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Il Grand Tour e i suoi percorsi privilegiati: tra natura ed archeologia

1.3 «Iter Campanicum»: itinerari e condizioni materiali del viaggio in Campania

1.3.1 Il Grand Tour e i suoi percorsi privilegiati: tra natura ed archeologia

L’idea del viaggio nel Settecento era strettamente legata ad esigenze di formazione; il viaggiatore, nel caso che prendiamo in esame, l’artista, disponeva per il suo Tour in Italia di un tempo limitato (quello determinato dalla sua istituzione di appartenenza, dal suo protettore, dalle sue risorse finanziarie) e doveva di conseguenza operare una selezione tra i luoghi da visitare. Questa scelta era condizionata sia da ragioni pratiche (il tempo, la distanza, la qualità delle strade e i mezzi di trasporto a disposizione), che da motivi culturali ed artistici (l’interesse rappresentato dalle città, dai monumenti, dalle collezioni e dai siti). È possibile oggi ricostruire una mappa dei luoghi campani prediletti dai pittori (come riassunto nella tabella 2 e nella mappa poste alla fine del capitolo), studiando i loro diari di viaggio, la loro corrispondenza e la loro produzione artistica.

Abbiamo, a questo scopo, individuato quattro requisiti indispensabili per i luoghi preferiti dagli artisti: la fama, l’antichità, l’accessibilità e la bellezza naturale del sito. A questi rispondevano, ad esempio, le città di Napoli, Pozzuoli e Baia, i templi di Paestum (malgrado fossero abbastanza distanti da Napoli) e il Vesuvio (associato nella mente del viaggiatore ai testi di Plinio e di Strabone e alla distruzione di Ercolano e Pompei). Per le città sepolte si poneva, invece, il problema della loro difficile raggiungibilità e quindi di queste parleremo solo alla fine del capitolo.

Napoli e il Vesuvio

Agli occhi di un paesaggista del Settecento, Napoli era soprattutto Partenope: la città della sirena, con il suo golfo incantevole circondato dalle colline e sullo sfondo il profilo delle isole. Ciò che li attirava, piuttosto che la città, era il sito, la posizione o meglio la composizione degli elementi naturali (terra, aria, acqua e fuoco). Gli scorci di città erano lasciati ai seguaci del vedutista Van Wittel, agli incisori di libri illustrati (come Étienne Giraud) o agli architetti.

Ad inaugurare la stagione francese di panorami del golfo fu Joseph Vernet (Avignone 1714 – Parigi 1789) con le sue due famose vedute di Napoli da Mergellina e Napoli dalla Marinella (Alhwick, coll. del Duca di Northumberland) (figg. 5 e 6) replicate numerose volte dallo stesso artista (nelle versioni del Louvre). Il problema maggiore che si poneva ai pittori di paesaggio fino agli anni 50-60 (eredità del vedutismo e dei paesaggi tipografici di origine nordica, oppure spirito enciclopedico), era quello della riproduzione della città nella sua integrità. Questo problema venne risolto con diversi approcci stilistici: il primo, più legato alla tradizione nordica e comunque quasi del tutto abbandonato nel secondo Settecento, fu quello della veduta dal mare (Giraud, Veduta della città di Napoli, da Capo Posillipo al ponte della Maddalena) (fig. 7) o, in maniera più originale, dalle colline retrostanti (Châtelet, Veduta di Napoli dalla collina di Capodimonte, Wien, Albertina; Dunouy, Veduta panoramica del golfo di Napoli, coll. Gere) (fig. 11). Vernet preferì invece nei quadri appena citati, un’altra soluzione: quella dei pendants, che permetteva la raffigurazione della città da est e da ovest. Manglard (Il porto di Napoli con un gruppo di contadini e di passeggiatori, il Castel dell’Ovo, la fontana dei Tritoni e velieri nella rada, Paris, Christie’s, 26 giugno 2002) (fig. 12) e più tardi Huë e Lacroix de Marseille, in maniera ancora diversa, scelsero la soluzione del paesaggio di fantasia, staccato dalla realtà, che presentava il vantaggio di raggruppare in un’unica opera gli elementi più significativi della città.

In generale, l’artista del secondo Settecento seleziona un motivo spesso significativo, qualificante della città e rinuncia ad una sua rappresentazione globale. La scelta dei soggetti da parte dei pittori francesi risulta abbastanza libera nel senso che non è condizionata da motivi propagandistici o politici come accade invece per gli artisti di corte (Joli, Hackert). I monumenti ed i luoghi riprodotti sono scelti soltanto per il loro interesse artistico e turistico. I soggetti più ricorrenti sono il golfo di Napoli (con il porto, il Vesuvio, il molo e la lanterna, il Castel Nuovo, il Castel dell’Ovo, Chiaia o Mergellina), la costa di Posillipo e la Crypta neapolitana.

Per quanto riguarda gli artisti francesi, il soggetto più apprezzato risulta il golfo di Napoli. Ricordiamo che molti di loro (Génillon, Vernet, Volaire...) avevano ricevuto una formazione come pittori di marine; ciò li condiziona sia nella scelta dei soggetti che nella capacità di raffigurarli e quindi nella possibilità di venderli. Il golfo seduce questi artisti, al di là della sua naturale bellezza, per i molteplici punti di vista che propone e

per l‘aspetto cangiante secondo l’ora e la stagione. Esso costituisce, per chi è capace di ben osservare ed inventare, un luogo estraneo a qualsiasi topos vedutistico. Nelle sue rappresentazioni (obiettive o di fantasia) compaiono sempre alcune figure tipiche (pescatori o passanti) e le barche (velieri, tartane) ad animare il primo piano. A queste si aggiunge in genere un motivo naturale o architettonico che introduce un elemento verticale e consente di riconoscere la città: nella maggioranza dei casi si tratta del Vesuvio con un pennacchio di fumo (fig. 13). Il vulcano, al di là della curiosità che suscita negli artisti e nei viaggiatori, presenta il vantaggio di essere subito identificabile (a differenza delle costruzioni militari) e di chiudere come un repoussoir la composizione; l’occhio dello spettatore non si perde nello sfumato dell’orizzonte, ma viene delimitato da un forma che lega in modo armonioso i piani orizzontale e verticale. La veduta da ponente, cioè da Posillipo, è prediletta proprio perché permette l’associazione di questi due motivi di gran successo: le scene del porto e il vulcano. In altre opere (come nelle numerose vedute del golfo realizzate da Giraud, fig. 7) sono presenti il Porto, la Darsena, il Castel Nuovo, il Palazzo Reale, l’Arsenale, il Presidio di Pizzofalcone e il Castel dell’Ovo, ovvero, come spiega L. Di Mauro, il nodo stategico- monumentale che simboleggia, nelle vedute del Seicento, l’attività edilizia dei Viceré210.

La loro presenza nei paesaggi del Settecento, privata del significato politico, s’inquadra nella tradizione iconografica ormai stabilita delle rappresentazioni della città, ma non solo, essa aggiunge alla raffigurazione importanti significati storici e culturali.

L’onnipresenza del golfo nelle opere dei pittori francesi trova una sua eco nella letteratura odeporica. Napoli, in quanto città, infatti, comincia a perdere progressivamente di attrattiva e di valore agli occhi dei turisti: Montesquieu, De Brosses, Denon ed altri si mostrano critici e infastiditi verso le sue chiese e i suoi palazzi barocchi, verso le strade strette, scure e tortuose dove si concentra una popolazione miserevole e rumorosa:

Il me semble que ceux qui cherchent les beaux ouvrages ne doivent pas quitter Rome. À Naples, il me paraît qu’il est plus facile de se gâter le goût que de se le former. J’ai vu aujourd’hui 4 ou 5 églises : j’y ai trouvé des ornements, de la magnificence ; aucun goût : un goût gothique ; dans les ornements, quelque chose de bizarre et rien de cette simplicité qui est dans les ouvrages des anciens ou dans ceux de Michel-Ange et ceux qu’il a formés. J’ai vu plusieurs façades de palais – je n’en ai pas trouvé une seule de bon goût.211

210 L. DI MAURO, L’immagine di Napoli tra XVII e XVIII secolo: da fondale scenografico a soggetto della rappresentazione, in SPINOSA e DI MAURO, Vedute napoletane, cit., p. 147.

L’interesse si sposta verso le bellezze naturali della Campania: la terra ricca e generosa, il Vesuvio con le sue bollenti viscere, il sole che fa maturare i limoni e la luce che colora il cielo di toni caldi e cangianti. I percorsi dei visitatori si modificano, di conseguenza, a favore del «lungomare» e di Chiaia e la Villa Reale - con i pescatori che cuciono le reti e riparano le barche - oppure della passeggiata del Molo che avanza nel mare. Molti viaggiatori, sedotti dall’incanto del golfo scelgono il loro alloggio di fronte al mare. È il caso di Élisabeth Vigée-Lebrun, che risiedé presso l’Hôtel du Maroc, a Chiaia:

Je jouissais, de ma fenêtre, de la vue la plus magnifique et du spectacle le plus réjouissant. La mer et l’île de Capri en face ; à gauche le Vésuve, qui promettait une éruption par la quantité de fumée qu’il exhalait ; à droite le coteau de Pausilippe, couvert de charmantes maisons, et d’une superbe végétation ; puis ce quai de Chiaja est toujours si animé qu’il m’offrait sans cesse des tableaux amusants et variés ; tantôt des lazzaroni venaient se désaltérer au jet d’eau qui sortait d’une belle fontaine placée devant mes fenêtres, ou de jeunes blanchisseuses venaient y laver leur linge ; le dimanche de jeunes paysannes, dans leurs plus beaux atours, dansaient la tarentelle devant ma maison, en jouant du tambour de basque, et tous les soirs je voyais les pêcheurs avec des torches dont la vive lumière reflétait dans la mer des lames de feu.212

Questa descrizione dovuta ad una pittrice dotata anche di talento letterario, trova riscontro nella produzione di numerose vedute del golfo: in primo piano il popolo semplice e umile, in secondo piano il mare e sullo sfondo le isole, come nella Marina di Volaire (Paris, C.P.). Con l’affermarsi del Sublime, lo stesso soggetto è tradotto in notturni:

Qu’elle est belle cette mer de Naples! Bien souvent j’ai passé des heures à la contempler la nuit, quand ses flots étaient calmes et argentés par le reflet d’une lune superbe.213

Quello che stupisce, sfogliando le cartelle di disegni, è il grande ventaglio di soluzioni compositive presenti; lo spettatore moderno abituato alle stampe o alle gouachesottocentesche si aspetta di trovare una ripetizione di vedute che adottano tutte la stessa inquadratura. Ma ciò non si riscontra nei paesaggi napoletani prodotti dai francesi nel Settecento; l’estensione del golfo, dal ponte della Maddalena a capo Posillipo, consente all’artista di scegliere tra una molteplicità di punti di vista, e le cangianti scene popolari che si osservano sulle rive del golfo introducono un ulteriore elemento di varietà. Il ruolo assunto dal golfo nell’economia del quadro evolve nel corso del Settecento; la prima generazione di paesaggisti (Manglard, Vernet e i suoi seguaci)

212 É. VIGÉE-LEBRUN, Souvenirs, Paris, Des femmes, 1984, vol. I, pp. 204-205. I Souvenirs sono stati pubblicati per la prima volta nel 1835-1836 da H. Fournier a Parigi.

lo utilizza semplicemente come fondale scenografico per una scena narrativa: un naufragio, una tempesta, uno sbarco di personaggi orientali, un incendio (Vernet, Contadini che fuggono davanti ad un incendio a Napoli, London, coll. Wellington). Progressivamente il soggetto che funge da pretesto alla rappresentazione del golfo lascia il posto alla raffigurazione della brulicante umanità che popola il porto: pescatori che tornano alla loro abitazione, mercanti che negoziano sul lungomare, gentildonne che passeggiano. Gli stessi artisti che avevano adoperato la prima formula compositiva, adottano ora la seconda che, a differenza della prima, avrà una lunga fortuna durante tutto l’Ottocento. Il lungomare di Napoli con pescatori e mercanti e il Castel dell’Ovo in fondo di Manglard o le due vedute Northumberland di Vernet (figg. 5 e 6)offrono un esempio abbastanza caratteristico di questi prosceni paesaggistici: pescatori che sbarcano, trasportano le loro merci, dormono su sacchi di grano e giocano a carte, turchi che fumano la pipa, lavandaie che lavano i panni, cani randagi che cercano del cibo, mercanti con cappelli e lunghi cappotti che contrattano il prezzo della merce, preti e prelati che passeggiano, donne che allattano i bambini o ancora ladri che approfittano della distrazione dei turisti. Nell’ultimo terzo di secolo, infine, le riproduzioni del golfo acquistano una loro autonomia: le figure si fanno più rare e prive d’importanza, i monumenti scompaiono quasi del tutto; gli artisti si abbandonano ad un esercizio di pittura pura dove prevale la descrizione del cielo limpido, dell’onda trasparente, della luce cangiante. È il caso del Golfo di Napoli di Hoüel (fig. 14), sobria, poetica ed essenziale evocazione, con la tecnica della gouache, della costa settentrionale.

Un altro motivo di grande successo è costituito dal Vesuvio. La ripresa dell’attività eruttiva nel 1631 e la scoperta di Ercolano e Pompei nel 1738 e nel 1748214, non solo

fanno entrare il vulcano nell’iconografia di Napoli, ma lo rendono il vero e proprio simbolo della città, al punto tale che non c’è una sua rappresentazione che non lo comprenda. Il Vesuvio sovrasta la città, maestoso e minaccioso, eruttando di tanto in tanto lava e pomici, suscitando talvolta paura, talvolta curiosità ed ammirazione:

214 Sulla dipendenza reciproca del successo del Vesuvio e di Pompei, cfr. A. DE KOTZEBUE, Erinnerungen von einer Reise aus Liefland nach Rome und Neapel, Berlin, Erdlich, 1805 (trad. francese Souvenirs d’un voyage en Livonie, à Rome et à Naples, faisant suite aux souvenirs de Paris, Paris, chez Barba, 1806, vol. I, pp. 359-360): « La ville de Naples et ses environs sont remplis de choses très remarquables ; mais les deux objets qui, à mon avis, méritent le plus d’être examinés avec attention sont Pompeia et le mont Vésuve. Celui qui ne peut s’arrêter à Naples que deux ou trois jours sera suffisamment récompensé de son voyage s’il parcourt Pompeia et s’il monte sur le Vésuve. Je commencerai donc par gravir cette montagne célèbre, sans laquelle les ruines de Pompeia n’existeraient pas. »

Quel spectacle pendant une nuit obscure ! Qu’il est brillant ! Il étonne et il frappe généralement les yeux et les oreilles. C’est une gerbe de 20.000 fusées volantes et de couleurs variées qui s’élèvent dans les airs !… Quel plaisir pour les yeux si on les tient élevés ! Quelle horreur si on les baisse ! Les bruits sourds de l’intérieur semblent être les gémissements des malheureuses victimes de ces gouffres affreux. Quelle horreur, et qu’elle augmente par la réflexion !215

La sua apparizione nelle riproduzioni pittoriche avviene nel 1631 anche se non ancora come motivo paesaggistico autonomo, ma piuttosto come elemento di una composizione storico-religiosa dove il vero protagonista è San Gennaro. Saranno Van Wittel, Ruiz e Grevenbroek ad elevarlo al rango di soggetto principale ritraendo l’eruzione del 1737 e sarà Vernet (e più tardi Bonavia nel 1757) a imporne la moda. Anche se il Vesuvio compare in numerose rappresentazioni come fondale scenografico o come elemento di drammatizzazione dell’immagine, è comunque il tema dell’eruzione che conosce maggiore successo ed a questo contribuiscono soprattutto i pittori francesi (figg. 9, 13, 15, 16, 17, 41, 42, 43, 46, 47 e 60). Non esiste pittore di paesaggio, o anche di storia, che fermandosi a Napoli non ne approfitti per ritrarre il Vesuvio. Il vulcano esercita su tutti un interesse enorme:

… je vais vous parler de mon spectacle favori, du Vésuve. Pour un peu je me ferais Vésuvienne tant j’aime ce superbe volcan; je crois qu’il m’aime aussi car il m’a fêtée et reçue de la manière la plus grandiose. Que deviennent les plus beaux feux d’artifice, sans en excepter la grande girande du Château Saint-Ange, quand on songe au Vésuve ?216

È raffigurato dal tedesco Hackert, dall’austriaco Wütky, dagli italiani Bonavia, Antoniani (fig. 55), Lusieri e Saverio della Gatta, dagli inglesi Fabris, Cozens e Wright of Derby per citare solo i nomi più importanti. Ma i protagonisti dell’iconografia del Vesuvio sulla scena internazionale sono soprattutto i francesi: Vernet (fig. 15), Lacroix de Marseille (fig. 13) e Volaire (figg. 9, 16 e 17).

Come già sappiamo, Vernet effettuò il suo primo viaggio a Napoli nel 1737, anno in cui si verificò una grande eruzione. Sappiamo, dalla corrispondenza del Marquis de Caumont suo protettore, che realizzò un’Eruzione del Vesuvio che purtroppo andò perduta durante la confisca dei beni del marchese nel 1793. Un’incisione di Philibert B. De la Rue, tratta dall’opera di Vernet e pubblicata da L. Fino (senza però metterne in risalto l’importanza), sembra essere l’unica testimonianza esistente del quadro (fig. 15).

215 Jacques-Germain Soufflot, citato da J. MONDAIN, detto MONVAL, Soufflot, sa vie, son œuvre, son esthétique (1713-1780), Paris, Alphonse Lemerre, 1918, p. 100.

Essa rappresenta, secondo la didascalia, il vulcano nell’anno 1757217; si tratta più probabilmente dell’eruzione del 1737, visto che nel 1757 non è registrata alcuna attività vulcanica e che la presenza di Vernet in Campania in quell’anno non è documentata. L’incisione – e ciò è sfuggito agli specialisti del pittore avignonese – fu utilizzata nell’Encyclopédie per illustrare la voce «Volcans» e per questo motivo ebbe una larga fortuna in Europa; questo evento merita di essere valutato in tutta la sua importanza.

Osservando infatti i quadri di Lacroix de Marseille e le prime opere dello chevalier Volaire appare evidente l’influenza esercitata su di essi dal modello vernetiano. Lo schema compositivo si ritrova identico nei quadri di Lacroix (fig. 13): in primo piano una lingua di terra con dei pescatori che scaricano casse e botti e tirano fuori dell’acqua le reti, a sinistra uno scoglio sormontato da un alberello contorto, in secondo piano un mare piatto popolato solo da qualche barca ed in ultimo piano il Vesuvio eruttante che si distacca dal cielo notturno. Lacroix riprende dal maestro anche alcuni «trucchi» di composizione: la firma posta sulla botte, l’equilibrio delle linee e delle masse; con l’albero del veliero, le pendici del vulcano e il cespuglio che dialogano tra essi e scandiscono una distribuzione della composizione prevalentemente orizzontale. Volaire dimostra un maggior spirito di indipendenza, riprende la divisione tripartita dell’immagine, ma sposta il punto di vista da Posillipo a Chiaia o alla Strada Nuova alla Marina. Egli crea inoltre due formule nuove: la vista dall’Atrio del Cavallo, che consente una raffigurazione ravvicinata del cratere, e la vista dal ponte della Maddalena, ingresso orientale della città, che gli permette di introdurre una nota narrativa e pittoresca con la fuga delle popolazioni vesuviane verso la capitale; ma oltre a queste già elencate possono essere individuate numerose altre varianti. Ad ognuna delle formule adottate da Volaire corrispondeva, in effetti, un gruppo preciso di clienti: coloro che avevano avuto il coraggio di salire sul Vesuvio chiedevano che la loro esperienza fosse immortalata con una rappresentazione delle pendici del vulcano dove si potesse vedere il percorso effettuato, con l’aggiunta eventualmente del ritratto dell’«avventuriero» (fig. 9). Per coloro invece a cui era mancata l’audacia o la forza fisica di scalare la montagna, il pittore proponeva lo stesso spettacolo visto dal lungomare, con in più un condensato di esperienze pittoresche: le processioni a San Gennaro, gli scorci di città, i pescatori sul porto (fig. 16). I clienti alla ricerca, invece, di un souvenir più economico potevano comprare un quadro di formato più piccolo, verticale, realizzato secondo la divisione

tripartita di Vernet: spettatori e pescatori in primo piano, specchio di mare con riflessi della luce lunare e vulcanica in secondo piano e l’immenso Vesuvio in fiamme sullo sfondo (fig. 17). Per la sua fortunata politica commerciale, per l’indubbio talento, per la notevole sensibilità artistica e per l’innata capacità di cogliere l’evoluzione del gusto, Volaire può essere ritenuto - negli anni 70-80 - lo specialista del soggetto, anzi il pittore ufficiale del Vesuvio:

No painter ever excelled Volaire in water, fire and moonlight scenes. Many have attempted to paint eruptions of Mount Vesuvius ; but unless they are present at the time of an eruption, such paintings must be very imperfect.218

Di fronte al Vesuvio, dall’altro lato del golfo, si estende la collina di Posillipo la cui bellezza giustifica il nome Pausilypon, «che calma il dolore».

Dans la nuit du tombeau, toi qui m’a consolé, Rends-moi le Pausilippe et la mer d’Italie, La fleur qui plaisait tant à mon cœur désolé, Et la treille où le pampre à la rose s’allie.219

Il luogo era associato nella mente dei viaggiatori e degli artisti alle ricche ville patrizie dell’Antichità (come quella di Vedio Pollione), ai templi, ai teatri o ai ninfei. Tuttavia, già nel Settecento, rimaneva ben poco di questi celebri luoghi ed a sedurre i disegnatori e i pittori erano piuttosto il bel panorama di cui si godeva dalla sua cima oppure le piccole insenature e le grotte naturali popolate da gioiosi pescatori. Non esiste un soggetto o un punto di vista privilegiati dagli artisti: Marechiaro o la Gaiola sono raffigurati quanto altri luoghi più anonimi. Più frequentemente invece compare il Palazzo Donn’Anna, residenza leggendaria della regina Giovanna, la cui costruzione eclettica e in rovina costituisce per i pittori un motivo stimolante ed attraente: