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I crimini di competenza della Corte penale internazionale

4.4. I crimini di competenza della Corte penale

internazionale.

La competenza della Corte penale internazionale è limitata ai quattro crimini internazionali considerati più gravi,

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In particolare l’articolo 12 recita quanto segue:

1. Lo Stato che diviene parte del presente Statuto accetta con tale atto la competenza della Corte sui crimini di cui l’articolo 5.

2. Nell'ipotesi- preveduta dall'articolo 13, lettere a) o c) la Corte può esercitare il proprio potere giurisdizionale se uno dei seguenti Stati, o entrambi, sono Parti del presente Statuto o hanno accettato la competenza della Corte in conformità delle disposizioni del paragrafo 3

3. a) lo Stato nel cui territorio hanno avuto luogo l'atto o l'omissione in oggetto o, se il crimine é stato commesso a bordo di una nave o di un aeromobile, lo Stato della bandiera o di immatricolazione

4. di tale nave o aeromobile;

b) lo Stato del quale la persona accusata ha la nazionalità. 3. Se é necessaria, a norma delle disposizioni del paragrafo 2, l'accettazione di uno Stato non Parte del presente Statuto, tale Stato può, con dichiarazione depositata in Cancelleria, accettare la competenza della Corte sul crimine di cui trattasi. Lo Stato accettante Corte coopera con la Corte senza ritardo e senza eccezioni, in conformità al capitolo lX.

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ovvero, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, genocidio e aggressione. Analizzando più nello specifico, i crimini di guerra sono gravi violazioni delle norme note come il “diritto dell’Aia” e diritto di Ginevra, perché definite dalle convenzioni dell’Aia del 1889 e del 1907 sui conflitti armati internazionali, dalle quattro convenzioni di Ginevra del1949 e dai protocolli addizionali del 1977. Queste norme individuano le categorie dei combattenti legittimi, disciplinando la conduzione delle ostilità e indicano il trattamento da tenere nei confronti delle persone che non prendono parte al conflitto oppure che hanno cessato di farlo, come civili, feriti, malati e prigionieri di guerra. E’ inoltre classificato come crimine di guerra l'impiego di varie categorie di armi, quali ad esempio veleno, armi avvelenate, gas asfissianti o tossici, pallottole ad espansione

(c.d. dum dum). 86

Al contrario, la configurazione come crimine dell'uso di

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armi indiscriminate (armi nucleari, chimiche e

batteriologiche, mine antipersona) è stata rinviata ad un annesso allo Statuto da definirsi in base alla già richiamata procedura di cui agli art. 121 e 123. Per quanto riguarda i conflitti di carattere non internazionale, vengono in primo luogo richiamati gli atti considerati all'art.3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, cui poi vengono aggiunte (art.8, 2, e) altre gravi violazioni delle leggi e delle consuetudini applicabili ai conflitti armati di natura non internazionale, con la precisazione (art.8, 2, d-f) che lo Statuto non si applica a situazioni di semplice disordine interno. Infine (art.9), per facilitare alla Corte l'interpretazione e l'applicazione degli artt. 6 - 7- 8, lo Statuto affida all'Assemblea degli Stati Parti l'adozione (a maggioranza di due terzi) di un atto denominato "elementi dei crimini". I crimini contro l’umanità sono violazioni particolarmente gravi dei diritti umani di natura sistemica: non si configurano cioè come atti isolati, ma commessi

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come parte di una prassi estesa e sistematica, spesso incoraggiata o quantomeno tollerata dalle autorità politiche di uno Stato 87. Assai numerose sono le fattispecie considerate crimini contro l'umanità (art.7), alcune delle quali, come riduzione in schiavitù, comprendente la tratta delle donne e dei minori, forzata sparizione di persone, persecuzione per motivi razziali, religiosi o di genere, stupro e gravidanza forzata (forced pregnancy), queste ultime due comprese anche tra i crimini di guerra, sono state elaborate e sostenute dalla delegazione italiana. I crimini contro l’umanità possono essere commessi sia in tempo di pace che in tempo di guerra. Secondo la convenzione per la prevenzione e repressione del crimine del genocidio del 1948, si intendono per genocidio determinati atti commessi con l’intenzione di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.

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Tra questi rientrano l’uccisione o l’inflizione di gravi lesioni fisiche o mentali ai membri del gruppo, la sottoposizione del gruppo a condizioni di vita intese a provocarne la distruzione, il ricorso a misure tese a impedire le nascite all’interno del gruppo e il trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro. Il crimine di aggressione, infine si riferisce, come già accennato in precedenza, all’attacco armato di uno Stato contro un altro Stato. L’inclusione nello statuto di questo crimine è stata soggetta ad un compromesso. Esso stabilisce che la giurisdizione della Corte sul crimine di aggressione non debba essere attivata immediatamente , ma solo dopo che l’assemblea degli Stati parti abbia deciso di emendare in tal senso lo statuto 88. Le resistenze nei confronti dell’inserimento di questo crimine non stupiscono: esso limita infatti lo jus ad bellum , una delle prerogative più importanti del potere sovrano.

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La decisione di posticipare l’attivazione della giurisdizione della Corte sul crimine di aggressione non ha solo l’effetto di rinviare a un secondo momento la sua punibilità.

Essa rende anche molto più restrittive, rispetto ad altri casi, le condizioni per l’avvio di un processo riguardante questo crimine. Da un lato, infatti, le norme introdotte tramite emendamento diventavano vincolanti non per tutti gli Stati che hanno ratificato lo statuto di Roma, ma solo per quelli che accettano l’emendamento. Dall’altro lato, perché la Corte possa esercitare la propria giurisdizione sui crimini regolati da un emendamento è necessario che sia lo Stato di cittadinanza del reo, sia lo Stato sul cui territorio sono stati commessi i crimini abbiano ratificato lo statuto e accettato l’emendamento.

Queste restrizioni sono state confermate dagli emendamenti allo statuto introdotti nel corso della conferenza che si è tenuta a Kampala, in Uganda, nel giugno del 2010. Lo statuto di Roma non chiarisce inoltre come la Corte penale

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internazionale e il Consiglio di sicurezza debbano rapportare nel determinare la commissione di un atto di aggressione e le relative contromisure. La carta dell’ONU vieta il ricorso all’uso della forza contro altri Stati e assegna al Consiglio di sicurezza la facoltà di determinare l’esistenza di un atto di aggressione 89.

Qualora però il Consiglio di sicurezza ne stabilisca l’esistenza, la Carta dell’ONU prevede un meccanismo di reazione diplomatica e militare, senza rinviare ad organi giudiziari che possano sancire la responsabilità giuridica di individui o Stati.

Per quanto concerne le pena da infliggere una volta riconosciuto e accertato il reato lo statuto della Corte penale

internazionale ulteriormente, non chiarisce se il

riconoscimento dal parte del Consiglio di sicurezza sia necessario per l’avvio di un procedimento penale da parte della Corte. Lo Statuto prevede (art.77) che la Corte, a carico

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di una persona dichiarata colpevole dei reati di cui all'art.5, può irrogare una delle seguenti pene:

a) reclusione a termine, per un massimo di 30 anni (non è fissato un minimo)

b) ergastolo, se l'estrema gravità del reato e la situazione personale del condannato lo giustificano90.

In aggiunta alla reclusione, la Corte può infliggere una sanzione pecuniaria e/o la confisca dei proventi del reato, fatti salvi i diritti di terzi. Resta, ovviamente, esclusa la pena di morte, per il principio nulla poena sine lege.

La pena sarà determinata (art.78) in base alla gravità del reato e alla situazione personale del condannato. E' prevista la detrazione della detenzione preventiva sofferta. In caso di condanna per più reati si applica il cumulo delle pene. Con decisione dell'Assemblea degli Stati Parti, sarà istituito un fondo (art.79) a beneficio delle vittime di reati e delle loro famiglie, sul quale potranno confluire i ricavi delle sanzioni

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pecuniarie e dei beni confiscati. Infine, una importante clausola di salvaguardia (art.80) prevede la possibilità da parte degli Stati di applicare le pene stabilite dal loro diritto interno, ed anche di applicare loro normative che non prevedono le pene prescritte dallo Statuto.