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…lo Stato di diritto ha come principio base la separazione dei poteri: …Il potere viene limitato dividendolo allo scopo di evitarne l’esercizio arbitrario, di evitarne gli abusi; il costituzionalismo risponde ad un’esigenza garantista: sottoporre il potere a regole per garantire, appunto, i diritti dell’individuo, la sua libertà.è questo l’obiettivo a cui lo Stato di diritto, con le sue regole, è funzionale.

L. Carlassare, Conversazioni sulla Costituzione, Cedam, 2002 Lo stato sociale, nelle sue espressioni più avanzate di stato del benessere, è quello che più avvicina alla forma politica istituzionale esigita dai diritti umani. Esso deve procedere ad un ulteriore avanzamento. Dopo le fasi dell'assistenzialità, della previdenzialità, del benessere, esso deve passare a quella segnata dal duplice carattere della finalizzazione alla promozione umana e dell'adeguamento a coerenti processi di internazionaIizzazione. È la fase dello stato dei diritti umani. Questo nuovo tipo di stato, oltre che per assicurare la certezza del diritto (stato di diritto), deve operare per garantire a tutti il soddisfacimento dei bisogni umani essenziali che anche la legge internazionale riconosce come “diritti umani), interdipendenti e indivisibili fra loro.

A. Papisca, I diritti economici, sociali e culturali nel sistema delle relazioni internazionali, in AA.VV., Studi economici, sociali e culturali nella prospettiva di un nuovo stato sociale, Cedam, Padova, 1990

Come inserire una riflessione sulla configurazione ed il ruolo delle istituzioni statuali secondo il paradigma dei diritti umani? Esse si trovano infatti collocate ad un livello intermedio tra quello della centralità della persona, titolare della dignità umana apportatrice dei diritti conseguenti, e quello dell’interdipendenza planetaria, che congiunge le società e le strutture nazionali e sovranazionali nella definizione del ‘bene comune’ che tutte sono chiamate a realizzare.

Ciò rende necessaria una rilettura del tema della sovranità, in relazione all’avvento del diritto internazionale dei diritti umani: esso si pone come ‘norma fondamentale’ su cui far correre, come su un binario, l’attività delle istituzioni di governo, rispettosa di un corretto approccio alla democrazia: è questo che le carica dell’onere di porsi al servizio dei cittadini, titolari nel loro insieme del potere sovrano di scelta e di indirizzo politico, che le istituzioni stesse devono incarnare e realizzare, guidate dalla mappa rappresentata dalla Costituzione e dai principi dello stato di diritto: la sovranità non è una caratteristica dello Stato come di un ente ulteriore rispetto a chi lo costituisce e lo sostiene quotidianamente con la propria forza vitale, ma appartiene, appunto, al popolo: è da questo che promana il diritto, per chi governa, di usare a propria volta quel potere, e soltanto quello, che la Carta costituzionale gli affida, senza alcun margine di arbitrarietà, definendone contenuti e modi di esercizio.

Se il popolo è nel suo insieme titolare della sovranità, essa, pro-parte, è condivisa dai singoli e dalle comunità intermedie entro la realtà statuale, comportando la precettività di tutti i diritti umani, sia di quelli civili e politici: come anche di quelli economico-sociali-culturali: i primi sono tradizionalmente intesi come coerenti con lo schema dello Stato liberale, mentre i secondi sono ritenuti più congruenti all’orientamento dello Stato sociale.

Secondo la concezione liberale, il valore fondamentale su cui far perno per articolare l’organizzazione della comunità statuale nel pieno rispetto dei diritti della persona, è quello della libertà (di pensiero, di religione, di parola, di stampa etc.), soprattutto nell’intento di scongiurare derive arbitrarie e tiranniche del potere politico, In tale prospettiva il compito principale che lo Stato è chiamato a realizzare e garantire è quello della tutela dell’uguaglianza formale di tutti davanti alla legge, con conseguente accentuazione del ruolo fondamentale, a tal fine, di un efficiente sistema di applicazione della giustizia e di controllo delle “oggettive” procedure di governo tracciate dalla Costituzione in base al principio di separazione dei poteri.

Nella prospettiva dello Stato sociale, d’altro canto, si tende ad accentuare, sullo sfondo di una visione solidaristica dell’essere umano, l’attenzione all’uguaglianza sostanziale tra i consociati e quindi il compito dell’organizzazione statuale di intervenire a sostenere i ceti e le situazioni sociali svantaggiate. In esso appare quindi in primo piano la preoccupazione per il sistema di sicurezza sociale, che garantisca l’accesso di tutti a servizi fondamentali quali la scuola, la sanità, i sussidi alle famiglie, ai disoccupati etc., pur comportando, come contropartita, un’articolazione del sistema fiscale che assicuri un prelievo di carattere progressivo che garantisca un’effettiva e bilanciata redistribuzione della ricchezza.

Sia uno sia l’altro modello presentano, sul versante internazionale, caratteristiche evolutive che tendono ad unificarli: proprio la prospettiva dei diritti umani che qui si va delineando richiede, sul fondamento della loro universalità ed interdipendenza, che ogni Stato assicuri ai cittadini gli standard propri dello Stato di diritto (international rule of law) in termini di partecipazione, di accesso alla vita politica, di applicazione della legge, di tutela delle minoranze, senza trascurare la realizzazione dei bisogni vitali imposti dalla dignità cui ogni essere umano nella sua interezza ha diritto, soprattutto se in condizioni di svantaggio sociale come individuo o come comunità statuale stessa (international welfare).

In base al diritto internazionale dei diritti umani, quindi, la sovranità dello Stato incontra il limite giuridico positivo che le affida un obbligo erga omnes di effettività: la dimensione sociale dello Stato di diritto si orienta nella direzione della sostenibilità solo se realizza la dimensione assio-pratica dei diritti umani stessi, che chiede di tradurre in azioni politiche concrete le aspirazioni vitali che essi esprimono, sia sul versante delle libertà e delle attese di carattere più spirituale sia su quello della concretezza dell’aiuto a chi non vede risolti sul piano materiale i propri diritti di dignità umana.

La statualità sostenibile, cui lo schema dello Stato sociale si riconnette, si sviluppa secondo una struttura di rete che, in nome dell’effettività dei diritti umani e della partecipazione ai processi

istituzioni corresponsabili ad esso sia di carattere transnazionale sia di carattere locale dando effettività ad un concetto più realistico di cittadinanza, che si delinea come plurima .

Dichiarazione Universale dei Diritti umani, Artt. 22, 28 (Risoluzione dell’Assemblea Generale delle N.U. 217/A del 10 Dicembre 1948)

Art. 25 : “1. Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute ed il benessere

proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione,al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; e ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.

2. La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale ”.

Costituzione Italiana; artt. 2, 3 Carta Sociale Europea.

Lo Stato come garante di un patto sociale positivo

Quanto affermato circa la dignità della persona come punto focale della riflessione sui diritti umani (v. Scheda 1) introduce lo snodo problematico del rapporto tra l’individuo e lo Stato e la definizione del ruolo, delle modalità e dei limiti con cui questo stesso è chiamato ad organizzare la comunità di cittadini che sono portatori in modo originario di quei diritti.

La tradizionale trattazione di tale argomento nei testi scolastici si sviluppa frequentemente secondo una prospettiva diacronica che parte dallo Stato assoluto, si evolve dopo la Rivoluzione francese in Stato di diritto, fatto coincidere discutibilmente con lo Stato liberale, e giunge ai giorni nostri giustapponendolo alle forme proprie dello Stato sociale, talora sbrigativamente sovrapposto con quello democratico.

Il tentativo di leggere anche tali classificazioni nell’ottica del diritto internazionale dei diritti umani comporta una loro risistemazione concettuale che può trascinare con sé delle prospettive di educazione civica stimolanti ed innovative, soprattutto per l’allargamento dell’ottica antropologica e geopolitica che esso propone.

È una sensazione diffusa quella che la vita interna al nostro Stato sia percorsa quotidianamente da elementi che la proiettano allo stesso tempo sia verso livelli di interdipendenza planetaria sia verso problematiche e meccanismi di prossimità che sembrano far vacillare la stessa capacità dello Stato di governare, cioè di gestire processi attuativi di obiettivi e di responsabilità di tipo politico. Sembra necessario che in ciò si superino logiche confinarie che si avvertono ristrette ed irrigidite, benché talora invocate come espressioni di una logica difensiva che esprime (e rischia di generare) paure spesso fondate e comunque improduttive.

Ciò non significa dubitare della legittimazione dello Stato ad esistere come istituzione con tutte le caratteristiche sue proprie, ma richiede un inquadramento che lo ridimensiona in tale ruolo rendendolo un tassello irrinunciabile ma non autoreferenziale della convivenza umana.

Nel nostro Stato tale processo può esser facilitato, nella sua concretizzazione, dalla presenza di valori di rango costituzionale germinati dalla stessa radice della Dichiarazione Universale dei diritti umani: intorno ad essi la comunità nazionale si organizzò nel secondo dopoguerra e deve ricoagularsi adesso, in chiave internazionale,

È per esempio evidente l’assonanza, nei Principi Fondamentali della nostra Costituzione, tra i richiami categorici all’uguaglianza tra gli individui senza alcuna distinzione dell’art. 3, comma 1 quella che si indica comunemente come formale, e l’assegnazione a ogni individuo dei diritti e delle libertà della Dichiarazione universale all’art. 2 con un elenco similare di ambiti di possibile discriminazione da escludere; analogamente, come nell’art. 3, comma si definisce a carico della Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli effettivi all’uguaglianza

sostanziale, così negli artt. 22-28 della Dichiarazione si articola un programma di risposta ai bisogni di sicurezza sociale delle persone che nega, evidentemente, che essi abbiano carattere residuale rispetto a quelli di libertà.

In tal senso i valori costituzionali incorporano l’infrastruttura valoriale dei diritti umani, che, dando veste formale sul piano giuridico ai bisogni vitali delle persone, pone a carico dell’istituzione statuale un obbligo erga omnes di soddisfarli concretamente e senza cedere al dualismo che, soltanto per motivi storici, ha condotto a scinderli in due categorie separate, quella dei diritti civili e politici e quella dei diritti economici sociali e culturali, I diritti umani infatti, sono, fin dalla loro enunciazione originaria, indivisibili ed interdipendenti, cioè richiedono una realizzazione non frammentata e non gerarchica

Se si prova, d’altro canto, ad immaginare lo Stato come una medaglia, da un verso esso appare come istituzione, ma dal rovescio non si può che vederne il radicamento nella sovranità popolare: di essa ciascuno dei suoi membri non può che esser portatore pro quota.

Quale la giustificazione di tale prospettiva? Il fatto che, semplicemente, ogni cittadino sia un essere umano dotato di quella dignità costitutiva ed innata che coincide con il valore stesso della vita. Lo Stato come istituzione non può che essere secondario rispetto ad essa, esistendo solo in funzione del compito di rispettarla e realizzarla, dopo aver potuto soltanto riconoscerla.

Ut cives digne vivant è il programma che dà senso alla struttura statuale democratica, come ambito strumentale e non arbitrario, fondato sulla definizione originaria della sovranità dell’essere umano titolare di diritti innati e deputata a darne attuazione a tutto tondo come soggetto derivato.

Se ciò è vero, ne consegue che, se la persona umana è portatrice di bisogni vitali che la struttura statuale riconosce come diritti fondamentali da rispettare e portare a compimento, e che coincidono con quelli stessi che è la legge internazionale scritta a definire come tali, non è soltanto lo Stato di appartenenza formale di ciascuno a porli come programma primario da perseguire, ma deve essere ogni struttura analoga in tutto il mondo, secondo una logica di funzionalità umana universale ed , evidentemente, interdipendente.

La statualità sostenibile

In tale prospettiva diventa forse più chiara l’articolazione tradizionale dello Stato sopra richiamata: esso, in quanto Stato di diritto, ha il compito di bilanciare l’attività dei poteri separati, che rappresentano l’ambito di gestione formale della sovranità, in vista della democrazia compiuta, cioè secondo i dettami dello Stato sociale. È nello Stato sociale che l’uguaglianza dei singoli e dei corpi intermedi non si esprime con affermazioni teoriche o di garanzia giurisdizionale formale, ma si incarna come uguaglianza sostanziale, realizzata mediante interventi efficaci sul piano economico e sociale, affidati ad istituzioni competenti e procedure fattive da rinvenire anche in ambiti esterni a quello della tutela giudiziaria, per quanto con esso interagenti, che implicano movimentazione di risorse umane e finanziarie ed interventi efficaci sul piano materiale .

Nella prospettiva della statualità sostenibile lo Stato di diritto non può che configurarsi come Stato sociale per la necessità di riunificare i diritti umani nell’alveo della dignità integrale della persona e del popolo che ne rappresenta l’aggregato.

In tal senso è da accogliersi l’elencazione adottata dalla Seconda Conferenza mondiale sui diritti umani, svoltasi a Vienna nel 1993, dove simbolicamente le varie categorie che ordinano questi stessi sono elencate in rigoroso ordine alfabetico, a ribadirne l’intrinseco legame circolare ed a suggerire la possibilità di smitizzare alcune affermazioni che solo sulla loro dualità si fondano, come quella che ne ritiene alcuni immediatamente precettivi ed altri programmatici perché di lenta realizzazione o che ritiene il conseguimento degli uni a costo zero, mentre ritiene insostenibilmente impegnativi gli altri sul piano economico

La connessione della legittimazione della struttura istituzionale statuale alla sovranità del popolo non solo trascina la centralità dei diritti umani che questo chiede di veder realizzati, ma la incrocia anche in un necessario riferimento ai doveri che, con la stessa finalità, si

elettorale, i processi democratici devono infatti, a pena di sterilità, inglobare le attività dei corpi popolari legittimanti, cioè dei governati: sono essi i più capaci di integrare i diritti umani ai vari livelli della vita politica e sociale in base ad una corretta percezione del principio di sussidiarietà che può promuoverli efficacemente nella quotidianità.

Se in Paesi come il nostro è certamente lento l’adeguamento istituzionale alle procedure richieste dagli organismi internazionali in tema di tutela dei diritti umani, coerentemente con una visione politica ancora di corto respiro, è significativo che a supplire a tale deficit valoriale siano stati, negli ultimi decenni, sia segmenti significativi del mondo accademico, sia governi locali mostratisi sensibili, come anche organizzazioni della società civile. Da essi è tuttora condotto un cammino che rappresenta le esigenze e le utopie concrete di quella che è stata definita ‘democrazia di prossimità’ e che recupera in modo più immediato la politica, la cura della comunità nell’ottica del servizio piuttosto che in quella del potere.

Il ruolo dello Stato

Il tema del ruolo dello Stato entro la macro-area dei diritti umani diventa interessante anche se ci si pone nella prospettiva di tradizioni storico-giuridiche diverse dalla nostra: se il binomio Stato di diritto - Stato sociale come grembi naturali dei diritti di prima generazione il primo e di seconda l’altro sono di immediata percezione nel mondo occidentale, lo sono molto meno per i membri di altre aree regionali, che dal canto loro accolgono con

entusiasmo la giuridificazione dei diritti cosiddetti di terza generazione (vedi ancora la scheda

1.A nel cap.1): essi, identificati sostanzialmente con quelli all’ambiente, alla pace ed allo

sviluppo, ben si attagliano, in quanto diritti “collettivi”, alla prospettiva di Paesi del Sud del mondo (rappresentati dall’Unione Africana, della Lega araba, dell’Organizzazione degli Stati Americani – in larga parte dell’America Latina) che sono propensi a sottolineare una forte soggettività giuridica del popolo ed esprimono il dinamismo dei diritti umani che segue la crescita, giuridica ed economica, di realtà segnate da urgenze materiali inimmaginabili e talora, inscindibilmente, da storture giuridiche sul piano delle libertà civili.

Da questo punto di vista è confortante il cammino iniziato a New York nel 2000, quando 191 Stati membri dell’ONU, rappresentati dai rispettivi Capi di Stato e di Governo, riuniti in un vertice poi confermato da un voto dell’Assemblea Generale dell’Onu, riconobbero che, al di là di ogni schematizzazione teorica, ciascuno di essi doveva assumersi delle responsabilità verso l’intera specie umana, ed in particolare i Paesi ricchi nei confronti di quelli poveri. Furono così definiti gli otto Obiettivi del Millennio, fissandone la scadenza per la loro realizzazione al 2015. Il cammino, raggelato immediatamente dagli attentati del 2001 in quello stesso luogo, avanzerà forse con lentezza, ma non perde certo di senso e continua a rivendicare l’integralità dell’essere umano che reclama il proprio diritto ad una vita degna, cioè senza fame, con un’istruzione primaria, senza discriminazioni di genere etc.

Tali tematiche saranno sviluppate più oltre nel corso della trattazione, ma si ritiene opportuno raccogliere la provocazione che ne proviene, quella alla concretezza della solidarietà imposta dalla indivisibilità ed interdipendenza dei diritti umani, così come quella alla riedizione del nesso diritti-doveri che riporta alla ribalta la società civile insieme al carico di obblighi positivi che gli Stati devono accollarsi per collocarsi con fiducia e serietà nell’ottica di una “umana” interrelazione universale.

- Papisca, A.(2008), Dichiarazione Universale dei diritti umani, lievito umanocentrico della

civiltà del diritto (La Comunità Iinternazionale, fasc. 4/2008 pp. 591-605)

- Bagni G. e Conserva R.(2006), Insegnare a chi non vuole imparare (Torino, EGA)

- Maturana H. e Davila X.(2006), Emozioni e linguaggio in educazione e politica (Elèuthera, Milano)

- Papisca A.(2004), Democrazia internazionale per la democrazia interna: fiaccola sopra il

moggio, non bagliori di guerra, in Pace diritti umani n. 3/2004 (Venezia, Marsilio)

- Papisca A.(1998), Infrastruttura diritti umani per il sistema democratico, in Strumendo L.

(a cura di ), Costituzione, diritti umani Garanzie. Forme non giurisdizionali di tutela e promozione, (Padova, CEDAM )

- Von Foerster H.(1987), Sistemi che osservano, (Roma, Astrolabio)

Dall’ONU

Il cammino dei diritti umani universali, interdipendenti ed indivisibili [così definiti, tra gli altri, dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per il 50° anniversario della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) sarebbe dovuto sfociare, nell’intenzione degli estensori della Dichiarazione universale, in un’unica Convenzione che obbligasse gli Stati che l’avessero ratificata a vincolarsi alla realizzazione dei principi che essa affermava.

Questo progetto non si è concretizzato, per cui ancora oggi si possono rintracciare dei percorsi che sollecitano, a livello globale o regionale la maggiore responsabilità degli Stati ora a garantire le regole proprie del rule of law

ora a perfezionare interventi più fattivi di welfare internazionale.

(vedi anche i riferimenti concettuali nella scheda 1.A “Diritti umani: il riconoscimento dell’eguale dignità di ogni persona” nel cap.1)

1 - Sul primo versante si può cercare di tracciare la garanzia del diritto di voto, così come prospettata nel Commento Generale n. 25 del Comitato per i diritti umani delle N.U. in riferimento all’art.25 del Protocollo sui diritti civili e politici, per quanto attiene al livello globale, e nella Convenzione del Consiglio d’Europa sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, per quanto concerne l’area regionale europea..

Il primo breve documento, risalente al 1996, si preoccupa della realizzazione senza discriminazioni dell’accesso all’elettorato attivo e passivo e ai pubblici uffici. Di esso si sottolinea parte del punto 3 , che appare di particolare interesse rispetto al dibattito in materia che percorre la nostra stessa nazione,

Tale testo riecheggia quello sul voto agli immigrati proposto dal CoE, che tende a migliorare l’integrazione dei non cittadini regolari assicurando loro l’informazione sui loro diritti, la partecipazione ad organismi consultivi ed il diritto di voto nelle consultazioni locali là dove essi risiedono: l’Italia, come altri dei Paesi che hanno aderito alla Convenzione, in vigore dal 1997, ha firmato per il riconoscimento dei primi

due punti, ma non del terzo

2 - Quanto al versante dei diritti sociali, per essi l’assicurazione dell’effettività, cioè della dotazione dei mezzi per realizzarli, appare più faticosa: già al livello delle N.U. è dovuto trascorrere del tempo perché anche per essi, come già per i diritti civili e politici, si istituisse un

Comitato (il CESCR, Comitato sui diritti economici, sociali

e culturali) di controllo dell’accoglimento del

Protocollo ad essi relativo; tale Patto, a sua volta, soltanto nel 2008 ha ottenuto dal Consiglio per i Diritti Umani la possibilità di un meccanismo di