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1.1 «Naples la riante» e la Campania felix: le motivazioni del viaggio o del soggiorno

1.1.2 Le motivazioni economiche

Le motivazioni del viaggio in Italia e in particolare a Napoli, non erano soltanto artistiche, ma potevano essere anche economiche - soprattutto se i pittori, disegnatori e incisori che lo effettuavano non appartenevano al piccolo gruppo privilegiato dei borsisti

128 Lettera di Caylus a Paciaudi dell’11 febbraio 1760 in Correspondance inédite du comte de Caylus avec le Père Paciaudi, a cura di C. NISARD, 2 voll., Paris, Imprimerie Nationale,1877, citata da P. ROSENBERG, in DE SAINT-NON eFRAGONARD, Panopticon Italiano, cit., p. 44.

di Palazzo Mancini. La dimensione economica poteva presentarsi in tre diverse circostanze: al momento del viaggio, durante il soggiorno campano e/o al ritorno in Francia. Nel primo caso, l’artista accompagnava un suo protettore nell’Italia meridionale e riceveva, in cambio della produzione grafica che documentava i luoghi visitati e (a volte) dei commenti dati davanti alle opere e ai monumenti, un contributo in natura (vitto e alloggio); nel secondo, egli approfittava della sua permanenza in Campania per prendere contatto con la clientela e vendere parte della sua produzione; nel terzo caso infine, l’artista realizzava a Napoli opere compiute o studi destinati ad essere sviluppati e venduti in Francia130. Il numero considerevole di pittori di paesaggio che si recò a

Napoli a partire del secondo terzo del Settecento ci lascia supporre che la situazione in Francia per gli artisti che praticavano questo genere non fosse facile, oppure che il soggiorno italiano costituisse un «valore aggiunto» alle opere vendute al di là delle Alpi. A conferma di ciò ci sono le testimonianze dell’abate Desfontaines e dell’abate Gougenot che notavano con dispiacere la quasi totale assenza, negli anni 40-50, di pittori francesi contemporanei nelle collezioni degli amateurs e il gusto quasi esclusivo dei loro connazionali per la pittura italiana e fiamminga del Cinque e Seicento:

Le titre de français et de vivant dégrade un artiste à leurs yeux. Il faut être étranger ou mort pour leur plaire.131

Meglio quindi, per gli artisti desiderosi di fare carriera, cercare clienti in Italia, oppure adottare lo stile dei loro concorrenti d’oltralpe; Jean de Cayeux ha, infatti, stimato che tra il 1750 e il 1815, su 350 artisti che si sono dedicati al genere del paesaggio, più di 215 abbiano soggiornato a Roma o siano stati tentati dallo stile italianizzante132. Ciò spiega perché, intorno alla metà del secolo, i più grandi paesaggisti francesi si trovavano oltralpe: Adrien Manglard, dal 1715 al 1760133; Joseph Vernet, dal 1734 al 1753; e

Hubert Robert, dal 1759 al 1762. I primi due perché incontrarono in Italia condizioni di

130 Non ci dilungheremo qui sul rapporto artista-cliente, trattato nel secondo capitolo: Artisti, clienti e società: le strutture della produzione.

131 P. F. GUYOT DESFONTAINES, Observations sur les écrits modernes, Paris, Chaubert, 1740, p. 281. Citato da C.B. BAILEY, Patriotic Taste: collecting Modern Art in Pre-revolutionary Paris, New Haven- London, Yale University Press, 2002, p. 33.

132 J. DE CAYEUX, Le paysage en France de 1750 à 1815, Saint-Rémy-en-l’Eau, Monelle Hayot, 1997, p. 47.

133 Per Silvia Maddalo, «È probabile che Manglard venisse spinto a lasciare la Francia anche dalle difficoltà incontrate ad inserirsi in un ambiente artistico dominato, come si è detto, dall’Accademia parigina, la quale da un lato ostacolava l’autonomia delle scuole provinciali, e dall’altro, fedele ad un ideale figurativo «classicheggiante», ammetteva il genere paesistico solo moderatamente, e mai quando esso nasceva da istanze realistiche (come quello olandese), o quando sconfinava nella bambocciata. Non è un caso, infatti, che nei primi cinquant’anni del secolo, un pittore di paesaggio non fu mai vincitore del Grand Prix de Rome». S. MADDALO, Adrien Manglard (1695-1760), Roma, Multigrafica Editrice, 1982, p. 33.

produzione e di ricezione delle loro opere più favorevoli, l’ultimo perché riteneva che studiare nel Bel Paese fosse diventato indispensabile al suo sviluppo artistico. La situazione dei paesaggisti francesi mutò del tutto nell’ultimo terzo del Settecento, come dimostrano i discorsi dei critici (e in particolare i giudizi elogiativi espressi da Diderot a favore di Joseph Vernet) o l’apparire di diverse manifestazioni (i Salons de la Correspondance, le mostre del Colisée e dell’Élysée che accolgono opere dei generi minori). Nel 1783 un visitatore del Salon notava come:

Un genre dont on est généralement satisfait c’est le paysage […] aujourd’hui fort goûté et fort recherché par nos amateurs. C’est apparemment ce goût universel qui a déterminé plusieurs de nos artistes à s’y livrer avec application.134

Le ragioni di questo cambiamento, insieme veloce e radicale, saranno studiate nel terzo capitolo; ci basti ora sottolineare come nel periodo in cui si registra il maggior numero di paesaggisti francesi in viaggio in Italia (e soprattutto nell’Italia del Sud) si riscontri un mutamento del gusto del pubblico. Se la prima generazione di artisti - quella di Manglard e di Vernet – era stata costretta a trasferirsi nella penisola per necessità economiche (e perché il gusto degli amateurs francesi non era ancora maturo per il paesaggio), le generazioni successive invece sceglieranno deliberatamente il soggiorno in Italia per aumentare il prestigio delle loro opere ed accrescerne il valore sul mercato parigino.

L’opportunità di vedersi finanziare il soggiorno in Campania, poteva presentarsi all’artista già al momento della sua uscita dallo studio del maestro. Molti giovani apprendisti attendevano l’occasione di recarsi in Italia per completare la propria formazione; ma, a differenza dei loro colleghi inglesi che potevano beneficiare di borse di studio oppure dei laureati del Grand Prix, essi dovevano procurarsi l’appoggio di un ricco mecenate che finanziasse il loro viaggio. Quest’ultimo poteva essere un nobile o un uomo di potere, il quale era alla ricerca di un giovane pittore ricco di talento che lo accompagnasse nel suo Tour o offriva il soggiorno ad un suo protégé (spesso un connazionale). È questa la situazione in cui, ad esempio, si trovò Joseph Vernet, che godette dell’appoggio del marchese de Caumont per il suo viaggio in Italia, in cambio dell’impegno di disegnare dall’antico e procurargli opere e reperti archeologici. Cassas, da parte sua, beneficiò del sostegno del duca di Rohan Chabot, e Huë di quello del

134 Loterie pittoresque pour le Salon de 1783, Amsterdam, s.n., 1783, pp. 12-13, citato da BAILEY, Patriotic Taste, cit., p. 285, nota 90.

notaio Duclos-Dufresnoy, che consentì ai due artisti di completare la loro formazione in Italia. Durante il soggiorno, il protettore forniva al pittore delle lettere di credito e, in alcuni casi, pagava in anticipo le commissioni135. Generalmente l’artista, in cambio del

generoso aiuto che riceveva, doveva consegnare, al ritorno in Francia, una parte o la totalità della sua produzione, e inoltre le opere che aveva acquistato in Italia per conto del suo protettore.

Altri artisti, che già si trovavano in Italia spesso con il titolo di pensionnaire, ebbero l’opportunità di accompagnare dei viaggiatori nel loro periplo del sud della penisola; tra di essi Clérisseau e i fratelli Adam, Hoüel e il cavaliere d’Avrincourt, Hubert Robert e l’abate de Saint-Non:

J’ay veu par une lettre de Monsieur Cochin que vous trouviés bon, Monsieur, que le sieur Robert accompagnât Monsieur l’abbé de Saint-Nom à Naples ; outre la douceur du voyage pour luy, puisqu’il ne luy en coûtera rien, il trouvra de quoy faire des études qui luy seront avantageuses. Il vous ait sensiblement obligé de cette permission, dont il espère retirer du fruit.136

Il caso di Charles-Louis Clérisseau (Parigi 1721 – Auteuil 1820) è particolarmente interessante: come molti architetti della sua generazione (Dumont, Desprez, Pâris, Renard e Soufflot), fu scelto per partecipare ad alcune spedizioni archeologiche nel Sud d’Italia, allo scopo di effettuare il rilievo dei monumenti e/o lavorare all’edizione di una raccolta di reperti antichi o di vedute (figg. 21 e 24). La scarsezza di attività edilizie in quegli anni costringeva, in effetti, gli artisti ad orientarsi verso il genere più lucrativo delle vedute. Durante il loro soggiorno nell’Italia meridionale essi producevano molti disegni con l’obiettivo sia di documentare il percorso del loro mecenate, che di venderli successivamente o farli incidere. Desprez riutilizzò così una parte della sua produzione realizzata per l’abate di Saint-Non per eseguire, insieme a Francesco Piranesi, una serie di stampe aquarellate rappresentanti le curiosità del regno di Napoli: l’eruzione del Vesuvio, il tempio di Serapide a Pozzuoli, la grotta di Posillipo, Pompei, il miracolo di San Gennaro... Il mercato delle vedute (disegnate, incise o dipinte) era in realtà molto sviluppato in Italia - soprattutto a Roma, Venezia e Napoli, le tre tappe principali del Grand Tour - e alcuni artisti francesi seppero trarre grande profitto da queste circostanze.

135 Ibid., p. 145.

136 Lettera di Natoire a Marigny, a Rome, il 19 marzo 1760. Correspondance des directeurs, cit., t. XI, pp. 333-334.

Scarse, invece, sono le commissioni documentate e pochi sono i pittori che riportano, come Vernet nel suo Livre de raison, il titolo e il prezzo dei quadri venduti, e il nome del cliente. Tuttavia, in alcuni casi, si è riusciti a determinare la provenienza delle opere, dandoci la possibilità di ricostruire le caratteristiche principali del mercato delle vedute francesi realizzate nel Sud d’Italia137.

Molti artisti tentarono di vendere nella penisola la loro produzione, tra di essi anche i pensionnaires, sebbene il regolamento dell’Accademia lo proibisse; ma solo coloro che si erano già conquistati una reputazione come Vernet, o si erano stabiliti a Napoli come Boily, Tierce, Volaire o Péquignot, riuscirono a trarre profitto, in misura più o meno grande, dalle circostanze favorevoli. Per un artista di passaggio, costituirsi una clientela non era cosa facile138 e chi ebbe l’opportunità di imporsi sul mercato decise, come gli

artisti appena citati, di trattenersi nella capitale del regno di Napoli. In questi casi, il soggiorno di formazione influì sulle loro prospettive di carriera e quindi sulla decisione di restare, per un periodo più o meno lungo, in Italia. Louis Boily (1735 – 1800 circa), incisore al bulino, lavorò a Napoli dal 1766 al 1789 e a partire da tale anno per il re; collaborò alla Relazione dell’ultima eruzione (1779) di Michele Torcia, realizzando una tavola rappresentante il Vesuvio, tratta da Volaire, e partecipò a diverse imprese editoriali come le Antichità di Ercolano esposte, fornendo diverse tavole che gli furono ben retribuite. Jean-Baptiste Tierce (1737/1741 – circa 1794), pittore e disegnatore, si stabilì a Napoli dal 1774 al 1778 nell’elegante via Toledo139; lavorò per il cardinale de Bernis, collaborò con l’incisore Filippo Morghen e intrattenne sicuramente delle relazioni con la corte (poiché nel 1788 alcune sue opere saranno esposte a Palazzo Farnese, allora ambasciata napoletana a Roma). Sappiamo, dalla corrispondenza del marchese de Sade, che Tierce svolse un’intensa attività e fu apprezzato dalla buona

137 Ci limiteremo in questo paragrafo ad un abbozzo del mercato; la nostra intenzione non è quella di delineare un ritratto della clientela, ma di mostrare come il soggiorno italiano possa essere stato, per alcuni artisti, un’importante fonte di guadagno.

138 Il caso di Subleyras, ritrattistista e pittore di storia è, in questo senso, eccezionale. Giunto a Napoli nell’ottobre del 1746 per motivi di salute, ebbe l’opportunità nei pochi mesi della sua permanenza – ripartirà per Roma nel giugno del 1747 – di eseguire i ritratti di Horatio II Walpole e di Eustache, duca de la Vieuville. Ricordiamo tuttavia che il pittore, che aveva acquisito una grande reputazione a Roma, era al culmine della sua carriera ed incontrò, di conseguenza, meno difficoltà di un giovane paesaggista in formazione ad imporsi presso la clientela. Su Subleyras, cfr. ROSENBERG, Tre note napoletane, cit., pp. 89-91; Subleyras.1699-1749, catalogo della mostra (Paris, Musée du Luxembourg, 20 febbraio – 26 aprile 1987 ; Roma, Académie de France, Villa Médicis, 18 maggio – 19 luglio 1987), a cura di P. ROSENBERG e O. MICHEL, Paris, RMN, 1987; O. MICHEL, «Subleyras», in The Dictionary of Art, New York, Grove, 1996, t. XXIX, pp. 886-889.

139 Napoli, Archivio Storico del Banco di Napoli (d’ora in poi A.S.B.N.), Banco di San Giacomo, Pandette del 1776 e del 1777; Giornale copiapolizze di cassa del 1777, mat. 2038, p. 231.

società napoletana140; vide passare a Napoli diversi importanti viaggiatori e prestò i suoi servizi di disegnatore al marchese de Sade e a Vivant Denon per il suo Voyage pittoresque. Pierre-Jacques Volaire (Tolone 1729 – Napoli 1799), pittore di paesaggio, durante il suo viaggio di formazione nel Sud d’Italia (a Roma e a Napoli), trovò nella città partenopea le condizioni più favorevoli allo sviluppo del suo talento, come testimoniano l’appoggio ricevuto dagli ambasciatori francese e inglese (il visconte di Choiseul e Lord Hamilton) e i riconoscimenti ottenuti presso i ceti più elevati della società; ciò anche grazie alla sapiente scelta di un tipo di produzione particolarmente adatto a rispondere alle aspettative della clientela: l’illustrazione delle eruzioni del Vesuvio. Infine Jean-Pierre Péquignot, pittore e disegnatore, trascorse i suoi ultimi anni a Napoli, dove soggiornò dal 1793, data della sua fuga da Roma (dopo l’assassinio di Hugou de Bassville), alla sua morte, probabilmente nel 1807; trovò un impiego come maestro di disegno presso l’appaltatore d’imposte Darlincourt141, che era impegnato nel

suo Tour d’Italia, e continuò a produrre grandi quadri di paesaggio in stile neoclassico. L’unico artista che, benché fosse a Napoli di passaggio, riuscì a vendervi dei quadri, fu Joseph Vernet. L’artista ricevette, infatti, da Carlo III (nel 1746) la commissione di Carlo di Borbone alla caccia delle folaghe sul lago Patria (fig. 4) e di una Carlo di Borbone alla caccia sul lago di Licola; dal duca de la Rochefoucault, ambasciatore di Francia a Napoli (in data indeterminata), quella di una Marina con un faro e il tempio di Minerva Medica, un capriccio con elementi paesaggistici napoletani; e forse dal marchese de l’Hôpital, ambasciatore di Francia a Napoli, la commissione dei due pendants con vedute di Napoli, da nord e da sud, della collezione del Duca di Northumberland (figg. 5 e 6).

In effetti, tra gli artisti presenti a Napoli non tutti ebbero la fortuna, come Vernet, di riuscire a vendere a Napoli i loro dipinti, oppure l’opportunità o il desiderio, come Volaire e Boily, di stabilirsi nell’Italia meridionale; molti dovettero attendere il loro ritorno in Francia per trarre qualche profitto economico dal soggiorno in Campania. Questo, ad esempio, è il caso di Étienne Giraud, incisore e editore che lavorò a Napoli dal 1767 al 1771; al rientro a Parigi nel 1772, egli si dedicò alla vendita della sua raccolta di vedute del regno di Napoli142 e di mappe e paesaggi topografici (figg. 7 e

140 Lettera del dottore Mesny al marchese de Sade, del 17 gennaio 1776. D. A. F. DE SADE, Voyage d’Italie, Paris, Fayard, 1995, vol. I, p. 466.

141 Napoli, Archivio Storico di Napoli (d’ora in poi A.S.N.), Affari esteri, B. 543, senza n° di folio. 142 Le grand golfe de Naples / Par Giraud / ou / Recueil des plus beaux palais / de la ditte ville / MDCCLXXI. / Le dit ouvrage renferme les plus beaux Restes d’Antiquités qui existent sur la Coste de

8)143. Hubert Robert realizzò molte controprove delle sue sanguigne napoletane, ma anche molte variazioni intorno a soggetti campani come la grotta di Posillipo. Altri esposero i loro quadri, gouaches e acquerelli al Salon o nelle altre manifestazioni concorrenti, trovando così degli acquirenti. Dal 1775 al 1800, i paesaggi napoletani (di Vernet, Hoüel, Huë, Pérignon, Génillon, Taurel e Petit) furono presenti in quasi tutti i Salons, ciò a dimostrazione del grande successo di questo genere presso il pubblico144. In realtà, in questi anni, malgrado la volontà di D’Angiviller di rialzare il prestigio della pittura di storia, incoraggiando le commissioni di soggetti di grande gesto, molti collezionisti (tra i quali Duclos-Dufresnoy, Bernard o Le Peletier de Mortefontaine145)

costituirono delle raccolte di paesaggi. Il mercante Paillet, grande ammiratore di Vernet, ebbe un ruolo altrettanto importante nell’infatuazione del pubblico per le vedute dell’Italia meridionale: egli si vide passare tra le mani almeno ottanta quadri dell’artista, che raggiunsero prezzi sempre più alti. Le due famose vedute di Napoli della collezione del duca di Northumberland, due pendants (figg. 5 e 6), furono comprate dal mercante a 4855 franchi e rivendute, nel 1784, a 9500 franchi146!

Un esempio come quello di Vernet, il cui viaggio era stato finanziato dal suo protettore, che aveva avuto l’opportunità di vendere i suoi quadri in Italia meridionale, trovando acquirenti presso re, diplomatici e ricchi turisti e che vide, al ritorno in patria, i suoi quadri raggiungere prezzi altissimi, incoraggerà numerosi artisti a seguirne l’esempio147.

Poussole, Baja & Cuma / Le tout pittoresquement gravé à un seul trait à l’eau forte dans le goût du Celebre Piranesi et Le Grand Golfe de Naples / ou recueil des plus belles vues de ses Environs / et des meilleurs Palais de la Ditte Ville / ainsi que les antiquités les plus remarquables / qui existent sur la cotte de Poussole Baja et Cuma / et selles des deux Cicilles / Gravé par différents Graveurs de sa majesté cicilienne / au Dépen du Chevalier Giraud / Aingénieur au Service de la Cour de Saxe / Pendent son séjour à Naples. Cfr. G. PANE, La Città di Napoli tra vedutismo e cartografia. Piante e vedute dal XV al XIX secolo, catalogo della mostra (Napoli, Museo di Villa Pignatelli, 16 gennaio – 13 marzo 1988), a cura di V. VALERIO, Napoli, Grimaldi e C., 1987, p. 263.

143 Paris, A.M.A.E., Correspondance politique, Naples, ff. 221, 243-244. 144 GUIFFREY, Collection des livrets, cit.

145 BAILEY, Patriotic Taste, cit., p. 146; O. BONFAIT, Les collections des parlementaires parisiens du XVIIIe siècle, in «La Revue de l’Art», n. 73, 1986, p. 37. Marianne Roland Michel cita anche le collezioni di Blondel de Gagny, La Live de Jully, Watelet, del cavaliere de Clesnes e del duca de Chabot. ROLAND MICHEL, De l’illusion à «l’inquiétante étrangeté», cit., p. 475, nota 1.

146 E. JOLYNN, Alexandre-Joseph Paillet : expert et marchand de tableaux à la fin du XVIIIe siècle, Paris, Arthéna, 1996, pp. 185-188.

147 «Vernet’s real influence was perhaps less an immediately visual one and rather more oblique. Not only did he encourage a painter like Wilson, but his own success must have demonstrated the viability of the landscape profession in the middle years of the century, although this also means that he cornered a certain section of the market.»; P. CONISBEE, in Joseph Vernet. 1714-1789, catalogo della mostra