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Sulla Great Moderation

Nel documento Il Fed model: un'analisi empirica (pagine 38-44)

Giunti a questo punto del lavoro, sulla base degli ultimi risultati presentati, non ci sentiamo di esprimere un giudizio definitivo sulla capacità o meno del Fed model come strumento di previsione dei rendimenti azionari futuri, e non è obiettivo di questa tesi condurre delle verifiche al riguardo. Piuttosto, la prima ipotesi che ci interessa dimostrare riguarda l‟effettiva esistenza della relazione alla base del modello, ossia se è davvero possibile affermare che sussiste una

relazione di lungo periodo tra earning e interest yield, dopodiché sarà nostro intento appurare se tale dinamica risulti essere stabile nel tempo, anche alla luce della recente crisi finanziaria. Prima di concludere, e dar forza all‟analisi empirica, pensiamo che sia utile avere l‟ausilio, oltre che di una interpretazione econometrica – svolta di seguito -, di una ricostruzione cronologica della sequenza dei fenomeni che hanno contrassegnato gli anni dell‟economia statunitense oggetto di valutazione. In questo modo si vuole da un lato, dare maggiore chiarezza circa il contesto storico, dall‟altro giungere a delle possibili interpretazioni del fenomeno oggetto di studio. In sintesi questa è la nostra proposta.

L‟economia americana aveva conosciuto, sino a prima della bolla immobiliare, una fase eccezionalmente prolungata di crescita sostenuta, con oscillazioni del ritmo di sviluppo del prodotto notevolmente affievolite nel confronto con i periodi precedenti e inflazione bassa e stabile in tutte le aree principali; le prospettive di crescita apparivano, nelle previsioni di consenso, stabili e certe. Quella fiducia è stata gradualmente erosa dagli eventi succedutisi a partire dall‟estate del 2007, ed è precipitata rapidissimamente nell‟autunno del 2008, cedendo il campo a un forte e generalizzato aumento della volatilità dei mercati, dell‟attività economica e a una diffusa incertezza sul futuro.

Come è noto, la crisi si è manifestata inizialmente con le difficoltà di intermediari che avevano massicciamente investito in prodotti finanziari “strutturati”, legati all‟andamento dei mutui ipotecari (e quindi all‟andamento dei prezzi degli immobili sottostanti) concessi negli Stati Uniti a prenditori con basso merito di credito (cosiddetti subprime). Essa ha però potuto diffondersi rapidamente ad altri comparti del mercato finanziario e all‟economia reale; il focolaio di infezione si è infatti inserito in un più ampio contesto di fragilità del sistema finanziario ed economico internazionale.

I problemi emersi nel 2007 nei mercati dei prodotti strutturati legati ai mutui

subprime hanno sì scatenato la crisi, ma le condizioni perché essa potesse

profondi mutamenti strutturali dell‟economia, risalenti a molti anni prima. In particolare, la rassicurante convinzione che si fosse dispiegata una fase nuova per il mondo, quello che è stato chiamato la “Grande Moderazione”, ha forse condotto a sovrastimare la capacità del sistema economico di assorbire eventuali

shocks. Tale convinzione è stata rafforzata dall‟apparente facilità, con costi

complessivamente contenuti, con la quale l‟economia statunitense ha superato le difficoltà, apparse a volte potenzialmente minacciose, che si sono presentate nel corso di quegli anni: dalle crisi finanziarie dei paesi del Sud-Est asiatico e della Russia al crack dell‟hedge fund LTCM, dallo sgonfiamento della bolla sul mercato azionario nel 2000-01 allo shock causato dagli attacchi terroristici dell‟11 settembre 2001. In particolare, lo scoppio della bolla tecnologica (cosiddetta dot-com) era stato in apparenza agevolmente controllato; a fronte di preoccupazioni anche serie ex ante, riesaminando ex post l‟entità modesta dei danni e la rimarchevole efficacia delle contromisure adottate, si era ritenuto di poter concludere che lo stesso sviluppo di quella crisi avesse confermato sia l‟avvento della “Grande Moderazione” sia i meriti della policy adottata.

Tuttavia, sarebbe dovuto risultare chiaro che politiche monetarie sostanzialmente espansive, incoraggiando e di fatto finanziando l‟assunzione di rischi elevati, avrebbero prima o poi creato, in un contesto per certi versi non radicalmente mutato rispetto ai decenni precedenti, le condizioni per brusche correzioni nel momento in cui fossero mutate la percezione dei rischi e la propensione ad assumerli.

Alla luce di tale interpretazione, pensiamo che lo studio del cosiddetto Fed model possa fornire spunti di discussione. In particolare la nostra idea si basa sul seguente ragionamento. Se riteniamo che nel lungo periodo - si consideri come esempio più importante i 20 anni di durata della fase nota come “Great Moderation”- la policy adottata abbia avuto effetti sulla aspettative d‟inflazione e sulla generalizzata riduzione dei premi per il rischio, scesi su valori eccezionalmente bassi e stabili, - ipotesi, come abbiamo visto, essere entrambe necessarie affinché sussista la relazione tra earning e interest yield – e questo a sua volta abbia contribuito ad una maggiore fragilità del sistema economico,

degenerata in crisi, modificando la percezioni degli investitori circa tali fattori - prospettive certe e stabili e minore avversione al rischio – .allora, è ragionevole aspettarsi che la relazione sottesa al Fed model, tra earning ed interest yield, venga meno nel momento in cui tale (apparente) stabilità cessa di esistere. In altre parole, quello che stiamo cercando di dire – e dimostrare - è se il Fed model possa essere interpretato essenzialmente come una regola efficace fin tanto che il sistema da esso descritto non sia sottoposto a sollecitazioni inusuali ed inaspettate, e quindi non in grado di tener conto dell‟evoluzione storica degli eventi. Tuttavia crediamo anche, che se così fosse, è proprio da quelle deviazioni della norma che potremmo invece trarre informazioni preziose sul comportamento dell‟economia in condizioni diverse da quelle usualmente prevalenti. Non è nostra intenzione, si badi bene, affermare che il Fed model vada identificato con uno strumento che, se correttamente interpretato, avrebbe permesso di prevedere la recente crisi finanziaria, ma crediamo che l‟analisi empirica delle dinamiche descritte possa risultare utile e fornire spunti di discussione interessanti circa le distorsioni dei mercati finanziari.

2 TEORIE E METODOLOGIE

ECONOMETRICHE

Nel presente capitolo vengono descritte brevemente le principali nozioni e modelli impiegate nell‟analisi empirica sviluppata di seguito; per una spiegazione più dettagliata dei concetti presentati si vedano, ad esempio, Brooks (2008), Binotti (2006), Cochrane (2005), Hamilton (1994), Harris (1995), Johansen (1995, 2002), Juselius (2006), e Lucchetti (2008).

2.1 Relazione di equilibrio e il lungo periodo

Nei modelli macroeconomici il concetto di equilibrio viene generalmente utilizzato per individuare quelle situazioni in cui le variabili oggetto di studio assumono una configurazione teorica nella quale non vi è tendenza al cambiamento. Nell'ipotesi in cui la condizione di equilibrio venga perturbata da un qualsiasi fattore, possono innescarsi o meno dei processi di aggiustamento in grado di ripristinare la posizione originaria; se ciò avviene si è in presenza di un

equilibrio stabile. L'equilibrio stabile ha delle implicazioni dal punto di vista

empirico. Infatti, trasponendo temporalmente questa nozione, è ragionevole pensare che a meno di fluttuazioni di breve periodo, le variabili d'equilibrio dovrebbero seguire un prefissato sentiero di crescita. Di conseguenza, sulla base di osservazioni storiche, potremmo chiederci se le variabili di interesse siano realmente "attratte" dal sentiero di sviluppo ipotizzato.

Fatta questa premessa, si può dire che gli equilibri sono stati verso cui il sistema è “attratto”. In certe circostanze, è possibile vedere le forze che spingono il sistema verso l‟equilibrio come dipendenti dall‟ampiezza delle deviazioni dall‟equilibrio stesso in un dato istante21

.

21 Questo comportamento può essere modellizzato tramite un modello a correzione d‟errore che verrà

Una relazione d‟equilibrio può essere espressa tramite una funzione implicita del tipo:

( )

che descrive le interdipendenze che esistono tra le n variabili quando il processo è in equilibrio. L‟espressione “equilibrio di lungo periodo” è anche utilizzata per denotare relazioni d‟equilibrio a cui un sistema converge nel tempo.

Vista in un‟altra ottica, una relazione di lungo periodo riguarda un movimento sistematico e coordinato nel tempo tra le variabili di un sistema economico; pertanto, al fine di denotare una relazione di tale tipo fra le variabili , si scriveranno equazioni rappresentanti questi movimenti come, per esempio, l‟equazione .

Dal punto di vista geometrico, quest‟equazione definisce l‟insieme, chiamato

attrattore, nello spazio bidimensionale in cui sono rappresentate le serie storiche

delle due variabili. Più precisamente l‟insieme attrattore è costituito dalla retta, la cui inclinazione è data dal coefficiente β (si veda Fig. 4). Esso viene detto attrattore poiché è il luogo dei punti che costituiscono gli stati di equilibrio di lungo periodo. Pertanto, se un ipotetico sistema economico si trovasse in stati rappresentati da punti al di fuori di tale insieme (ad esempio ), entrerebbero in gioco delle forze di mercato o delle politiche governative22 ad esemio, tali da indurre il sistema verso l‟equilibrio e quindi sull‟insieme attrattore A.

Figura 4 – Insieme attrattore di due variabili

22 Un esempio ti tale politica può essere quella che le banche centrali attuano per evitare che la crescita

A

In questa sede verranno esposti dei metodi per indagare queste relazioni d‟equilibrio, i quali portano a discutere aspetti di analisi di serie storiche, di modellizzazione dinamica, , di correzione d‟errore e inferenza su dati non stazionari. Il primo passo è quello chiarire la nozione statistica di stazionarietà ed i suoi collegamenti col concetto di cointegrazione.

Nel documento Il Fed model: un'analisi empirica (pagine 38-44)