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Parte I – La letteratura russo-sovietica in Italia

I. 2 «L‟Ordine Nuovo» e la letteratura russa a Torino

I.3. Dal narodnost′ sovietico al nazionale-popolare gramsciano

I.3.2 Narodnost′ e nazionale-popolare

Gramsci ritorna sul problema della non produzione in Italia di romanzi popolari, d‟appendice e non, nella quinta nota sopra citata del ventunesimo dei

Quaderni intitolata Concetto di nazionale-popolare,413 una nota significativamente costellata di riferimenti alla Russia, dove innanzitutto afferma che «nulla impedisce teoricamente che possa esistere una letteratura popolare artistica - l‟esempio più evidente è la fortuna “popolare” dei grandi romanzieri russi» (Q, 2114). Il tema della

409 «Proletarskaja Kul‟tura. Izvestija», Pietrogrado 1918, n.1, pp. 2-3; citato in G. M

ELE, Cultura e

politica in Russia. Il Proletkul‟t 1917-1921, cit., p. 47.

410 G.M

ELE, Cultura e politica in Russia. Il Proletkul‟t 1917-1921, cit., p. 26.

411 V.S

TRADA, Il I Congresso degli scrittori sovietici, in ID., Tradizione e rivoluzione nella letteratura

russa, nuova edizione accresciuta, Giulio Einaudi editore, Torino (1969) 19802, p. 156 nota.

412

Ivi, p. 156.

413 Nel quinto quaderno Gramsci precisa che la «letteratura mercantile», cioè commerciale o d‟appendice,

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non-produzione autoctona di romanzi popolari in Italia è immediatamente legato sul piano culturale al narodnost′ russo (non denominato esplicitamente), su cui devia bruscamente il discorso gramsciano:

Il problema più interessante è questo: perché i giornali del 1930 […] devono pubblicare i romanzi d‟appendice di un secolo fa (o quelli moderni dello stesso tipo)? E perché non esiste in Italia una letteratura «nazionale» del genere nonostante che essa debba essere redditizia? È da osservare il fatto che in molte lingue, «nazionale» e «popolare» sono sinonimi o quasi (così in russo, così in tedesco […] così nelle lingue slave in genere […]). In Italia il termine «nazionale» ha un significato molto ristretto ideologicamente […] perché in Italia gli intellettuali sono lontani dal popolo, cioè dalla «nazione» e sono invece legati a una tradizione di casta (Q, 2117).

Poco oltre Gramsci afferma che gli scrittori italiani hanno fallito «per non aver saputo elaborare un moderno “umanesimo” capace di diffondersi fino agli strati più rozzi e incolti […] per essersi tenuti legati a un mondo antiquato, meschino astratto, troppo individualistico» (Q, 2119): da un punto di vista poetologico, ciò significa, a proposito del romanzo, che l‟individualismo non è stato superato dalla dimensione epica. Infatti poco prima Gramsci accenna alla «diffusione del romanzo cavalleresco medioevale – Reali di Francia, Guerino detto il meschino ecc. – specialmente nell‟Italia meridionale e nelle montagne» (Q, 2118). Gramsci usa con

cautela il termine “epica”, ma questi riferimenti letterari rimandano a un ambito letterario, senz‟altro ampio, che ha dei legami con la narrazione epica, per esempio in virtù della presenza di personaggi “eroici”, come è il caso del romanzo cavalleresco. Nella nota successiva (Diversi tipi di romanzo popolare) Gramsci imposta una classificazione delle «varietà di tipi di romanzo popolare», in base ad una tipologia dell‟eroe romanzesco, da cui si può evincere che «esistono nel popolo diversi strati culturali, diverse “masse di sentimenti” prevalenti nell‟uno o nell‟altro strato, diversi “modelli di eroi” popolari» (Q, 2120).414 Il discorso gramsciano stringe il cerchio sul problema dell‟epos:

414 Gramsci ritorna spesso sul problema della figura dell‟eroe nella letteratura popolare, per esempio nel

paragrafo centoventidue (intitolato Letteratura popolare) del quaderno ottavo: «Uno degli atteggiamenti più caratteristici del pubblico popolare verso la sua letteratura è questo: non importa il nome e la personalità dell‟autore, ma la persona del suo protagonista. Gli eroi della letteratura popolare, quando sono entrati nella sfera della vita intellettuale popolare, si staccano dalla loro origine “letteraria” e acquistano la validità del personaggio storico» (Q, 1013).

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Ognuno di questi tipi [di romanzo popolare] ha poi diversi aspetti nazionali (in America il romanzo d‟avventure è l‟epopea dei pionieri ecc.). Si può osservare come nella produzione d‟insieme di ogni paese sia implicito un sentimento nazionalistico, non espresso retoricamente, ma abilmente insinuato nel racconto […] nei francesi il sentimento antinglese, legato alla perdita delle colonie e al bruciore delle sconfitte marittime (Q, 2121).

Passando per un accenno alla «fortuna che ha avuto in Italia la letteratura popolare sulla vita dei briganti» (Q, 2123)415 – che può far pensare al Carlo Levi del

Cristo si è fermato a Eboli (il brigante come “eroe” politico-letterario nel folclore

del sud) – Gramsci giunge a discutere di cinema e teatro: «alcuni tipi di romanzo popolare su elencati hanno una corrispondenza nel teatro e oggi nel cinema», e accenna alla «fortuna considerevole» di Nicodemi che «ha saputo drammatizzare spunti e motivi eminentemente legati all‟ideologia popolare»; il discorso ritorna quindi sull‟alta letteratura in una meditazione sul teatro di Ibsen (molto apprezzato anche da Lukács):

In questo reparto teatrale si può notare come tutta una serie di drammaturghi, di grande valore letterario, possono piacere moltissimo anche al pubblico popolare: Casa di bambola di Ibsen è molto gradita al popolo delle città, in quanto i sentimenti rappresentati e la tendenza morale dell‟autore trovano una profonda risonanza nella psicologia popolare (Q, 2122).

Nella nota successiva, Romanzo e teatro popolare, il discorso di Gramsci si avvicina nuovamente alle meditazioni estetiche di Marx (cioè alla direttrice: tragici greci/epos greco – Shakespeare – Balzac), muovendo da un accenno al successo popolare odierno dell‟arte dei greci dell‟età classica antica:

È da ricordare ciò che scrisse Edoardo Boutet sugli spettacoli classici (Eschilo, Sofocle) che la Compagnia Stabile di Roma diretta appunto dal Boutet dava all‟Arena del Sole di Bologna il lunedì – giorno delle lavandaie – e sul grande successo che tali rappresentazioni avevano. […] È anche da rilevare il successo che nelle masse popolari hanno sempre avuto alcuni drammi di Shakespeare, ciò che appunto dimostra come si possa essere grandi artisti e nello stesso tempo «popolari» (Q, 2123).

La conferma della direttrice letteraria d‟ascendenza marxiana di cui sopra, si ritrova nella quattordicesima nota (Derivazioni culturali del romanzo d‟appendice),

415 Già nella prima nota del quaderno: «in Italia il romanzo popolare di produzione nazionale è quello

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conclusiva di tutto il ventunesimo quaderno, dove il discorso si concentra sul numero dedicato a Dostoëvskij da «La Cultura» di Pavese e Ginzburg: il discorso sulla letteratura popolare e d‟appendice si riaccosta tangenzialmente alle più note meditazioni letterarie di Marx e Engels, che hanno scritto sul romanzo popolare di Sue (Marx in particolare sui Misteri di Parigi), e su Balzac, modello esemplare quest‟ultimo del rapporto virtuoso tra romanzo, realismo e storia contemporanea:

È da vedere il fascicolo della «Cultura» dedicato a Dostoevskij nel 1931. Vladimiro Pozner in un articolo sostiene giustamente che i romanzi di Dostojevskij sono derivati culturalmente dai romanzi d‟appendice tipo E. Sue ecc. […] questa derivazione è da tener presente […] in quanto mostra come certe correnti culturali (motivi e interessi morali, sensibilità, ideologie ecc.) possono avere una doppia espressione: quella meramente meccanica di intrigo sensazionale (Sue ecc.) e quella «lirica» (Balzac, Dostojevskij e in parte V. Hugo) (Q, 2133-2134).

La letteratura d‟appendice e l‟“alta” letteratura rivelano piani comuni sia in termini di forma sia di contenuto, e il rapporto tra la letteratura d‟appendice e Dostoëvskij è per Gramsci un esempio che «mostra come certe correnti culturali […] possono avere una doppia espressione: quella meramente meccanica […] e quella “lirica”». Il raccordo della letteratura d‟alto valore letterario con la letteratura di successo popolare è una delle possibili strategie per ritrovare una dimensione nazionale-popolare, e quindi epica, uno dei modi attraverso i quali – come nel caso di Dostoëvskij – gli scrittori possono uscire dalla «tradizione di casta» di cui si discute nella quinta nota del medesimo quaderno, dove il modello di una «letteratura popolare artistica» ha il suo limpido esempio nei «grandi romanzieri russi» (Q, 2114).

Questi passaggi si legano a uno dei numerosi attacchi dei Quaderni all‟ideologia estetica di Croce,416

che in questo caso è sferrato fin dalla prima nota del quaderno: «questi problemi sono mal posti per l‟influsso di concetti estetici di origine crociana, specialmente quelli concernenti il così detto “moralismo” nell‟arte, il “contenuto” estrinseco all‟arte, la storia della cultura da non confondersi con la

416 Come ha recentemente ribadito Joseph Buttigieg, «Croce figura in maniera così preminente negli

scritti di Gramsci, e in particolare nei Quaderni dal carcere, […] come oggetto di studi e come bersaglio della critica, non come esempio da seguire» (JOSEPH A.BUTTIGIEG, Il ritorno al De Sanctis di Antonio

Gramsci, in MAURO PALA (a cura di), Americanismi. Sulla ricezione del pensiero di Gramsci negli Stati

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storia dell‟arte ecc.» (Q, 2109). Gramsci individua la tendenza (rivelatasi velleitaria) di un riavvicinamento a una dimensione nazionale-popolare in un arco che trascorre dal futurismo al movimento di Strapaese, laddove è degno di nota che Gramsci, in continuità con l‟attenzione giovanile all‟arte rivoluzionaria d‟avanguardia, accrediti al futurismo (infine guastato dall‟inconsistenza «pagliaccesca» anche dei suoi esponenti più validi) la potenzialità di superare la sua funzione di actio destruens e assurgere a una propria dimensione nazionale-popolare, epica:

Connessione del “futurismo” col fatto che alcune di tali quistioni sono mal state mal poste e non risolute, specialmente il futurismo nella forma più intelligente datagli dai gruppi fiorentini di «Lacerba» e della «Voce», col loro “romanticismo” o Sturm und Drang popolaresco. Ma sia il futurismo di Marinetti, sia quello di Papini, sia Strapaese hanno urtato, oltre il resto, in questo ostacolo: l‟assenza di carattere e di fermezza dei loro inscenatori e la tendenza carnevalesca e pagliaccesca dei piccoli borghesi intellettuali, aridi e scettici (Q, 2110).

Si lega a questo percorso d‟indagine sui rapporti tra letteratura «cosiddetta artistica» e popolare il tema dell‟andata al popolo, che chiude il cerchio riconducendo il nazionale-popolare, quanto meno in metafora, al narodnost‟ russo e alla sua forma storica concretizzatasi nel populismo russo ottocentesco, da ritradurre letterariamente anche a costo di ripartire non solo dalla forma strutturale, ma addirittura – scrive iperbolicamente Gramsci – dal livello artistico della letteratura d‟appendice; questo tema è svolto nella centoquarantacinquesima nota dell‟ottavo quaderno, dove dal fatto stesso che si manifesti un dilemma tra la ricerca del consenso letterario «della nazione o degli “spiriti eletti”», si rivela per l‟ennesima volta lo spirito individualistico di casta degli intellettuali italiani, che dà luogo appunto alla «disgregazione degli intellettuali in combriccole di “spiriti eletti”»,

disgregazione che appunto dipende dalla non aderenza alla nazione-popolo, dal fatto che il «contenuto» sentimentale dell‟arte, il mondo culturale è astratto dalle correnti profonde della vita popolare-nazionale, che essa stessa rimane disgregata e senza espressione. Ogni movimento intellettuale diventa o ridiventa nazionale se si è verificata una «andata al popolo» […]. Anche se si dovesse cominciare con lo scrivere «romanzi d‟appendice» e versi da melodramma, senza un periodo di andata al popolo non c‟è «Rinascimento» e non c‟è letteratura nazionale (Q, 1030).

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Il problema del rapporto tra alta letteratura, letteratura popolare e d‟appendice e narodnost′ letterario è stato percepito e dibattuto in Unione Sovietica fin dai primi anni Venti. Il discorso di Gramsci, quindi, intercetta non solo una linea culturale e politica russa assai profonda, ma una problematica e una prassi che ha avuto corso fin dai primi anni postrivoluzionari. La Clark per esempio, ha rilevato che dall‟inizio della fase della Nep (1921), diverse correnti letterarie mettono in atto un movimento di andata al popolo senza tema della necessità, nelle parole di Gramsci, di «cominciare con lo scrivere “romanzi d‟appendice”»; anzi:

all‟interno della letteratura, vari gruppi giunsero alla conclusione che ciò di cui l‟epoca aveva realmente bisogno erano le versioni indigene di questa produzione «inferiore», generi che privilegiassero la trama, come il mistero, il romanzo, e la fantascienza. Fu proprio quest‟obiettivo che spronò per un certo periodo Sklovskij, al quale si aggiunsero alcuni Fratelli di Serapione, come ad esempio Lev Lunč. Ma durante la Nep, anche Nikolaij Bucharin, […] cominciò a proclamare i vantaggi che si sarebbero avuti creando una variante popolare del «romanticismo rosso» (krasnaja romantika). Eccelse in questo genere Marietta Šaginjan […] [che] offriva al lettore la versione di modelli popolari stranieri, ma con un fine tocco «alla sovietica» ed un vigoroso messaggio ideologico.417

Questa problematica sia sovietica sia gramsciana riemergerà nella rinascita letteraria dell‟era del neorealismo italiano del Secondo dopoguerra, come rivela il discorso del giovane Calvino nella sua recensione (1947) all‟ultima fatica romanzesca dell‟amico Silvio Micheli:

Questo Un figlio ella disse è un romanzone a intreccio alla maniera del secolo scorso, a base di figli rapiti e sostituiti e quadri di società ricca e povera in contrasto.

Questo richiamarsi a una tradizione di narrativa popolare, da romanzo d‟appendice, da “lagrimosa istoria”, è una reazione più che legittima a tanti anni di pseudo-narrativa sospesa tra il saggio e la confessione lirica. E Manzoni e Balzac per far muovere gente e coscienze han pure usato questo sistema. […] Il guaio di Micheli è di non aver saputo, dopo Pane duro, tenere a freno il fiotto del suo linguaggio, la sua smania di collezionista di vocaboli.418

Il discorso di Calvino insomma, è molto simile al discorso gramsciano, come suggerisce la nota critica sul “neolalismo” di Micheli: «Un figlio ella disse riesce a

417

C.CLARK, La prosa degli anni venti, cit., p. 416.

418 I

TALO CALVINO, Silvio Micheli, Un figlio ella disse, «L‟Unità», 17 agosto 1947; ora in ID., Saggi

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prendere e a mordere quando è nel fitto della narrazione e il linguaggio sgorga pulito: ma dove il racconto ristagna, nei momenti lirici, o quando egli incomincia a trastullarsi con le parole si cade facilmente nel gratuito e nel verboso»419. La recensione di Calvino al romanzo Pane duro di Micheli, pubblicata l‟anno precedente, è ancora più vicina allo spirito e alla lettera del ventunesimo dei

Quaderni gramsciani. In Italia la letteratura, osserva infatti Calvino, «è diventata

sempre più affare da specialisti, localizzata in ben determinate cerchie, una carriera»420; «la letteratura, la stessa lingua, sono ancora un fatto di classe […] come la fabbrica è un mezzo di produzione non ancora conquistato da chi avrebbe interesse e ragione di produrre»421. In una riedizione calviniana del discorso di Gramsci sui limiti istrionici e buffoneschi dell‟andata al popolo degli scrittori italiani, sono presi di mira il Pavese di Paesi tuoi e il Vittorini di Uomini e no:

Non è mancata in questi ultimi anni voglia da parte degli scrittori […] di calarsi in mezzo agli uomini […]; ma c‟era sempre un certo gusto intellettualistico nel loro atteggiamento: c‟era chi si travestiva da proletario e si metteva a parlare in gergo, a fare un po‟ il gigolò come in Paesi tuoi, chi in mezzo ai proletari si trovava staccato e spaesato, Enne due in mezzo ai gap.

Adesso viene Micheli, l‟uomo di massa. […] un‟esperienza […] nuova […] per la letteratura italiana, letteratura senza impiegati, senza mestieri, tranne i pescatori e gli impresari di Verga.422

Si ricorderà, a proposito di Verga, che il narratore siciliano è stato celebrato nelle pagine dell‟«Ordine Nuovo» come modello di scrittore, paragonato ai romanzieri russi,423 che è stato capace di rappresentare la vita dei lavoratori. Quando Calvino osserva che Micheli è «marxista perché la sua umanità si muove in una zona dove vale solo la prepotenza dei richiami economici», contesto che nel romanzo «fa la potenza del personaggio della moglie […] uno dei più bei personaggi italiani di questi anni»424, ricorda molto da vicino il discorso di Gramsci sul rinnovato prevalere delle necessità vitali delle classi subalterne nella narrativa popolare in conseguenza – si noti a proposito del tema dell‟epicizzazione del romanzo – delle

419

Ivi, p. 1177.

420 I.C

ALVINO, Adesso viene Micheli l‟uomo di massa, «L‟Unità», 12 maggio 1946; ora con il titolo Silvio

Micheli, Pane duro in ID., Saggi 1945-1985, cit., pp. 1170.

421 Ivi, p. 1171. 422

Ibidem.

423 Cfr. M

ARIO SARMATI, Giovanni Verga è morto, «L‟Ordine Nuovo», 28 gennaio 1922.

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esperienze belliche. Una non meno netta ripresa delle riflessioni gramsciane si può riscontrare, per esempio, in queste considerazioni di Renata Viganò, che coinvolgono direttamente il tema delle traduzioni, della letteratura popolare, del romanzo:

Un tempo si donava credito e passione alla fantasia di Carolina Invernizio, all‟avventurato peregrinare di Guerrino detto il Meschino […]. Oggi il popolo, invece, è alle soglie di una chiara maturazione umana, e «I miserabili» di Victor Hugò, «La madre» di Gorki, il «Tallone di ferro» di Jack London svegliano lacrime, commozione e poesia, ed aprono orizzonti, formando un nuovo e solido gusto letterario.425

425 R

ENATA VIGANÒ, Prefazione, in GIUSEPPE BANDI, Anita Garibaldi, a cura di Renata Viganò, Universale Economica, Milano 1952, p. 7.

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Parte II - La letteratura russo-sovietica nei romanzi di