IV. Stalin come un dittatore in un regime totalitario
IV.III Olocausto: conseguenza del terrore comunista?
Lo storico tedesco Dieter Groh, ha riportato i temi della disputa storica della Repubblica federale tedesca del periodo ’86-’87, ma che continuano ad essere attuali.
Nella prima questione ci si chiedeva se l’annientamento degli ebrei da parte del Terzo Reich, identificato come assassinio razziale, dovesse essere considerato come fenomeno unico o se si potesse paragonarlo ad altri stermini di massa come l’annientamento dei kulaki da parte di Stalin, identificato come assassinio di classe. Nella seconda ci si chiese se ci potesse essere un collegamento causale tra i delitti compiuti nel periodo di Stalin e i fatti dell’Olocausto, identificando come elemento di connessione la paura di Hitler nei confronti del bolscevismo. La disputa si accese intorno a dei saggi del famoso storico berlinese del fascismo Enrst Nolte, il quale espone chiaramente la sua tesi secondo la quale il fascismo nei diversi paesi europei, e in particolar modo il nazismo e i suoi crimini, sarebbe nato come reazione al bolscevismo russo77.
75 Ivi, p. 40.
76 Ivi, p. 105.
77 Dieter Groh, La fusione di due miti: la rivoluzione russa e il bolscevismo come causa dell’Olocausto? in Marcello Flores - Francesca Gori (a cura di), Il mito dell’Urss, la cultura occidentale e l’Unione Sovietica, cit., 19-20.
100 Nolte infatti non accetta quella che tendenzialmente viene considerata la principale differenza tra stalinismo e nazismo, ovvero il fatto che lo stalinismo avesse tra i suoi obiettivi i principi morali dell’egualitarismo socialista, mentre il nazismo non fosse caratterizzato da nulla di simile.
«L’”Arcipelago Gulag non precedette Auschwitz? Non fu lo “sterminio di classe” dei bolscevichi il prius logico e fattuale dello “sterminio di razza” dei nazionalsocialisti? […] Non compì Hitler, non compirono i nazionalsocialisti un’azione “asiatica” forse soltanto perché consideravano sé stessi e i propri simili vittime potenziali o effettive di un’azione “asiatica”? »78.
Secondo Nolte Auschwitz non era un semplice genocidio, ma una reazione dovuta alla paura della violenza della Rivoluzione russa. Non cerca di giustificare Hitler, sebbene consideri i crimini nazisti in un certo senso «comprensibili»79, ma cerca di ridurre quell’attenzione assolutizzata che viene riservata alla «soluzione finale». Quest’ultima nella sua visione viene considerata come una copia, sebbene più irrazionale e spaventosa, sempre una copia.
Considerava che i tedeschi si fossero trovati costretti, di fronte al genocidio «asiatico» ad affrontare un genocidio ancora più mostruoso di quello a cui stavano assistendo, per sfuggire alle terrificanti torture “inventate” dai bolscevichi durante la guerra civile russa.
Il nesso tra lo sterminio nazista e quello stalinista era la base della sua ideologia, secondo la quale ciò che fecero i nazionalsocialisti, fu solo un’imitazione di quanto era già accaduto, con la sola eccezione della tecnica delle camere a gas80.
Nolte si concentra sull’individuare dei nessi causali tra i massacri dell’Unione Sovietica e l’annientamento degli ebrei da parte dei nazisti, con l’intento di spiegare la genesi dell’Olocausto. Per quanto Hitler fosse influenzato da un antisemitismo ben radicato, secondo Nolte la sua azione omicida si scatenò di fronte al comportamento sovietico e fu alimentata dalla sua convinzione che il bolscevismo fosse una costruzione degli ebrei.
È ben noto che il capo dei nazisti fosse ossessionato dalla paura del comunismo, paura che trova le sue radici già nella rivoluzione del novembre 1918 e nella repubblica bavarese dei consigli. Da qui si sarebbe sviluppato lo spirito del suo agire politico81:
78 E. Nolte, Il passato che non vuole passare, in G.E Rusconi (a cura di), Germania: un passato che non passa, Einaudi, Torino, 1987, p. 8.
79 J. Habermas, Una sorta di risarcimento danni, in G.E Rusconi (a cura di), Germania: un passato che non passa, cit., p. 20.
101 Hitler avrebbe visto il popolo tedesco, la razza germanica, mortalmente minacciata dalla combinazione di bolscevismo e giudaismo. Di conseguenza egli avrebbe assunto i metodi dell’avversario, precisamente quelli “giudaico-bolscevichi” della Rivoluzione russa, cioè del comunismo di guerra e della guerra civile, come dello stalinismo, e li avrebbe copiati nella situazione della “guerra civile europea” per infliggere al bolscevismo una sorta di colpo preventivo82.
Non si possono senza dubbio trascurare queste considerazioni, e sicuramente Hitler non rimase indifferente al sistema dei campi di lavoro forzato sovietici, tuttavia ci sono altre osservazioni da fare. Bisogna considerare l’importanza del sentimento popolare antisemita del periodo precedente la prima guerra mondiale e il forte antisemitismo razziale della dottrina di Hitler, il quale considerava la cosiddetta «congiura del giudaismo mondiale» un pilastro della sua ideologia, a prescindere dalla minaccia di sterminio da parte dei bolscevichi.
La distruzione pianificata di circa 30 milioni di slavi, tra cui mezzo milioni di austriaci di origine slava, non può essere vista come una copia dell’annientamento dei kulaki, poiché dopo una guerra vinta, un colpo preventivo sarebbe risultato totalmente superfluo.
Inoltre, il timore di Hitler dei bolscevichi non era così fondato, dal momento che nel 1926 in Mein Kampf affermava che l’Unione Sovietica, in quanto dominata da ebrei ambiziosi di dominare il mondo, costituiva un colosso dai piedi d’argilla. Nuovamente nel 1941 aveva comandato di invadere la Russia senza l’attrezzatura adatta a sopportare il rigido inverno, probabilmente convinto della sua inferiorità. Tuttavia bisogna sottolineare l’abilità con cui Hitler sfruttò le paure anticomuniste della piccola borghesia e della classe operaia.
Oltre a non disporre di alcun documento che testimoni un nesso causale e un’ipotetica copia di questi atroci mezzi di sterminio, bisogna inoltre tener presente che Hitler già in molte occasioni, e indipendentemente dalla Rivoluzione russa, aveva dichiarato vari motivi per cui gli ebrei avrebbero dovuto essere annientati83.
81 G. E. Rusconi, Tra memorie e revisione storiografica, in Id. (a cura di), Germania: un passato che non passa, cit., p. XV.
82 Dieter Groh, La fusione di due miti: la rivoluzione russa e il bolscevismo come causa dell’Olocausto?, cit., pp. 21- 22.
102 A replicare la tesi di Nolte, il quale in conclusione difende la non unicità dei crimini nazisti, al fine di rendere il passato più «normale» e accettabile, interviene il filosofo tedesco Habermas. Egli parla di tendenze apologetiche nella storiografia e di un tentativo di «neorevisionismo» attraverso un livellamento tra crimini nazisti e staliniani, al fine di dimenticare un «passato opprimente», «un passato che non vuole passare»84.
Il pericolo nel quale si incorre secondo Habermas, attraverso il confronto dei crimini dei diversi regimi, è quello della strumentalità dell’operazione di fronte all’opinione pubblica, la cui riflessione su un passato a cui inevitabilmente si appartiene, potrebbe venire affrancata da delle «limitazioni».
L’esorcizzazione e l’assolutizzazione del passato e di questi crimini sono senz’altro un errore, così come il peso di una «colpa collettiva» oramai insensata, ma lo è anche la riduzione della loro portata attraverso comparazioni esagerate. Per Habermas dunque, considerare l’unicità dei crimini nazisti ha un valore etico ed è una riflessione fondamentale al fine di non perdere un criterio di giudizio sul presente 85.
Sebbene anche alcuni commentatori dell’epoca, come il già citato Boris Souvarine, sottolineassero come Hitler avesse imitato Stalin in particolare per i campi di concentramento, i sistemi di persecuzione staliniana e nazista si differenziano profondamente l’uno dall’altro. Infatti, mentre il lavoro coatto tipico dei gulag era parte della trazione sovietica che in parte non conosceva altri modi più efficienti di sfruttamento dei lavoratori, l’utilizzo dei prigionieri nei campi di concentramento nazista fu dovuto solo alle necessità della guerra. L’obiettivo principale era infatti l’eliminazione fisica e lo sterminio, e a differenza del mondo sovietico non vi era alcuna utilità economica86.
Del resto, sebbene il bolscevismo si distinguesse dalle partiche del nazismo, in quanto il concetto di eliminazione del nemico di classe aveva un significato politico e non fisico, bisogna tener conto che anche la «soluzione finale» inizialmente non era parte del programma nazista. Fu solo Hitler a contemplarla dall’inizio, consapevole del fatto che, a differenza dell’eutanasia forzata di centinaia di migliaia di malati di mente e criminali, l’eliminazione degli ebrei non avrebbe riscontrato forte
84 J. Habermas, Una sorta di risarcimento danni, in G.E Rusconi (a cura di), Germania: un passato che non passa, cit., pp. 11-24.
85 G. E. Rusconi, Tra memorie e revisione storiografica, cit., p. XVII.
103 sostegno tra la popolazione. In un certo senso «gli stessi dirigenti nazisti sono rimasti intrappolati nella radicalizzazione del processo che avevano messo in moto […]»87.
In ogni caso, sarebbe grottesco dar luogo in questa sede a una comparazione tra i crimini dei due regimi.
In conclusione, i campi sovietici rimangono pur sempre una manifestazione deplorevole di illegalità e disumanità. Essi non hanno nulla a che vedere col socialismo, e anzi, sul socialismo sovietico spiccano come una brutta macchia; sono piuttosto da considerarsi una barbarica eredità dell’assolutismo zarista, di cui i governi sovietici non hanno saputo o voluto liberarsi. […] Ma è possibile, anzi facile, rappresentarsi un socialismo senza lager: in molte parti del mondo è stato realizzato. Un nazismo senza lager invece non è pensabile88.
Risulta comunque ineludibile accennare al contributo dello scrittore Primo Levi sul dibattito in questione. Il suo approccio quasi «riduzionista»89 nei confronti dei gulag sovietici, non è mirato a scagionare Stalin, bensì a segnalare delle differenze importanti tra i gulag e i lager.
Nonostante la sua iniziale riluttanza, Levi individua inevitabilmente delle somiglianze tra il sistema sovietico e il nazismo, come la mancanza di solidarietà tra i prigionieri all’interno dei campi.
Tuttavia si concentra sulle sostanziali differenze, e tra queste individua come principale il tema delle finalità. I lager tedeschi erano delle «macchine di morte», il cui scopo era la distruzione fisica di interi popoli, mentre nei campi sovietici, la morte risultava essere un sottoprodotto dovuto alla fatica, alla fame, al freddo e alle malattie.
«Lo sfruttamento massiccio della manodopera schiava era stato imparato da Hitler alla scuola di Stalin, ma in Unione Sovietica è ritornato moltiplicato alla fine della guerra»90. Secondo Levi tra i due regimi vi era una sostanziale differenza qualitativa. Sebbene egli individui i gulag sovietici come luoghi infernali, sostiene che il loro prodotto principale fosse il lavoro servile, mentre la morte era in qualche modo accidentale91.
87 J. Fest, La memoria dovuta, in G.E Rusconi (a cura di), Germania: un passato che non passa, cit., pp. 36-48. 88 P. Levi, Se questo è un uomo, (1947), Einaudi, Torino, 1992, p. 245-247.
89 Francesco M. Cataluccio, Lager e gulag in Primo Levi, in M. Flores (a cura di) Nazismo, fascismo, comunismo,
totalitarismi a confronto, cit., p. 302.
90 P. Levi, I sommersi e i salvati, cit., p. 165.
104 Inoltre, tra le differenze che vengono individuate tra i due sistemi di sterminio, spicca il fatto che mentre non c’era possibilità di uscire dai lager tedeschi, nei gulag sovietici la libertà e la possibilità di essere rilasciati era una speranza che permetteva di restare in vita.
La realtà dei gulag appariva a Levi meno demoniaca in quanto priva della componente razziale e linguistica. Prigionieri e carnefici erano tutti membri dello stesso popolo e parlavano tutti la stessa lingua. Non vi era la totale perdita di personalità che vivevano al contrario gli ebrei nei lager tedeschi e non vi erano «vite indegne di essere vissute» o categorie di «superuomini» e «sottouomini» come nel nazismo. L’unicità dell’Olocausto individuata da Levi, consiste nel fatto che nei lager tedeschi la strage era totale92.
Bisogna comunque considerare che anche Levi fu condizionato da quello che lo storico Sergio Romano definisce come «ondata di patriottismo sovietico e di fede comunista che si abbatté sull’intellighenzia occidentale […] dopo la fine della guerra»93. Allo stesso modo lo studioso Vittorio Strada riflette su come il gulag, a differenza dell’Olocausto, sebbene caratterizzato da un maggior numero di vittime e da una maggiore durata ed estensione, tende generalmente ad essere considerato come crimine meno malvagio dello sterminio nazista94.
Il dibattito sull’originarietà e sulla non comparabilità dei crimini nazisti è molto profondo e delicato, e continuare con simili considerazioni senza una completa consultazione delle fonti potrebbe essere pericoloso.
Abusare delle comparazioni in questo senso porterebbe a gravi distorsioni sia in un senso che nell’altro. È inutile dunque considerare il numero delle vittime di Stalin superiore a quello di Hitler per sottolineare il male del comunismo ed è altrettanto inutile minimizzare il regime staliniano per sottolineare l’unicità dell’Olocausto, che è già evidentemente un unico esempio nella storia di una tale programmazione di distruzione di un singolo gruppo entico.
Non bisogna cadere nel confronto politico, bensì considerare e riflettere sul carattere universale e antropologico della violenza, senza relativizzare alcun crimine.
92 Ivi, pp. 292-296.
93 Ivi, pp. 290-291. 94 Ivi, p. 291.
105 I campi di concentramento, come le vittime dello stalinismo furono le drammatiche conseguenze di atroci violenze, frutto di due terribili dittature95.
107