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Gobetti e l‟image letteraria della Rivoluzione russa

Parte I – La letteratura russo-sovietica in Italia

I. 2 «L‟Ordine Nuovo» e la letteratura russa a Torino

I.2.1 Gobetti e l‟image letteraria della Rivoluzione russa

Il fiume carsico dell‟eredità politica e letteraria trasmessa dal pur breve periodo di attività politica e culturale del giovane Piero Gobetti ha svolto un ruolo di notevole importanza nell‟alimentare l‟opposizione intellettuale al fascismo.301

Il peculiare legame che Gobetti (nonostante l‟influenza di Croce) ha impostato tra etica politica, cultura e letteratura può riconoscersi tra i presupposti del rapporto tra tensione morale e ricerca letteraria che caratterizza la variegata cultura dell‟opposizione al fascismo. Sopravvivendo al loro fondatore, l‟eredità della cultura espressa dalle riviste gobettiane come «La Rivoluzione Liberale» si diffuse nell‟opposizione latente al regime fascista, tramandando una

visione antievasiva dello statuto letterario, antirondesca per necessità storica: una letteratura costantemente ricondotta ad una prospettiva di veicolo militante, di vessillo di civiltà, che per Gobetti coincide sempre con l‟insieme delle istituzioni economiche, politiche e sociali di una nazione.302

Secondo Béghin, l‟interesse di Gobetti per la Russia si lega fin dal principio all‟eco dei fatti dall‟Ottobre 1917: «Gobetti comprò le sue prime traduzioni italiane di scrittori russi proprio negli ultimi mesi del 1917, soprattutto in dicembre […] non è improbabile che gli eventi rivoluzionari siano stati la causa di tali acquisizioni»303.

Qui interessa soprattutto rilevare che il discorso di Gobetti sulla Russia, in netto contrasto con la linea tracciata dalle riviste dell‟IpEO come «L‟Europa orientale» e «Russia», esprime una interpretazione nettamente filo bolscevica della storia politica e culturale della Russia. Gobetti è di conseguenza uno degli

301 Persino Angelo d‟Orsi, notoriamente scettico in merito alla consistenza ideologica e politica di

Gobetti, ammette tuttavia che nella sua «azione costituita null‟altro che da parole […] risiede forse la principale fucina dell‟antifascismo italiano» (ANGELO D‟ORSI, La cultura a Torino tra le due guerre, Einaudi, Torino 2000, p. 69).

302 G

IUSEPPE LANGELLA, Il secolo delle riviste. Lo statuto letterario dal «Baretti» a «Primato», Vita e Pensiero, Milano 1982, p. 55.

303

L.BÉGHIN, Da Gobetti a Ginzburg. Diffusione e ricezione della cultura russa nella Torino del primo

dopoguerra, cit., p. 174. Per un quadro generale e riferimenti bibliografici sull‟attività russistica di

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intellettuali non comunisti più vicini alla battaglia politica e culturale condotta da Gramsci. L‟opposizione di Gobetti alla più diffusa ricezione italiana dei fatti di Russia è infatti un dato costante, come testimonia per esempio questo brano del 1921:

La produzione letteraria dedicata in Italia alla rivoluzione russa attesta la deficienza della nostra visione politica e l‟impotenza della nostra cultura a darci un tentativo di interpretazione storica […] una posizione scientifica in siffatti argomenti. S‟ostinano i nostri scrittori, parlando della Russia, a non voler abbandonare in alcun modo la storia didascalica […] i fatti della rivoluzione […] li si vuole ad ogni costo intendere e usare come strumento o di rivolta o di reazione politica italiana.304

Come suggerisce questo passo, non è necessario esercitare uno sforzo ermeneutico particolare per rilevare l‟opposizione di Gobetti alla ricezione nostrana della storia e cultura russa, perché lo stesso Gobetti enuncia a chiare lettere la sua posizione polemica in merito. Si è detto sopra che la ricezione della letteratura russa dominante in Italia si caratterizza per un certo allineamento alle tesi delle opposizioni russe al bolscevismo. Nello stesso scritto Gobetti riconosce questo fenomeno, e lo denuncia come uno dei principali limiti dei discorsi italiani sulla storia russa:

Una seconda deficienza molto grave deriva nei nostri storici da incapacità nello sceverare le fonti. Tra noi quanti si professano liberali attingono criteri di valutazione ed elementi di giudizio dagli scrittori russi dell‟Intelligenza (populisti, socialisti, rivoluzionari), negati a ogni visione della concretezza sociale, sognatori e non pratici, illusi agitatori sentimentali, progettisti (mi si conceda il barbaro termine) non politici.305

Si può continuare ad attingere da questo scritto, utile per evidenziare non solo la linea di opposizione che caratterizza la ricezione gobettiana, ma la chiara consapevolezza con cui questa linea si pone in contrapposizione alle letture dominanti in Italia, affiancando, di fatto e esplicitamente, la linea di Gramsci, fino al punto di riprendere la diagnosi di brescianesimo intellettuale:

Nella polemica che la nostra borghesia ha intrapreso contro il bolscevismo tutti i mezzi son tornati validi. […] Certi giornali borghesi hanno mandato i

304 P

IERO GOBETTI, Criteri di metodo per la storia della rivoluzione russa, «Rivista di Milano», 20 febbraio 1921; ora in ID., Il paradosso dello spirito russo e altri scritti sulla letteratura russa, introduzione di Vittorio Strada, Einaudi, Torino (1969) 1976, p. 121.

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loro corrispondenti in Russia perché ci riferissero de visu che veramente in regime bolscevico non si è tutti felici e non tutti i lavoratori hanno ogni giorno il pollo in pentola. Ora se questo può bastare a trattenere dalla rivoluzione molti dei nostri proletari, invincibilmente borghesi nell‟anima, non ci fa intendere un fenomeno storico, poiché proprio ne rifiuta la spiritualità, cioè la essenza. Hanno ragione i comunisti nostri di confrontare questa posizione pseudo storica a quella del buon padre Bresciani.306

Sebbene Gobetti non abbia riconosciuto l‟essenza marxistica della rivoluzione bolscevica in atto, ne riconosce e promuove la sostanza rivoluzionaria in chiave liberale, come processo politicamente concreto di edificazione dello Stato. Di conseguenza non solo Gobetti traccia una image della Russia rivoluzionaria oggettivamente alternativa rispetto ai discorsi divulgati dall‟IpEO, ma attacca sistematicamente ed esplicitamente le pubblicazioni italiane che tracciano un profilo imagologico avverso alla rivoluzione russa. Se nello scritto sopra citato di Gobetti le argomentazioni generali convergono contro il libro di Aldemiro Camponico La

Russia dei Soviet. Saggio di legislazione comunista (1920), similmente lo scritto di

Gobetti Il populismo russo muove contro ciò che scrive «candidamente il Caciarovschi in un saggio molto accademico pubblicato nell‟“Europa Orientale” su “Il socialismo in Russia”»307

; il giudizio di Gobetti sulle idee populiste propagandate per buone su l‟«Europa Orientale» dal socialista-rivoluzionario Karl Kačorovskij308 è lapidario: «la conseguenza di queste chiacchiere fu il fallimento della rivoluzione del 1905»309.

Nel marzo 1922 Gobetti attacca dalle colonne della sua rivista, «La Rivoluzione Liberale», un libro sulla Russia sovietica recentemente pubblicato dai socialisti italiani antisovietici e intitolato La Russia com‟è310, sarcasticamente commentato da Gobetti in chiave pirandelliana:

306 Ivi, p. 122. 307

P.GOBETTI, Il populismo russo, in ID., Il paradosso dello spirito russo e altri scritti sulla letteratura

russa, cit., p. 129; l‟articolo non è stato pubblicato sull‟«Ordine Nuovo» del 3 dicembre 1921, come

erroneamente si segnala.

308 «Karl Kačorovskij […] negli ultimi anni della prima guerra mondiale, collaborò a “La Russia”, un

periodico pubblicato in Italiano a Milano e di orientamento socialista-rivoluzionario» (L. BÉGHIN, Da

Gobetti a Ginzburg. Diffusione e ricezione della cultura russa nella Torino del primo dopoguerra, cit., p.

180 nota 136).

309 P.G

OBETTI, Il populismo russo, cit., p. 130.

310

Si tratta di: GREGORIO NOFRI,FERNANDO POZZANI, La Russia com‟è, con prefazione di Filippo Turati, Bemporad, Firenze 1921; nello stesso articolo Gobetti attacca anche: GUGLIELMO PANNUNZIO, Ciò che ho

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Un libro che per le conseguenze avute in Italia ha bene svelato le miserie del socialismo italiano. […] È lecito identificare la verità con ciò che vedono Nofri e Pozzani? […] Pannunzio vede qualche altra cosa e non c‟è ragione perché non titoli anch‟egli il suo libro La Russia com‟è se il titolo pretenzioso vuol dire la Russia come si vede, come la vede G. Pannunzio. È proprio il caso di concludere così è (se vi pare). E il signor Ponza (Nofri- Pozzani) e la signora Frola (Pannunzio) e la signorina Dina (Filippo Turati) ci rappresentano invero la più piacevole delle commedie.311

Gobetti fa seguire alla satira la diagnosi sul significato in termini di politica italiana dell‟operazione imagologica condotta dai socialisti sulla Russia sovietica:

Nofri-Pozzani-Turati non hanno mai approfonditi i problemi dialettici della storia che non son fatti per dare collegi elettorali, ne le equivoche popolarità che solo garantisce ai gesuiti disonesti il riformismo mezzano tra la borghesia e il proletariato: essi scrivono per ragioni pratiche, essi hanno un solo compito: liquidare la rivoluzione e le forze spontanee, instaurare sugli italiani il nuovo regime della tutela. Con questo ideale […] son mossi a demolire il mito russo […] per soffocare, con gli allettamenti di un utilitarismo bestiale e antimarxista, i primi tentativi autonomi delle masse italiane. Il colpo è riuscito per nostro disdoro.312

La chiarezza dei termini del discorso di Gobetti rende evidente che tra i suoi principali obiettivi polemici figura in primo piano la costruzione imagologica della realtà russa propagandata in Italia. L‟anno successivo per esempio, Gobetti si scaglia contro la «celebre opera» di Masaryck «sulla Russia e l‟Europa, uscita dieci anni or sono ed ora tradotta in Italiano per cura di Ettore Lo Gatto»313, che un «osservatore critico invece di un sentimentale» studierebbe «più scetticamente come un esempio […] di eclettismo propagandista»314.

Passando dagli scritti di argomento storico e politico agli scritti sulla letteratura, sempre inerenti alla Russia, l‟atteggiamento di Gobetti si rivela chiaramente animato dalla critica delle ideologie antirivoluzionarie veicolate dalle opere letterarie. L‟impostazione esteriormente crociana della critica di Gobetti è mossa da una sensibilità politica opposta a quella di Croce: come sarà poi in Ginzburg, la distinzione tra un piano storico-sociale estrinseco e un piano

311 P.G

OBETTI, «La Russia com‟è», «La Rivoluzione Liberale», I, n. 4-5, marzo 1922; ora in ID., Il

paradosso dello spirito russo e altri scritti sulla letteratura russa, cit., pp. 131-132.

312 Ivi, p. 132. 313

P.GOBETTI, Il problema della civiltà russa, «L‟Ora», Palermo, 23 novembre 1923; ora in ID., Il

paradosso dello spirito russo e altri scritti sulla letteratura russa, cit., p. 133.

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propriamente artistico diventa lo strumento procedurale che consente a Gobetti di rivelare e esaltare i risultati artistici degli scrittori russi e fulminare al contempo l‟ideologia politica espressa dalle loro opere.315

Anche sul piano della critica letteraria prosegue quindi la battaglia di Gobetti contro la tendenza politica che caratterizza la ricezione della cultura russa nell‟Italia del Primo dopoguerra.

Persino lo scrittore russo prediletto da Gobetti, Leonid Andreev, rivelerebbe sul piano umano e intellettuale l‟inadeguatezza di fronte al divenire storico e politico tipica dell‟intellighenzia russa. La prefazione di Gobetti al volume in traduzione italiana Figlio dell‟uomo e altre novelle di Andreev,316 polemizza vivacemente nei confronti delle valutazioni critiche di Borgese nei confronti di Andreev; senza contestare esplicitamente sul piano teorico la rigida dicotomia intrinseco/estrinseco che caratterizza l‟estetica di Croce, Gobetti non trascura di aggredire l‟operazione critica (e imagologica) messa in atto attraverso la retorica critica d‟ascendenza crociana317:

Dunque il Borgese raccomanda la visione del puro problema artistico, quasi stilistico onde l‟artista nostro è […] scettico di fronte ad ogni realtà che non sia l‟arte sua. […] Ho dinanzi la più generica delle affermazioni, vuota di ogni senso critico. […] ora per combinazione ha lanciato Leonida Andreev […] l‟appello al soccorso SOS 3 […] che è appunto proclama ed anatema tolstoiano (e ciò nonostante un capolavoro): ruina così anche esteriormente il castello cartaceo del Borgese e son preclusi i mezzi a ricostruirlo.

Perché proprio Andreev è un entusiasta e un credente.318

315 Mentre sembrerebbe seguire Croce nella svalutazione dell‟intellighenzia russa, anche in questo caso

Gobetti in realtà ne muta di segno il significato politico, sociale e culturale: i limiti dell‟intellighenzia russa, lungi dal rivelare, come suggerisce Croce, un qualche fantomatico limite intrinseco della Russia, per Gobetti sono in pratica gli stessi limiti dell‟intellettualità conservatrice e antirivoluzionaria italiana e europea, che in Russia sono stati spazzati via dalla concretezza politica e storica del leninismo. La tendenza imperialistica, o comunque eurocentrica di Croce risulta di conseguenza vanificata e ribaltata.

316

LEONID ANDREEV, trad. it. Figlio dell‟uomo e altre novelle, tradotte direttamente dal russo da Piero Gobetti e Ada Prospero, con uno studio critico sull‟autore, Sonzogno, Milano s.d. Nel volume sopra citato de Il paradosso dello spirito russo di Gobetti il volume è datato 1919, secondo Bèghin dovrebbe invece datarsi al 1920.

317

Non ho visto l‟articolo di Borgese in questione, deduco quanto detto sopra dall‟argomentazione gobettiana; non ho visto neppure il testo dell‟articolo di Gobetti da cui, come segnala Strada, deriva la

Prefazione di cui sopra: «il saggio [di Gobetti] è un‟ampia rielaborazione d‟uno scritto apparso quasi

contemporaneamente sul giornaletto “L‟ascesa” di Asti (anno I, n. 8, dicembre 1919) che comincia col seguente paragrafo: “La morte di Leonida Andreev ha mosso lo stuolo dei critici dei nostri quotidiani a profondere nei loro articoli commemorativi la loro superficialità e incompetenza […]” Nell‟articolo, che fu probabilmente una prima stesura del saggio e che dice sostanzialmente le stesse cose, è però leggermente accentuato il tono polemico contro i citati articoli del Borgese» (P.GOBETTI, Il paradosso

dello spirito russo e altri scritti sulla letteratura russa, cit., p. 62 nota).

318 P.G

OBETTI, Prefazione a L.ANDREEV, Figlio dell‟uomo e altre novelle, cit.; ora con titolo Andreev in P.GOBETTI, Il paradosso dello spirito russo e altri scritti sulla letteratura russa, cit., pp. 64-65.

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Lo scritto di Andreev SOS 3, dove lo scrittore invoca gli eserciti europei contro il boscevismo, è impugnato da Gobetti per demolire il profilo di «Andreev- artista-scettico […] famosa convinzione internazionale su cui ha poggiato gran parte del lavoro critico della letteratura contemporanea e a cui si accosta con compiacenza, molto spesso, il Borgese»319. Gobetti sembra individuare chiaramente la nequizia ideologica alla quale non di rado ricorre la critica di derivazione crociana: promuovere le opere la cui tendenziosità politica è gradita avvolgendole nel manto retorico dell‟arte pura. Gobetti reagisce riconoscendo e distinguendo al contempo sia la coesistenza e sia l‟alterità di arte e weltanshung politica nell‟opera letteraria; diversamente dalla prassi dominante, interviene appunto sul piano della

weltanshung. Nel caso Andreev, Gobetti celebra l‟esito artistico e demolisce la

tendenza politica implicita come segno di un‟incapacità dell‟autore di vivere nel proprio tempo e comprenderlo:

Non era molto diverso lo stato d‟animo iniziale di Gogol, di Puschin, di Dostoievschi, di Turgheniev. […] Sono passati cinquant‟anni. Lo stato d‟animo di scontento generale è superato. L‟aspirazione comune dovrebbe essere attuazione comune. Ma l‟artista superstite vuole ancora il sogno. È malato come Dostoievschi e come Turgheniev di astrattismo. Solo che l‟astrattismo aveva allora consistenza; adesso, che bisogna concretare i risultati è degenerazione, è malattia. Andreiev ne dovrà morire appena la realtà sarà troppo forte.

L‟appello SOS 3 è il suo testamento spirituale. L‟ultima contraddizione. L‟erede di Dostoievschi, il demofilo, che invoca l‟Occidente per salvare la sua Russia. Per distruggere la realtà e ricostruire il suo sogno. Invece la realtà lo ha ucciso.320

Si è visto finora che Gobetti polemizza vivacemente con le rappresentazioni e interpretazioni avverse alla rivoluzione bolscevica prodotte dagli intellettuali sia russi sia occidentali (e soprattutto italiani), e che l‟interpretazione letteraria di Gobetti distingue piano estetico e piano storico-politico, prestando tuttavia grande attenzione al secondo. Il quadro non sarebbe però completo, sempre nei limiti della contrapposizione imagologica che qui si tenta di delineare, senza prendere in considerazione lo scritto di Gobetti pubblicato nel settembre del 1921 su «L‟Ordine Nuovo» quotidiano e intitolato L‟ora grave, recensione all‟omonimo romanzo sulla Rivoluzione russa di Victor Panin. Questo testo non solo consente di rilevare il

319 Ivi, p. 65. 320 Ivi, p. 71.

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grado di nettezza delle posizioni assunte da Gobetti e la sua costante attenzione alla valenza imagologica delle opere sull‟Unione Sovietica pubblicate in Italia (e non solo): permette di inquadrare la dinamica imagotipica complessiva che presiede alla ricezione italiana della Rivoluzione russa, in quanto Gobetti sembra cogliere quella tendenza che avrà il suo culmine nei reportage di Corrado Alvaro sulla Russia sovietica321, e nella rappresentazione – imagologica in senso stretto, trattandosi, come per L‟ora grave, di un‟opera letteraria – costruita dallo stesso autore nel romanzo L‟uomo è forte (1938).322

La recensione di Gobetti suggerisce innanzitutto che l‟Alvaro di L‟uomo è

forte non avrebbe dovuto attribuirsi il primato di una letteraria psicologizzazione

della Russia sovietica, perché il romanzo di Victor Panin, pubblicato nel 1921,323 è valorizzato dalla stampa nostrana appunto come opera che rivelerebbe «la psicologia della rivoluzione»; Gobetti esprime numerose riserve sull‟opera, e salta dal protagonista all‟autore, ritenendo evidentemente che il primo sia semplicemente l‟esile maschera del secondo:

Come documento storico e psicologico L‟ora grave è un romanzo che parla della rivoluzione russa. È grave però credere (come gli inesperti letterati dei nostri quotidiani) che qui si possa ritrovare la psicologia della rivoluzione:

321 Alvaro, «inviato del quotidiano “La Stampa” di Torino […] soggiorna in Russia nel 1934 e raccoglie

le corrispondenze nel volume I maestri del diluvio. Viaggio nella Russia sovietica del 1935, ripubblicato nel 1943 con il titolo Viaggio in Russia» (ANNE-CHRISTINE FAITROP-PORTA, Introduzione, in CORRADO

ALVARO, I maestri del diluvio. Viaggio nella Russia sovietica, a cura di Anne-Christine Faitrop-Porta, Falzea Editore, Reggio Calabria 2004, p. 7). In merito alla bibliografia su Alvaro e l‟Urss, e al dibattito intorno al ruolo politico-imagologico dello scrittore rimando alla succitata Introduzione e al suo ricco apparato di note. Qui basti ricordare come si conclude l‟opera, a cinque anni dall‟attacco nazifascista all‟Urss (giugno 1941): «La società si costituisce in un nucleo che direi primitivo, dominato da uno stato dottrinario di idee fatte e di canoni cui obbedire, tanto più pesante in quanto vi manca una profonda esperienza di civiltà e la pratica d‟una lunga vita civile, e il sentimento del sovrannaturale. […] Ancora una volta l‟Europa ha davanti a sé il suo compito storico di regolatrice, legislatrice, salvatrice. Dopo il mio viaggio nell‟Unione Sovietica vi credo più fermamente» (C.ALVARO, I maestri del diluvio. Viaggio

nella Russia sovietica, cit., p. 211).

322 «L‟idea di questo libro nacque nell‟Autore durante un suo soggiorno in U.R.S.S., quattro anni fa.

Descrivere la condizione dell‟uomo in uno stato di terrore, e non di quel terrore arcano di cui la letteratura ci ha dato tanti esempi, ma terrore umano e causato da uomini e codificato da leggi come quello che si vedeva intorno l‟autore, era un assunto da tentare, più che uno studioso, un romanziere. Questo sarebbe dunque il primo libro letterario che di quel fenomeno vuol fornire non un documento o una testimonianza ma il clima, il segreto, e tutto quanto la storia non può significare ma che spetta a una coscienza di artista ricreare» (C. ALVARO, Avvertenza, in ID., L‟uomo è forte. Romanzo, Bompiani, Milano 1938). Nel risvolto di copertina si legge: «Da più di venti anni leggiamo quotidianamente le terribili prove cui è sottoposto l‟uomo, in Russia, in Cina, in Spagna, dovunque le forze avverse del bene e del male si combattono. […] L‟uomo è forte […] è una testimonianza dettata, più che dall‟esperienza, da una poetica e umana comprensione che dà le più balenanti rivelazioni sull‟animo del mondo attuale là dove esso è più travagliato».

323 V

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Panin (o per lui Stepnoi) non è un‟anima operante, non è un attore; ha vista la Russia come l‟hanno vista i giornalisti occidentali; a distinguere lo sforzo creativo del popolo erano necessari altri ardori: i pregiudizi dell‟intellettualismo trattengono Panin fuori della realtà.324

Gobetti quindi si mostra attento alla ricezione calorosa dei critici italiani («gli inesperti letterati»), e sottolinea l‟«intellettualismo» da cui scaturisce una Russia vista con gli occhi dei «giornalisti occidentali», un punto di vista «fuori della realtà» incapace di «distinguere lo sforzo creativo del popolo». Gobetti precisa che il governo rivoluzionario russo ha il diritto di difendersi e reprimere individui nocivi come il protagonista del romanzo di Panin:

L‟immaturità politica, lo spirito anarchico di dissoluzione è così intenso negli Stepnoi che ove si voglia instaurare una volontà nuova di Governo i dirigenti hanno pieno diritto di usare ogni mezzo per impedire loro di nuocere. Stepnoi non vede la tragedia della Russia, ma il suo tormento individuale, il sentimento sociale in lui, anche quando è spinto alla massima esasperazione, è ancora dilettantismo di estetista.325

La condanna di Gobetti della morale politica del romanzo di Panin è espressa energicamente: «la sua posizione è falsa, immorale, dannosa, le sue osservazioni sono ipocrite, sono insulse pretese»326. Una visione etica e politica della Rivoluzione russa assai diversa da quella propagandata dall‟IpEO e più in generale dalla stampa e dagli intellettuali italiani emerge quindi anche in questa arroventata recensione, che non risparmia critiche alla forma mentis caratteristica dell‟intellighenzia