazione diversa del loro rapporto con l’omicidio perché, quando prevale quello egoistico, l’omicidio diminuisce ma, quando si

tratta di suicidi altruistici, questi risultano indipendenti dal numero degli omicidi. Nel caso del suicidio anomico, Durkheim verifica una sorta di ambiguità tra le due

situazioni poiché accade spesso che il suicidio segua un omicidio effettuato oppure il suicidio può avvenire dopo un mancato omicidio. La netta divisione del lavoro fa sì che, nelle società contemporanee, a Durkheim siano presenti soprattutto il suicidio egoistico e quello anomico anche a causa di una netta divisione del lavoro. Nell’ultimo caso il suicidio si configura come una valvola di sfogo all’anomia.

Durkheim cerca di dimostrare come l’aumento della divisione del lavoro, poiché rende ciascuno dipendente dagli altri, generi un aumento di quella solidarietà che è il fine morale della società stessa. In presenza di anomia, quindi