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1.1 «Naples la riante» e la Campania felix: le motivazioni del viaggio o del soggiorno

1.1.1 Le motivazioni artistiche

Io devo ancora viaggiare per imparare.

Sono un artista, ma la mia mano è ancora inesperta. Nel mio spirito so creare forme,

ma non so guidare, in ciò, la mia mano.58

A partire dal Quattrocento e con sempre maggiore intensità nel corso dei secoli successivi, gli artisti avvertirono il bisogno di effettuare il viaggio di formazione in Italia (si pensi ad esempio al soggiorno nella penisola di Jean Fouquet e più tardi di numerosi artisti fiamminghi quali Van Heemskerck, Bril e Elsheimer), esperienza indispensabile al completamento del loro apprendistato ed all’acquisizione di prestigio presso i clienti e i colleghi. La motivazione artistica era allora principalmente quella di acquisire conoscenza diretta dei reperti archeologici presenti nella penisola per adottarne la nobiltà di stile e di aggiornarsi alle nuove formule e ai modi di espressione degli italiani (in particolare dei maestri del XVI secolo: Raffaello, Michelangelo e Tiziano). A Roma e in Italia soggiornarono anche i «fondatori» della scuola pittorica francese seicentesca: Simon Vouet, Nicolas Poussin e Claude Gellée. L’esempio di questi famosi maestri e la presa di coscienza, da parte di Colbert e degli artisti, dell’utilità di un apprendistato italiano per rialzare il prestigio delle produzioni nazionali, condussero alla creazione, nel 1666, dell’Accademia di Francia a Roma. Nel corso di tre anni - tale era la durata stabilita per il soggiorno nel Palazzo Mancini - i sei pittori premiati potevano approfondire la loro formazione a spese del re, copiando quadri e reperti antichi. In tal modo la monarchia francese raggiungeva un duplice scopo: procurarsi delle repliche dei capolavori italiani e esaudire i desideri del sovrano. «Comme nous devons faire en sorte d’avoir en France tout ce qu’il y a de beau en Italie - scriveva Colbert a Errard, il primo direttore dell’Accademia di Francia a Roma – appliquez-vous à rechercher avec soin tout ce que vous croirez digne de nous être envoyé»59. La politica di Colbert dovette

58 F. HÖLDERLIN, «Hysperion», citato da L. FINO, Vesuvio e Campi Flegrei. Due miti del Grand Tour nella grafica di tre secoli: stampe disegni e acquerelli dal 1540 al 1876, Napoli, Grimaldi e C. Editori, 1993, p. 11.

59 Citato da L. A. REVAH, «Académies» in Encyclopædia Universalis, Paris, Encyclopædia Universalis France SA, 1968, t. I, p. 68.

rapidamente dare risultati convincenti, dato che già sul finire del Seicento i teorici dell’arte francesi espressero la convinzione che la loro scuola nazionale fosse ormai superiore a quella italiana e che Parigi fosse diventata la «Nuova Roma»60. Nel 1752, il

marchese d’Argens riassumeva così le convinzioni di molti francesi:

Lorsque Monsieur de Colbert établit notre Académie de Peinture à Rome, nous n’avions eu encore qu’un très petit nombre de bons Peintres; il falloit exciter l’émulation des jeunes gens ; l’établissement de Monsieur de Colbert étoit donc nécessaire. Dans la suite, la France ayant eu d’aussi grands Peintres que l’Italie et en aussi grand nombre, il n’a plus été de la même utilité.61

Non tutti in ogni modo condividevano la sua opinione, dal momento che il viaggio in Italia rimase un fenomeno d’attualità, anzi raggiunse ancora maggior diffusione nel corso del Settecento. Lo stesso Cochin, che nel 1751 aveva scritto «Je crois l’École de France fort supérieure»62, sarà l’autore, l’anno successivo, di un discorso sopra

«l’Utilité du Voyage d’Italie» pronunciato all’Académie Royale63:

M. Cochin expose, avec modestie, ce qu’il croit lui-même sur la marche que les Elèves doivent tenir pour étudier efficacement les grands Maîtres, et, sans s’écarter de son but, il donne un précis des différents ouvrages qui ont occasionné ses remarques, soit pour le dessein, soit pour la couleur, ce qui fait sentir, indépendamment de toute instruction, avec quelle réserve il faut prononcer sur les productions des arts, qui sont des choses de sentiment et non pas des objets de discussion […]. Quand nous ne serions pas, Monsieur, persuadez que nous sommes de l’utilité du voyage d’Italie pour les Artistes et pour les Amateurs, l’ouvrage que vous venez de nous lire suffiroit pour nous en convaincre.64

In definitiva, sebbene gli artisti francesi dell’epoca si mostrassero certi della superiorità della loro scuola rispetto a quella italiana, nei fatti smentivano questa convinzione continuando la pratica del viaggio in Italia. Infatti se, come si sosteneva da più parti, i

60 Su questo argomento si vedano anche gli interessanti articoli di P. ROSENBERG, Ignorance et incompréhension réciproques : points de vue sur les difficiles relations artistiques entre la France et l’Italie au XVIIIe siècle, e di M. T. CARACCIOLO, La France du XVIIIe siècle et les ‘peintres modernes’ des écoles d’Italie, in Settecento Le siècle de Tiepolo dans les collections publiques françaises, catalogo della mostra (Lyon, Musée des Beaux-Arts, 5 ottobre 2000 – 7 gennaio 2001; Lille, Palais des Beaux- Arts, 26 gennaio – 30 aprile 2001), Paris, RMN, 2000, pp. 16-23 e 31-43 e il recente e utilissimo articolo di C. MICHEL, Les relations artistiques entre l’Italie et la France (1680-1750) : la contradiction des discours et de la pratique, in «Studiolo», n. 1, 2002, pp. 11-19.

61 J.-B. DE BOYER D’ARGENS, Réflexions critiques sur les différentes écoles de peinture, Paris, Rollin, Grange et Bauche fils, 1752, p. 21.

62 Lettera di Charles-Nicolas Cochin al conte di Caylus, scritta da Roma in giugno 1751, citata da ROSENBERG in Ignorance et incompréhension réciproques, cit., p. 19.

63 C.-N. COCHIN, De l’Utilité du Voyage d’Italie, lettura all’Accademia del 4 marzo 1752 pubblicata in Extraits des Procès-verbaux de l’Académie de peinture et de sculpture a cura di A. DE MONTAIGLON, Paris, Société de l’Art français, 1875-1892. Sull’ambiguita dei rapporti tra la Francia e l’Italia alla fine del Seicento e durante il Settecento, cfr. l’indispensabile articolo di C. MICHEL, Les relations artistiques, cit., pp. 11-19.

francesi della fine del Seicento e del Settecento erano riusciti realmente e definitivamente ad assimilare la lezione dell’Italia (degli antichi romani, dei maestri del Rinascimento e di quelli contemporanei), perché continuavano a varcare le Alpi? Tenteremo di risolvere questa apparente contraddizione, esaminando, per l’area geografica che ci riguarda - Napoli e la sua regione - le motivazioni artistiche del viaggio dei pittori e disegnatori francesi.

Le questioni a cui proveremo a dare una risposta, sono di conseguenza due: cosa cercavano di diverso gli artisti del Settecento rispetto a quelli del secolo precedente? E cosa offriva di particolare Napoli rispetto a Roma?

L’analisi dei diari di viaggio e delle opere realizzate in Italia dai francesi nei secoli XVII e XVIII, entrambe espressioni dello Zeitgeist di queste due epoche, rivela, da parte degli uomini del Seicento, un interesse per la storia, la tradizione e la produzione dei grandi maestri del Rinascimento e del XVII secolo. L’atteggiamento cambia, almeno parzialmente, con gli artisti che soggiornarono nella penisola durante il Settecento: infatti, all’interesse per i reperti antichi e le opere degli artisti del Cinquecento, che continuavano ad essere oggetto d’ammirazione, si aggiunsero la curiosità e l’attenzione verso il paesaggio. Assistiamo, in effetti, alla nascita, tra i turisti e i pittori (e non solo tra gli specialisti del paesaggio), di una nuova sensibilità verso la natura, che si manifesta in un approccio emozionale, anzi sentimentale, verso lo spettacolo del mondo. Per evidenziare la novità di quest’attitudine degli artisti del Settecento rispetto al secolo passato prendiamo in considerazione due opere: il Paesaggio con i funerali di Focione di Poussin (Oakly, Shropshire, coll. Earl of Plymouth) e Il mattino. Veduta di una costa italiana di Joseph Vernet (Schloss Rohrau, coll. Harrach). Nel primo quadro, quello che importa non è tanto l’elemento paesaggistico, quanto la narrazione di un episodio; nel dipinto di Vernet, invece, questo rapporto si inverte: il motivo principale è uno scorcio di natura, la trascrizione dell’atmosfera pacata e poetica di una riva mediterranea al sorgere del sole. Lo scopo della rappresentazione appare quello di fornire, in qualche maniera, l’illusione della realtà:

On oublie le lieu où l’on est et les tableaux qu’on vient de voir: on se croit transporté sur le rivage; l’âme jouit de la vaste étendue des mers, de l’immensité des cieux [...] et elle s’imbibe de cette mélancolie si douce et si dangereuse qui fait le charme des cœurs sensibles.65

65 C.J. MATHON DE LA COUR, Lettres sur les peintures... exposées au Salon du Louvre en 1767, Paris, d’Houry, 1767, p. 259. Citato da P. CONISBEE, La nature et le sublime dans l’art de Claude-

Nella pittura del Settecento, il dato naturale si fa sempre più presente: ormai non è più solo uno sfondo che colma un vuoto della composizione, ma un suo elemento caratterizzante (come nella Festa a Rambouillet di Fragonard), qualificante (come nei ritratti della famiglia reale napoletana eseguiti da Vigée-Lebrun) o capace di definire una particolare atmosfera (come nelle Fêtes galantes di Watteau). Un esame della produzione letteraria ci conduce alle stesse conclusioni: nel Seicento gli eruditi e gli accademici francesi (Montfaucon, de Monconys o Rigaud) si erano mostrati interessati alle antichità campane e, in particolare, ai reperti archeologici dei Campi Flegrei, ma non avevano avuto lo stesso atteggiamento verso il terrificante Vesuvio e le innumerevoli bellezze naturali del Meridione. Nel secolo successivo l’atteggiamento sarà radicalmente differente; illuminante è il caso di Denon, il quale, nel passo che riportiamo, esprime tutto l’incanto suscitatogli dal panorama della città partenopea:

Nous arrivâmes à Naples […] enchantés de l’aspect de la nature et du climat de cette heureuse contrée, qu’on a à si juste titre appelée le jardin de l’Europe. Quoiqu’aux premiers jours de décembre, j’en sentis tout le charme, je ne trouvai plus rien d’exagéré dans tout ce que j’en avais lu; quand on a tout peint et tout décrit, il reste encore à rendre un effet magique qui existe dans l’air, qui colore tous les objets, et qui fait que ceux mêmes qu’on connaît dans les autres climats ne se ressemblent plus dans ceux-ci, et y deviennent nouveaux. 66

Un’altra differenza fondamentale consiste negli scopi che assumeva il viaggio in Italia, in particolare per quanto riguarda la natura dell’insegnamento che si sperava di trarne. Mentre nel Seicento il pittore si era posto l’obiettivo di acquisire il «mestiere», completare la sua formazione artistica e culturale e «se frotter et limer sa cervelle contre celle d’autrui» - per riprendere l’espressione di Montaigne – in maniera da essere in grado, al ritorno in Francia, di produrre opere di qualità, capaci di istruire e non solo di sedurre i sensi; nel Settecento invece (ad eccezione della generazione neoclassica, i cui obiettivi saranno, in qualche modo, più vicini a quelli degli artisti del XVII secolo) si intraprendeva il viaggio col proposito di sviluppare la propria sensibilità. Si andava nella campagna romana per vederla invasa dalla nebbia al calare del sole, si saliva sul Vesuvio per rimanerne strabiliati e si scendeva a Chiaia per assistere al movimento delle barche e dei pescatori sotto il torrido sole meridiano. «La trascrizione pittorica delle

Joseph Vernet, in Autour de Claude-Joseph Vernet. La marine à voile de 1650 à 1890, catalogo della mostra (Rouen, Musée des Beaux-Arts, 20 giugno – 15 settembre 1999), a cura di C. PETRY, Arcueil, Anthèse, 1999, p. 36.

emozioni procurate dall’impatto con la realtà circostante, colta sempre nelle sue mutevoli e molteplici apparenze»67 era sempre successiva alla percezione visiva dello spettacolo della natura. Nel Settecento l’artista cerca l’educazione dei sensi piuttosto che quella della mano e vuole toccare il cuore più che parlare alla ragione. Non cerca più di rivaleggiare con gli Italiani o superarli – i teorici lo hanno già convinto della superiorità della scuola francese – ma di procurarsi quel «je ne sais quoi», quel tocco in più (forse il senso della luce e del colore) che costituisce la differenza tra un artista che ha effettuato il suo viaggio in Italia e quello che è rimasto nel suo studio parigino.

Con lo spostamento dei centri di interesse avveniva anche un mutamento degli itinerari italiani: Roma perdeva il suo monopolio di centro di attrazione artistica a favore di altre città italiane, tra cui Napoli68. In realtà, erano pochi gli artisti che, soggiornando

in Italia, mancavano di recarsi nel sud della penisola. Ma cosa attraeva i giovani pittori francesi nella capitale del regno di Napoli? Innanzitutto il patrimonio artistico, che aveva poco da invidiare a quello romano; in particolare la collezione Farnese (che riuniva dipinti e sculture antiche), le chiese e i palazzi napoletani riccamente decorati dai più famosi maestri del Seicento e Settecento, le collezioni private, le città vesuviane e il museo di Portici, costituivano delle attrattive di non poco conto. I pittori di paesaggio erano spinti anche dal desiderio di confrontarsi con le opere di Salvator Rosa, uno dei più famosi rappresentanti del genere, che godeva, nell’ambito della nuova tendenza preromantica apparsa nella seconda metà del Settecento, di nuova fortuna.

Prima di analizzare in dettaglio la maniera con la quale gli artisti francesi guardarono al patrimonio napoletano, è necessario un preambolo. Anche se, a prima vista, un discorso sul patrimonio monumentale e sulla pittura di storia non sembra del tutto pertinente con lo studio dei pittori di paesaggio, abbiamo giudicato opportuno, per lo sviluppo logico dell’argomentazione, prendere in esame l’architettura moderna napoletana, le collezioni di pittura, i siti antichi e le raccolte archeologiche. I motivi di questa scelta sono molteplici: innanzitutto gli artisti che studiamo non sono tutti paesaggisti di formazione. Molti, infatti, sono architetti o pittori di storia, di essi una parte sono pensionnaires dell’Accademia di Francia a Roma e un’altra è costituita dai precursori della scuola del paesaggio storico. Questi artisti per diverse ragioni, legate al

67 N. SPINOSA, La pittura di veduta a Napoli, in N. SPINOSA eL. DI MAURO, Vedute napoletane del Settecento, Napoli, Electa, 1996, p. 23.

loro apprendistato o ai loro interessi, studiarono non solo la natura, ma anche le produzioni artistiche antiche e moderne. Inoltre, i «paesaggisti veri», quelli di formazione, si interessarono sia all’architettura locale (la ritroviamo nelle loro vedute urbane o nei «capricci»), che alla pittura napoletana (in particolare a Salvator Rosa), o ancora agli oggetti ritrovati negli scavi di Ercolano (come nelle ricostruzioni storiche di Desprez e di Hubert Robert o nei personaggi vestiti «alla pompeiana» in primo piano nei quadri).

Gli artisti francesi che si recavano a Napoli nel Settecento erano principalmente interessati alle collezioni napoletane di pittura69, soprattutto a partire dal 1734 quando

Carlo III, salendo al trono, fece trasferire nella capitale del Regno la prestigiosa collezione Farnese che aveva ereditato dalla madre Elisabetta. Sebbene solo nel 1757 i primi visitatori poterono celebrare la bellezza della raccolta nel Palazzo di Capodimonte, costruito appositamente per ospitarla, anche prima di questa data i viaggiatori avevano potuto ammirare la collezione Farnese nelle sale del Palazzo Reale70. È possibile

stabilire quali opere abbiano attirato maggiormente l’attenzione degli artisti francesi dall’esame di diverse fonti d’informazione: il Voyage d’Italie di Cochin, il Voyage pittoresque di Saint-Non (opere scritte da noti artisti e conoscitori, che costituiscono delle referenze indispensabili sia sull’Italia meridionale che sulla pittura) e la produzione di Ango e di Fragonard (due disegnatori particolarmente attenti a eseguire delle copie dei capolavori conservati nelle collezioni e nelle chiese di Napoli71). Se Saint-Non si è accontentato di citare e riprodurre il San Sebastiano curato dalle sante donne di Schedone (che giudicava molto vicino allo stile di Correggio, un artista molto apprezzato dai francesi), Cochin invece ha menzionato circa venticinque quadri e ha dedicato più di dieci pagine del suo Voyage alla collezione reale. Christian Michel ha

69 Come ricorda Olivier Michel, la creazione passa attraverso l’imitazione; la copia è la base della formazione artistica, e Roma - come anche le altre città italiane - sono altrettanti musei, stimolanti l’immaginazione del pittore con le loro numerose collezioni private, chiese e palazzi aristocratici. Cfr. O. MICHEL, Peintres français à Rome au XVIIIe siècle jusqu’au néo-classicisme, in Vivre et peindre à Rome au XVIIIe siècle, Roma, École française de Rome, 1996, p. 76.

70 Anche se non sempre nelle migliori condizioni... come testimonia il Presidente de Brosses: «... que de détails et d’exclamations j’aurais faits sur les admirables tableaux de la maison Farnèse qu’on y a transportés [au Palazzo Reale]! Mais ces barbares Espagnols, que je regarde comme les Goths modernes, non contents de les avoir déchirés en les arrachant du palais de Parme, les ont laissés pendant trois ans sur un escalier borgne, où tout le monde allait pisser. Oui, monsieur, on pissait contre le Guide et contre le Corrège : ‘Jugez de ma douleur à ce récit funeste.’ » C. DE BROSSES, Lettres historiques et critiques sur l’Italie, Paris, Séryes, 1799 (ried. Lettres familières écrites d’Italie en 1739 et 1740, Plan de la Tour, Éditions d’aujourd’hui, 1976, t. I, p. 314).

71 C.-R. DE SAINT-NON eJ.-H. FRAGONARD, Panopticon Italiano, un diario di viaggio ritrovato: 1759-1761, a cura di P. ROSENBERG e con la collaborazione di A. BREJON DE LAVERGNÉE, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1986.

analizzato nella sua edizione critica del Voyage d’Italie i gusti eclettici dell’autore72. In effetti, le scelte che Cochin ha operato tra i dipinti della collezione reale, rivelano i suoi svariati interessi: ammiratore della scuola veneziana – ma anche di quella bolognese, romana e napoletana - si è interessato sia ai maestri del Cinquecento (Brescianino, Parmigianino e Schedoni), che a quelli del Seicento (quali Lanfranco, Giordano e i Carracci) e del Settecento (Solimena, De Mura e Panini)73. Nei loro giudizi Ango e Fragonard mostrano, anch’essi, una notevole varietà e vastità di interessi, copiando dalla collezione Farnese quadri di diverse correnti pittoriche o appartenenti a diverse epoche. Così mentre il primo si sofferma, ad esempio, su Annibale Carracci, il secondo sceglie Pontormo, Correggio, Schedoni, Salvator Rosa, Sebastiano Ricci e Solimena74. Quindi,

contrariamente a quanto che si è detto spesso, gli artisti francesi che hanno soggiornato a Napoli sono stati capaci di apprezzare la varietà e la qualità delle collezioni reali.

Gli artisti, almeno alcuni di essi, approfittavano anche della possibilità di gustare la bellezza delle raccolte private, come quelle del principe della Torre e del principe di Francavilla, particolarmente ricche di opere del Seicento bolognese e romano e del Cinquecento veneziano (la collezione Francavilla, più diversificata, conteneva anche opere di Raffaello, Andrea del Sarto, Teniers e Rubens). Artisti e viaggiatori si recavano sicuramente ben volentieri ad ammirare le ricchezze del Palazzo Francavilla, tanto più che «la Princesse qui est de la Maison Borghese – scrive La Lande - tenoit à Naples la plus grande maison. Les étrangers y sont reçus avec beaucoup d’agrément: cette Princesse a passé 18 mois à Paris, et l’on s’en apperçoit à la manière dont ses appartemens sont meublés; les glaces, les vernis, les étoffes de Lyon, les broderies des Indes, les canapés à la Françoise, tous les genres de manificence m’ont paru réunis chez elle indépendamment de ceux qui sont propres au pays, comme les portes, les chambranles dorés et les tableaux de prix»75. Per quanto riguarda la collezione del duca

Spinelli, questa era composta da opere del XVI e XVII secolo appartenenti a varie

72 C.-N. COCHIN, Voyage d’Italie, 3 voll., Paris, Charles Antoine Jombert, 1758 (ried. a cura di C. MICHEL, Roma, École Française de Rome, 1991, pp. 39-47).

73 Ibid., cit., vol. I., pp. 129-140.

74 Cfr. M.ROLAND MICHEL, Un peintre français nommé Ango… , «An advertisement Supplement to the Burlington Magazine», n. 40, dicembre 1981, p. III ; P. WALCH, Foreign artists at Naples : 1750- 1799, in «The Burlington Magazine», CXXI, n. 913, aprile 1979, p. 248; DE SAINT-NON eFRAGONARD, Panopticon Italiano, cit., nn. 2-7, pp. 335-337.L’architetto Moreau, che visitò il palazzo nel 1757 in compagnia del padre Della Torre, menziona le opere di Schedone, Giulio Romano, Tiziano, Veronesi, Correggio e dei Carraci che vi erano presenti. Cfr. S. DESCAT, Le Voyage d’Italie de Pierre-Louis Moreau: Journal intime d’un architecte des Lumières (1754-1757), Pessac, Presses Universitaires de Bordeaux, 2004, p. 142.

scuole pittoriche. Benché le testimonianze sulle visite di artisti francesi nelle collezione private napoletane siano scarse e poco studiate, possiamo utilizzare ancora una volta la preziosa opera di Cochin – il quale elenca i quadri di entrambe le collezioni – e anche quelle di Fragonard e di Valenciennes. Così, sappiamo come Fragonard si sia recato, in compagnia di Saint-Non, dal principe della Torre per copiare un quadro di Lanfranco, uno di Reni e quattro di Poussin (o attribuiti a Poussin)76. Valenciennes nel suo diario di