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VIII. La grande eco del tema “totalitarismo”

VIII.I Gli studiosi in esilio

Fu dunque negli anni Trenta che importanti sociologi, come Franz Neumann, cominciarono a considerare il totalitarismo come elemento specifico del fascismo e del nazismo.

Al contempo, il concetto di totalitarismo cominciò ad essere utilizzato per accomunare Stati fascisti e comunisti. Ad alimentare questo parallelismo vi erano il Patto di non aggressione nazi-sovietico del 1939, il terrore staliniano dello stesso periodo e gli scritti degli esuli tedeschi che emigravano dalla Germania1.

Il grande boom dei pensatori tedeschi si avvertì durante gli anni Venti e gli anni Trenta, ma in seguito il loro pensiero ebbe un più ampio successo ovunque. A partire infatti dalla Scuola di Francoforte, la cui portata fu notevole, il dibattito si estese allo scenario culturale americano, e in particolar modo newyorkese, il quale si mostrò sensibilmente ricettivo al tema del funzionamento delle istituzioni democratiche tedesche.

Proprio degli ebrei, dei socialisti e dei liberali che furono costretti a scappare dalla Repubblica di Weimar quando il nazismo prese il potere, scrive la storica Mariuccia Salvati nella sua raccolta di testi Da Berlino a New York, dove sottolinea la loro influenza sulle scienze sociali americane. Il suo volume riporta le loro riflessioni sulla sconfitta della democrazia e sul consenso al regime hitleriano, concentrandosi sull’analisi della “classe media” e fornendo un’antologia dei testi più significativi di questo dibattito.

Una volta emigrati, questi “terminali” del tessuto nervoso di Weimar appaiono per quello che sono: una “rete” di marxisti democratici che hanno, spesso separatamente, già maturato al momento dell’esilio alcune convinzioni comuni in materia di stratificazione sociali, tra le altre: a) che la classe media era stata cruciale nell’ascesa del nazismo; b) che l’economicismo della socialdemocrazia aveva impedito un’adeguata strategia di alleanze sociali; c) che il dominio totalitario nazista segnava il superamento della “classe” – come classe per sé – nella “massa”: d) che le origini di questi sviluppi

1 Kershaw, Cos’è il nazismo?, cit., p. 37

192 andavano cercate nelle società capitalistico-borghesi, ma a partire da una storia sociale e culturale della Germania2.

Sebbene alcuni emigrassero singolarmente, appartenevano tutti allo stesso nucleo di partenza, riconducibile alla politica sociale weimariana ed erano accomunati dal loro lavoro per i sindacati e per il partito socialdemocratico.

Lo scopo delle scienze sociali tedesche in esilio era quello di interrogarsi circa le origini del nazismo e di prevenire una sua eventuale espansione, ma in particolar modo quello di identificare le specificità tedesche (Deutscher Sonderweg) che provocarono il fallimento del liberalismo in Germania e conseguentemente favorirono l’ascesa del nazionalsocialismo3. Infatti, gli osservatori americani erano «più propensi ad accogliere la tesi della specificità della storia tedesca piuttosto che quella dello sviluppo inesorabilmente autoritario del modello di società capitalistica»4.

Agli occhi degli scienziati sociali degli anni trenta, infatti, la classe media, e soprattutto la “nuova” classe media, appariva sia come la principale responsabile del successo elettorale nazionalsocialista, sia come la vittima par excellence della crisi economica del capitalismo. Ecco perché qui si è scelto di isolare il dibattito sulla nuova classe media in connessione con l’ansia circa le sorti della democrazia, quell’ansia cioè che accomuna fra le due guerre le moderne società industrializzate e che avvicina gli scienziati sociali di qua e di là dell’oceano, prima ancora che il nazismo si incarichi di “facilitarne” la conoscenza personale tramite l’esilio di molti di loro5.

Vi fu dunque una grande attenzione per i cosiddetti “colletti bianchi” tedeschi come «metafora della classe media, ma soprattutto come «sintomo e simbolo dell’intera società moderna»6, per la loro mentalità, la loro stratificazione sociale e la loro mobilitazione all’interno della società.

Tra i nomi principali che parteciparono a questo dibattito vi sono quelli di Emil Lederer, considerato uno dei capofila degli scienziati sociali emigrati, noto per la «correlazione che egli stabilisce tra situazioni economiche e stato psicologico, fra determinismo economico e libertà personale»7 e lo studioso dei ceti medi Jürgen Kocka. Nell’analizzare le ragioni che spinsero gli

2 M. Salvati, Introduzione, cit., p. 6.

3 Ivi, pp. 1-7.

4 Ivi, p. 11. 5 Ivi, pp. 12-13. 6 Ivi, p. 15. 7 Ivi, p. 106.

193 impiegati a votare in massa per il partito nazista, portandolo al successo elettorale, vi si ritrovano nuovamente delle specificità socioeconomiche tedesche, come la loro posizione strategica a livello giuridico e sindacale e i vantaggi istituzionali che possedevano rispetto alla classe operaia8.

Prima dunque di concentrarsi sul tema del consenso manipolato da parte del regime, si indaga su chi scelse tale regime.

Salvati riporta il pensiero del sociologo Croner, secondo il quale: «Il gruppo degli impiegati, la cui posizione sia nella società che in rapporto al lavoro si è fatta davvero precaria, cerca rifugio in un’ideologia per compensarsi della perdita di importanza e di influenza»9.

La classe media fu il ceto più colpito dalla concentrazione economica e dalla razionalizzazione produttiva del sistema capitalistico, e sebbene per condizioni salariali, disoccupazione e ritmi di lavoro si avvicinasse sempre di più ai proletari, cercava di mantenere una certa distanza dalla classe operaia per salvaguardare la propria posizione10.

[…] sfugge quanto l’Angestellte (impiegato) fosse intrinsecamente condizionato, formato, attaccato a quella crescita capitalistica che pure oggettivamente lo lasciava, privo di ogni sicurezza, in balìa di uno spietato mercato del lavoro. Cittadino ideale delle moderne città di servizi, vive l’ansia di una crisi mondiale che colpisce quel capitalismo che l’ha creato e, spaventato, proclama di volere un mondo che neppure ha conosciuto, sotto lo sguardo ironico e anche un po' irritato di coloro che l’osservano11.

La sociologia degli anni venti e degli anni trenta studiava in modo particolare la comparsa di una «nuova» classe media caratterizzata da un moderno stile di vita, tipico di quello che sarà il secondo dopoguerra, diversa sia dagli operai che dai vecchi funzionari tedeschi, attratta dai cinema e dalle palestre, dall’intrattenimento in generale e dal consumismo. Erano impiegati prigionieri di una società e di un’ideologia che non gli apparteneva, in cerca di un programma politico che trovasse una soluzione al loro desiderio di adattamento e senso di smarrimento, dovuto alla meccanizzazione del lavoro delle nuove aziende moderne e alle pressioni psicologiche della nuova

8 Ivi, pp. 13-23.

9 Ivi, p. 30. 10 Ivi, pp. 27-30. 11 Ivi, p. 38.

194 struttura aziendale12. Sebbene il nazionalsocialismo fosse privo di un programma razionale offriva «parole d’ordine vaghe» che sapevano cogliere «le ansie e le paure segrete»13.

A partire da queste considerazioni rimaneva di fondamentale importanza per gli emigrati tedeschi in paesi democratici, in particolar modo a cavallo degli anni trenta, comprendere perché il destino della Germania fosse stato diverso da quello degli Stati Uniti. Indagavano il ruolo delle classi medie nel crollo della democrazia di Weimar e cercavano di capire perché proprio nel loro Paese queste classi avessero provocato l’ascesa del movimento nazionalsocialista14.

La connessione tra classe media e vittoria del partito nazista, tra «stratificazione sociale e orientamento politico»15, che nacque in Germania con le elezioni del 1932, si estese in seguito alla politologia americana e determinò profondamente lo studio dei ceti medi negli Stati Uniti. Ciò avvenne non solo perché i migliori sociologi tedeschi approdarono oltre oceano, ma anche perché gli eventi tedeschi portarono a chiedersi che ruolo avrebbe giocato la classe media americana nel determinare le sorti della democrazia statunitense16.

Si trasferì cioè in America l’ansia di capire chi diede il potere ad Hitler. Come abbiamo già visto in Neumann, la linea di pensiero principale rimase la critica alla socialdemocrazia, incapace di adattarsi alla nuova realtà e sul «mancato funzionamento delle infrastrutture borghesi preesistenti come precondizione della vittoria nazista»17. Anche negli Stati Uniti la piccola borghesia tedesca era stata classificata come «un’entità socialmente indifferenziata», colpita dalla crisi più psicologicamente che materialmente, spaventata dall’avanzare del movimento operaio e profondamente risentita per la sconfitta della guerra e il fallimento della Repubblica. Anche i sociologi americani riconoscevano che nel nuovo mercato concorrenziale capitalistico, la figura dell’ebreo potesse essere facilmente identificata come quella di un nemico e identificarono il partito nazista come «catch-all-party, con una base fluida ed eterogenea»18.

12 Ivi, pp. 37-40. 13 Ivi, p. 45. 14 Ivi, pp. 38-42. 15 Ivi, p. 66. 16 Ivi, pp. 50-53. 17 Ivi, p. 59. 18 Ivi, pp. 51-59.

195 «È negli anni trenta che la sociologia americana conosce una rilevante espansione alla sua periferia. Cresce la sua popolazione e il suo prodotto e in questo è aiutata dalla Grande Depressione e dall’influenza dei rifugiati tedeschi e austriaci»19.

Nasceva la cosiddetta «Università in esilio» e nel 1934 veniva pubblicata per la prima volta la rivista Social Research. «Pubblicata dalla Graduate Faculty of Political and Social Science of the New School for Social Research a New York, aveva un comitato direttivo composto da scienziati sociali quasi tuti appena giunti dalla Germania»20.

Questi sociologi tedeschi emigrati davano un contributo alla sociologia americana e soprattutto costituivano un ponte per la divulgazione degli studi sociologici tra l’Europa e gli Stati Uniti. La ricezione dei temi dei colleghi tedeschi era particolarmente favorita dell’apertura mentale che caratterizzava l’ambiente della New School, dove si cominciava ad interrogarsi circa il futuro della democrazia. Le preoccupazioni nascevano non solo dai vari movimenti sociali o dal distacco intellettuale dal contesto sociale, ma soprattutto dalla disoccupazione crescente, considerata un elemento pericoloso per la stabilità democratica, visto il precedente tedesco21.

Tra i nomi più ricorrenti dell’analisi di Salvati vi è Franz Neumann, il quale distingueva tre tipi di emigrazione: «coloro che erano disposti all’abbandono senza condizioni delle precedenti posizioni intellettuali, coloro che invece restavano aggrappati a esse considerando con sdegno il mondo che li circondava e infine – era questa la posizione per Neumann più difficile, ma anche la più pagante - coloro che tentarono di integrare le nuove esperienze con la vecchia tradizione»22.

Oltre ad interrogarsi sui pericoli che potevano comportare la disoccupazione e la disgregazione sociale, lo studioso emigrato, che rappresentava «l’intermediazione fra due culture»23, si chiedeva se la classe media americana potesse essere paragonata a quella tedesca che aveva permesso l’ascesa del nazionalsocialismo.

Il precedente europeo sollecita una riflessione sull’”eccezionalismo” democratico americano da parte degli scienziati politici e invita a ricollocare il trend mondiale di crescita della classe media sulla scena politica del xx secolo nell’alveo di una tradizione storica, specifica della società americana, 19 Ivi, p. 69. 20 Ivi, p. 67. 21 Ivi, pp. 68-76 22 Ivi, p. 70. 23 Ivi, p. 129.

196 caratterizzata, da un lato, dal ruolo dell’opinione pubblica nel funzionamento democratico, dall’altro dal populismo liberal-progressista della sua classe media24.

Mentre l’apporto dei rifugiati tedeschi e austriaci era il senso della crisi della storia e la possibilità che tutto ciò che veniva considerato come stabile potesse decadere, la tendenza generale in America, al contrario, era quella di considerare l’equilibrio sociale e la presa di coscienza comune come soluzioni ancora vincenti. Negli Stati Uniti la classe media si appellava alle tradizioni progressiste di difesa dell’interessa comune, mentre nella Germania di Weimar il ceto medio doveva ancora costruire il proprio ruolo autonomo.

Di fronte alla situazione tedesca e alle lacerazioni sociali che provocava la crisi economica, cominciava a crescere l’interesse per il funzionamento dell’opinione pubblica e in particolare, per la capacità di mobilitarla con la falsa propaganda. Si temeva che anche in America, così come era successo in Europa la «passività politica della classe media» e la sua vulnerabilità psicologica potesse provocare la sconfitta della democrazia. Il timore era quello che la maggioranza potesse diventare vittima della propaganda e quindi porsi al servizio di interessi particolari disinteressandosi dei diritti delle minoranze. La democrazia statunitense era minacciata dalle trasformazioni sociali che aveva portato l’evoluzione industriale, quale la nascita di gruppi antagonisti25, ma soprattutto «l’ansia di uniformità sociale»26.

«La differenza stava semmai nel fatto che in America la classe media non nasceva come “residuo” della grande borghesia o per timore della classe operaia, ma era una creazione nuova, “in grado di forgiare il proprio sistema di valori senza dover competere né con l’aristocrazia né con il proletariato»27.

La centralità della classe media negli Stati Uniti, e quindi del suo orientamento politico, veniva garantita dal fatto che, rappresentando la maggioranza della società, era identificabile con l’opinione pubblica generale. Non vi era una distinzione in merito alle condizioni socio- economiche, bensì una fiducia negli sviluppi democratici del capitalismo e nell’attivazione della coscienza psicologica e politica dei cittadini che potesse scongiurare la creazione del fascismo in America. Seguendo le proprie tradizioni i ceti medi qualificati della classe media statunitense,

24 Ivi, p. 84. 25 Ivi, pp. 85-91. 26 Ivi, p. 103. 27 Ivi, p. 100.

197 avrebbero potuto evitare di seguire le orme dei loro eguali tedeschi che erano rimasti a guardare il crollo della loro democrazia. Per sfuggire ai condizionamenti dell’opinione pubblica dei regimi non-democratici, bisognava fare «ricorso alla libera associazione come mezzo per scoprire la verità, la giustizia». Secondo la generale convinzione americana, nel caso in cui si fosse dovuto scegliere tra fascismo e socialismo le classi medie si sarebbero alleate con i lavoratori, optando per un orientamento democratico28.

In generale l’influenza tedesca nella sociologia americana fu notevole, come la rappresentazione di Lederer del totalitarismo come «sforzo riuscito di annegare la “società” nella “massa”»29. La lezione principale che proveniva da Weimar era quella di identificare lo stato dittatoriale moderno come un regime basato sul terrore che istituzionalizzava le masse rendendole apatiche e incapaci di reagire, che incanalava i «peggiori istinti delle masse sul “nemico esterno”» e che controllava burocraticamente ogni sfera della vita privata30.

Nella riflessione sulla potenza del regime nazista si ritrovavano degli antidoti a questo male nella «democrazia capitalistica, dove il principio della sovranità politica si concilia con quello della libertà personale», ma allo stesso tempo si prestava molta attenzione «alle trasformazioni tecnologiche, finanziarie ed economiche del capitalismo»31.

«La correlazione fra sviluppo tecnologico e disoccupazione è ricondotta alla presenza di variabili non tecnologiche, come il ritmo di crescita della popolazione, dei consumi, del potere di acquisto o dei mezzi di circolazione»32. Tuttavia, «non bisogna credere che le tecnologie moderne abbiano interrotto del tutto il movimento per l’emancipazione dell’individuo. Il moderno sistema di produzione può procedere permanentemente in accordo con i suoi intrinseci impulsi dinamici purché vi sia libertà nella sfera intellettuale»33.

La tecnologia in ultima istanza fornisce solo i mezzi che poi possono venir utilizzati per domini che sfruttano le masse o per sistemi sociali completamente diversi. Le minacce intrinseche nei nuovi sistemi di produzioni e nelle trasformazioni dovute all’industrializzazioni potrebbero essere

28 Ivi, pp. 93-99. 29 Ivi, p. 110. 30 Ivi, pp. 112-113. 31 Ivi, pp. 116-117. 32 Ivi, p. 117. 33 Ivi, p. 118.

198 superate proprio grazie alle «potenzialità tecnologiche». La sfida principale deve essere intrapresa dall’intellettuale che deve essere in grado di difendere le basi della democrazia ovvero il senso etico e la libertà di pensiero34.

«La tensione fra le richieste immediate delle autorità di occupazione americana e gli obiettivi di lungo periodo (cioè lo sradicamento delle tendenze aggressive che avevano trovato espressione nel movimento nazista) permea tutti i documenti elaborati dagli emigrati socialisti, formatisi alla scuola di Francoforte e pertanto consapevoli della vulnerabilità di un liberalismo solo formale di fronte al pericolo nazista»35.

In conclusione, tutti gli studiosi emigrati riflettevano sul loro passato ed erano preoccupati per un’ulteriore rinascita ed espansione del nazismo. Discutendo sul tema della ricostruzione della Germania erano tutti concordi sulla necessità di trovare le basi per un governo e una società democratica, partendo dall’estirpazione dei germi autoritari tipicamente tedeschi, considerati la causa dell’aggressività e della violenza sia interna che esterna e superando «la pressione dei gruppi di interesse»36.

È a partire dall’esperienza weimariana e dal confronto con una democrazia vincente, infatti, che si manifesta cruciale per questi esiliati la ricerca dei meccanismi, dei dispositivi tecnici, che consentono la sopravvivenza di una società democratica: dunque la rinuncia al carattere “panstatuale” del pluralismo weimariano37. […] Rimaneva, […] come unica strada praticabile, la “riduzione” dell’angoscia attraverso la delimitazione del territorio della politica, la salvaguardia dell’ambito privato, la rinuncia all’utopia, la scelta per una società dove fosse comunque possibile, insieme a un responsabile impegno civile, la testimonianza morale e intellettuale del singolo38.

La maggior parte di questi sociologi, accomunati dall’essere ebrei o socialisti e quindi emarginati, si scontravano con una realtà fortemente democratica, e indagando sulle «origini sociali del nazismo», individuavano il liberalismo americano come miglior orientamento politico. Da un lato erano affascinati dalla libertà e dalla democrazia, ma dall’altro continuavano a temere che la loro

34 Ivi, pp. 118-119. 35 Ivi, p. 136. 36 Ivi, pp. 136-141. 37 Ivi, p. 138. 38 Ivi, p. 143.

199 esperienza vissuta in Germania potesse ripetersi, soprattutto nella nuova società moderna, segnata da nuovi sviluppi e crescente omologazione39.