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“La globalizzazione è un fenomeno e un processo, che presenta molte facce, molteplici voci e differenti interpretazioni con impatti drammatici, diversificati sulle persone, sulle culture e sulle società. Essa non può essere ridotto ad una mera espressione economica di crescente interdipendenza e ad accordi internazionali in un contesto competitivo, solamente orientato al mercato. Essa deve essere compresa e analizzata come un fenomeno multidimensionale che coinvolge diversi campi di attività e interazioni attraverso i confini e i continenti, inclusi i settori economico, socio-culturale, politico, tecnologico, etico, ambientale e personale. È necessario che gli individui comprendano e prendano coscienza delle interdipendenze sociali globali e delle connessioni

sempre più profonde che si creano tra il locale e il globale.”

L. Bekemans

Viviamo in un mondo reticolare. Gli squilibri provocati dalla globalizzazione sono innanzitutto economici: le rapide trasformazioni in corso hanno determinato una diseguale distribuzione dei benefici, separando nettamente i paesi vincitori dai perdenti, ossia gli esclusi o coloro che rimangono ai margini dello sviluppo. Gli effetti sono avvertiti anche a livello sociale, poiché regole e istituzioni economiche prevalgono su quelle sociali. Eppure da più parti è stato dimostrato che l’esclusione – economica, sociale, culturale – rappresenta una delle maggiori cause dei conflitti.

A vari livelli è stato posto il problema di un governo della globalizzazione che assicuri diritti e condizioni di vita favorevoli per tutti. Una globalizzazione più equa può diventare realtà attraverso una strategia di multi-level governance che sappia rispondere alle nuove sfide emergenti.

La globalizzazione infatti contempla un numero sempre maggiore di attori (gli Stati ed i loro Governi, le Istituzioni internazionali, le imprese, le Ong) ed un’area sempre maggiore di azione della politica che chiede regole condivise. Lo Stato Nazionale è uno degli attori, ma deve sempre di più agire in rete con altri: la dinamica complessiva dell’interdipendenza, infatti, è alimentata da un ventaglio di processi che operano trasversalmente alle realtà interne ai vari Paesi. La globalizzazione può essere governata democraticamente a livello di Istituzioni Internazionali (secondo principi di partecipazione, rispetto e responsabilità), purché si operi ad un livello di decisione politica più elevato, data la complessità dei problemi, rafforzando il sistema di norme giuridiche internazionali nell’ottica umano-centrica dei diritti umani. In questo quadro di riferimento il ruolo delle Istituzioni Internazionali deve essere rafforzato, ma esse stesse devono essere rivisitate secondo la visuale del diritto internazionale dei diritti umani, ovvero secondo quanto previsto dalla Risoluzione del Consiglio Diritti Umani 8/5 del 18 giugno 2008 “Promozione di un nuovo ordine democratico”, che prevede “…il diritto individuale/collettivo ad un ordine internazionale democratico e giusto: il diritto alla pace, il diritto ad un ordine economico internazionale basato sulla equa ripartizione dei processi decisionali, il diritto alla solidarietà

internazionale, il diritto alla promozione/consolidamento di Organizzazioni Internazionali giuste, trasparenti, solidali”. “Democratizzare” le Istituzioni Internazionali significa:

¾ Conferire una più diretta legittimazione popolare agli organi rappresentativi delle principali

istituzioni internazionali create dagli Stati

¾ Fornire più adeguati canali d’accesso alla partecipazione politica popolare all’interno dei

processi decisionali delle organizzazioni internazionali

¾ Rendere più rappresentativa la composizione delle delegazioni degli Stati in seno alle

organizzazioni internazionali (rappresentanti dell’esecutivo, del parlamento, della società civile) Gli obiettivi della democratizzazione e della good governance in sede internazionale possono essere efficacemente perseguiti all’interno di una strategia operativa che utilizzi contestualmente e sinergicamente due modalità d’azione:

da un lato agendo all’interno delle Istituzioni della politica mondiale, soprattutto in presenza di aperture ed innovazioni nella struttura organizzativa (status consultivi, conferenze mondiali, contro-rapporti ai Comitati Diritti Umani delle NU), ovvero dialogando all’interno del sistema;

dall’altro agendo all’interno delle numerose formazioni trasnazionali della società civile, rendendo sempre più chiaro, sistematico, organico ed operativo il modello di ordine mondiale fondato sui diritti umani, ovvero impegnandosi all’esterno del sistema istituzionale.

L’impegno per la democrazia internazionale offre contenuti di ampio respiro alla politica, ne dovrebbe stimolare la creatività e l’iniziativa, consentirebbe di impiegare meglio risorse umane e finanziarie. Da queste indicazioni iniziali si comprende quanto risultino rafforzate a livello di governance sia le Istituzioni Internazionali sia la società civile, al fine di gestire nell’ottica dei diritti umani la complessità odierna, perseguendo gli obiettivi dello sviluppo umano integrale ed affrontando le grandi sfide del futuro (la tutela dell’ambiente, la lotta alla povertà ed allo squilibrio economico-sociale). Il diritto internazionale dei diritti umani, con la sua cogenza universale, muta l’ottica visuale di contrapposizione storicamente consolidata tra ordinamento giuridico interno ed ordinamento giuridico internazionale: la “rivoluzione dei diritti umani” consente di immaginare l’unicità del sistema giuridico universale ancorato al paradigma dei diritti umani quale “bussola” orientativa globale e le Istituzioni Internazionali ne sono il frutto più evidente nella misura in cui si adoperano per la promozione, il monitoraggio e la tutela anche giurisdizionale dei diritti umani, affiancando e talvolta “superando” le stesse giurisdizioni nazionali. Lo stesso concetto di sovranità popolare, tradizionalmente limitato ed ancorato ai confini dello Stato Nazionale, risulta rinvigorito nella nuova ottica partecipativa transnazionale: la sovranità popolare, intesa quale espressione di reale autonomia decisionale, coinvolge anche la dimensione internazionale, pervadendo le stesse Istituzioni internazionali.

Papisca A. Democrazia internazionale per la democrazia interna: fiaccola sopra il moggio, non bagliori di guerra, Rivista Pace diritti umani n.3/settembre-dicembre 2004 ( Venezia,

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Arendt, H.(1997), Vita activa.La condizione umana (Milano, Bompiani)

Mandela, N.(1995), Lungo cammino verso la libertà. Autobiografia (Milano, Feltrinelli)

Sartori, G.(2008), La democrazia in trenta lezioni (Milano, Mondadori)

Carlassare, L. (2002), Conversazioni sulla Costituzione (Padova, Cedam)

Bobbio,N.(1985), Che cos'è la democrazia?, intervista di giovedì 28 febbraio 1985, (Torino, Fondazione Einaudi)

Zagrebelsky G.(2007), Imparare democrazia (Torino, Einaudi)

Mascia M.(2004), La società civile nell’Unione Europea. Nuovo orizzonte democratico (Venezia, Marsilio)

Commissione delle Comunità europee, 2001, La Governance europea. Un libro bianco, COM (2001), 428, Bruxelles.

L’Unione europea può vantare, rispetto alle problematiche dell’integrazione democratica in un processo sopranazionale, il potere del Consiglio europeo di sanzionare quello degli Stati membri che violasse i principi democratici, nonché la strutturazione di istituzioni di governo, come il Parlamento europeo, che segnalano il consolidarsi di meccanismi elettivi in cui si realizza il livello rappresentativo di una democrazia allargata; tali istituzioni appaiono capaci, almeno potenzialmente, di sensibilità alle istanze di portatori di interessi, sia individuali sia collettivi, come imprese o enti no-profit, che rappresentano soggetti plurali del processo di sperimentazione democratica al livello partecipativo. In tal senso possono esser citate le varie iniziative per accordi di partenariato e la stessa pubblicazione del Libro Bianco sulla governance europea per attestare l’esistenza quantomeno di un’attenzione alle Organizzazioni di Società Civile, entro il disegno, dichiarato a partire dagli anni 2000, di rinforzare la democrazia europea: non manca la percezione di sentimenti di estraneità e scoraggiamento dei cittadini dell’Unione, ma si coglie al contempo l’aspettativa che essa sappia “cogliere le possibilità di sviluppo economico e umano offerte dalla globalizzazione e trovare risposte adeguate ai problemi ambientali, alla disoccupazione, ai timori relativi alla

sicurezza alimentare, alla criminalità e ai conflitti regionali.” (Commissione delle Comunità

europee, 2001, La Governance europea. Un libro bianco, COM (2001), 428, Bruxelles). Da ciòl’apertura

della Commissioneal rafforzamento del dialogo con i vari livelli di soggettualità istituzionale

e non ,sia locale sia regionale, e l’introduzione di un “metodo aperto di coordinamento” che non affidi soltanto alle soluzioni normative la definizione di nodi politici problematici per la complessità degli obiettivi o degli interessi in gioco che comportano.

Presso le N.U. è rinvenibile un percorso analogo di progressivo sprigionamento di energie tese a realizzare forme di democrazia transnazionale, che è forse più semplice tracciare con riferimento alle varie Conferenze mondiali organizzate fin dal 1968 e che, non a caso, hanno visto lievitare il numero sia delle ONG accreditate sia dei partecipanti ai Forum paralleli che ben presto hanno preso ad affiancarle.

In tema di democrazia internazionale pare inevitabile il riferimento alla Conferenza di Vienna del 1993 sui diritti umani: da essa scaturì un Programma quinquennale d’azione per realizzare gli assunti della contestuale Dichiarazione, la quale affermava, al punto 8 della Parte I , “La democrazia, lo sviluppo e il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali sono interdipendenti e si rafforzano a vicenda. La democrazia è fondata sulla volontà popolare liberamente espressa di determinare i propri sistemi politici, economici, sociali e culturali e la piena partecipazione in tutti gli aspetti della propria vita. In tale contesto la promozione e protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale ed internazionale dovrebbe essere universale e venire perseguita senza condizioni…”

A dieci anni di distanza da tale presa di posizione, che proveniva da 171 Stati membri e 841 ONG, il Segretario delle N.U. ha preso atto che, mentre il fenomeno politico globale e le questioni legate alla sua governabilità sollecitavano forme di democrazia partecipativa dal basso, le istituzioni di democrazia rappresentativa non erano capaci di adeguarvisi e ha quindi costituito un Comitato (Panel) per le Relazioni tra N.U. e Società Civile che ha prodotto, nel 2004, il Rapporto Cardoso. In esso si afferma la necessità, per l’ONU, di definire una propria “agenda multilaterale” tenendo conto non solo dei governi ma della opinione pubblica mondiale, pur senza rivedere il ruolo consultivo delle ONG in seno all’Onu, che proprio per quanto rilevato può apparire ormai insufficiente.

Una prospettiva di ulteriore crescita di partecipazione globale al cammino della democrazia universale e dei diritti umani è segnalata tuttavia dalla Carta dei difensori dei diritti umani (v.) che appare, in tale materia, come una sorta di strumento costituente la cui titolarità è attribuita agli individui e alla formazioni di società civile. Per suggerirne il tono si cita di seguito l’art. 18 che, riecheggiando l’assunto dell’art. 28 della Dichiarazione

Universale, così dispone: …2) Gli individui, i gruppi, le istituzioni e le organizzazioni non

governative hanno un importante ruolo e responsabilità nella salvaguardia della democrazia, nella promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali e nel contribuire alla promozione e al progresso delle società, delle istituzioni, e dei processi democratici. 3) Gli individui, i gruppi, le

istituzioni e le organizzazioni non governative hanno inoltre un importante ruolo e responsabilità nel contribuire, ove appropriato, alla promozione del diritto di tutti ad un ordine sociale ed internazionale in cui i diritti e le libertà sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e dagli altri strumenti sui diritti umani siano pienamente realizzati.”

Coerentemente con il concetto di democrazia che si è cercato di chiarire si dovrebbe qui riferirsi ai popoli che ancora, nel mondo, stanno faticosamente e spesso dolorosamente costruendo il loro cammino verso la sua conquista. D’altra parte spesso essi scelgono a simbolo delle figure carismatiche che diventano l’immagine di questo stesso percorso, per cui il pensiero va, in tal senso, a Nelson Mandela (1918) e a F. W. de Klerk (1936).

Essi, nemici per circa trenta anni in Sudafrica, dove l’uno era in prigione per la sua lotta contro l’apartheid a fianco dell’African National Congress e l’altro ne era al governo come presidente del National Party che proteggeva i privilegi della minoranza bianca,, condivisero il Premio Nobel per la pace nel 1993, avendo avuto entrambi la capacità di gestire, in forma negoziale, il riconoscimento di diritti fondamentali per la maggioranza nera e i conflitti razziali interni a questa, consentendo l’avvio del processo democratico nel Paese.

Ecco come il primo descrive questa situazione:

“…Il premio era un riconoscimento per tutti i sudafricani, e in special

modo per i militanti del movimento: lo avrei accettato a loro nome. Non avevo mai pensato al Premio Nobel, perché anche negli anni più duri di Robben Island, Amnesty International, che condannava ogni forma di violenza, si era sempre rifiutata di sostenere la nostra candidatura per il fatto che predicavamo la lotta armata…

Alla cerimonia approfittai del mio discorso non solo per ringraziare il Comitato Nobel e illustrare la nostra visione di un futuro Sudafrica giusto e democratico, ma anche per rendere omaggio all’altro premiato, F. W. de Klerk. che ha avuto il coraggio di riconoscere che un terribile errore era stato commesso ai danni del nostro paese e del nostro popolo con l’imposizione del regime dell’apartheid. Ha avuto la lungimiranza di comprendere e di accettare che tutto il popolo del Sudafrica, sedendo ai negoziati su basi di uguaglianza, dovesse determinare insieme cosa fare del

1.F - RESPONSABILITA’ PERSONALE E SOCIALE,