II. Stalinismo e totalitarismo
II.II Origini del sistema tirannico sovietico secondo Graziosi
Ancora una volta mi sembra però che la nuova situazione fosse stata piuttosto determinata dalle due, straordinarie, mutazioni precedenti: la rivoluzione industriale e la comparsa del nuovo stato razionalizzato e “nazionalizzato”. Ranke aveva saputo cogliere il legame tra sforzi di costruzione o ricostruzione statale, rafforzamento del potere centrale ed interventismo economico osservando che “la posizione di uno stato nel mondo dipende dal grado di indipendenza che ha raggiunto”. Esso è perciò obbligato ad organizzare tutte le sue risorse interne al fine della propria preservazione. È questa la legge suprema dello stato.
Con la comparsa dell’industria e la mobilitazione delle masse […] industrializzare, modernizzare e “nazionalizzare” equivaleva ad avviare o accelerare, il processo che avrebbe tramutato gli stati di
Ancien régime in creature assai diverse16.
Graziosi per spiegare l’emergere del sistema sovietico ritiene opportuno analizzare l’esperienza europea antecedente la prima guerra mondiale, e in particolare la costruzione dello Stato e la massificazione della società, e come queste trasformazioni penetrarono in Europa orientale.
Individua nella rivoluzione francese del 1789 la nascita di un nuovo Stato capace di mobilitare risorse economiche, demografiche e ideali del Paese. Lo Stato di tipo nuovo era in grado di mobilitare e coinvolgere le masse e passò da una struttura di tipo monoclasse a una pluriclasse.
15 T. Todorov, Utilità di un concetto, cit., pp. 98-99. 16 Ivi, pp. 103-104.
48 Sulla base del modello francese, dall’unificazione di territori prima divisi, dalla lotta contro lo straniero o dalla riforma di stati o imperi già esistenti, nascevano in Europa nuovi stati17.
Oltre alla mobilitazione delle masse, aspetto fondamentale del nuovo Stato era la comparsa dell’industria e di come lo sviluppo di quest’ultima fosse legato alla potenza dello Stato stesso. Quest’ultimo diventava la massima incarnazione della forza, aumentava il suo intervento nell’economia e quindi la necessità di risorse e di nuove capacità diventava prioritaria. Si diffondeva in questo modo la teoria dell’”economia nazionale”, nella quale lo Stato era all’apice del sistema, in quanto era lo strumento più efficace per mobilitare le risorse, razionalizzarle e per portare al massimo sviluppo nazionale. Ovunque, anche tra i socialdemocratici e gli operai russi si diffondeva l’idea che l’intervento dello Stato fosse il rimedio a tutto.
Le sconfitte e le umiliazioni nazionali aumentavano le ricerche di un capro espiatorio, le teorie del complotto (la più famosa delle quali fu quella dell’antisemitismo) e allo stesso tempo il desiderio di rivincita. Parallelamente la crescita demografica e le migrazioni dalle zone rurali e quelle urbane aumentavano il numero delle risorse, ma anche gli antagonismi interni, dal momento che nuovi giovani entravano sempre più in conflitto per la ricerca di una posizione in una società in cui non c’era più posto per gli stranieri18.
I nuovi circoli del nazionalismo estremista […], rappresentavano solo una delle tante sette parareligiose allora generatesi in Europa all’incrocio tra destabilizzazione da cambiamento, voglia di affermazione, senso di potenza, legato alla crescita demografica come a quella economica, ai progressi della scienza come alle conquiste coloniali, e senso di emarginazione, giovanilismo e ricerca di una nuova fede laica capace di sostituire le vecchie, ormai screditate19.
Molti giovani aderirono al socialismo per il suo contributo costruttivo che si basava valori quali benessere, dignità, uguaglianza, libertà e giustizia, ma il nazionalismo rimaneva sempre la para religione più forte, soprattutto in un contesto in cui nascevano nuovi stati desiderosi di affermarsi. Allo stesso modo il senso di umiliazione e il desiderio di rivincita trovavano spazio nelle prima manifestazioni del nazionalsocialismo, che nasceva dall’intrecciarsi dei due principali movimenti.
17 A. Graziosi, Guerra e rivoluzione in Europa 1905-1956, cit., p. 95. 18 Ivi, pp. 105-115.
49 Le origini dell’unione di elemento sociale e nazionale sono infatti da ricercare nel momento in cui l’opposizione dei movimenti contadini e della causa sociale si è unita al nazionalismo e i contadini sono stati coinvolti nella liberazione nazionale.
Un esponente di questo movimento fu proprio Lenin che portò in auge questa nuova parareligione.
Graziosi non è d’accordo con il pessimismo di molti intellettuali europei tra cui la Arendt, i quali individuano nella mobilitazione delle masse e nella loro partecipazione alla vita politica e sociale i prerequisiti per la vittoria dei totalitarismi e che vengono secondo lui smentiti dalla formazione delle società liberali e democratiche costruite anche grazie all’integrazione delle masse. Tuttavia, riconosce che i processi di trasformazione e progresso hanno anche provocato instabilità, emarginazione di strati sociali, etnici o religiosi, e hanno dato potere a gruppi sociali mal acculturati attratti da ideologie elementari e predisposti all’uso della violenza20.
«Il sistema sovietico ha portato sino alla fine fortissima l’impronta dell’ideologia dei suoi costruttori; e il nucleo dei credenti ideologizzati non vi scomparve mai e si rigenerò, con tratti diversi, in ciascuna delle fasi attraversate dal regime fino alla perestrojka»21.
Graziosi riflette sul ruolo dell’ideologia nella storia del comunismo e mostra come i dogmi e i precetti che guidarono tutte le varie fasi della storia sovietica furono decisivi nel delineare la mentalità della classe dirigente, degli intellettuali e delle masse. Prima Lenin, e poi in particolar modo Stalin, riteneva di poter manipolare l’ideologia per perseguire i propri interessi, considerandosi l’incarnazione della stessa e non mero custode.
Sebbene spesso la propaganda che esaltava l’alleanza tra contadini e operai, le conquiste sociali e i progressi del regime, si allontanasse profondamente dalla realtà segnata dal vasto malcontento e dalla forte repressione, l’ideologia giocò sempre un ruolo fondamentale.
Durante gli anni venti si fece appello al nazionalismo (come nel caso della guerra contro la Polonia) e si portò alla nascita del primo movimento nazionalcomunista russo, che vide nel bolscevismo lo strumento per salvare l’impero. Le speranze di rinvigorire l’impero furono poi alimentate dalla NEP che sembrava essere la soluzione per uscire dal caos provocato dalla guerra
20 Ivi, pp. 116-119.
50 civile. Verso la fine degli anni venti e l’inizio degli anni trenta l’ideologia di Stalin era invece vicina ai temi del comunismo di guerra e dell’industrializzazione forzata come elemento prioritario. Graziosi ritrova la più importante svolta ideologica degli anni trenta nel realismo socialista, mirante a promuovere i risultati e i progressi del socialismo di cui lo scrittore russo Maksim Gor’kij ne era il padre.
La distanza tra la propaganda staliniana e la realtà degli anni trenta era diventata abissale e cominciava ad essere denunciata dagli intellettuali fino a quel momento silenziati dal terrorismo. Esempi di questa divaricazione furono i discorsi di Stalin che promuoveva gli sviluppi materiali dopo una carestia devastante e il proclamare come democratica la costituzione del 1936, quando aveva dato luogo al più devastante processo di sterminio mai visto in un periodo di pace. Il continuo richiamo al terrore o a elementi populistici e il ridurre il sentimento nazionale a considerazioni di tipo primitivo, veniva giustificato con la necessità di rafforzare il regime e di tenere sotto controllo la situazione ormai troppo pericolosa.
Infine, Graziosi concorda con lo storico Franco Venturi, nell’affermare che sebbene la guerra e la vittoria diedero nuova forza alla componente patriottica dell’ideologia ufficiale, non ci fu mai una chiara definizione di patriottismo nella storia dell’Urss e forse, sempre secondo Graziosi, l’assenza di questo elemento psicologico rese il sistema sovietico meno barbaro degli altri regimi22.
«Siamo così arrivati all’Europa orientale dove i fenomeni di cui ci occupiamo assunsero forme peculiari, dando vita a ibridi talvolta dall’aspetto sorprendente, quando non a creature storiche del tutto nuove. Queste ultime si rivelano spesso il prodotto dell’estremizzazione, in condizioni particolari, di quanto andava accadendo anche ad occidente»23.
L’adesione di tipo parareligioso fu in Urss almeno inizialmente più forte che all’estero.
Questo probabilmente fu dovuto anche alle peculiarità dell’Europa orientale che Graziosi descrive riportando le riflessioni dell’economista austriaco Ludwig von Mises. Quest’ultimo afferma che il contesto dell’Europa orientale fosse profondamente diverso da quello occidentale per una serie di ragioni, tra cui il fatto che l’Europa orientale fosse caratterizzata dalle frontiere in movimento, dalla presenza di territori plurilingue e dalle continue invasioni che rallentavano il processo di sviluppo economico, culturale e statale. In un contesto in cui le élite parlavano una lingua e
22 Ivi, pp. 529-536.
51 professavano una religione diversa da quella dei contadini e in cui esistevano profonde differenze tra la città e la campagna, l’importazione del concetto occidentale di Stato fu assolutamente dannoso, in quanto non era compatibile con le peculiari condizioni orientali che non avevano fatto esperienza del più precoce sviluppo occidentale.
Fu proprio in questi contesti che presero piedi fenomeni ideologici dalle nefaste conseguenze, miranti alla purificazione dei territori plurilingue. Il ritardo nello sviluppo di una coscienza nazionale nei popoli dell’Impero, fece dell’Europa orientale un terreno fertile per i nazionalismi, mentre l’intrecciarsi di fattori religiosi e nazionali con la necessità della modernizzazione, diede luogo all’idea secondo cui la potenza fosse correlata all’omogeneità e al terreno per la nascita dei nazionalsocialismi24.
24 Ivi, pp. 123-158.
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