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Il petit tour: gli itinerari insoliti e i percorsi del curieu

1.3 «Iter Campanicum»: itinerari e condizioni materiali del viaggio in Campania

1.3.2 Il petit tour: gli itinerari insoliti e i percorsi del curieu

Il petit tour, con le iniziali minuscole, è una formula elaborata dallo studioso contemporaneo Attilio Brilli255 per indicare gli itinerari minori del viaggio in Italia, in

contrapposizione alle sue tappe più frequenti: le città di Roma, Venezia e Napoli, ad esempio, o i siti di Frascati, Castel Gandolfo e Pompei. Riprendiamo a nostra volta la formula per studiare i luoghi della Campania descritti da quegli avventurieri dell’inedito che sono stati alcuni pittori francesi di paesaggio.

Gli itinerari minori sono in sostanza quattro: il nord, con Capua e Caserta; l’est e il nord-est, con Avellino, Benevento e Ariano Irpino; il sud-est, con Sorrento, la costiera amalfitana, Salerno e il Cilento; ed infine il sud-ovest, con le isole di Capri, Ischia e Procida. Prima di esaminare la produzione relativa a questi luoghi occorre capire i motivi per i quali destarono così scarso interesse tra gli artisti.

La prima ragione è logistica: queste regioni mancavano del tutto di strade praticabili, di stazioni e cavalli di posta, di mezzi di trasporto, di locande; inoltre non esistevano carte geografiche aggiornate ed accurate. Di conseguenza, a meno di avere un proprio calesse, una guida e di essere dotati del coraggio sufficiente ad avventurarsi nelle montagne o nelle paludi, non era possibile raggiungerle. Un esempio di queste difficoltà di comunicazione è riportato da Lucio Fino, che da lungo tempo studia l’iconografia

254 DE SADE, Voyage d’Italie, cit., vol. I, p. 237.

255 BRILLI, Le «petit tour», cit.; ibid., Il viaggio in Italia, Milano, cit.; ibid., Le città ritrovate. Alla ricerca dello spirito del luogo, Milano, Banca Popolare di Milano, 1989; ibid., Quando viaggiare era un’arte. Il romanzo del Grand Tour, Bologna, Il Mulino, 1995.

della Campania256: egli descrive l’itinerario da seguire per raggiungere Amalfi prima della costruzione, nel 1920, della strada litoranea Salerno-Amalfi. Bisognava partire da Nocera e attraversare sul dorso di un mulo il valico di Chiunzi, oppure noleggiare una barca a Vietri o a Salerno, o ancora intraprendere l’itinerario «dello Scaricatoio» che, passando per Monte Sant’Angelo a Castellammare, portava prima a Piano di Sorrento e dopo in una piccola località ad ovest di Positano. Qualunque fosse l’itinerario scelto, il viaggio era lungo, faticoso e talvolta anche pericoloso; la stessa difficoltà si incontrava per gli altri luoghi citati in precedenza. Un ulteriore ostacolo poteva essere costituito dalle risorse finanziarie: Napoli era spesso l’ultima tappa di un Tour d’Italia e perfino d’Europa, che poteva durare diversi mesi o addirittura qualche anno. La «borsa» del viaggiatore era ormai spesso vuota e andare fino a Benevento o a Salerno costituiva, nel budget del viaggio, un «extra» considerato inopportuno ed inutile. A questa motivazione economica se ne aggiungevano altre più personali: la stanchezza, il tedio, lo scarso tempo rimasto a disposizione, la paura dei briganti, dei saraceni o dei pirati.

La seconda ragione è invece culturale: spesso i visitatori ignoravano l’interesse rappresentato da quei luoghi. Nel Settecento, infatti, Pozzuoli e Paestum erano ben note perché descritte da autori antichi e moderni e riprodotte da numerosi disegnatori, incisori e pittori; mentre Aversa, Procida o anche Sorrento erano ancora poco conosciute. Le guide di viaggio, prime e principali fonti di informazioni per i turisti, spesso non scrivevano nulla in merito a queste località, non permettendo ai lettori di incuriosirsi e scoraggiando ogni progetto di visita. Bisogna inoltre aggiungere le considerazioni esposte nel capitolo precedente, vale a dire un certo conformismo da parte dei viaggiatori che li spingeva ad interessarsi solo agli itinerari «palinati» e ai siti resi già noti dalla storia, dalla letteratura o dall’arte.

La terza ed ultima ragione risiede nello sviluppo del gusto e dell’estetica: esaminando la natura dei siti poco visitati dagli artisti, ci accorgiamo subito che si tratta di città e di monumenti medievali («gotici» o «barbari» secondo il giudizio di un uomo del Settecento) o di siti naturali deserti e selvaggi. Le vestigia normanne e bizantine suscitavano perplessità e critiche, così come le costruzioni arabo-sicule d’Amalfi e della costiera. Le loro forme orientaleggianti, la moltitudine di colonnine di ordini e colori diversi, le mura con strisce nere e bianche erano considerate bizzarre e «di cattivo

256 L. FINO, La costa d’Amalfi e il golfo di Salerno (da Scafati a Cava, da Amalfi a Vietri, da Salerno a Paestum). Disegni, acquarelli, stampe e ricordi di viaggio di tre secoli, Napoli, Grimaldi e C. editori, 1995, p. 413.

gusto», ammesso che i viaggiatori (avvezzi all’antichità classica ed al nascente gusto neoclassico) si fossero almeno degnati di menzionarli. «Les portails des cathédrales gothiques ne subsistent que pour la honte de ceux qui ont eu la patience de les faire», dichiarava Rousseau257. Hoüel, nel suo Voyage pittoresque des îles de Sicile, Malte e

Lipari (1782-1787) ignora del tutto l’architettura normanna e sveva; ed è solo verso la fine del XVIII secolo e nel primo terzo del XIX secolo, che prima di tutto la letteratura (Il Castello d’Otranto di Horace Walpole e i romanzi gotici) e in un secondo tempo la pittura (Friedrich, i Nazareni e i pittori troubadours), si interessano nuovamente al Medioevo ed al suo patrimonio monumentale. Un segnale che precorre il nuovo clima estetico è costituito, ad esempio, nel campo della pittura, da Il capriccio con la torre di Benevento di Hubert Robert (fig. 34) e due sue varianti, nelle quali l’artista, ammiratore delle rovine e dei monumenti romani, sceglie di rappresentare il profilo bizzarro ed inquietante di una vecchia torre medievale. La nuova sensibilità estetica si ritrova anche nella letteratura con Saint-Non, il quale, a proposito delle forme armoniose del pulpito e della tribuna della cattedrale di Salerno, scrive:

L’on peut en juger par la Chaire à prêcher, ainsi que par la Tribune et le Jubé, qui sont de la plus grande richesse, soit par le choix des Marbres, soit par le travail précieux de la Mosaïque. Ces monumens du onzièmesiècle ont réellement un style qui ne manque ni de noblesse ni d’élégance, et portent avec eux une force de caractère original, qui n’est point sans mérite.258

Gli stessi sentimenti contrastanti sono suscitati dalle montagne e dai luoghi deserti: temi che a volte sono trattati con disinteresse, a volte incutono soltanto spavento. Denon ci rende, ancora una volta, partecipe delle sue impressioni sul paesaggio intorno a Cava dei Tirreni:

Nous quittâmes la grande route pour prendre à gauche celle du monastère de la Trinita, fameux par ses archives et la singularité de son site, où l’on dit que Poussin et Salvatore Rose ont été chercher les modèles de ce genre grand, noble et sévère qui les caractérise. Je n’y trouvai rien que Poussin eût pu prendre ou apprendre : une nature sauvage sans belles formes, des roches pauvres et des montagnes couvertes de taillis et de broussailles, voilà tout ce que j’y vis.259

Il secolo dei Lumi si mostra poco sensibile verso la natura selvaggia, i luoghi abbandonati dall’uomo, le bellezze naturali e incolte. Fino all’inizio dell’epoca romantica - spiega Lucio Fino - la categoria dell’utile prevale su quella del bello ed i concetti di dolcezza o di piacevolezza sono solitamente associati all’idea del solo

257 Citato da André Chastel in CHASTEL, Introduction à l’histoire de l’art français, cit., pp. 112-113. 258 DE SAINT-NON, Voyage pittoresque, cit., vol. III, p. 165.

benessere potenziale e attuale, ovvero alle caratteristiche produttive dei luoghi, all’abbondanza di orti e giardini, alla disponibilità di buone tecniche di lavorazione e di attrezzi moderni, all’ubicazione e alle caratteristiche delle strade, alla diffusione di comodi mezzi di trasporto ed alla buona organizzazione sociale e amministrativa260.

Molti pensavano, come Candide, che «le bonheur est où je suis», e non si avventuravano in luoghi inospitali, né tanto meno dedicavano ad essi descrizioni pittoriche e letterarie. Il paragrafo di Saint-Non su Sorrento è abbastanza sintomatico di quest’attitudine: si parla soltanto della fertilità dei terreni e della buona qualità delle carni, del vino e del latte.

Lo studio della produzione artistica relativa a questi siti è quindi tanto più interessante, in quanto le opere sono rare, rappresentano soggetti inediti e testimoniano una certa originalità da parte dell’artista.

Il primo itinerario che abbiamo definito è quello settentrionale con Capua, Caserta e Aversa, corrispondente, in effetti, al percorso seguito dalla via Appia, che collegava Roma a Napoli, e di cui queste località costituivano piuttosto delle soste che delle mete del viaggio. Spesso i turisti avevano fretta di arrivare a destinazione, oppure sceglievano come mezzo di trasporto il Procaccio (il corriere ordinario che andava da Roma a Napoli seguendo la strada litoranea); essi effettuavano perciò solo delle brevi soste nelle città per cui transitavano, e Capua era una di queste.

La città era associata nella mente dei viaggiatori alle delizie che vi gustò Annibale e al suo patrimonio monumentale. Se de Brosses non si è dilungato sulla città (deluso di non avervi mangiato che un poco di prosciutto duro!), Lalande, Sade e Saint-Non vi hanno dedicato, invece, lunghe descrizioni. Tra gli artisti, soltanto Clérisseau e il gruppo di Denon (Châtelet, Desprez, Pâris e Renard) hanno rappresentato gli edifici antichi di Capua: l’anfiteatro, l’arco antico ed i sepolcri. È interessante notare come la scelta di questi soggetti riveli non tanto il gusto dei disegnatori, quanto quello dei loro clienti:

260 L. FINO, Capri, Ischia e Procida. Memorie e immagini di tre secoli. Disegni, acquarelli, stampe di vedute e costumi, Napoli, Grimaldi e C. Editori, 1996, p. 18. Cfr. anche WATELET, «Paysage», cit., vol. IV, p. 29. Atanasio Mozzillo ha messo in evidenza l’atteggiamento ambivalente dei viaggiatori di fronte alla natura e ai paesaggi del Mezzogiorno, quelli fertili delle Terra del Lavoro e quelli desolati e inospitali del Cilento: «Indicativa in questo senso l’accettazione incondizionata del mito della fertilità, della naturale fecondità del Mezzogiorno, e insieme, [...] lo scontro pressoché continuo, che questo mito nega, con gli spaccati di una natura avara e quasi sempre povera, di una terra che ha dimenticato le rose di Paestum e che si sfalda, si apre nei calanchi, si brucia nelle siccità, viene trascinata al mare da fiumare improvvise e rabbiose». A. MOZZILLO, Il giardino dell’iperbole. La scoperta del Mezzogiorno da Swinburne a Stendhal, Napoli, Nuove edizioni, 1985, p. 12.

James Adam e Richard de Saint-Non. L’itinerario e i siti da illustrare erano, infatti, già stati definiti nel progetto editoriale e il rilievo degli edifici era affidato ad artisti che avevano ricevuto una formazione da architetto (ad eccezione di Châtelet). L’anfiteatro romano è il monumento di Capua (oggi Santa Maria Capua Vetere) che merita maggiori attenzioni; si tratta del più grande teatro antico dopo il Colosseo (col quale i viaggiatori e gli artisti, che in generale avevano appena lasciato Roma, potevano stabilire un immediato paragone), del principale monumento della città e dell’edificio antico meglio conservato:

Il est assez entier pour connaître parfaitement la disposition de toutes ses parties. Sa construction est toute de brique ou d’une très belle pierre que fournissent les montagnes voisines. La grandeur est moindre que celle de l’amphithéâtre flavin mais pourtant assez considérable pour rendre ce monument très important.261

Ad esso è dedicato un lungo paragrafo nel Voyage pittoresque, due tavole (una veduta esterna di Renard e una interna di Desprez) e una grande pianta di Pâris con in margine prospetti, sezione e studi di particolari. Il disegno di Renard (conservato in The Snite Museum of Art - University of Notre-Dame) e la sua incisione, realizzata da Bertheaux e da Embrun, costituiscono una piacevole veduta del monumento e soprattutto una descrizione esatta della costruzione che dialoga con il testo redatto da Denon e Saint- Non. Sono posti in risalto i robusti blocchi di pietra tagliata posati a secco, le colonne doriche e lo stato ancora parziale dello scavo che lascia l’edificio per metà sotterrato. Di Desprez conosciamo diversi studi del teatro: L’Anfiteatro di Capua (uno schizzo conservato nei Canadian Architectural Archives di Calgary, e di cui non siamo riusciti ad avere una riproduzione) e due versioni della Veduta delle rovine d’una delle scale dell’anfiteatro (la prima a matita, la seconda a penna ed acquerello, entrambi al Nationalmuseum di Stoccolma). La veduta generale è uno schizzo rapido che non è stata usata da modello per l’incisione, probabilmente perché ritenuta poco interessante dall’artista stesso o da Saint-Non. La veduta delle scale, anch’essa un semplice abbozzo, è servita invece da base al disegno esecutivo e all’incisione di Germain e Racine (ma con una diversa disposizione delle figure). Il disegno esecutivo di Desprez è, in effetti, assai seducente, con i suoi effetti chiaroscurali, i giochi sulla prospettiva e la profondità, l’accentuazione del carattere colossale degli archi e delle gallerie, l’aspetto inquietante e quasi piranesiano conferito alla costruzione e alle sue varie rampe di scale. Più sobria e modesta nelle sue ambizioni è la Veduta di rovine e di frammenti di costruzioni che si

crede di essere le porte dell’antica Capua, realizzata da Châtelet, di cui si è conservata solo l’incisione di De Ghendt nel Voyage pittoresque. Questo arco monumentale, la cui struttura in rovina è nel Settecento difficilmente identificabile, viene così descritto da Denon:

Il n’existe plus de la ville qu’une seule porte; encore n’est-il pas bien décidé si ce n’était pas un arc de triomphe, quoiqu’il ne reste rien de son ancienne décoration. Le soubassement, l’enfoncement des niches, et l’arrachement des morceaux de marbre, dont il reste des fragments cassés, et attachés encore dans les mattoni, ne laissent aucun doute qu’elle n’ait été décorée de colonnes, et revêtue en marbre.262 Il brano del diario appena riportato è abbastanza significativo, perché mette in evidenza la tendenza dei viaggiatori a formulare ipotesi e teorie (da sottoporre successivamente al giudizio del lettore) sui monumenti e sui fenomeni naturali che incontravano durante il loro percorso. Nella letteratura periegetica questa pratica s’incontra abbastanza spesso: nella maggioranza dei casi il testo è accompagnato da un’illustrazione allo scopo di renderlo più comprensibile (è il caso della tavola di Châtelet con il testo di Denon), rare volte è la scrittura che commenta il disegno (come nelle ricostruzioni dei monumenti di Pompei realizzati da Desprez). Pertanto, il disegno di Châtelet sopra menzionato, è stato inciso e presentato al lettore proprio allo scopo di permettergli di valutare la fondatezza dell’ipotesi avanzata da Denon, senza bisogno di recarsi sul luogo.

Altri monumenti di Capua suscitarono la curiosità degli artisti; si tratta dei sepolcri romani che si scoprono all’uscita della città e sulla strada che porta a Caserta. Clérisseau, Desprez, Pâris e Renard ne studiarono le varie forme architettoniche, disegnandone la pianta e il prospetto e realizzandone una ricostruzione pittoresca. È soprattutto interessante il confronto fra la tavola di Choffard - tratta dal modello di Pâris (fig. 35) - e il fregio di Desprez (fig. 36), perché rivelatrice di due sensibilità estetiche diverse. La tomba rappresentata da Pâris, è un grande sepolcro, «très bien conservé, de forme circulaire [ma raffigurato ovale da Pâris] décoré de vingt-sept colonnes engagées, d’ordre dorique antique, revêtues en stuc, et cannelées»263. Questa costruzione dalla

forma geometrica armoniosa, insieme massiccia e monumentale, formata da un’alternanza ritmica di arcate e di colonne di ordine dorico, è proprio il tipo di costruzioni antiche che seduce gli architetti della fine del secolo (Ledoux, Boullée,

262 DENON, Voyage au royaume de Naples, cit., p. 168.

263 Ibid., p. 167. Si tratta della tomba rappresentata sulla tavola in alto. Il sepolcro raffigurato in basso, «la Conocchia», è lo stesso di quello disegnato da Desprez. L’opera di Pâris è una ricostruzione di gusto neoclassico, mentre quella di Desprez è una veduta pittoresca della rovina.

Lequeu) ed evoca istintivamente il Prospetto di un progetto di circo (1° progetto) di Boullée, del 1782 (Paris, Bibliothèque Nazionale de France). All’opposto di questa sensibilità per un neoclassicismo virile e colossale si colloca il piccolo fregio di Desprez, che raffigura la cosiddetta «Conocchia» una tomba fatta tutta di curve concave e convesse, che «accarezza» ancora la sensibilità rococò e soddisfa il gusto per il pittoresco: «Quoique ce monument fût d’une architecture un peu tourmentée, sa forme, en général, est pittoresque, et pyramide agréablement à l’oeil»264. Coesistono quindi

nella stessa raccolta non solo vari approcci stilistici, ma addirittura diverse concezioni estetiche: troviamo presenti così nel Voyage pittoresque - a dispetto del titolo dell’opera – anche le tendenze più aggiornate del neoclassicismo.

Lasciando Capua, i viaggiatori si dirigevano verso Caserta. Se nei diari di viaggio la Reggia vanvitelliana è spesso presente, i ricordi grafici sono invece quasi del tutto inesistenti: abbiamo individuato soltanto l’incisione di Bertault e Varin tratta da un acquerello di Châtelet (collocazione ignota) e una copia di quest’ultimo (Berlin, Kunstbibliothek). Il disegno è abbastanza convenzionale e presenta un interesse soltanto documentaristico. Châtelet, come Denon (e con loro la maggior parte dei visitatori), non rimase particolarmente colpito dalla ricca e immensa costruzione di Vanvitelli265. Nel

passo che riportiamo, Saint-Non fornisce una descrizione del palazzo reale e ne riporta le caratteristiche, ma appare abbastanza critico riguardo le sue qualità formali:

C’est [...] un des Palais les plus considérables qu’il y ait en Europe, et un des plus remarquables par la richesse des Marbres, soit antiques, soit modernes[…]. C’est sur le dessin de Van Vitelli […] qu’a été construit le Château […]. Le Plan de ce vaste Edifice est un quarré parfait, ou à peu près. Il est composé de quatre grands Corps de Bâtimens […]. On entre dans le Château par trois grandes ouvertures […].

Successivamente, dopo una breve presentazione di Vanvitelli e una descrizione della costruzione, in particolare della sua collocazione geografica, del suo orientamento e di alcune delle sue parti (tra cui lo scalone), l’autore conclude così:

C’est [lo scalone] la partie de ce Palais qui mérite le plus d’éloges du côté de l’Architecture : car on peut dire qu’en général elle n’y est pas d’un très grand style,

264 Ibid., cit., p. 167. Lo stesso monumento è stato anche rappresentato da Clérisseau in un disegno conservato nel Fitzwilliam Museum di Cambridge.

265 Moreau, Richard e Lalande formularono un giudizio positivo sulla reggia, malgrado l’abbiano vista ancora incompiuta. Ammirarono, in particolare, l’acquedotto carolino per l’audacia dell’impresa edilizia e ingegneristica e la ricchezza dei marmi colorati usati nella costruzione del palazzo.

et que cet Edifice doit beaucoup plus sa réputation à son étendue, et à la magnificence de ses Ornemens, qu’à la pureté et à la perfection de l’art.266

Saint-Non riporta infine – ed è il colpo di grazia - il giudizio di Denon sulla tristezza e la monotonia della pianura circostante e sulla pesantezza e freddezza del palazzo267.

Siamo a conoscenza, dai documenti d’archivio, dei soggiorni di Manglard e di Valenciennes a Caserta268; nessuno dei due però sembra averne lasciato un ricordo artistico. Ancora una volta, tale carenza appare sintomatica del giudizio estetico negativo espresso dagli artisti e dagli esteti sul sito e sulla costruzione vanvitelliana.

Il borgo di Aversa - collocato sulla strada che da Capua porta a Napoli - ha subito sorte ancora peggiore e non abbiamo trovato, malgrado si tratti di una città antica con un ricco patrimonio monumentale, nessuna illustrazione, da parte dei nostri artisti, che lo rappresenti. Possiamo pensare che il motivo sia il carattere prevalentemente medievale dei suoi edifici, poco in sintonia con il gusto dell’epoca.

Il secondo itinerario che abbiamo individuato è quello che porta ad est e a nord-est di Napoli, con Avellino, Benevento e Ariano Irpino. Avellino, con i suoi monumenti medievali e i palazzi barocchi costruiti sotto il principato dei Caracciolo, con il vicino santuario di Montevergine e le montagne del Sannio e dell’Irpinia, non ha colpito l’immaginazione degli artisti.

Neanche di Ariano Irpino, situata sulla strada per la Puglia, abbiamo trovato rappresentazioni. La città, giudicata poco affascinante, è descritta da Saint-Non in questi termini:

266 DE SAINT-NON, Voyage pittoresque, cit., vol. II, p. 261.

267 I viaggiatori che si recavano a Caserta al momento della costruzione del palazzo ammiravano i mezzi impiegati nella realizzazione dell’impresa (il numero considerevole di operai, l’edificazioni di acquedotti per rifornire d’acqua i giardini e la Reggia, ecc.) e erano anche incantati dallo stile sobrio ed elegante dell’opera di Vanvitelli. Lo stesso Saint-Non, nel suo diario di viaggio redatto nel 1759, lodò a lungo i lavori in corso (cfr. DE SAINT-NON e FRAGONARD, cit., pp. 120-121). Il suo giudizio – che, ricordiamolo, fu anche quello di Denon – sarà invece del tutto diverso nel Voyage pittoresque. Diverse