• Non ci sono risultati.

Strategia della ricezione: il discorso critico

Parte I – La letteratura russo-sovietica in Italia

I.1 La ricezione della letteratura russa in Italia tra le due guerre

I.1.9 Strategia della ricezione: il discorso critico

La panoramica sopra tracciata del romanzo sovietico tradotto nell‟Italia del Ventennio evidenzia un comune denominatore politico ben preciso: le traduzioni hanno privilegiato gli autori che in Urss si trovavano investiti da controversie e polemiche, e di questi autori – come è il caso di Leonov – si sono privilegiate le opere più distanti dal nuovo realismo socialista. In Unione sovietica infatti, prima che l‟espressione “realismo socialista” fosse “ufficializzata” nel 1932 (e celebrata nel I Congresso degli scrittori sovietici del 1934) la linea politico-letteraria del partito si poteva individuare nell‟attività degli scrittori proletari del Vapp, il cui diritto a “guadagnarsi l‟egemonia”, dopo le controversie del 1924, era stato sancito dalla risoluzione del Comitato Centrale del partito sulla letteratura del 1925.

Da un punto di vista poetologico la ricezione italiana della letteratura russo- sovietica traccia una linea di conservazione che, come ha rilevato Béghin, viene divulgata per esempio negli articoli pubblicati su «La Stampa» di Torino, dove Lo Gatto «insisteva spesso sulla continuità che univa gli scrittori al retaggio ottocentesco, quasi a mostrare quanto erano illusorie le pretese della rivoluzione di aver provocato una rottura con il passato»256 nell‟ambito letterario. Se negli scritti di Lo Gatto su «La Stampa» questa linea trova ampio, ossessivo riscontro,257 già nel 1925, per esempio, Lo Gatto insiste sull‟irrilevanza della poesia postrivoluzionaria

256 L.B

ÉGHIN, Da Gobetti a Ginzburg. Diffusione e ricezione della cultura russa nella Torino del primo

dopoguerra, cit., p. 389.

257

«Il grande crogiuolo delle varie correnti, dei tentativi, delle ricerche ribolle, nonostante le opposizioni e le limitazioni politiche, e la nuova letteratura si sviluppa per riallacciarsi alla tradizione e al passato» (E. LO GATTO, La letteratura soviettista. I – Le linee generali, «La Stampa», 2 maggio 1928, p. 5). In generale, secondo Lo Gatto, vanno promossi i giovani scrittori che, come «Leonov, partendo dai principi dei Serapionidi, pur non appartenendo al loro gruppo, hanno fermamente riallacciata la nuova letteratura al passato» (ID., La letteratura Soviettista. II – La stirpe dei serapionidi, «La Stampa», 15 maggio 1928, p. 8). «Per creare la loro letteratura, lo specchio della vita proletaria, i nuovi scrittori si sono ispirati agli scrittori del passato borghese della Russia. […] Anche gli scrittori proletari si distinguono, là dove son realmente narratori, poeti, artisti, per la loro indipendente individualità o per il loro ritorno, contrito e ansioso insieme, ai maestri gloriosi del passato» (ID., La letteratura soviettista. III – Scrittori proletari e

proletari scrittori, «La Stampa», 25 maggio 1928, p. 8). Cfr. anche, nell‟articolo sopra citato del 2

maggio 1928, la svalutazione letteraria del Majakovskij postrivoluzionario, la cui «attività migliore risale ai primi anni della guerra», e che ora comunque risulta il «capo di un movimento sorpassato, perché, venuto meno l‟appoggio del Governo rivoluzionario, il futurismo è ridivenuto una corrente tra le correnti» (ID., La letteratura soviettista. I – Le linee generali, cit.).

64

in quanto tale,258 accredita il futurismo russo come mera propaggine dell‟italiano, e non ha remore nel denigrare Majakovskij:

Lo sviluppo della macchina porta con sé nell‟arte il bisogno di nuove forme. È un elemento del futurismo italiano che si ritrova nel futurismo russo e spinge alla stravaganza, all‟eccesso fino a che non cade nel ridicolo. Majakovskij non cade nel ridicolo perché v‟è sprofondato già dentro fino alla gola. Ed è la sua tragedia. Trovar forme nuove è forse trasportare la volgarità, la bassezza, il vuoto del proprio spirito nel campo della creazione artistica? […] La sua opera poetica non resterà, ma forse la figura del poeta resterà come simbolo del disfacimento spirituale dell‟epoca.259

Nel Ventennio la tesi dell‟irrilevanza della Rivoluzione per la letteratura, come rileva Béghin, era anche il fulcro del discorso sulla letteratura sovietica dello slavista modernista Renato Poggioli:

Quanto alla giovane produzione sovietica – che Poggioli seguiva attentamente e di cui rendeva spesso conto sulla stampa italiana – non era, nelle sue espressioni migliori, che un prolungamento dell‟Età d‟argento, di nuovo «una creazione d‟epigoni». Come molti altri studiosi dell‟epoca, lo slavista fiorentino negava che la rivoluzione, nonostante le sue pretese palingenetiche, avesse segnato una qualche rottura nell‟evoluzione della letteratura russa. Anzi, ai suoi occhi, gli unici scrittori sovietici di valore (ben pochi a dir la verità) non erano concepibili senza i loro predecessori ottocenteschi.260

Quando nel maggio 1931 «L‟Italiano» pubblica un numero monografico dedicato alla letteratura sovietica, si può notare per inciso che la recensione di Vittorini segue la linea di Lo Gatto e Poggioli nel valutare che la Rivoluzione non ha portato nulla di nuovo alla letteratura; ma a differenza di Lo Gatto e Poggioli, Vittorini si fa prendere la mano e getta nel medesimo calderone della letteratura «vecchissima» anche gli emigrati, i poeti e i poputciki: «tutti come Fadéjev questi scrittori della Russia sovietica; e non solo questi; anche gli emigrati, anche i

258 Già nel suo studio del 1925 dedicato alla poesia russa contemporanea infatti, Lo Gatto formula l‟aut

aut tra arte e rivoluzione nella domanda retorica: «Sono veramente gli atteggiamenti dello spirito basati sull‟esperienza della guerra, in relazione con le esperienze immediate politiche e sociali della rivoluzione, o non piuttosto continuano ad aver le loro radici […] nelle esperienze spirituali che alla guerra precedettero?» (E.LO GATTO, Sulla poesia russa contemporanea, in ID., Studi di letterature slave, vol. I, Anonima Romana Editoriale, Roma 1925, p. 151). Il giudizio sulle avanguardie postrivoluzionarie russe risulta a dir poco negativo: «L‟artista vero ha sempre il senso della misura. Il futurismo, l‟immaginismo, l‟espressionismo sono soprattutto le esagerazioni o le corruzioni di quelle correnti anteriori alla guerra, di cui abbiamo visto alcune cime più alte» (ivi, p. 165).

259

Ivi, p, 168; p. 170.

260 L.B

ÈGHIN, Uno slavista comparatista sotto il fascismo: gli anni di formazione di Renato Poggioli

65

poputciki, i vari Zamjatin e i poeti, Mandelstam e Pasternak; in un monotono film di

scene della rivoluzione, delle continue guerriglie […] è letteratura nuova solo in superficie […] vecchissima nell‟essenza»261.

Ritornando alla rivista praghese «Volija Rossii», che come si è ricordato sopra ha pubblicato nel 1929 la traduzione del romanzo Noi che fece precipitare i guai di Zamjatin, si deve sottolineare che la linea letteraria di Lo Gatto, confermata dalla produzione editoriale italiana dei romanzi tradotti di cui si è detto, la linea di promozione dei compagni di strada sovietici, non solo è stata iniziata da questa rivista, ma a essa Lo Gatto si richiama esplicitamente fin dal 1925 per giustificare politicamente la propria promozione degli scrittori sovietici. Sul primo fascicolo dell‟annata IV di «Russia» (1925), presentando un articolo dell‟esule russo M. Ossorghin pubblicato a Parigi sulla rivista «Sovremjennyja Zapiski», Lo Gatto giustifica la promozione della letteratura dei poputciki sovietici, a discapito della letteratura dell‟emigrazione russa, appellandosi alla strategia e alla prassi di promozione letteraria dell‟emigrazione antibolscevica russa, messa in atto da riviste come la praghese «Volja Rossii»:

La tesi che egli [Ossorghin] sostiene, che le speranze della letteratura russa sono alimentate da quanto oggi vien compiuto dalle nuove generazioni di artisti nei confini della patria, assai più che da quanto fanno gli scrittori esuli, la ritroviamo anche in altri critici esuli, come Stepun (in «Sovrmjennyi Zapiski» XXIII, 1925) e Slonim (in «Volja Rossii», Praga, 1925, fascicolo II).262

Come poi Lo Gatto e l‟editoria italiana, Ossorghin (uno degli intellettuali russi esiliati dall‟editto di Lenin), punta per esempio sul Leonov del racconto La fine

di un uomo meschino, attribuito dal critico russo alla «linea di Gogol e di

Dostojevskij»263, un Leonov che «la critica comunista, senza negare il suo genio, […] guarda un po‟ di traverso, come difensore del piccolo uomo ignoto stritolato dalle pietre della rivoluzione»264; è il medesimo Leonov, per così dire, che emerge dalla Prefazione di Alfredo Polledro all‟unico volume leonoviano pubblicato (nel

261 E

LIO VITTORINI, Letteratura sovietica, «Il Bargello», III, 27, 5 luglio 1931; ora in ID., Letteratura arte

società. Articoli e interventi 1926-1937, a cura di Raffaella Rodondi, Einaudi, Torino 2008.

262 E.L

O GATTO, corsivo introduttivo a MICHAJL OSSORGHIN, trad. it. Nuovi scrittori russi, «Russia», IV, n. 1, 10 aprile 1925, p. 50.

263 M.O

SSORGHIN, Nuovi scrittori russi, cit., p. 52.

66

1931) nell‟Italia del Ventennio. La Prefazione di Polledro si concentra infatti sul medesimo racconto di Leonov: «La fine di un uomo meschino: il racconto tutto imbevuto di amara e dolorante, caustica passione dostojevskijana, che, come uno specchio deformante, ma tanto più suggestivo, riflette la tragedia dell‟intellettuale russo spietatamente schiacciato dalla rivoluzione»265. La Prefazione di Polledro a Leonov insomma, riprende lo spirito e la lettera dell‟articolo di Ossorgin.

Ritornando alle pagine della rivista logattiana «Russia», alla fine del 1925 (numero 3-4), ritroviamo in primo piano Leonov e il suo racconto “dostoevskijano”

La fine di un uomo meschino, che viene proposto ai lettori in traduzione, e

soprattutto, nuovamente ritroviamo la rivista praghese vicina ai socialisti- rivoluzionari «Volija Rossii», da cui si pubblica in traduzione italiana (di Lo Gatto) l‟articolo introduttivo su Leonov; vi si ritrova, puntualmente, il leitmotiv dell‟irrilevanza della Rivoluzione russa per l‟evoluzione letteraria: «adesso, quanto più ci allontaniamo dagli anni burrascosi, tanto più chiaramente vediamo, quanto poco di veramente artistico sia stato creato nel corso di questi anni nell‟arte in generale e nella letteratura in particolare, e come ciò che è stato fatto, alla fin delle fini, non sia legato organicamente al torrente di fuoco della rivoluzione»266. Nel medesimo articolo l‟autrice, biasimato il troppo filo-rivoluzionario Pilnjak («lo spremuto e tendenzioso Pilnjak con i suoi tipi fatti che si ripetono sempre»267), prospetta un panorama da cui si evincerebbe che i nuovi scrittori russo-sovietici

sui quali bisogna fermarsi e le cui produzioni bisogna leggere, sono Babel (non è giovane e scriveva anche prima) con la sua «Armata di cavalleria», P. Romanov (di lui non si sa ancora nulla) col romanzo «Rus» che si è cominciato appena a pubblicare e L. Leonov (giovanissimo e ardito) con le sue novelle «Il fossato di Petuscichin» «La fine di un uomo meschino», «Le memorie di Kovjakin».268

Si può riconoscere in questo brano una prima sintetica prefigurazione della ricezione italiana del Ventennio; un dettaglio interessante è il riferimento a Babel‟, la cui Armata a cavallo (Konarmija) era in corso di pubblicazione, ma che già era al

265 A

LFREDO POLLEDRO, Prefazione, in L. LEONOV, trad. it. L‟avventura d‟Ivàn. Racconti, prima traduzione dal russo di Anna Ruska con prefazione di Alfredo Polledro, Slavia, Torino 1931, p. VIII.

266 N.M

ELINKOVA-PAPOUSKOVA, trad. it. Leonid Leonov, «Russia», IV, n. 3-4 (I ottobre 1925), p. 137 (traduzione di Lo Gatto da: «Volja Rossii», Praga, 1925, n. 1).

267 Ivi, pp. 138-139. 268 Ivi, p. 139.

67

centro di tensioni polemiche: Babel‟ era protetto da Furmanov (che gestiva la pubblicazione dell‟opera) e apprezzato, «pur tra molti distinguo», anche dal notoriamente poco diplomatico promotore della letteratura proletaria G. Lelevic, che dalle colonne del «Na Postu» (Al posto di guardia) scrisse che «alcuni frammenti di questi scritti sarebbero rimasti “per sempre un luminoso esempio di quella che non pretende di essere ma è l‟autentica letteratura rivoluzionaria”»269

; erano tuttavia già iniziati gli aspri attacchi a Babel‟ del comandante Budënnij, già sul terzo numero del 1924 di «Oktjabr‟»270; la segnalazione di Babel‟ occorsa nel 1925 sulla praghese «Volija Rossii», trova lo scrittore nel fuoco delle polemiche fin dal 1924.

Nel secondo numero del 1925 di «Russia», si trova un altro articolo tradotto dalla stessa rivista praghese «Volija Rossii», che tratta questa volta della scrittrice sovietica Seifùllina; l‟articolo è introdotto dal seguente trafiletto di Lo Gatto:

L. Seifullina è considerata una delle forze vive della giovane letteratura russa. La critica letteraria di carattere più o meno ufficiale in Russia l‟esalta come uno dei migliori frutti del rivolgimento spirituale a cui la Russia è stata soggetta in questo tragico periodo […]. La critica dell‟emigrazione non può da parte sua restare indifferente […]. L‟articolo che qui segue […] è tratto appunto da una rivista dell‟emigrazione, «Volja Rossii» di Praga, nella quale con grande larghezza trovano ospitalità le manifestazioni dell‟arte russa […] indipendentemente dalle opinioni politiche che dividono gli spiriti, che l‟arte tende invece a unire.271

A ben vedere la persuasiva retorica dell‟arte che tende a riunire ciò che la politica ha separato, cela la politicizzazione che connota il discorso sulla letteratura russo-sovietica che, come qui si sta tentando di suggerire, dalla strategia di canonizzazione dei compagni di strada messa in atto dagli ambienti culturali dei socialisti-rivoluzionari dell‟emigrazione russa antibolscevica, si riversa nella prassi ricettiva dell‟Italia del Ventennio.272

Lo stesso Lo Gatto si è sentito indotto a chiarire

269 A.

DALL‟ASTA, Note e notizie sui testi, in I. BABEL, Tutte le opere, cit., p. 1281; la citazione virgolettata di Lelevic è tratta (cfr. ibidem) dall‟articolo 1923 god, «Na Postu», Moskva, 1924, n.1, p. 88.

270 Cfr. ivi, p. 1282. 271 E.L

O GATTO, nota introduttiva a N.MELNIKOVA-PAPOUŠEK, trad. it. L. Seifullina, «Russia», IV, 2 (24 maggio 1925).

272

Infatti mentre Lo Gatto nell‟introduzione sopra citata afferma che «la critica letteraria di carattere più o meno ufficiale in Russia» «esalta» la Sejfullina, l‟autrice dell‟articolo, dopo qualche accenno al «dilettantismo condiscendente» «della critica marxista, della trattazione ideologica», lamenta che i discorsi sulle scrittrici siano costellati da dei «maledetti “ma”», o che «si parli della debolezza del soggetto»; l‟autrice suggerisce insomma che l‟accoglienza della critica marxista sovietica lasci a desiderare; poco oltre, deprecato l‟interesse eccessivo per i fatti biografici degli scrittori, la Melnikova- Papoušek, en passant (o giù di lì) precisa: «dunque, per i collezionisti dei fatti autentici della vita degli

68

questo punto di fronte all‟opinione italiana, pubblicando un articolo in merito sulla rivista «I libri del giorno» (agosto 1925), poi ripubblicato in «Russia», per spiegare che la promozione di autori sovietici si muoveva sulla linea tracciata dai socialisti- rivoluzionari, «i più spietati e irriconciliabili avversari del bolscevismo»; l‟inizio dell‟articolo è assai esplicito:

Sgombriamo il campo da una pregiudiziale.

Di recente una rivista russa dell‟emigrazione, «Volija Rossii» (La volontà della Russia), organo degli es-er, vale a dire dei socialisti-rivoluzionari, che come si sa, sono i più spietati e irriconciliabili avversari del bolscevismo, iniziava la pubblicazione di racconti di giovani scrittori russi soviettisti e di articoli di critica sulla loro arte, per mostrare come in Russia la letteratura non sia morta, ma al contrario riprenda con una importanza ed efficacia superiore ormai alla letteratura russa dell‟emigrazione. […] a poca distanza di tempo in un‟altra grande rivista di russi emigrati […] due critici di valore […] si pronunciavano chiaramente a favore della nuova letteratura russa […]. Lo Stepun osservava tra l‟altro come ormai la nuova letteratura, sorta e sviluppatasi all‟ombra dell‟organizzazione politica e sociale soviettista, sia tutt‟altro che soviettista nel suo significato profondo.273

Sommando anche l‟opinione di Ossorghin (il critico dell‟emigrazione russa sopra citato), Lo Gatto precisa che «secondo il giudizio dei due critici, la letteratura presentata [in Urss] come prodotto e specchio della rivoluzione, non sarebbe che una reazione artistica al significato interiore della rivoluzione stessa»274. Questa

excusatio di Lo Gatto non è non petita, è anzi presentata esplicitamente come

necessaria risposta alle critiche che le sue pubblicazioni di autori sovietici hanno suscitato in Italia:

Queste concordi affermazioni della critica russa dell‟emigrazione sono state da me ricordate […] perché nella loro valutazione obbiettiva [sic!] eliminano un dubbio che io ho veduto sollevare a proposito appunto della pubblicazione di scritti contemporanei soviettisti, nelle pagine della mia rivista «Russia»: e che cioè essi potessero servire come di propaganda per le idee a cui la loro arte attinge la sua ispirazione. I russi stessi avversi al regime soviettista, negano questa possibilità.275

Le critiche e proteste contro la pubblicazione di letteratura russo-sovietica tradotta a ben vedere non sono una novità del 1925 ma una costante, come ricorda

artisti, Seifullina è entrata nel partito comunista nel 1917 e ne è uscita nel 1919» (N. MELNIKOVA- PAPOUŠEK, L. Seifullina, cit., p. 67; p. 70).

273

E.LO GATTO, articolo senza titolo in «Russia», IV, 3-4 (I ottobre 1925), p. 264.

274 Ivi, p. 265. 275 Ibidem.

69

Umberto Carpi a proposito della «violenta polemica» seguita nel 1920 alla pubblicazione della traduzione di Lo Gatto de Gli Sciti e de I dodici di Blok, sul primo numero di «Russia» (poi integralmente in volume), polemica nella quale si distinse negativamente «la recensione di Cecchi […] di volgarità ed ottusità fuori dal comune»276.

Nel 1925 il discorso di Lo Gatto, spinto dalle ulteriori polemiche suscitate dalle sue pubblicazioni di autori russo-sovietici, scivola quindi di propria iniziativa sul piano imagologico, discute cioè l‟immagine della Rivoluzione russa trasmessa dagli autori e delle opere russo-sovietiche discusse e tradotte, chiamando in causa la dichiarata apoliticità di Zoscenko (la cui autobiografia è stata pubblicata nel numero precedente di «Russia») e riferendosi esplicitamente alle critiche che hanno investito Babel‟:

Il caso di Babel‟, iscritto, come la Seifullina, al partito comunista, è ancor più complicato. Ché la sua arte gli ha fatto il cattivo scherzo di renderlo inviso proprio ai compagni di fede. La «Pravda», il quotidiano soviettista, non si peritava di chiamar antirivoluzionari i racconti di Babel‟ dedicati all‟Armata di cavalleria. In generale bisogna rilevare tutta la polemica suscitata intorno a Babel‟, accusato sopra tutto da esponenti dell‟armata rossa, di aver riprodotto nelle sue miniature non l‟Armata di cavalleria, ma dei veri e propri banditi.277

Lo Gatto, come è naturale, non ignorava la situazione vissuta in Unione Sovietica dagli scrittori pubblicati e promossi in Italia, tanto che si riferisce esplicitamente non solo alle più recenti critiche della «Pravda» (17 aprile 1925), ma anche all‟articolo di Budjënnij pubblicato sul terzo numero del 1924 di «Oktjabr‟» di cui si è detto sopra.278 Lo slavista non cade dalle nuvole neppure a proposito del ruolo del critico sovietico della «Krasnaja nov» appoggiato da Trockij, Voronskij,279 di cui «Russia» ha pubblicato un articolo in difesa di Babel‟: «la difesa fatta dal

276

UMBERTO CARPI, Bolscevico immaginista. Comunismo e avanguardie artistiche nell‟Italia degli anni

venti, Liguori Editore, Napoli 1981, pp. 79-80; p. 80 nota 9.

277 E.L

O GATTO, articolo senza titolo in «Russia», IV, 3-4, cit., p. 266.

278 Cfr. Ibidem, nota 3 (i rimandi alle note nel testo sono errati: la nota 3 recepisce il rimando della nota 5,

che non esiste; la numerazione delle note continua erroneamente la numerazione della pagina precedente che era giunta al numero di due note, e quindi le note segnate nel testo della pagina successiva come note 3, 4 e 5, corrispondono in realtà alle note 1, 2 e 3 a piè di pagina; l‟unico motivo di interesse di questo banale errore consisterebbe nell‟ipotesi che la ripubblicazione dell‟articolo sia stata decisa di fretta; tuttavia in «Russia» i refusi non sono rarissimi).

279 Sulle pratiche letterarie e le vicissitudini di Voronskij e della sua rivista cfr.: R

OBERT A. MAGUIRE,

70

critico Voronskij, che […] si possa esigere dall‟artista non soltanto amore e ardente devozione per l‟armata rossa, ma anche una riproduzione artistica e veritiera di essa, […] dal punto di vista degli accusatori, ribadisce l‟accusa»280

. Lo stesso Lo Gatto insomma, come si può rilevare nel seguente brano dell‟articolo, da una parte tenta di destreggiarsi retoricamente, con qualche contraddizione, in merito a una presunta apoliticità dell‟arte (da lui scelta), dall‟altra delinea egli stesso un quadro del profilo imagologico che la canonizzazione italiana della letteratura russo-sovietica mette in atto muovendosi sulla scia dei critici dell‟emigrazione russa antibolscevica:

Lo sfondo su cui l‟opera di questi scrittori si svolge è la rivoluzione del 1917 con tutte le sue conseguenze morali, spirituali, intellettuali. […] Ma è evidente che né i tormenti di Kotofiev «musicista» che ha paura di perdere il posto in Una notte terribile, né lo sconvolgimento di Fiodor Andrejevič, lo «scienziato che non ha mai pensato finora né all‟andamento quotidiano della vita né alla rivoluzione» e arriva alla morte attraverso la terribile follia, in La fine di un uomo meschino di Leonov, né i terribili e mirabili episodi della guerra al fronte polacco nei racconti di Babel‟ né la tristezza dei fanciulli randagi, piccoli ladri e delinquenti, nei racconti di Seifullina, possono aver la più lontana pretesa di far la propaganda alla rivoluzione. Io direi il contrario.281

Non una letteratura che possa rivelare «la più lontana pretesa di far la propaganda alla rivoluzione» ma, precisa Lo Gatto, «il contrario».

Il disegno imagologico sopra osservato nella selezione dei romanzi russo- sovietici tradotti nell‟Italia del Ventennio, ha un riscontro puntuale nella dichiarata pianificazione del discorso critico, che si attua fin dalla prima metà degli anni Venti in una simbiosi variamente articolata tra la diplomazia culturale promossa dal