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III. Le memorie di Victor Serge

III.IV Il programma del nuovo partito

«Qual è il vostro contegno circa la decisione del Congresso che ha pronunciato l’esclusione dell’opposizione?» Risposi: «Mi sottometto per disciplina a tutte le decisioni del partito, ma ritengo che quello sia un errore grave, le cui conseguenze saranno funeste, se non viene presto riparato». […] «Compagno, avete detto proprio un errore? Pensate che il congresso del partito può sbagliarsi e commettere errori?»45.

Anche Serge venne escluso nel XV Congresso e arrestato pochi giorni dopo. Le pressioni di molti intellettuali a Parigi permisero poi la sua scarcerazione dopo un paio di mesi nel 192846.

La censura totale che permetteva di pubblicare solo all’estero, a meno che non si fosse in linea con il partito, rendeva impossibile la vita degli intellettuali. «La letteratura dalle ricche sorgenti spirituali era stata strangolata dal regime totalitario»47. Non esisteva più libertà creativa e libertà d’opinione, gli scrittori e gli intellettuali si sottometteva e si conformavano all’ideologia del regime, si adattavano alle volontà delle classi dominanti: «si prostituivano al regime». Gli altri, quelli che resistevano, dovevano lottare contro le umiliazioni, contro gli arresti, le perquisizioni della GPU e i suicidi.

Chi come Serge continuava a resistere non riusciva ad accettare la sottomissione totale, l’obbedienza zelante dettata dalla debolezza e della stupidità e l’ingiustificabile silenzio di fronte alla morte dei propri amici, ma tutti sapevano che avrebbero potuto esser fucilati in qualsiasi momento48.

Per il suo pane quotidiano, per la sua tessera alimentare, per il suo alloggio, per il suo combustibile durante il duro inverno russo, l’individuo dipende dallo Stato contro cui è assolutamente indifeso. E colui che si è levato contro lo Stato-partito in nome della libertà d’opinione reca con sé, dovunque vada, le stimmate del sospetto. Il po' di libertà che gli resta e lo stesso suo coraggio – che sembra insensato- suscitano uno stupore misto di inquietudine49.

45 Ivi, p. 268. 46 Ivi, p. 270. 47 Ivi, p. 296. 48 Ivi, pp. 292-305. 49 Ivi, p. 272.

66 I membri dell’opposizione che fecero abiura sapevano di tradire la verità e gli ideali in cui credevano, ma erano anche consapevoli del fatto che altrimenti lo Stato avrebbe tolto loro tutto e che la potenza illimitata dell’apparato poliziesco li avrebbe eliminati.

Bisognava lottare contro le pressioni e le violenze di un regime totalitario, in un contesto in cui, di fatto, lo Stato aveva dichiarato guerra ai contadini. Il rifiuto dei contadini di consegnare il proprio grano allo Stato fece scatenare violente requisizioni forzate e l’unico modo per costringere i contadini a sottomettersi a questo sistema era la formazione di una politica basata sulla cooperazione obbligatoria, sulle aziende agricole (kolchozy) e sulle fabbriche di cereali statali (sovchozy). Le requisizioni di grano erano fondamentali, perché dalla loro esportazione si sarebbero ricavati i proventi per l’industrializzazione e gli investimenti per l’industria.

Si sarebbe potuto optare per altri meccanismi e altre riforme, ma il regime adottò «soluzioni di violenza spaventosamente inumane e onerose, quelle della collettivizzazione totale e dell’industrializzazione totalitaria»50.

«Quante vittime ha fatto la collettivizzazione totale, risultato dell’imprevidenza, dell’incapacità e della violenza totalitarie?»51.

Oltre a criticare l’isolamento del ceto politico, l’allontanamento dall’intelligencija e l’intensificazione dello sfruttamento operaio, l’opposizione considerava la collettivizzazione forzata come il pericolo più grave per l’esistenza del sistema sovietico. Non era solo una violazione dei principi umanitari, ma anche elemento di rottura nei rapporti di produzione delle campagne russe e minava la forza della rivoluzione, dal momento che l’Armata rossa era costituita in larga parte da figli di contadini. Una simile politica non poteva portare alla conciliazione con le masse contadine all’interno del Paese e nemmeno verso un cambiamento politico in senso democratico, bensì assicurava la stabilizzazione del gruppo dominante e sosteneva la dominazione personale di Stalin52.

«Tutto si svolgeva nell’industrializzazione in mezzo a un tale spreco e sotto un regime autoritario talmente intrattabile che era possibile trovare «sabotaggio» dovunque e continuamente»53.

50 Ivi, p. 427.

51 Ivi, p. 276.

52 Andrea Panaccione, L’immagine dell’Urss nell’emigrazione menscevica: F. I. Dan, in Marcello Flores - Francesca Gori (a cura di), Il mito dell’Urss, la cultura occidentale e l’Unione Sovietica, Feltrinelli, Milano, 1989, pp. 61-81. 53 V. Serge, Memorie, cit., p. 278.

67 Dal 1929 al 1936 sparirono milioni di famiglie contadine e i piccoli borghesi furono deportati verso il nord glaciale e verso le steppe, con l’accusa di essere una minaccia per il potere centrale dello Stato. Gli obiettivi di produzione del piano industriale venivano continuamente gonfiati, seguendo quella che Boris Souvarine chiama l’«anarchia del piano»54 e i razionamenti costanti facevano sì che mancasse ogni genere alimentare.

Tra i puniti, deportati o uccisi, moltissimi tecnici, che venivano continuamente accusati di sabotaggio, anche quando si trovavano in situazioni così drammatiche da non poter lavorare. Mancavano gli strumenti e mancavano i materiali, ma la colpa dei ritardi, delle difficoltà, dei fallimenti e dei mancati risultati, impossibili da raggiungere in una tale situazione economica veniva imputata a loro, sotto forma di accusa di sabotaggio o secondo le parole di Souvarine di «controrivoluzione economica»55. Alla stessa fine erano destinati coloro che avevano previsto le disastrose conseguenze delle misure imposte dal regime, i quali venivano accusati di collaborazionismo. Durante la terrificante ondata di arresti del 1928 molti confessarono cercando di evitare gli interrogatori di venti-trenta ore che, sotto tortura, portavano al completo esaurimento, altri seguirono il regime per semplice paura.

L’Ufficio politico sapeva già quali sentenze doveva dettare, mentre i processi erano solo una facciata e uno strumento per manipolare l’opinione pubblica interna ed esterna56.

«Tra il 1930 e il 1934, il nuovo regime totalitario si mantenne soltanto con il terrore»57.

Tuttavia: «Nessuno accettava di vedere il male così grande quanto era. Che la controrivoluzione burocratica fosse giunta al potere e che un nuovo Stato dispotico stesse uscendo dalle nostre mani per schiacciarci, riducendo il paese al silenzio assoluto, nessuno, nessuno tra di noi voleva ammetterlo»58.

Quel partito al governo era ormai diventato totalitario e come diceva Trockij dal suo esilio era «malato», ma restava sempre il loro partito socialista e proletario. Nell’ideologia dell’opposizione, il patriottismo di partito impediva loro di ribellarvisi, sebbene venissero scomunicati, imprigionati

54 Ivi, p. 277.

55 B. Souvarine, Stalin, cit., 1983, p. 587. 56 V. Serge, Memorie, cit., pp. 276-282. 57 Ivi, p. 282.

68 e assassinati e addirittura spingeva all’avvicinamento a Stalin, contro la destra del comitato centrale tendente al capitalismo.

L’opposizione, ad ogni modo, non veniva solo dalla sinistra ormai esclusa, perché si erano create delle spaccature all’interno del partito stesso. L’opposizione di destra di Rykov, Tomskij, Bucharin, anche se debole e quindi presto schiacciata dalla nuova epurazione, mostrava che non vi era affatto un totale consenso alle politiche del regime. Si levavano infatti contro Stalin, contro la sua politica di collettivizzazione forzata e contro i pericoli di un’industrializzazione affrettata e senza risorse59. Nel 1928 Bucharin diceva riguardo a Stalin: «Che fare in presenza di un avversario di questo genere: Gengis-Khan, sottoprodotto del CC? Se il paese perisce, finiamo tutti noi (noi, il partito). Se il paese se la cava, lui pure riesce a cavarsela e noi finiamo lo stesso»60.

La superiorità della pianificazione, per inabile e tirannica che fosse, rispetto all’assenza di piano, appariva chiara anche ai nostri occhi. Ma noi non potevamo, a differenza di tanti turisti stranieri e giornalisti borghesi ingenuamente inclini ad adorare la forza, non constatare che le spese generali della creazione industriale erano centuplicate dalla tirannia. Restavamo convinti che un regime di democrazia sociale avrebbe fatto meglio, infinitamente meglio, e di più, con meno costi, senza carestia, senza terrore, senza soffocamento del pensiero61.

Anche se era difficile tradire il partito, era orami diventato impossibile chiudere gli occhi di fronte alla violenza, il cinismo e l’inumanità che metteva in atto il temibile apparato burocratico, contro i tecnici e contro gli scrittori o di fronte alle violenze che doveva subire la popolazione per attuare gli assurdi piani economici imposti dal regime62.

Stalin ossessionato dall’idea dei nemici interni e dell’accentramento esterno, applicava i meccanismi della guerra alla vita civile, e attribuiva le crisi e i mancati successi, non alle scelte economiche e politiche, non alla mancanza di risorse, bensì ai nemici di classe che identificava come sabotatori.

Oltre ai tecnici e agli ingegneri, si trattava anche dei contadini più ricchi, i contadini medi che si rifiutavano di consegnare il grano allo stato e imponevano la loro resistenza distruggendo il

59 Ivi, pp. 282-289. 60 Ivi, p. 289. 61 Ivi, p. 292.

69 bestiame piuttosto che consegnarlo al regime, preferendo la carestia alla scarsità imposta dall’alto. Erano loro ad essere considerati la causa principale della crisi e furono loro ad essere deportati in quanto classe, diventando così vittime della dekulakizzazione63.

Tra le vittime della centralizzazione del partito anche i quadri più vicini alle rivendicazioni dei contadini, che venivano esclusi e accusati di qualsiasi tipo di deviazione dalle linee del partito.

Il socialismo era incompatibile con il sistema staliniano. Quel socialismo per il quale il popolo fece la rivoluzione fu corrotto da un eccesso di burocratismo64.

Stalin aveva costruito un socialismo senza i suoi elementi basilari. La sua propaganda degli anni ’30 rievocava il mito di un socialismo già realizzato, ma la sua era un’abile strategia per sfruttare la debolezza psicologica delle masse. Per difendersi dalla dura realtà, dalle difficili condizioni di vita e dalla mancanza di diritti, si cercava di costruire un’ideologia secondo la quale il popolo sovietico aveva dato vita a una società unica e soprattutto superiore a quella di tutti gli altri paesi. I progressi industriali e i grandi balzi in avanti venivano decantati per far credere alle masse di vivere in una società magica, mentre i problemi venivano nascosti sotto il tappeto.

Il principio base del socialismo vedeva l’uomo come detentore dei mezzi di produzione e degli strumenti di potere, come centro della società, mentre nel sistema staliniano l’uomo era al centro del volere dispotico del dittatore e della burocrazia, privato di ogni elemento di indipendenza e autorealizzazione. A questo si aggiunge il livellamento etnico, linguistico e culturale al quale erano sottoposti tutti i popoli dell’Urss che conseguentemente venivano privati di una propria identità. La società che costringeva a fare code interminabili per un pezzo di carne e attese infinite per un’automobile, che costruiva immense fabbriche senza pensare ai servizi primari della popolazione e che vietava ogni libero pensiero, non poteva essere considerata compatibile con i principi del socialismo. Nessuno otteneva secondo le proprie necessità o secondo il proprio lavoro, tutto veniva manovrato da una burocrazia dispotica. Dal momento che l’uomo non può essere padrone dei mezzi di produzione e degli strumenti di gestione non può realizzarsi e affermarsi

63 V. Serge, Memorie, cit., pp. 274-275.

64 Len Karpinskij, Il mito dell’Urss nella cultura occidentale, in Marcello Flores - Francesca Gori (a cura di), Il

70 nella società mediante il suo lavoro. In tutto ciò si è creata una dottrina, ma non si parla di socialismo, bensì stalinismo65.

Secondo Stalin era necessario un rafforzamento dell’industria sovietica e in particolare di quella bellica, per garantire l’indipendenza all’Urss, accerchiata e minacciata dai capitalisti. Veniva cioè riproposta un’economia di guerra in tempi di pace66. La pianificazione era una riproposizione delle scelte fatte durante il comunismo di guerra, solo che non si trattava più di scelte sociali e politiche dettate da fattori esterni e dalla mobilitazione alla guerra, bensì di scelte economiche, come l’industrializzazione forzata e l’eliminazione della moneta del 1929, volontariamente attuate perché paradossalmente considerate vincenti67.

Parallelamente veniva avviato nel 1928 il primo piano quinquennale: si doveva avviare la totale militarizzazione dell’industrializzazione, gli operai dovevano essere sfruttati al massimo e si dovevano creare opere maestose e grandiose, come le famose acciaierie di Magnitogorsk o le sontuose dighe costruite sul Dnepr.

L’obiettivo era quello di dimostrare che l’Urss era indipendente e che era una grande potenza al pari di quelle capitalistiche dell’Occidente. Nel 1929 la storia sembrò quasi dimostrare che i sovietici avevano ragione. Con la crisi di Wall Street sembrò davvero che il socialismo potesse essere un’alternativa al capitalismo e il successivo piano New Deal attuato per salvare la situazione economica, sembrava dimostrare che la strada dell’interventismo statale nell’economia fosse quella giusta da seguire.

Nel 1931 moltissimi ingegneri occidentali si recarono in Urss e, particolarmente condizionati dallo shock di Wall Street, rimanevano colpiti dall’immenso balzo produttivo. Ammiravano il carattere pianificatore dello stato, l’elemento nazionalistico, il gigantismo e il sacrificio della popolazione per arrivare a tale produzione. Il piano sembrava essere la soluzione e le carenze venivano attribuite all’organizzazione della società e ai cosiddetti sabotatori incolpati dalla propaganda ufficiale. Inizialmente tutto poteva sembrare credibile, ma ben presto le reali condizioni di vita

65 Ivi, pp. 110-112.

66 Ivi, pp. 272-276.

71 della popolazione e le sofferenze che dovevano subire per creare la facciata di grandiosità vennero presto rese pubbliche68.

Verso il 1927-28 il pubblico di visitatori si era allargato a ingegneri, economisti, giornalisti, sociologi e filosofi attratti dagli immensi risultati del piano quinquennale e dalla realizzazione di un progetto affascinante. La maestosità delle opere sovietiche e l’uso ossessivo di numeri e statistiche stupiva questi particolari turisti che con speranza stavano a guardare la realizzazione di questo progetto e la creazione di un nuovo mondo. Riconoscevano nell’industrializzazione accelerata l’anima del socialismo e la soluzione ai problemi economici che stavano affliggendo il mondo occidentale, come la disoccupazione crescente69.

Con la pianificazione centrale si sperava di dar vita a una società migliore, ma le aspettative si dimostrarono bel lontane dalla realtà e inoltre la pianificazione ebbe ripercussioni inattese che costituiscono ancora oggi un problema, come la proliferazione di funzionari a tutti i livelli, la nascita di meccanismi informali per far fronte al sistema ufficiale e l’occultamento dei reali risultati della pianificazione70.

La maggior parte degli ingegneri nei confronti dell’Urss aveva un duplice atteggiamento, di ammirazione per il coinvolgimento professionale e lo sforzo economico e tecnologico, ma anche di rifiuto per le condizioni di vita e per il sistema politico. Si passava dal celebrare i processi e a giustificare le politiche di Stalin, alla critica e alla disillusione. Gli operai occidentali che trascorrevano un periodo di tempo all’interno di quelle fabbriche, sottolineavano l’assenza di organizzazione, le cattive condizioni degli operai poco preparati, una vita fatta di razionamenti e la costante pressione dall’alto. Oltretutto, l’industria sovietica non era comunque in grado di competere con quella capitalista71.

La situazione reale, come descrive Souvarine, era ben distante dalla propaganda, caratterizzata dagli scioperi dei contadini frustrati, dalle carestie e dal brigantaggio, dalla resistenza contadina

68 Pier Luigi Bassignana, Fascisti nel paese dei soviet, Bollati Boringhieri, Torino, 2000.

69 Marcello Flores, Fra modernizzazione e alternativa al capitalismo: l’Urss nella riflessione dei viaggiatori occidentali, in Marcello Flores - Francesca Gori (a cura di), Il mito dell’Urss, la cultura occidentale e l’Unione Sovietica, cit., pp. 117-132.

70 Ivi, p. 433.

72 che si trasformava in attentati e rivolte. Nelle città la situazione non migliorava: le tessere, il razionamento, le file interminabili, la disoccupazione e l’aumento dei prezzi, la diffusione della criminalità e della prostituzione. L’industria non faceva che produrre beni di scarsa qualità e le condizioni degli operai erano all’estremo. L’unica cosa che non mancava era la vodka, il che provocava gravi conseguenze a livello fisico e morale72.

Nessuno dei programmi economici era stato rispettato e non era stato raggiunto nessun paese capitalista civilizzato, ma questo non impediva a Stalin di vantarsi della grandiosità dei lavori, di realizzare false statistiche per ingigantire i risultati e di paragonarsi a Ivan il Terribile e Pietro il Grande che avevano reso grande il loro stato affidandosi agli ingegneri e ai tecnici. Come nel passato tuttavia, come era già successo con i due zar, il piano di Stalin dimostrava ancora una volta come i sovrani russi cercassero di realizzare immense opere di facciata, spesso senza nemmeno raggiungere gli obiettivi prefissati e al costo di enormi spese e inutili sacrifici73. Paragonato a Pietro I e Nicola I, «Stalin non è stato un innovatore, ha soltanto portato l’esagerazione al di là di ogni decenza»74.

Vedendo il proprio mondo ormai allo sfacelo, i capitalisti individuavano in questa nuova società una speranza e cercavano una sicurezza. Tuttavia, ad eccezione dei comunisti più convinti, nessuno pensava davvero che il sistema visto all’opera in Unione Sovietica potesse essere praticabile nei paesi occidentali, dal momento che non si era pronti a sacrificare la libertà e la democrazia popolare in nome della piena occupazione, della grandiosità, della subordinazione alla realizzazione e dello sviluppo accelerato75.

72 B. Souvarine, Stalin, cit., pp. 601-602. 73 Ivi, pp. 655-668.

74 Ivi, p. 675.

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