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III. Le memorie di Victor Serge

III.I Le prime critiche al bolscevismo e al partito

Sebbene per Graziosi il concetto di totalitarismo non sia del tutto applicabile allo stalinismo, egli stesso afferma che opere come le memorie di Serge del 1951 danno un contributo alla formazione dell’immagine popolare del totalitarismo e alla sua identificazione con l’Urss1.

Lo scrittore russo-belga, autore delle parole «il totalitarismo è in noi»2, già a partire dal 1933, dopo la collettivizzazione forzata e comunque prima dei terribili processi di Mosca, denunciava la Russia di Stalin come «uno Stato totalitario, castocratico, assolutista, ubriaco della propria potenza, per il quale l’uomo non conta»3. Lo stalinismo aveva deformato e degradato il socialismo autentico e i suoi obiettivi di giustizia sociale ed egualitarismo.

La mia decisione era presa; non sarei stato né con i bolscevichi, né neutrale, sarei stato con loro ma liberamente, senza abdicare al pensiero è al senso critico. […] Sarei stato con i bolscevichi perché davano compimento con tenacia, […], alla necessità stessa; perché erano soli a darvi compimento, prendendo su di sé tutte le responsabilità e tutte le iniziative e dando prova di una stupefacente forza d’animo. Essi erravano certo su parecchi punti essenziali: con la loro intolleranza, con la loro fede nella statizzazione, con la loro tendenza alla centralizzazione e alle misure amministrative. Ma se bisogna combatterli con libertà di spirito e in spirito di libertà, era con loro, tra loro. Poteva darsi d’altronde che questi mali fossero imposti dalla guerra civile, dal blocco, dalla carestia, e che se fossimo riusciti a sopravvivere, la guarigione sarebbe venuta da sé4.

Nel 1919 Victor Serge5 arrivò a Pietrogrado e trovò una città grigia, lacerata dalla fame e dal freddo, una città che portava avanti la rivoluzione, ma che allo stesso tempo era ovunque assediata dalle controrivoluzioni. Gli intellettuali antibolscevichi consideravano il bolscevismo e il partito, «ubriaco di autorità», nemici dei contadini, dell’intelligencija e della maggior parte della classe

1 A. Graziosi, L’unione Sovietica 1914-1991, cit., p. 472.

2 Victor Serge, Memorie di un rivoluzionario, (1951), tr. it. di Aldo Garosci, edizioni e/o, Roma, 2012, p. 152. 3 Ivi, p. 315.

4 Ivi, p. 88.

5 Victor Serge, figura importante del socialismo internazionale, era nato in Belgio dove aveva trovato lavoro suo padre, quando la sua famiglia populista fu costretta a lasciare la Russia in seguito all’attentato di Alessandro II.

54 operaia. Tuttavia, la paura della controrivoluzione era ancora più grande e c’era il timore che avrebbe potuto scatenare una ferocia maggiore.

Le critiche denunciavano l’intolleranza e gli eccessi del terrore, chiedevano l’abolizione della Čeka (corpo di polizia politica sovietica) e il ritorno alla democrazia sovietica, ma non c’era nulla di concreto da contro proporre.

Così, sebbene criticasse il terrore e la centralizzazione dell’autorità, Serge accettò la proposta di Zinov’ev, presidente dell’esecutivo della Terza Internazionale (o Internazionale comunista, l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti), di entrare nel partito bolscevico e in seguito di lavorare per l’Internazionale comunista come giornalista e traduttore.

Dalla posizione privilegiata di membro del partito, poteva osservare gli abusi della Čeka i cui membri venivano scelti solo tra caratteri sospettosi, duri e sadici: segnati da complessi di inferiorità sociale, ricordi di umiliazioni e sofferenze nelle prigioni zariste, vedevano la cospirazione ovunque. Erano proprio questi gli elementi perfetti nelle mani di un dittatore; assetati di potere e desiderosi di mantenere le posizioni acquisite, avrebbero combattuto ad ogni costo, contro chiunque e a qualunque grado di violenza, perdendo ogni spiraglio di umanità. Secondo Serge, la costruzione della Čeka (divenuta più tardi GPU), gli abusi, le depravazioni di cui si macchiarono i suoi membri e i metodi di inquisizione segreta, furono tra i più grandi errori che i bolscevichi commisero nel 1918, spaventati a loro volta dai complotti e dagli interventi stranieri6.

Contestualmente, a livello storico, nel 1918 era stata firmata da Lenin la pace di Brest Litovsk, la cosiddetta pace senza condizioni, che aveva imposto alla Russia la perdita di molti territori, ma che ideologicamente aveva l’obiettivo di dimostrare che per raggiungere conquiste maggiori come la giustizia e l’abbattimento dell’autocrazia, si poteva rinunciare a dei possedimenti. La vera guerra era interna e veniva combattuta contro i contadini, i quali avevano appoggiato il bolscevismo e il suo programma per le campagne per ottenere la terra, ma che ora si ribellavano alla leva obbligatoria e alle requisizioni forzate, chiedendo elementi di mercato. In gioco c’era la sopravvivenza dello stato, il quale non rinunciava alla violenza contro i contadini e alla concentrazione di tutte le attività economiche nelle sue mani, in particolar modo l’industria bellica. Il partito si stava sovrapponendo allo stato7.

6 V. Serge, Memorie, cit., pp. 81-95.

55 Parallelamente, le armate bianche sostenute dalle potenze europee mettevano in moto la controrivoluzione combattendo contro l’Armata rossa bolscevica e sostenendo le resistenze dei contadini. La convinzione del partito, secondo la quale i russi sarebbero stati l’avanguardia di una rivoluzione europea, veniva alimentata dalla rivoluzione tedesca del 1918 che portava alla nascita della Repubblica di Weimar. Sebbene in Germania non ci fosse stata una reale rivoluzione, bensì una continuità in cui il potere passava dalle mani dell’imperatore a quello del nuovo stato socialdemocratico, e dove esercito e amministrazione mantenevano le loro posizioni, quello che si percepì in Russia fu il fatto che le rivoluzioni stavano vincendo.

La situazione in realtà era tragica, i soldati stanchi per la fame e il freddo volevano tornare a casa e il numero di disertori e traditori aumentava8.

La forza del partito bolscevico stava nella ferma convinzione dei suoi membri di lottare per una guerra giusta. La popolazione credeva davvero che lottare per la rivoluzione avrebbe portato alla vittoria del principio di giustizia e alla costruzione di un’economia socialista. Il loro sentimento rivoluzionario si contrapponeva alla volontà dei bianchi di diventare uno strumento nelle mani delle potenze europee, ma contemporaneamente cresceva l’impopolarità per i mezzi terroristici utilizzati9. La convinzione generale era che la rivoluzione avrebbe potuto essere salvata solo eliminando il terrore della Čeka e ristabilendo i tribunali regolari e i diritti di difesa10.

«Gli anarchici avevano ragione quando scrivevano sulle loro bandiere nere “non c’è veleno peggiore del potere”, del potere assoluto beninteso. Già dal quel momento la psicosi del potere assoluto dominava la maggioranza dei dirigenti, soprattutto tra i quadri medi»11.

I dirigenti, turbati dal senso di inferiorità e dal ricordo delle umiliazioni subite durante la guerra, si erano lasciati consumare dal potere e avevano perso di vista i veri ideali. Il risentimento e il rancore erano ancora molto forti e venivano alimentati dal ricordo dell’autocrazia e dalla paura di finire nelle prigioni imperiali. La perdita di umanità inoltre, era provocata anche dal clima della guerra civile e dal sentimento di resistenza che animava la lotta contro i bianchi12.

8 V. Serge, Memorie, cit., pp. 96-106. 9 Ivi, pp. 107-114.

10 Ibidem. 11 Ivi, p. 115. 12 Ivi, pp. 115-116.

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Il colpo più duro per l’Armata rossa, in parte impegnata a recuperare le terre perdute con la pace di Brest-Litovsk, fu la sconfitta in Polonia nel 1920. La strategia intrapresa da Trockij, cercare di fomentare i tedeschi contro la decisione di Versailles di sottrarre territori ex prussiani per dar vita alla nuova Polonia, nella pratica non funzionò e i polacchi attuarono una forte resistenza. Ancora una volta il fallimento derivò dal fatto che invece di far leva sull’entusiasmo della rivoluzione e delle aspirazioni bolsceviche e diffonderle verso l’esterno, si preferì usare il terrore13.

Inoltre, la situazione politica interna era fragile. Tutti i partiti erano lacerati da dissidi e incomprensioni interne e non avevano gli strumenti e la conoscenza teorica per capire cosa stava realmente succedendo14.